Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 6 gennaio 2012

Indignados anche in Russia

dichiarazione del Poi
(sezione russa della Lit-Quarta Internazionale)

Molti sono rimasti sorpresi. Dopo anni di stabilità politica, in cui non si producevano mobilitazioni neanche per le più elementari rivendicazioni economiche, è scoppiata una grande manifestazione dal contenuto direttamente politico.
Il 10 dicembre, in Piazza Bolotnaya, circa 40 mila persone si sono riunite (oltre ad altre 10 mila a San Pietroburgo, 5 mila a Novosibirsk ed ulteriori manifestazioni minori in quasi 80 città) per protestare contro i vergognosi brogli nelle elezioni parlamentari per la Duma di Stato, in cui il partito Russia Unita, del primo ministro Vladimir Putin e del presidente Dmitri Medvedev, ha conquistato il 49% dei voti ed il 53% dei seggi della Duma. Diversi analisti hanno stimato che Russia Unita si è aumentata i voti in ragione del 15%. Sono centinaia le denunce dalle quali risulta che i seggi elettorali avevano chiuso le urne alla sera con un certo risultato, salvo, il giorno successivo, alla riapertura, mostrare numeri completamente differenti.
Ma il problema non è cominciato con questi grossolani brogli elettorali. Le elezioni nel loro insieme sono apparse sin dall'inizio come una farsa. Come si dice in Russia, sono elezioni in cui “chiunque può vincere, purché sia Putin”. In Russia è impossibile legalizzare un partito politico senza la benedizione del Cremlino. Il partito di governo Russia Unita ha il monopolio dei mass media, non ci sono dibattiti, nulla. Oltre ai brogli, la situazione si è ancor più fatta incandescente in conseguenza del tono arrogante di Putin e Medvedev che, quando sono apparse le prime denunce e manifestazioni, riferendosi alla prima protesta nel Boulevard Tchistye Prudy del 5 dicembre, il giorno dopo le elezioni e con più di 6 mila persone in piazza, dissero sprezzantemente: “Sembra che qualcuno, in qualche posto, stia dicendo qualcosa”, oltre ad accusare i manifestanti di essere pagati dagli Usa.
Eguale effetto hanno sortito le dichiarazioni del presidente della Commissione elettorale, Tchurov, secondo cui “le depravate fantasie di questa gentaglia che mette in dubbio la nostra onestà non mi interessano affatto”. Tutto ciò ha rappresentato la goccia che ha colmato il vaso e che ha spinto migliaia di persone, che per anni avevano sopportato questo sporco gioco della politica ufficiale russa, a rompere con l’indifferenza e ad avvicinare la lontana Russia, sia pure di poco, a quei Paesi europei già colpiti dalle manifestazioni degli indignados. Putin non aveva mai visto nulla di simile, poiché era sempre stato abituato a un grande appoggio popolare.
Siamo ancora agli inizi del processo, tuttavia è già possibile affermare che con gli accadimenti di Piazza Bolotnaya il regime poliziesco-mafioso delle oligarchie del petrolio e del gas di Putin sta entrando in una fase di chiara crisi politica.
La manifestazione non è stata fermata né dalla repressione dei corpi d’assalto della polizia (la Omom), né dalla convocazione per lo stesso giorno di esami di Stato in tutte le scuole del Paese col chiaro scopo di smobilitare le manifestazioni degli insegnanti e degli studenti, né dalle ridicole dichiarazioni del Direttore nazionale della Sanità, secondo cui “le manifestazioni invernali fanno male alla salute”, né dal luogo estremamente isolato (un’isola) riservato dal governo per i manifestanti.
Con decine di migliaia di orme nella neve da poco caduta, il popolo ha messo bene in chiaro ciò che pensa dell’attuale governo, rivendicando l’annullamento del risultato elettorale, le dimissioni di Tchurov, presidente della Commissione elettorale, libertà democratiche e nuove elezioni. Gli slogan “Russia senza Purtin!” e “Libertà!” hanno attraversato la piazza. La demoralizzazione della polizia, del regime e dei burocrati, ha fatto sì che, per la prima volta, Putin è apparso debole, obbligato a ricorrere a una vergognosa falsificazione per far credere di mantenere l’appoggio popolare. In un Paese che apprezza tanto gli uomini forti ciò appare una dura sconfitta per Putin.
In questi giorni di dicembre sono finiti i lunghi anni di silenzio, la gente non ha più paura e, al contempo, appare giunta l’ora che è il regime a doverne avere. In questi giorni, mobilitandosi in tutto il Paese, i giovani hanno sentito lo spirito di Piazza Tahrir, così come la vecchia generazione ha sentito lo spirito di quelle manifestazioni nell’Urss della fine degli anni Ottanta. La vittoria ufficiale di Putin si è rivoltata contro di lui. La sua grande sconfitta ha probabilmente aperto la fase del declino del suo regime.
