Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

domenica 25 giugno 2017

Banca Intesa Sanpaolo nello "Stato dei Miracoli"

Luciano Granieri




 Lo Stato siamo noi cantava   De Gregori. In  questo mondo dove tutto è diventato liquido anche quello Stato, che siamo noi, sarà diventato liquido? E conterà ancora qualcosa?  Tranquilli lo Stato, modernizzandosi, si è  sicuramente un po’ liquefatto, ma per certe cose è rimasto ben saldo nelle sue funzioni. La vicenda dell’acquisizione da parte di Banca Intesa Sanpaolo, di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza sta li a dimostrarlo. Si tratta di una transizione fra istituti di credito privati che c’entra lo Stato? Potrà obbiettare qualcuno. C’entra, c’entra. Se avrete la pazienza di seguire la storia che sto per raccontarvi lo capirete. 

C’era una volta, vent’anni fa, una terra ricca e laboriosa, la locomotiva d’Italia e d’Europa la chiamavano. Era il glorioso nord est. Qui fra il 1996 e il 1997 due banchieri illuminati fondarono altrettanti istituti di credito pronti a finanziare e a supportare le imprese che in quel Veneto stavano creando ricchezze a profusione. Vincenzo Consoli divenne il dominus di Banca Veneto e Luigi Zonin prese a dirigere  La Banca Popolare di Vicenza. 

Dopo vent’anni, fra venti di crisi, magheggi e incroci pericolosi con politica ed imprenditoria predatoria, i due istituti si trovano oggi in fallimento. Eppure le due banche possono    contare su centinaia di sportelli, migliaia di dipendenti, centinaia di migliaia di correntisti. Il problema fondamentale riguarda i crediti   incagliati e inesigibili. Trattasi di prestiti concessi a soggetti che  non li hanno restituiti o non sono in grado di restituirli. Si dirà ma un buon banchiere prima di accordare   un prestito deve esigere  delle garanzie. Giusto. Infatti i mutui concessi, a lavoratori, a piccole imprese,  sono stati  esaminati con il lanternino  selezionando rigorosamente i destinatari . Questi, evidentemente degli straccioni, tirano  la cinghia, ma s’impegnano con sacrificio a corrispondere la rata altrimenti la banca, gli frega  la casa. 

Ci  sono, però, persone perbene, signori veri, per  cui chiedere i soldi indietro è una vera e propria mancanza di rispetto. Come poteva Vincenzo Consoli di Veneto Banca  pretendere il pagamento delle rate dall’Alitalia dei capitani coraggioso, dal Gruppo Boscolo, dall’Acqua Marcia di Francesco Gaetano Caltagirone, dalla Lotto Sport, dal leghista Giancarlo Galan,   dal deputato Denis Verdini e ad altre persone per bene come loro? Che impudenza. 

Ugualmente avrebbe potuto mai osare Luigi Zonin,  manager della Banca Popolare di Vicenza, esigere i debiti da Nicola Tognana, da altri grandi imprenditori come Giovanni Fantoni, e perfino da Alfio Marchini, candidato sindaco di Roma le cui società hanno ricevuti 130milioni di euro di cui 75 iscritti come incagli difficili da recuperare? Sarebbe stato uno sgarbo inopportuno e indecoroso. 

Dopo vent’anni di  “fare banca per bene” i due istituti si trovano oggi  in brache di tela. Qui  interviene     il colosso Banca Intesa il quale, per la stratosferica cifra di un euro, si sacrifica a rilevare la banche venete. Tutto bene dunque. Neanche per idea, secondo voi quelli di Banca Intesa Sanpaolo c’hanno l’anello al naso? Per un euro l’istituto di Torino si limita  ad acquisire, gli sportelli, i conti correnti, i fondi d’investimento, le cassette di sicurezza  e i crediti sicuri, cioè tutte quelle attività che generano esclusivamente profitto. 

Che  ne è  dei  crediti incagliati, quelli dei Marchini di Alitalia, dei Verdini?  Degli obbligazionisti senior? Che ne facciamo? Mica possono perdere i loro soldi, e  gli esuberi? Un istituto come Banca Intesa Sanpaolo non può far vedere che licenzia, però tutti quei dipendenti non servono. Tranquilli. Arriva lo Stato quello Stato che siamo noi. Ai buffi incagliati, ai soldi degli obbligazionisti senior, ci pensiamo noi. Lo Stato siamo o non siamo noi? E poi per gli esuberi non c’è da preoccuparsi. Già era stato costituito un fondo esuberi per i dipendenti delle altre banche, basta che lo aumentiamo un po’ e ci facciamo rientrare anche quelli  delle due banche venete e pure  qualcuno di Intesa Sanpaolo, suvvia un po’ di solidarietà! 

Ma NOI Stato. Quanto paghiamo per questa mandrakata? 5miliardi e due, subito, più la disponibilità di altri 17milardi.  Troppo? Si  tratta  di non compromettere la ripresa che il fallimento delle banche venete avrebbe messo a rischio !Ma  perché quando si parla di sanità, di scuola pubblica, di enti locali i soldi non ci sono mai, regna sovrana la spending review.  Qui la spending review non è prevista? 

Con un semplice decreto in quattro e quattr'otto spuntano fuori più di venti milioni di euro. Per fare che? Per apparare i buffi di Galan, Verdini, Caltagirone e  consentire a Banca Intesa Sanpaolo di realizzare profitti miliardari?  Ma a noi Stato, che abbiamo sborsati  i soldi per apparecchiare l’affare, di quei profitti non ne viene niente? Lo Stato siamo noi e va bene. Ma lo Stato, il  nostro, non era quello che   assicurava ai cittadini il diritto di curarsi, di studiare, di lavorare, di vivere dignitosamente? 

Ah dimenticavo questo era prima, quando ancora non avevamo perso la lotta di classe. Oggi da  vecchi comunisti sconfitti dobbiamo chinare il capo davanti al nuovo articolo 1 della Costituzione ,quello che dice “l’Italia è una repubblica fondata sulla privatizzazione del profitto e la socializzazione delle perdite”. 

La morale della storia  è che quest’ennesimo abuso del potere economico finanziario, perpetrato  con l’aiuto dello Stato ai danni dei cittadini, dovrebbe far riflettere  coloro i quali parlano di discontinuità, di eliminazione delle diseguaglianze, di  dare rappresentanza ad un popolo di sinistra abbandonato a se stesso  e alle proprie lotte. Costoro dovrebbero ragionare sul fatto che, o si parte dal presupposto di combattere radicalmente il capitalismo e il liberismo predatorio, oppure potremo riunirci al Brancaccio e in mille altre sedi   senza minimamente cambiare quella che realmente è oggi   diventata  la funzione dello Stato. Un istituzione ridotta ad agevolare il capitalismo mafioso integrato e a reprimere con la forza il malcontento che questo genera. 

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