Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 30 agosto 2011

Il Presidente dell'ANPI provinciale è filo sovietico


Giovanni Morsillo Presidente ANPI FROSINONE

Frosinone, 28/08/2011

Alla Redazione ed ai lettori de “L’INCHIESTA”

All’ANPI Nazionale

A Patria Indipendente

Alle persone in indirizzo

via e-mail

I lettori del quotidiano “L’Inchiesta” hanno potuto leggere a pag. 3 dell’edizione di venerdì 26 Agosto un articolo dell’illustre Prof. Emilio Pistilli, che interpreta un PRECEDENTE COMUNICATO stampa dell’ANPI provinciale traendo conclusioni assai singolari.
Non si intende in alcun modo dar seguito alle affermazioni del Professore, legittime per quanto non condivise né in molti tratti oggettive, se non per fornire ai lettori del giornale alcuni ragguagli utili ad evitare il più possibile fraintendimenti e storpiature delle posizioni da ciascuno espresse. Trascureremo quindi le nostre impressioni sullo scritto, che tali restano e quindi non interessano i lettori, e ci limiteremo a ribadire o ridefinire, alla luce delle osservazioni espresse dal Professore, alcuni passaggi del nostro scritto precedente, evidentemente poco chiari se perfino un così dotato ed esperto esegeta ne ha frainteso il senso e la lettera.

Dunque:  lo scritto dello studioso parte con una considerazione che non ci sembra avere a che fare con l’argomento, né con le affermazioni del comunicato, ed affibbia, tanto per non sbagliare, l’ormai stantia accusa di filosovietismo (addirittura!) al Presidente dell’ANPI provinciale, reo di aver definito fascista un fascista (non voleva essere un insulto, ma una constatazione, nel bene e nel male, e non crediamo che Giovanni Conte se ne sarebbe risentito). A sostegno della sua critica cita il fatto che il Giovanni Conte abbia combattuto nelle fila delle forze fasciste e cita i numeri dell’imponente mano d’aiuto che Mussolini riservò a Franco. E chi ha detto il contrario? Abbiamo forse sostenuto che Giovanni Conte fosse un bandito? un vigliacco (il Professore ci ricorda superfluamente le sue onorificenze e la morte da valoroso)? uno spietato malfattore (ci ricorda anche la sua filantropia)? O forse abbiamo sostenuto che tutti i fascisti fossero degni di infamia? Ma soprattutto, che c’entra con il comunismo?

Al contrario di quanto ci attribuisce l’esimio studioso, non abbiamo nemmeno sostenuto, nella nostra nota, che di Giovanni Conte si debba cancellare la memoria, intanto perché l’ANPI cerca da oltre sessant’anni di coltivare la memoria oggettiva e la storia, non la propaganda o la confusione pseudoideologica, e poi perché il tema della nostra nota era Nicandro, non Giovanni Conte. Ci piacerebbe capire dove abbia reperito l’illustre storico e polemista, nostre affermazioni in tal senso, se non nella sua capacità interpretativa davvero straordinaria. Ci sarà concesso rimarcare semplicemente che, ancora dopo oltre sessant’anni, all’eroico franchista restano onori e menzioni, mentre al povero partigiano nemmeno una lapide? Noi continuiamo a pensare che tutto ciò non sia frutto di casualità, e crediamo giusto segnalare e sostenere la possibilità che oggi, finalmente, si possa porre pur tardivo rimedio. Non certo rimuovendo il nome di Giovanni dalla facciata della scuola, ma riconoscendo che Nicandro fu quello che fu, subì quello che subì, scelce quello che scelse. Né ce la prendiamo soltanto con le Istituzioni rette da uomini e maggioranze di destra o di centrodestra, dato che nella storia repubblicana si sono succeduti alla guida del Comune di Cassino e delle altre Istituzioni competenti uomini e alleanze della più varia estrazione, spesso variopinte fino all’inverosimile, senza che accadesse nulla di diverso in tal senso.
E’ troppo? E’ segno di mancata sensibilità verso la pacificazione?

