Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 22 novembre 2012

Gli studenti avanguardia delle lotte

di Adriano Lotito  coordinatore nazionale Giovani di Alternativa Comunista


Siamo il cambiamento che vogliamo realizzare”: con questo slogan si potrebbe sintetizzare la vivace rottura che il movimento studentesco rappresenta oggi in Italia, un movimento che pur mancando di compattezza e omogeneità, è la punta avanzata di questo autunno di lotte. Le masse studentesche che abbiamo visto nelle piazze delle ultime settimane sono un fluido vivificante nell’atmosfera finora abbastanza sottotono del conflitto sociale nel nostro Paese. Le responsabilità del mancato slancio conflittuale in Italia sono da imputare non tanto a un presunto carattere conservatore del “popolo” nostrano (come ci propone la retorica “da bar”, qualunquista e rassegnata) quanto all’opportunismo delle burocrazie sindacali, che attualmente paralizzano le lotte, sfiancandole e portandole ad un sistematico fallimento. Certo, anche in Italia si sono accesi nell’ultimo periodo, focolai di lotta molto avanzati e in polemica con i gruppi dirigenti sindacali (di Cgil e Fiom in primis): è il caso dei comitati operai di Pioltello e Basiano, degli operai Fiom (e ora anche Cub) della Ferrari di Modena, o del Comitato lavoratori liberi e pensanti dell’Ilva di Taranto. Ma si tratta per ora di casi isolati, l’eccezione in una situazione conflittuale che esiste ma che tuttavia è imparagonabile con le ben più combattive lotte condotte in Spagna e Grecia. In questo quadro che per il momento ci pone, assieme alla Germania, in coda allo sviluppo del conflitto sociale in Europa, noi studenti non ci siamo fatti fermare, invadendo piazze, scuole e università, opponendoci alla privatizzazione dei saperi e alla dismissione dell’istruzione pubblica, opponendoci al governo Monti e agli interessi della Troika che tali politiche impone, promuovendo occupazioni, assemblee, autogestioni, subendo una repressione selvaggia e una criminalizzazione politica da parte di tutte le forze politiche (“democratiche” comprese). Questo percorso, fatto anche di debolezze, divisioni, settarismi che non manchiamo di denunciare, si è esplicitato in due momenti significativi: le mobilitazioni nazionali del 5 e 12 ottobre, e lo sciopero generale europeo di mercoledì scorso.

