Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 14 febbraio 2012

primarie aggravate

Giovanni Morsillo

L'esito delle primarie del PD di Genova non era scontato, rappresenta un dato importante, ma a quanto pare viene preso dal verso sbagliato da Marta Vincenzi. Non sappiamo se abbia studiato insieme a PIERLUIGI BATTISTA, ma il fatto che veda la sua sconfitta da parte della base elettorale del centrosinistra come un elemento di maschilismo, lo farebbe supporre. Non devono essere molti i pensatori e politici italiani tendenti a vedere in ogni confronto in cui sia coinvolta una donna subdole manovre sessiste, tese a confinare le donne in riserve guardate a vista, e se in pochi giorni ne sentiamo addirittura due vuol dire che quanto meno gli autori si frequentano. Stavolta, il povero Doria potrebbe essere addirittura tacciato di comportamento aggravato, una sorta di bi-maschilismo, perché di donne ne ha sconfitte due! E' vero che ha goduto della complicità di quell'altro macho impenitente di don Gallo, il che potrebbe anche configurare il reato di violenza di gruppo (recentemente declassata, purtroppo per le sconfitte) ma la sostanza non cambia: il capo-branco è lui, questo maschione cattivissimo e oltretutto colpevole di dedicarsi ai libri ed alla cultura. La Vincenzi, infatti, lo taccia di intellettualismo, trascurando il fatto che si tratta di un porfessore universitario, e nemmeno dei peggiori, per cui gli spetta per dovere essere un intellettuale, non è un abuso. Un nostro conoscente un po' sempliciotto ci ha esternato l'impressione che considerare l'essere colto come un difetto gli faceva venire in mente altri modelli politici che lui, essendo anziano, ha fatto in tempo a sperimentare, e ci ha chiesto se per caso si potesse definire Marta Vincenzi non certo fascista, ma magari un pochino reazionaria. Lo abbiamo subito zittito con energia, ricordandogli che si parlava di un sindaco democratico di lunga esperienza politica, che ha ricoperto ruoli prestigiosi anche in passato, e che se ha detto quelle cose un po' confuse lo ha fatto in un momento di profondo scoramento. La povera Vincenzi era sicuramente provata perché, ritenendo che Genova non debba essere privata della fortuna di un sindaco donna-a-prescindere, si disperava al pensiero di cosa poteva accadere alla sua città se fosse caduta preda di un muscoloso intellettuale maschio senza scrupoli (come dimostra il fatto di aver battuto due donne contemporaneamente senza fare una piega). Un duro, insomma, uno che se avesse potuto avrebbe fatto fare alle sue contendenti la fine della povera Ipazia (che, come Marta Vincenzi sa, fece quella fine orribile proprio perché colta, essendo matematica, filosofa ed astronoma in tempi in cui queste attività erano riservate agli uomini, secondo i cristiani che la smembrarono e la bruciarono in una chiesa di Alessandria).
Ma al di là delle preoccupazioni così elegantemente espresse dal Sindaco di Genova, vorremmo sommessamente e con tutta umiltà ricordare un'angoscia che ci affligge personalmente e che a suo tempo avevamo ampiamente esternato, ovviamente senza alcun risultato. Si tratta di questo: il PD ha introdotto nel nostro sistema democratico l'istituto delle elezioni primarie, celebrate peraltro in modalità differenti di volta in volta, con modifiche che ne migliorassero nelle intenzioni dei promotori l'efficacia. A sostegno di questa scelta, che ancor oggi è sostenuta da sempre maggiori proseliti e anche in altre aree della topografia politica che conta, si adducevano forti elementi di fiducia e si descriveva un sistema in grado di selezionare democtraticamente ed in mdoo condiviso i quadri da presentare alle elezioni delle varie istituzioni territoriali e nazionali. Trattandosi di una selezione interna ma il cui risultato va poi sottoposto al giudizio di tutti gli elettori, si discusse a lungo su chi dovesse avere il diritto di voto, e con quali modalità, su chi potesse candidarsi, e così di seguito. Erano molti i temi caldi su cui ci si impegnava con spirito costruttivo a trovare soluzioni efficaci, innovative ma non sconvolgenti, moderne ma non azzardate, efficienti ma non disumane. Ci rendevamo conto allora, e ci rendiamo conto oggi che voler innestare una pratica di puro spirito anglosassone in un corpo civile come quello mediterraneo è un'impresa che non riuscì (per altri casi) nemmeno a Churchill, che con tutto il rispetto in quanto a capacità politiche era un pochino avvantaggiato rispetto a Veltroni e Bersani. Ma purtroppo si sa che quando si fa una scelta ideologica, più è scollegata dalla realtà, più la si ritiene necessaria e si fa di tutto perché la realtà stessa la smetta di seccare e si adegui alla scelta saggiamente imposta dai capi del partito. E quindi sappiamo anche che nulla farà recedere i vertici del PD e degli altri partiti che sostengono le primarie dai loro propositi. Ma possiamo adesso chiedergli di fare un bilancio sereno di quanto siano unitarie e corroboranti queste primarie benedette? Ci avevano spiegato (senza convincerci) che con questo strumento il partito si sarebbe rafforzato perché più candidati avrebbero messo in campo più idee e più forza che, sommate, ne avrebbero determinato una inevitabile crescita di consensi e di capacità. Ora, se le idee sono viste come ostacoli, se la forza è cristallizata per battagli fratricide anche dopo la fine delle primarie, se in sostanza le reazioni sono quelle di Marta Vincenzi, non è il caso di chiedersi se l'obiettivo è stato almeno in parte raggiunto? Se ogni volta che si fanno le primarie il risultato mette in crisi perfino la leadership complessiva del partito o dei livelli più esposti di esso (le dimissioni in Liguria sono eloquenti), se Napoli, la Puglia, Milano e Genova creano problemi di stabilità dei gruppi dirigenti, siamo certi che il risultato ottenuto con le primarie corrisponda a quello desiderato da chi le ha introdotte? Se è vero che servono a selezionare dal basso i dirigenti e gli amministratori, perché ogni volta che ci si rsprime diversamente da quanto pianificato dalle segreterie si parte con le diatribe?
Per noi, rimane valida l'idea che l'omologazione forzata del sistema rappresentativo italiano al modello calvinista americano non è una soluzione, ma una delle cause della sterilizzazione del ruolo dei cittadini che, non a caso, hanno sempre meno fiducia nel sistema, non lo sentono loro, e non partecipano più non solo alle decisioni, ma neppure alla delega. Tutto si può sostenere, fuorché questo serva a rafforzare un sistema basato sul consenso.

Saluti proporzionali

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