Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 16 febbraio 2012

In neve veritas

Luciano Granieri


Dopo la neve il deserto. Non si può nascondere che l’evento meteorologico    sia stato inusuale, ma gli scenari che ci ha lasciato ancora oggi dopo 15 giorni sono di una desolazione disarmante. Se le scuole  del capoluogo potranno riaprire solo domani cioè dopo oltre  due settimane dalle precipitazioni nevose, significa che il problema va oltre la nevicata, e interessa più direttamente le strutture. Il sottoscritto abita in una casa che è stata costruita 50 anni fa, il tetto è intatto, anche i cornicioni sono rimasti al loro posto senza il minimo danno. Ciò vuol dire che  evidentemente lo sviluppo edilizio della città si è evoluto attraverso qualità  costruttive infime con investimenti al ribasso per la realizzazione del massimo profitto.. La domanda è;  se un istituto scolastico non è in grado di sopportare una nevicata anche importante e necessita di verifiche minuziose come potrà resistere  in presenza di une evento più drammatico tipo un terremoto?  Da questa osservazione scaturisce un altro dubbio. Nella nostra città, negli ultimi anni, il processo di urbanizzazione ha subito un’accelerazione inaspettata e sproporzionata rispetto alla domanda abitativa. Perché sono state costruite case vuote?  Ma soprattutto, l’edificazione di questi edifici è stata realizzata tenendo conto della sicurezza del territorio e del manufatto stesso? Le recenti vicende che hanno visto l’intervento della magistratura su alcune lottizzazioni, non dipanano questi dubbi, ma anzi li amplificano.  E’ bene sempre tener presente  che quando una area della città viene resa edificabile e messa a disposizione dell’impresa edile di turno, non è mai il cittadino a guadagnarci. Infatti se da un lato il cittadino è costretto a subire un esproprio di territorio comune, magari corredato di spazi pubblici usufruibili da tutta la comunità, con svalutazione del proprio immobile,   dall’altro l’impresa che si aggiudica il diritto di edificare realizza sin da subito  un rendita fondiaria, dovuta al cambio di stato d’uso  del terreno da non edificabile   a edificabile, inoltre l’iter di costruzione, con i vari appalti e subappalti, produce ulteriori profitti. In pratica anche in questo caso si realizza la pubblicizzazione degli oneri urbanistici  e la privatizzazione dei profitti realizzati. Se è sufficiente una semplice nevicata per far emergere tale desolazione, è bene che si rifletta  su come  cambiare il modo di pensare la  città.  Dal 1992, ossia da quando la Direzione del Territorio del ministero dei lavori pubblici (Direttore generale l’architetto Carlo Fontana  che dirigerà poi la ricostruzione del centro storico dell’Aquila dopo il terremoto) cancellò di fatto l’urbanistica pubblica a favore della contrattazione urbanistica con i grandi imprenditori edili, lo sviluppo delle città si è sempre assoggettato alla speculazione fondiaria in disprezzo alle esigenze dei cittadini. La  cura di un’abitazione è una delle attività attraverso la quale l’abitante di una comunità diventa artefice del benessere della comunità stessa. Diventa attore dello sviluppo urbanistico comune, partecipa al progetto della propria città. Oggi tutto questo non esiste più. La contrattazione urbanistica degli amministratori locali con i grandi costruttori, ha imposto un’accelerazione alla cementificazione, con il proliferare di quartieri ai quali è necessario, in tutta fretta e senza pianificazione alcuna fornire i servizi necessari acqua, luce, gas. Questa urgenza  nel fornire i servizi determina, in presenza di un evento meteorologico come le nevicate recenti, una estrema difficoltà nel gestire l’erogazione dei servizi stessi, diventa difficile trovare la cabina elettrica guasta fra le tante aggiunte alla rinfusa per supportare una crescita urbanistica ipertrofica e disordinata.  Per rendersi conto della fragilità del tessuto urbano determinato  dall’urbanistica contrattata e dall’insipienza degli amministratori pubblici basta girare per Frosinone. Si è ovunque in presenza di cornicioni cadenti, di capannoni abbattuti, di cumuli di neve ormai diventati ghiaccio cementificato, rami di alberi divelti pericolosamente  adagiati sulle luminarie di Natale , che alle soglie di carnevale pendono ancora sulle strade della città. Solo i parcheggi a pagamento sono liberi dalla neve (ma guarda un po’) . I marciapiedi sono ancora invasi dal ghiaccio. Ma l’immagine più emblematica è  vedere  la villa comunale, fiore all’occhiello della giunta Marzi deturpata dalle macerie del capannone che ospitava la pista di pattinaggio sul ghiaccio. Ghiaccio distrutto da ghiaccio, ironia della sorte.  Al  di là dei disagi arrecati forse la neve ha avuto il merito di far emergere in tutta la sua desolazione una città preda del cemento e dell’incuria. Forse è tempo di pensare ad un’altra città possibile.

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