Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 25 maggio 2012

28 maggio 1962 un momento da ricordare

Angelino Loffredi


Il piazzale antistante il saponificio alle ore 19,45 del 28 maggio 1962 è stato sgomberato. La parte 

inferiore della città è sovrastata da una nuvola di fumo, tanti sono i colpiti, gran parte medicati nell’ambulatorio di Nazzarena e Francesco Panfili. Le forze dell’ordine dovrebbero registrare che non esistono pericoli di un “ assalto “ al saponificio, pertanto, dovrebbero rientrare nei ranghi, invece senza alcun motivo incominciano a sparare.
A 50 anni di distanza può apparire incredibile quello che stiamo scrivendo ma è andata proprio cosi e faremo del tutto per ricostruire gli avvenimenti mettendo in evidenza i momenti drammatici e più significativi.
Pur colpiti selvaggiamente, i tantissimi cittadini non si disperdono ma rimangono raggruppati in tre aree: in Piazza Berardi; in località Borgata e via San Francesco.
Se ingiustificate sono state le cariche che si sono ripetute su tanti inermi cittadini, ancora di più  si dimostra criminale l’ordine di sparare. Si spara in tutte le direzioni. Non siamo in grado di documentare l’ora esatta e l’ ordine cronologico dei ferimenti  ma solo quelle dei luoghi.


Ennio Serra, velocissimo atleta della Società Atletica Ceccano, di ritorno dall’allenamento dal campo sportivo, ricorda le foglie dei platani cadere colpite dai proiettili, il fastidio proveniente dal lancio dei candelotti lacrimogeni e la necessità di ripararsi nei locali del Cral in Via S. Francesco. In particolar modo ha presente, ancora vivo nella memoria, il drammatico  momento in cui, con altri, soccorre Luigi Mastrogiacomo colpito sotto un platano, lontanissimo dai cancelli, per trasportarlo all’ambulatorio del dottor Panfili  e poi  di averlo caricato ormai senza dare segni di vita, sulla seicento del dottore per trasportarlo nell’ Ospedale di Ceccano che allora si trovava nella parte alta del paese.
Il quotidiano “ Paese sera “ qualche giorno dopo, il 30 maggio, ricordava l’operaio ucciso con questi termini:
“era stato militare durante la guerra in Grecia ma si vantava di non aver ammazzato nessuno. Pendolare, edile a Roma mentre la moglie restava tutto il giorno curva sulla terra a sradicare la gramigna dai solchi. Quando ritornava da Roma, se ancora era giorno, andava direttamente a zappare accanto alla moglie. Stavano risparmiando il centesimo per fare la casa e l’ultimo mattone lo avevano murato due anni prima: una casetta ad un piano con quattro stanzette pulite, con grandi finestre spalancate sulla campagna nella zona Pescara. Avevano raggiunto il sogno di due sposi. Da un anno lavorava da Annunziata, ritenendo questa una condizione migliore di quella precedente per il maggior tempo che aveva a disposizione. Quel giorno, o meglio quella sera, come tutte le altre, dopo il lavoro nei campi era sceso fra i suoi compagni, aveva i vestiti da contadino. Per tutta la giornata infatti era stato con le viti e con la macchina del verderame. Quando l’ammazzarono aveva indosso una camicia a scacchi colorata e un paio di calzoni neri “.
Luigi Mastrogiacomo, 44 anni, lascia la moglie Francesca Savone e due figlie: Fabrizia e Felicia  Con molta probabilità nella sparatoria è il primo ad essere colpito.
Questo era Luigi      
Vincenzo Cipriani, 24 anni, operaio della BPD di Bosco Faito, ritorna dalla fabbrica, arriva in pullman e scende alla fermata della Stazione Ferroviaria. Si incammina verso la Borgata perché in quella zona dovrebbe incontrare la fidanzata ma trova invece le forze dell’ordine che gli sparano addosso spappolandogli il fegato. Nella stessa incursione le forze dell’ordine mitragliano l’ambulatorio del dott  Filippo Apruzzese situato sul ponte della ferrovia colpendo la serranda semichiusa e feriscono all’inguine il diciottenne Vincenzo Bovieri, apprendista elettrauto, che casualmente si trovava in quel luogo. Il dottore alzando una fodera bianca va dal Colonnello Mambor, situato sul piazzale avanti i cancelli del saponificio informandolo che deve passare con un ferito per portarlo in Ospedale.
Per capire meglio la drammaticità degli avvenimenti riportiamo quanto rilasciato dal dottore “ Mentre mi allontanavo sentivo Mambor gridare ai suoi “ Basta, pazzi, basta. Fatela finita, non sparate più” Ma neanche lo sentivano. Ora sparavano in alto ma appena ebbi superato la barricata che gli operai avevano alzato ripresero a sparare a mezza aria “.