Inizia l’Autunno degli studenti tra l’entusiasmo generale e il deficit organizzativo 
Il 5 ottobre ha visto la prima mobilitazione studentesca di questo autunno, indetta nazionalmente dall’area della "autorganizzazione" (centri sociali, collettivi autonomi) per quanto riguarda gli studenti medi. Si sono avuti numerosi cortei in tutto il Paese, alcuni dei quali incappati in una dura repressione poliziesca: è il caso di Roma, Milano e soprattutto Torino, dove il governo Monti ha subito mostrato un rigido volto antidemocratico davanti alle giuste rivendicazioni studentesche. Rivendicazioni come il ritiro del ddl Profumo e della legge 953, meglio conosciuta come Legge Aprea, che pone il sigillo sulla privatizzazione della scuola e abolisce di fatto la rappresentanza studentesca. Riforme varate sulla base delle linee guida dell’Unione europea e che riflettono la più generale politica di austerità e rigore voluta dal capitale internazionale per far fronte alla sua crisi.
La risposta degli studenti è stata vivace ma tuttavia ancora marginale (complessivamente la partecipazione non è stata buona: circa 3000 a Roma, un migliaio a Milano, 900 a Napoli e 500 a  Torino per citare solo le piazze principali). La vaghezza, in alcuni casi l’assenza, di una precisa piattaforma rivendicativa e la disorganizzazione del movimento, evidenziano chiaramente l’incapacità politica dell’Autonomia di dirigere la lotta in una concreta prospettiva di rottura, oltre al nocivo settarismo che viene ispirato talvolta rispetto alle altre organizzazioni del movimento; senza dimenticare quel fastidioso e aprioristico antipartitismo che contraddistingue purtroppo un settore delle masse studentesche e che favorisce il radicarsi di pulsioni anarcoidi votate alla mera spettacolarità: quell’estetica del conflitto che ha raggiunto l’apice della tristezza nel corteo di Bologna, dove il Collettivo autonomo studentesco ha pensato di rispondere alla guerra sociale di Monti bruciando la bandiera di una banca, nella più totale povertà di rivendicazioni. Tuttavia l’entusiasmo e la disponibilità al conflitto rimangono: “Questa è la prima di una lunga serie di mobilitazioni”, un avvertimento ben recepito dal governo visto l’apparato repressivo che fin da subito ha messo in campo. (1)
Non ci avrete mai come volete voi! Lo sciopero del 12 e i limiti della socialdemocrazia studentesca
La settimana successiva, il 12 ottobre, una seconda, più partecipata, mobilitazione nazionale viene organizzata dall’Unione degli Studenti e dalla Rete degli studenti medi, parallelamente allo sciopero del personale scolastico promosso dalla Flc-Cgil. Cortei in tutta Italia (10mila a Roma, molte migliaia anche a Torino, Milano, Firenze, a Napoli e nelle altre province campane, a Bari e in tutto il Sud). Gli studenti si sono presentati armati di carote, rispondendo ironicamente ai bastoni del governo, e ribadendo la netta opposizione agli ulteriori attacchi alla scuola pubblica (l’ultima “legge di stabilità” contiene tagli per oltre un miliardo di euro, mentre si licenziano i docenti precari e si regalano centinaia di milioni alle scuole private) (2).
La piattaforma proposta da quella che potremmo definire una socialdemocrazia studentesca (l’Unione degli studenti) è apparentemente superiore alla linea dell’Autonomia. In particolare la proposta dell’Altrariforma della scuola, elaborata dal basso da centinaia di studenti nel corso di assemblee in tutto il Paese, rappresenta un punto molto avanzato nel programma del movimento: si afferma l’idea di un’altra scuola possibile, emancipata dalle logiche privatiste e mercatali, contro i criteri di una valutazione esclusivamente numerica (come l’Invalsi) e a favore della democrazia reale nelle scuole, contro le misure repressive come il voto in condotta e il tetto massimo delle cinquanta assenze, per una partecipazione attiva degli studenti e delle studentesse alla vita della scuola tramite l’istituzione di commissioni paritetiche studenti-docenti che si vadano ad affiancare ai consigli d’istituto (che il pdl Aprea abolisce) nell’elaborazione dei piani di offerta formativa. Queste rivendicazioni, assieme a un grande piano di edilizia scolastica e alle agevolazioni per trasporti, libri di testo e mense, trovano un senso però solo se collegate alla prospettiva di trasformazione rivoluzionaria della società. L’emancipazione dei saperi dalle logiche aziendali passa necessariamente dall’emancipazione del lavoro dal capitale, dunque da quella che Marx definiva “la soppressione positiva della proprietà privata”. Una prospettiva che nell’Uds è diluita in confusi ibridi teorici, dalle teorie sul "capitalismo cognitivo", che portano a sminuire il valore materiale del lavoro e a mettere in discussione la primarietà della classe operaia nel conflitto sociale, a una concezione rizomatica dell’organizzazione (basata cioè su decentramento e orizzontalità); confusioni che non aiutano a costruire un fronte compatto, unitario e di classe, contro il governo. Nettamente più moderata l’altra organizzazione sindacale degli studenti, la Rete degli studenti medi, legata a Pd e Cgil, gestita in quasi tutti i territori dai Giovani Democratici e che propone parole d’ordine assolutamente compatibili con lo stato attuale delle cose, condannando ogni tentativo di alzare il livello dello scontro e cercando, in sintonia con il sindacato e il partito di riferimento, di arginare e depotenziare le proteste.
Intanto sempre l’Uds ha lanciato una tre giorni di mobilitazioni all’interno delle scuole, dal 25 al 27 ottobre, con occupazioni, autogestioni e assemblee.
Toma la huelga! Lo sciopero europeo e la repressione del governo
Altro discorso vale per la giornata di sciopero generale europeo che ha visto scendere in piazza i lavoratori e gli studenti di 23 Paesi lo scorso 14 novembre, e organizzata in Italia dalla Cgil (nella forma spuntata delle quattro ore di astensione rituale e dei cortei territoriali segmentati e isolati) e da alcune sigle del sindacalismo di base.
