Le polverose ferrovie e le strade che collegavano, agli inizi del secolo scorso, gli Stati americani del Sud , dall’Alabama al
Mississipi, dalla Louisiana al Texas, fino al distretto del Kansas, costituirono
una delle principali vie del blues e della musica country.
Lungo gli sfibranti
cantieri, sorti per costruire nuove strade ferrate, i barrell-house, i saloon ospitavano musicisti precari che, con
chitarre improvvisate, o quando c’erano, pianoforti scordati, allietavano le
serate degli operai sfiancati dalla lunga giornata passata sotto il sole
cocente a piantare traversine. Molti manovali neri erano
loro stessi strumentisti che avevano respirato a pieni polmoni, oltre alla polvere,
quelle strane costruzioni armoniche, atavico patrimonio dei padri africani. Questi
usavano la loro musica per condividere con gli altri la propria condizione
oppressa figlia di una vita povera e precaria.
Su quelle ferrovie viaggiavano treni merci nei cui vagoni, clandestinamente, saliva un
popolo di disoccupati, neri per lo più, che si spostavano da uno Stato all’altro
alla ricerca disperata di un lavoro, anche infimo. Erano chiamati hobos. In quell’inizio ‘900 per un nero
rimanere senza lavoro poteva significare, rischiare la pelle. Essere scambiato
per vagabondo, trucidato da bande razziste, impiccato agli alberi nelle
campagne e nelle piantagioni. Strange Fruit, l’agghiacciante blues, reso famoso
dalla straordinaria Billie Holiday, descrive fin troppo bene questo scenario.
Fra gli hobos , i viaggiatori clandestini dei vagoni merci, c’era qualcuno che aveva con sé una chitarra, o
una vecchia armonica e cantava la sua condizione precaria, magari facendo scalo
e suonando in qualche bettola lungo la ferrovia. Un variegato mondo di
sottoproletariato sferzato da un’odiosa discriminazione razziale e sociale,
animava quelle strade ferrate e
comunicava tutta la sua rabbia, e la voglia di rimanere attaccati alla vita, con
il blues.
Blind Lemon Jefferson, Leadbelly, Big Bill Broonzy, Chiarlie
Patton, il suonatore di armonica Howlin’ Wolf ,accompagnatore di Sonny Boy
Williamson, furono alcuni fra i tanti musicisti che da quella ferrovia seppero trarre
ispirazione per le loro straordinarie esecuzioni. Anche Woody Guthrie frequentò quel mondo. Il suo country, seppur molto
diverso dal blues, prese a piene mani dai travellin’ man neri.
Ci sono ancora gli hobos? Certamente. Esiste nella nostra Provincia, un affollato mondo
di hobos, esponenti di un sottoproletariato vittima di una profonda discriminazione
sociale. Sono hobos molto diversi, da quelli descritti nei blues di Big Bill Broonzy, ma ugualmente precari. Sono i traditi dalla globalizzazione. Una macchina infernale che ha distrutto un intero tessuto
produttivo, trasformandolo prima da agricolo in industriale, desertificandolo, poi, in nome di una
devastante delocalizzazione. Grandi aziende
e multinazionali si sono insediate nel territorio grazie a laute prebende pubbliche , poi, per accrescere i dividendi dei propri azionisti, hanno lasciato sul terreno centinaia
di migliaia di hobos, preferendo trasferirsi in Paesi dove le condizioni di
lavoro sono da schiavisti, o speculando in borsa.
Anche nella nostra Provincia una ferrovia può costituire il simbolo di un'area dove gli hobos ciociari hanno,
per lo più, subito il loro destino. E’ la tratta Cassino-Roma il cui percorso si snoda, in
gran parte, lungo la Valle del Sacco. Un pezzo di Ciociaria, detto anche "la
Seveso del Sud", dove in giugno un covone di grano può rende gradevole l’immagine di una ciminiera
che sputa in aria fumo malsano.
Percorrendo la ferrovia si srotola una pellicola fatta di ecomostri abbandonati a se stessi
orrende vestigia di uno scempio economico e sociale.
Oltre 150mila sono gli hobos ciociari. Non so quanti
di loro sappiano suonare uno strumento, e siano in grado di testimoniare con la
musica il loro stato. Certo è che l’incancrenita discriminazione sociale, lascia muti dalla vergogna. L’umiliazione di
non poter assicurare ai propri figli un reddito, una prospettiva, rende afoni.
Ma forse una lezione si può trarre da Blind Lemon Jefferson, Big Bill Broonzy e tutti gli altri . Loro non
si vergognavano di cantare uno stato precario, anzi attraverso la loro musica
arrivava tutta la rabbia e la voglia di lottare per una condizione migliore. Bisognerebbe partire da quella rabbia per
superare ogni remora ed urlare che la Costituzione italiana all’art. 4 recita quanto segue “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro
e promuove le condizioni che rendano effettive questo diritto”. Sarebbe necessario gridarlo in faccia a chi
governa il nostro territorio, e la
Nazione intera. Sarebbe ora di urlare nelle orecchie di lor signori che la
Costituzione sancisce il predominio della condizione sociale su quella
economica e non viceversa.
Cominciamo ad urlare invece di abboccare a infidi, strumentali, quanto inutili, tavoli di trattativa con le varie dirigenze politiche (nazionali regionali o provinciali). Insomma
prendiamo costoro a blues in faccia anche se non sappiamo suonare il blues. Facciamolo e forse qualcosa inizierà a cambiare.
La ferrovia degli hobos ciociari
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