Indipendentemente dai brogli elettorali, la perdita di appoggio politico al governo Putin è un fatto innegabile, così come la disposizione alla lotta quantomeno di un settore popolare. Anche tenendo conto dei risultati ufficiali, il partito di Putin, Russia Unita, ha perso molti voti. Ha perso la maggioranza costituzionale che gli permetteva di modificare la Costituzione a suo piacimento. Nondimeno, ha mantenuto la maggioranza relativa, che gli consente di approvare leggi anche da solo. Al contempo, è anche diminuita l’affluenza elettorale. Secondo i dati ufficiali, il 40% della popolazione si è astenuto dal voto, mentre alcuni analisti giungono fino al 50%. La maggioranza delle persone o non è andata a votare oppure ha votato “per qualsiasi partito, salvo che per Russia Unita”. Questo genere di protesta silenziosa, che è sempre esistita, oggi è arrivato a un livello impossibile da nascondere. Gli stessi risultati elettorali sono stati come una sberla in faccia a Putin.
Un processo che è ancora agli inizi
Tuttavia, nonostante il pesante colpo subito dal regime, non si può sovrastimare la situazione. La geografia dei risultati elettorali, così come il carattere e la composizione geografica delle manifestazioni, mostrano che il processo è appena agli inizi. Per adesso, le manifestazioni hanno coinvolto per lo più la classe media, gli studenti universitari e gli intellettuali delle grandi città. La classe operaia, per il momento, è assente dal processo di lotta. Nelle regioni più rurali e arretrate, Russia Unita, pur perdendo voti, ha ottenuto un risultato migliore di quello di Mosca, San Pietroburgo e altre città, così come le grandi mobilitazioni si sono svolte soltanto nelle città più abitate. La principale manifestazione, quella nella Piazza Bolotnaya, era composta soprattutto dalla classe media e dai giovani. Perciò, dal primo segnale di lotta fino ad arrivare all’ultimo chiodo sulla bara del regime di Putin si dovrà percorrere un lungo cammino di lotte.
L’opposizione
Come dicono i russi, “Putin è solo la metà del problema, l’altra metà è l’opposizione”. Il fatto è che l’opposizione parlamentare è complice diretta dei brogli elettorali. Ci sono quattro partiti che hanno ottenuto rappresentanza parlamentare. Oltre al partito di governo, Russia Unita, c’è il Partito comunista della federazione russa (Pcfr), che si atteggia come un’opposizione “civile” e “costruttiva”. C’è poi il partito Russia Giusta, creato dal Cremlino a guisa di ala sinistra di Putin. C’è il Partito liberaldemocratico di Russia (Ldpr), della destra xenofoba e filogovernativa. Questi partiti, benché critichino i brogli, sono contentissimi dell’aumento dei voti conseguito, dato che hanno aumentato il loro numero di deputati, i loro bilanci e il loro potere di negoziazione col governo.
Particolarmente cinica è l’opposizione del Pcfr, maggior partito d’opposizione, che ha raddoppiato i suoi voti (giungendo quasi al 20%, secondo i risultati ufficiali) e che proprio per questo ha ora una grande responsabilità, essendo la principale referenza contro Putin. Il suo leader, Ziuganov, ha detto che “le elezioni sono illegittime, sia da un punto di vista morale, sia etico”. Ma ciò non lo porterà a boicottare la nuova Duma o ad assumere misure simili. Al contrario, Ziuganov ha chiarito che il suo partito approfitterà dell’aumento dei seggi per aumentare il suo “potere di controllo” nelle elezioni presidenziali di marzo. Tanto era contento per aver raddoppiato i propri voti, che il Pcfr è stato il grande assente nella manifestazione di Piazza Bolotnaya, non convocandola ed inviando in rappresentanza solo un dirigente di secondo piano.
La situazione è diversa per quel che riguarda i liberali, agenti diretti dell’imperialismo nordamericano ed europeo, ai quali il regime ha tolto spazio politico che, per questo, non sono ben rappresentati in parlamento. Essi - cioè l’imperialismo - hanno qualcosa da perdere e qualcosa da guadagnare. Perciò utilizzano e cercano di manovrare le proteste. Oggi, per dare continuità ai propri piani di colonizzazione della Russia e degli altri Paesi da essa politicamente influenzati, l’imperialismo deve negoziare con Putin, che allo stato monopolizza tutto lo spazio politico del Paese. E Putin costa caro per i servigi che presta sostenendo i piani dell’imperialismo. Di qui la causa degli attriti fra loro. All’Occidente piacerebbe partecipare direttamente alla politica russa e perciò, di quando in quando, crea difficoltà politiche nel Paese a Putin attraverso i propri agenti liberali (Nemtsoy del Movimento Solidarietà, Yavlinskiy del Partito Yabloko, Kasparov di L’Altra Russia, ecc.), utilizzando per questo i brogli elettorali e l’assenza di libertà democratiche. E oggi sono stati proprio i liberali a trasformarsi negli organizzatori di Piazza Bolotnaya.