 Vengono feriti con arma da fuoco tre dipendenti del saponificio che si trovavano al di la del ponte sul Sacco in prossimità della Farmacia, allora di proprietà Ferrara: Angelo Cicciarelli, 35 anni, colpito da una pallottola al petto, Vincenzo Malizia, 42 anni, colpito alla spalla sinistra e Remo Mizzoni, 42 anni, ferito alla caviglia sinistra. Tutti e tre vengono ricoverati presso l’Ospedale di Ceccano.
Le pallottole arrivano addirittura a colpire l’officina di Riccardo Vasetti, lontanissima dal teatro di guerra.

 E’ curioso e incredibile riportare il racconto riguardante il ferimento di Francesco Celenza, 44 anni. Costui è un coltivatore diretto, animatore della Bonomiana. Ritorna con il suo automezzo carico di fieno verso casa, situata  in via Farneta. Entra nell’area della sparatoria, imprecando contro gli operai e inneggiando a Gerardo Gaibisso e alla DC, la supera e quando sta arrivando a casa si accorge di avere del sangue sulla camicia. Solo allora ricorda di aver sentito un pizzico sul petto ma di aver sottovalutato il fatto. Da cultore dell’ordine costituito, da timorato dello Stato, non va in Ospedale perché passando avanti il saponificio, teme di essere arrestato, insomma ha paura di apparire un agitatore e di essere ritenuto un colpevole. La mattina seguente febbricitante, senza forze, convinto dalla moglie, alle nove si ricovera  nell’Ospedale di Ceccano.

Il sarto Attilio Del Brocco, ventenne, è colpito da un colpo sparato a poca distanza in un vicolo di Borgo Berardi, costeggiante l’edificio della scuola elementare. Ferito alla gamba destra e soccorso da Umberto Moscato, viene caricato sulla giardinetta di quest’ultimo e trasportato all’Ospedale di Frosinone. Si ritrova per tutta la nottata nella corsia con poliziotti e carabinieri, leggermente contusi  per qualche sassata ricevuta.  Nella giornata successiva parenti e amici che vanno  a visitarlo dispensano tante contumelie e insulti ai militi ricoverati tanto da temere l’insorgere di una rissa, pertanto Del Brocco venne spostato in un’altra camera.
Con molta probabilità Del Brocco potrebbe essere stato l’ultimo ad essere ferito perché è ipotizzabile che la strada verso l’ospedale di Ceccano fosse ostruita sia da una barricata sul ponte della ferrovia e poi dalla barricata, ben più robusta, eretta alla fine del ponte sul Sacco, a fianco del cantiere Evangelisti.
Carabinieri e poliziotti hanno compiuto, armi alla mano, tante incursioni lontani dalla fabbrica. A supportarlo è la  superiora del  Manicomio, Suor Olga Visconti, che qualche giorno dopo mostra alla stampa un foro a fianco di un Crocifisso affisso all’interno della struttura.

Ci siamo limitati a riportare i dati più salienti e non ci siamo dilungati su altri  aspetti: feriti, manganellati, i trascinati a forza dentro il saponificio, selvaggiamente picchiati e poi abbandonati sull’asfalto fuori dai cancelli della fabbrica.
A rappresentare l’opera di distruzione rimane la parete anteriore della scuola Berardi interamente crivellata di colpi.