Il nostro dibattente sa troppo bene che in questo Paese la pacificazione è da sempre messa in discussione non dai vincitori, ma dagli sconfitti, che rifiutano persino di riconoscere gli errori (li vogliamo chiamare così?) commessi. Ma poiché egli si accontenta di bersagliare l’ANPI non per quello che dice o fa, ma scaricandole addosso indebite accuse di passioni totalitarie, ricorrendo alle dichiarazioni del Presidente della Repubblica o agli affetti familiari (le prime in assoluta sintonia con l’ANPI, i secondi attinenti alla sfera dei sentimenti e come tali non solo rispettabili, ma indisponibili per un dibattito politico e storico), l’ANPI non può che prendere atto che egli ha ragione su un punto: la pacificazione è davvero lontana, e lo dimostrano queste esternazioni che più che da uno storico capace e rigoroso sembrerebbero dettate da un politico in vena di battibecchi e strumentalizzazioni davvero inopportune. Per fortuna non è così: quanto affermato dal Professore deriva senza dubbio da un nostro difetto di chiarezza, non certo da una sua volontà mistificatoria, che smentirebbe una onorata reputazione di storico.

Noi non crediamo affatto che gli atti di eroismo siano tutti e solo da attribuire alla Resistenza. Saremmo sciocchi e facilmente smentibili, e non saremmo durati sessantasei anni. Ma, se fosse sfuggito, ribadiamo che di Nicandro Conte non intendiamo additare l’eroismo, che pure dimostrò e non in modo episodico ma continuativo. Vogliamo invece indicare alle giovani generazioni, sempre più preda del qualunquismo e della cloroformizzazione della coscienza critica, l’esempio di Nicandro Conte e dei partigiani come di coloro che seppero scegliere non di vincere (non era affatto scontato, e proprio la lezione durissima della Guerra civile spagnola induceva a temere il contrario) ma di mettersi a disposizione e di combattere rischiando tutto quello che si rischia in questi casi, proprio per abbattere quel totalitarismo cui accenna giustamente contrariato il nostro contraddittore. Questa è la lezione che viene da quei fatti, comprenderla è già procedere verso un’idea alta di civiltà.
Noi abbiamo inteso reclamare il giusto riconoscimento dell’impresa di Nicandro non in contrapposizione alla figura del fratello, che non ha alcun senso, ma per il valore che la scelta del primo ebbe in sé, e crediamo in tutta franchezza di averne titolo in quanto cittadini di questa Repubblica, in quanto uomini liberamente pensanti ed anche in quanto antifascisti. Ma con la stessa forza e per le stesse ragioni rifiutiamo qualsiasi equiparazione tendente a rimuovere la sotanziale differenza fra chi scelse e rimase con il fascismo anche quando ogni eventuale ideale era stato seppellito sotto il collaborazionismo con le forze di occupazione straniere (non è il caso di Giovanni Conte che muore prima, e quindi la citazione era di altro respiro e tenore, ovviamente  e molto chiaramente) e chi invece, come Nicandro, sa scegliere di stare e di sacrificarsi per una sua idea ed una sua esigenza di civiltà, di giustizia e di libertà che è tutt’altra cosa.

Un breve passaggio, per contribuire sommessamente a risolvere la spinosa questione della toponomastica abilmente sollevata dal nostro illustre Professor Pistilli. La sua preoccupazione per la confusione che indurrebbe “l’intitolazione di una strada o piazza a Nicandro Conte” visto che Giovanni è arrivato prima, vogliamo rassicurarlo: a Nicandro si potrebbe intitolare una biblioteca, un luogo di aggregazione, un’aula dell’Università, una sala del Municipio, un monumento, un ponte, solo per fare qualche esempio, tanto è vero che abbiamo parlato di luogo pubblico, non particolarmente di strade o piazze. Senza contare che in tantissime città d’Italia esistono strade e piazze intitolate a quasi-omonimi, senza che ci risulti che qualcuno si sia perso per questo.




























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