Ma la gente è scesa in piazza non “in difesa dei liberali”, quanto in difesa delle libertà democratiche. Come, scherzando, ha detto uno degli oratori della manifestazione, secondo il governo russo, Hillary Clinton avrebbe mandato sms a ciascuna persona presente in piazza. Il sentimento antistatunitense in Russia è molto forte. Ma, al di là di questo, per i liberali è molto difficile conquistare la fiducia popolare dopo la catastrofe degli anni Novanta, quando venne distrutto il parco industriale russo in nome dell’importazione di prodotti delle multinazionali imperialiste. E fu esattamente la loro politica a generare gli oligarchi (così in Russia vengono chiamati i grandi capitalisti del Paese) che si appropriarono delle proprietà statali, delle risorse naturali e delle altre ricchezze del Paese.
Furono gli stessi liberali ad aprite le porte a quel capitale straniero che oggi controlla praticamente tutte le aree dell’economia, inviando poi miliardi di dollari di profitti fuori dal Paese, dissanguandone l’economia e aumentando la miseria. Furono sempre loro a sostenere quella “assoluta libertà del mercato” che ha portato la crisi. Tutti i liberali appoggiarono il bombardamento del parlamento da parte di Eltsin nel 1993, primo passo per l’aumento della repressione in tutto il Paese. I liberali sono totalmente responsabili dell’attuale situazione in Russia. Criticano Putin, ma nella pratica propongono la stessa politica di privatizzazioni, tagli delle spese sociali, e soggezione del Paese al capitale internazionale, nella stessa misura in cui si sviluppa la ricetta di Putin. Sono perfino più radicali nel seguire le ricette del Fmi. Perciò non dicono una sola parola sull’economia di oggi, sulla corruzione e sui brogli. Tacciono su tutto il piano economico di adeguamento e privatizzazioni di Putin e le loro uniche parole d’ordine sono “Russia senza Putin!” oppure “Abbasso Russia Unita, partito di malfattori e ladri!”. Essi stessi temono le manifestazioni, che minacciano il modello economico semicoloniale del Paese, già in seria difficoltà, specialmente in un momento in cui la situazione diventa ogni giorno più esplosiva.
Falsificazione al servizio degli interessi degli oligarchi
Il fatto è che i brogli sono stati solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma il discredito accumulato dal governo viene da più lontano, risale all’applicazione dei piani di adeguamento e di tagli richiesti dal Fmi e dagli stessi oligarchi russi per aumentare i loro profitti. Così come in ogni altra parte del mondo, il governo russo ha salvato le proprie banche e gli oligarchi in crisi con denaro pubblico, indebitando lo Stato, e oggi vogliono fare economie a spese delle masse popolari. In tutti i Paesi, specialmente in Europa, i governi e i padroni stanno applicando riforme e aggiustamenti brutali: privatizzazioni, tagli salariali, licenziamenti, ecc., per imporre ai lavoratori un nuovo livello di sfruttamento. Nei loro incontri internazionali, come quelli del G-20, i governi del mondo discutono e coordinano le loro misure contro i lavoratori e i popoli per salvare i padroni dalla crisi da essi stessi provocata e di cui i lavoratori non sono affatto responsabili.
La Russia e il suo governo non fanno eccezione. Da tempo stavano sostenendo la riforma dell’istruzione, chiamata “modernizzazione dell’istruzione”, una definizione che non abbisogna di spiegazioni. Al tempo stesso, a causa dell’inflazione, la gente comune è sempre più povera. Il governo ha già approvato una serie di leggi che entreranno in vigore dopo le elezioni e colpiranno sempre di più i russi con quelle che vengono definite “misure impopolari”. Putin consegna sempre più il Paese, di per sé dipendente dagli investimenti stranieri, nelle mani delle multinazionali che fanno montagne di profitti. Segue pedissequamente le indicazioni del Fmi, della Banca Mondiale e dei governi dei Paesi dominanti per ridurre le spese sociali. Ormai c’è un nuovo bilancio, con grandi tagli alle politiche sociali ed aumenti delle risorse per la polizia, il Fsb (l’ex Kgb) e l’apparato repressivo in generale.