L’avvocato Sancte De Sanctis, membro della Giunta Provinciale Amministrativa, residente nella parte superiore della città, assiste dalla sua abitazione alla sparatoria. Telefona al Prefetto, il quale sentendo la descrizione degli avvenimenti e non riuscendo ad  entrare in contatto con il Questore che in quel momento si trova nel saponificio, sollecita l’avvocato a mettersi in contatto con quest’ultimo per fermare la sparatoria.. L’avvocato insieme con l’assessore comunale Peppino Masi con un pezzo di stoffa bianca alzata attraversano tutto il ponte, arrivano ai cancelli del saponificio e riportano l’ordine del Prefetto.
Non siamo in grado di documentare i termini dell’incontro. Ciò che possiamo riportare è che De Sanctis e Masi dopo l’incontro con il Questore si dirigono prima verso il gruppo che si trova su via San Francesco e poi verso il gruppo della Borgata ove c’è una presenza di giovani che ancora scaraventa sassi verso le forze dell’ordine. Sono i due che convincono a desistere  rimandando  a casa alcuni ed accompagnando  altri passando davanti ai cancelli della fabbrica riuscendo a  fermare cosi ogni contrasto.
Un ora dopo da Roma arriva l’Ispettore del Ministero, Di Lorenzo. Raccoglie notizie solo dal Questore poi e se ne ritorna a Roma.
 All’una del ventinove maggio, Annunziata e la sua famiglia vengono convinti a lasciare Ceccano. Alle ore 3 dal saponificio vengono allontanati i crumiri e portati in un residence di  Fiuggi.
Chi è che ha dato l’ordine di sparare e quali furono le necessità di arrivare ad un atto cosi estremo ?. E’ impossibile dare una risposta esauriente. A tale proposito ci limitiamo a riportare quello che scrisse Luigi Tonelli su “ L’Unità “ del 30 maggio:
“ Ci tornano in mente le parole del Tenente Colonnello Mambor colui che ha dato l’ordine di aprire il fuoco “ Ci hanno aggredito- aveva detto con un cinismo gelido che spaventava- e abbiamo sparato. Non ho potuto evitarlo: quando ho gridato di cessare il fuoco, nessuno ha rispettato il mio ordine “ Mambor è il comandante del battaglione dell’VIII Mobile che dal 16 maggio stazionava nel saponificio.
Il Ministro Taviani in parlamento dirà, in modo pappagallesco e macchiettistico, che furono gli operai ad assalire le forze dell’ordine e queste costrette a difendersi, sparando.
Presso l’Archivio di Stato di Frosinone non esistono ne la relazione del Questore che documenta i fatti ne il verbale del Magistrato che chiude l’istruttoria di tale assassinio.
Nella mattinata del 29 la salma di Mastrogiacomo si trova nella camera mortuaria dell’ospedale di Ceccano. I familiari per vegliarlo dovranno aspettare pazientemente fuori, sotto un sole cocente l’arrivo a tarda mattinata del Magistrato. Solo dopo la salma verrà messa a disposizione della famiglia e portata nella sua abitazione.
Ma non è finita. I poteri forti, lo Stato, attraverso il Prefetto  cerca di piegare il Sindaco Bovieri provando a  coinvolgerlo a tenere una cerimonia funebre privata ad evitare cioè che il funerale abbia una caratteristica pubblica. Il motivo è il solito, quello pretestuoso: l’ordine pubblico, il popolo potrebbe avere una reazione inconsulta. Bovieri resiste, non cede, telefonicamente, anzi chiede al Prefetto che nessun poliziotto, nessun carabiniere sia nelle strade di Ceccano. Saranno gli operai con le loro divise di lavoro, con un bracciale nero al braccio ad assicurare il servizio d’ordine. Parole dette cosi come si dice, a brutto muso.
Terminata la conversazione telefonica, Bovieri, al tramonto, dal comune scende al saponificio, e indossata avanti ai  cancelli indossa, entra, consegna ai guardiani l’ordinanza di requisizione del complesso industriale.
Un atto di giustizia, lo Stato finalmente dopo mesi di servilismo si riscatta, attraverso la propria cellula fondamentale e il coraggio di un sindaco dimostra di non essere vile e remissivo verso i forti.
Alle ore 10 del 30 maggio un lungo, sterminato corteo accompagna la salma di Mastrogiacomo dalla casa, situata nella zona Pescara, accompagna alla chiesa di San Giovanni e poi al cimitero. Finita la cerimonia religiosa, in Piazza 25 luglio parlano l’Avv. De Sanctis, a nome dell’amministrazione comunale e il sindacalista Macario, segretario regionale della CISL. Quest’ultimo, fra le altre cose, chiederà che la polizia non deve essere armata durante i conflitti di lavoro.
Nelle stesse ore con modalità e tempi diversi in tutta Italia le organizzazioni del lavoro unite indicono uno sciopero generale.
Ma Annunziata non cede, La fabbrica è ferma ma lui non fa marcia indietro. Il 2 giugno Amintore Fanfani, Presidente del Consiglio dei Ministri, trovandosi a Frosinone per inaugurare un tronco dell’autostrada del sole incontra una delegazione di ceccanesi. Con toni molto sicuri e decisi afferma che seguirà personalmente la situazione e la vertenza  verrà chiusa al più presto.
Il 5 giugno  la dolorosa e lunga vicenda finalmente si chiude , l’accordo viene sottoscritto. Gli operai otterranno 45 lire al giorno in più. Questa volta l’arrogante padrone delle ferriere non ha trovato sulla sua strada la protezione necessaria.
Senza avere documenti alla mano ma leggendo i giornali dell’epoca, possiamo ipotizzare che tale sbocco è legato al clima politico esistente. L’uccisione di Mastrogiacomo diventa un caso nazionale e la sua morte viene sempre accompagnata alla richiesta di disarmo della polizia nei conflitti di lavoro. Fanfani e Nenni impegnati a formare un governo di centro sinistra non possono mantenere  un clima cosi acceso attorno ad una vicenda su cui anche nelle organizzazioni cattoliche si chiede una positiva e rapida chiusura.
 Si, si chiude. Annunziata non più protetto cede ma  è pronto a riprendere il bastone di comando. In giorni di dolore e di soddisfazione  nessuno è in grado di prevedere gli sviluppi futuri. Le lotte sociali, tutte e in qualsiasi parte del mondo dimostrano  che  le conquiste e  i successi ottenuti non sono mai definitivi.
Forse  presto avremo tempo  per ricordarlo.   

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