Non ci soffermiamo qui sull’organizzazione e sui contenuti dello sciopero in generale (già ampiamente trattati in altri articoli del nostro sito), per soffermarci sulla presenza studentesca in particolare. In effetti questa è stata la chiave di volta dello sciopero in Italia: possiamo anzi dire che sono state proprio le masse studentesche a capitanare questa giornata, a dimostrare più combattività e determinazione, a stare in testa a cortei e manifestazioni in tutto il Paese, mentre la partecipazione operaia è stata ancora una volta frazionata e intaccata dai giochi opportunistici delle burocrazie sindacali, sempre all’opera per frenare il conflitto e far rientrare nei ranghi i lavoratori pur disponibili alla lotta anche in forme radicali.
Oltre 300mila studentesse e studenti hanno invaso le strade di oltre 50 città del Paese dimostrando ancora una volta un chiaro ed inequivocabile rifiuto delle politiche di austerità portate avanti dalla Troika. Per la prima volta dal governo Berlusconi, si è avuta una mobilitazione studentesca estesa e radicalizzata su tutto il territorio nazionale, in cui sono confluite, costrette a rinunciare a settarismi vari, tutte le forze del movimento studentesco, portando a manifestazioni dai numeri imponenti sia nelle città metropolitane sia in quelle di provincia (3).
Una mobilitazione che ha fatto chiaramente tremare l’attuale establishment, come si può dedurre dal meccanismo repressivo approntato dal governo. Si sono avute infatti numerose cariche della polizia, a Milano, Brescia, Padova, Trieste, e soprattutto a Roma, dove si è scatenata una repressione senza esclusione di colpi. I celerini si sono avventati con brutalità su ragazzi minorenni e indifesi, mentre candelotti di lacrimogeni venivano sparati direttamente dal Ministero della Giustizia sugli studenti che manifestavano. Attualmente è in corso un’inchiesta, condotta con grande imparzialità... dalle stesse autorità responsabili delle violenze, anche se la versione ufficiale vuole che i lacrimogeni siano stati lanciati da terra per poi rimbalzare sulle pareti del palazzo ministeriale (la solita bufala istituzionale, nettamente smentita da foto e testimonianze video, che rientra nella lunga lista di menzogne dal “suicidio” Pinelli al “ritrovamento” delle molotov nella Diaz a Genova). I
n ogni caso la repressione non ha intimorito gli studenti, che il giorno dopo hanno contestato a Rimini la Cancellieri, mentre a Palermo in diecimila hanno invaso le strade della città. Nel capoluogo siciliano le proteste sono state indirizzate contro il nuovo governo regionale di Crocetta ma anche contro tutte le forze politiche che fanno parte del sistema borghese, grillini compresi. Anche in questo caso si sono avuti numerosi scontri con la polizia (4). Mentre il ministro Cancellieri esprime solidarietà alle forze dell’ordine, si levano “da sinistra” peana paternalistici incentrati più che sulla questione della repressione in sé, sul problema dell’età dei ragazzi bastonati: come se le manganellate agli studenti fossero “immorali”, mentre quelle sugli operai dell’Alcoa e di Basiano “giustificate” dall'età. Altre voci, anche dall’interno del mondo studentesco, si appellano ai numeri identificativi sulle divise, in modo da garantire il riconoscimento degli agenti di polizia (in questi giorni circola una petizione del genere sul web). Come se dei manganelli numerati fossero meglio di manganelli anonimi.  In realtà l'unica risposta valida per rispondere alla repressione poliziesca viene invece sistematicamente elusa: cioè quella del diritto all’autodifesa delle iniziative di operai e studenti mediante la dotazione di un servizio d’ordine disciplinato e combattivo. Una risposta troppo poco “pacifista” per le attuali direzioni del movimento.
Costruire il partito rivoluzionario per far vincere le lotte!
Il problema dell’autodifesa, un problema che diverrà centrale nell’organizzazione delle prossime battaglie, rientra in quelle questioni organizzative che potranno risolversi risolvendo una questione propriamente politica: quella cioè della costruzione di una direzione consapevole e organizzata delle lotte, centralizzata e a un tempo democratica, basata su un programma autenticamente di rottura con il sistema capitalista e i suoi governi: un programma di cui si sono fatti portatori i Giovani di Alternativa Comunista all’interno delle mobilitazioni studentesche, all’insegna dell’unità studenti-operai e per la costruzione di un contropotere operaio e studentesco che possa esprimersi nell’unità delle lotte e dei comitati che in questi mesi sono nati e stanno nascendo in tutto il Paese.
Semplificando il ragionamento possiamo dire che il problema immediato delle lotte di oggi, cioè l’autodifesa, si risolve nel problema politico, cioè la costruzione di una direzione che dev’essere rivoluzionaria, cioè che porti avanti l’unità delle masse in lotta (e prima ancora delle avanguardie), su un programma di classe che possa articolare le rivendicazioni minime su una piattaforma di trasformazione complessiva della società. Ecco perché la trafila dei problemi che il movimento studentesco, come quello operaio, si trovano ad affrontare si riducono in fin dei conti a un solo problema (per quanto gigantesco): il problema della direzione delle lotte, il problema del partito. Con questo spirito i Giovani di Alternativa Comunista si sono impegnati nel partecipare alle lotte di queste settimane: con uno spirito di classe, unitario e democratico, ma che allo stesso tempo cerca di mettere in luce le contraddizioni e le debolezze della fase attuale, proponendo come soluzione la costruzione di un partito rivoluzionario, di tipo bolscevico, che possa riunire le avanguardie più combattive del movimento e rendere realmente concreta la prospettiva di un altro mondo possibile.
Note

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