Tutto questo, mentre gli oligarchi continuano a realizzare profitti record. È proprio per dare continuità a questi piani che il governo si è visto obbligato ai brogli elettorali. La falsificazione delle elezioni è stata necessaria per Putin al fine di poter continuare con le riforme contro la maggioranza della popolazione e al servizio degli oligarchi e del capitale straniero. Putin voleva mostrare che “tutto è a posto”, che il popolo in massa continua ad avere fiducia in lui. Per questo, come sempre, ha falsificato le elezioni: per continuare, rafforzato “dall’appoggio popolare”, ad approvare misure antipopolari. Ma ha fatto cilecca. Oggi le masse popolari russe stanno sentendo tutto questo nella propria carne viva e sono stanche dell’ipocrisia del governo, dal momento che vedono come gli oligarchi si arricchiscono mentre il resto del Paese va impoverendosi ed è obbligato a sopportare in silenzio.
Come continuare?
Oggi è necessario ampliare le proteste per l’annullamento dei risultati elettorali. Tutti i partiti che si atteggiano ad oppositori (il Pcfr innanzitutto) debbono lottare per i voti rubati ai loro elettori, cioè disconoscere apertamente le elezioni, boicottare la nuova Duma e, tutti insieme, convocare ed organizzare massicce manifestazioni di protesta unificate per conquistare la liberazione di tutti coloro che sono stati arrestati nelle precedenti manifestazioni, per l’annullamento del risultato elettorale e le dimissioni del presidente della commissione elettorale, Tchurov. Qualsiasi altra posizione significherebbe un appoggio aperto o dissimulato ai brogli! Per proteste unificate di tutti per l’annullamento dei risultati elettorali!
È inaccettabile l’attuale posizione del Pcfr di non partecipare attivamente, non convocare le manifestazioni contro i brogli e accettare i suoi deputati nella Duma! Grazie all’autorità conferitagli dall’essere il maggior partito d’opposizione, una semplice dichiarazione del Pcfr di disconoscimento del risultato elettorale e di boicottaggio della Duma falsificata porrebbe tutto il sistema in una crisi di legittimità senza precedenti. Inoltre, se adoperasse il suo grande potere di mobilitazione (utilizzato finora solo in campagna elettorale) insieme ai 40 mila di Piazza Bolotnaya, il Pcfr potrebbe cambiare la situazione politica del Paese.
Oggi molti agitano la parola d’ordine “elezioni pulite”. Con le regole attuali, in cui non ci sono libertà democratiche e in cui “chiunque può vincere le elezioni, purché sia Putin”, parlare di “elezioni pulite” non ha alcun senso. Per una reale libertà d’espressione, di pubblicazione, di manifestazione, di riunione ed organizzazione! Per l’abolizione dell’attuale legislazione sui partiti e di quella “antiterrorismo” e “antiestremismo”, dirette ad eliminare l’esistenza di opinioni diverse! No alla repressione! Per la libertà di organizzazione e legalizzazione di partiti alternativi! Per la libertà d’informazione e di accesso dei diversi partiti e punti di vista alla televisione! Per un’ampia campagna di dibattiti elettorali in televisione! Sulla base di questi diritti democratici, realizzazione di nuove elezioni nel Paese!
Abbasso le privatizzazioni e la riforma dell’istruzione! Nazionalizzazione senza indennizzo di tutto il settore energetico e delle risorse naturali! Utilizzazione dei relativi proventi per promuovere una nuova ondata di industrializzazione del Paese e per il rinnovamento delle infrastrutture nazionali in modo da assorbire i disoccupati! Divieto di espatrio dei profitti! Nazionalizzazione e unificazione del sistema finanziario nazionale, per impedire la speculazione, l’espatrio di capitali e la corruzione! Fuori gli oligarchi, i banchieri, i malfattori e i ladri, per un governo operaio e popolare che governi nell’interesse della maggioranza e adotti un programma di aiuto dei lavoratori e non dei banchieri e degli oligarchi. Fuori Russia Unita, partito di oligarchi, banchieri, mafiosi e ladri!
Per dare gambe a questo programma, il principale problema dei lavoratori russi continua ad essere l’assenza di organizzazioni indipendenti e di una direzione politica, ciò che ritarda molto l’entrata in scena della classe lavoratrice. Oggi nessuno dei partiti legali rappresenta gli interessi dei lavoratori e del proletariato, né vuole difenderli. Il Pcfr difende alcuni punti del programma appena esposto, ma solo nelle campagne elettorali; per il resto non ha mai inteso mobilitare il proletariato su queste rivendicazioni. La classe lavoratrice non ha né sindacati indipendenti, né partiti in cui riporre la fiducia, né altre organizzazioni di lotta. Senza le loro organizzazioni, i lavoratori continueranno ad essere ostaggio dei padroni e dei burocrati. Oggi è necessario organizzare i lavoratori e i settori popolari in gruppi per luogo di lavoro, università, per quartiere, fra amici, coordinarli per contrastare la politica antioperaia, repressiva e filo-oligarchica del regime di Putin con le sue farse elettorali.
Costruire un’alternativa politica di classe e socialista costituisce oggi una necessità urgente per la classe lavoratrice russa.



(Traduzione di Valerio Torre)


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