Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

mercoledì 7 novembre 2012

Secondo mandato per Obama. Che sia la volta buona

Luciano Granieri


Ha  vinto Obama. Viva Obama. Il risultato delle elezioni negli Stati Uniti poteva essere prevedibile, ma fino ad un certo punto.  Infatti sulla rielezione del presidente uscente pesava come un macigno la paurosa crisi economica e  la disoccupazione all’8,5% , condizioni obbiettivamente difficili ad ottenere il mandato per altri 4  anni.  Ma dall’altra  parte hanno pesato su Romney i devastanti  anni dell’era Bush, padre e figlio. L’era delle bugie sulle armi distruzione di massa irachene, sull’unilateralismo.  Gli anni disinvolti dei teocon, dell’arretramento sui dritti civili, delle guerre umanitarie,  hanno fiaccato ed esasperato la popolazione americana. Non sono bastati dunque gli appoggi dei grandi ricchi, della lobby della armi ,del petrolio  e della finanza  per far dimenticare alla società americana le miserie della governance repubblicana. In linea  generale poi c’è da considerare che dai tempi del famoso detto  reaganiano “Lo stato non è la soluzione, ma il problema”  la destra repubblicana,  i cui fili venivano tirati dal signore  del neoliberismo spietato   Milton Friedman e dai Chicago Boys, è diventata sempre più intransigente, intollerante verso i “diversi”  per genere, razza , costumi sessuali.  Un’involuzione  che, se da un lato ha fatto proseliti verso le comunità religiose più intransigenti, dall’altro ha cominciato  a minare la credibilità politica degli Stati Uniti  . E’ possibile che i repubblicani stiano pagando ancora oggi questo degrado politico e l’impresentabilità dei suoi presidenti.  Tuttavia la vittoria di Obama su Romney è stata meno schiacciante della precedente su McCain.  La differenza  delle preferenze  popolari nel  2008 fra i democratici e i repubblicani era di circa diecimilioni di voti, oggi  è di appena un milione di voti.  Le cause, oltre alla crisi economica già citata, riguardano la disillusione di un ampia parte di militanti rimasta delusa dalle promesse non mantenute da Obama.  Nella prima campagna elettorale del 2008, il programma di Barack Obama era fortemente orientato verso  il sociale.  Un  maggiore stanziamento di fondi per la scuola pubblica, l’ istituzione di un sistema sanitario pubblico di qualità per tutti , la promozione della green economy,  il ritiro delle truppe dalle zone di guerra, con la drastica diminuzione delle spese militari, una politica estera multilaterale con il riconoscimento della legittimità  palestinese alla dignità,  e ad uno stato proprio, erano i capisaldi dell’azione di governo che Obama si impegnava ad intraprendere dopo la sua prima elezione alla Casa Bianca.  Mai e poi mai le lobby che davvero contano negli Stati Uniti avrebbero però  agevolato tali obbiettivi. Il Pentagono, le organizzazioni finanziarie e assicurative, i petrolieri e la potente influenza israeliana si sono rilevati ostacoli insormontabili. Infatti all’ aumento di fondi pubblici per la scuola si è dovuto affiancare il finanziamento di  istituti privati, in merito alla riforma sanitaria i propositi di una sanità completamente pubblica sono stati disattesi, con un limitato finanziamento statale che foraggia le  assicurazioni rimaste le vere regine dell’assistenza sanitaria , degli sgravi fiscali per  l’economia verde  non c’è stata traccia,  le spese militari sono triplicate e il supporto americano nei confronti di Israele si è  consolidato, relegando la Palestina a paese aggressore, mentre   sulla questione dei confini, dei coloni, l’amministrazione Obama se ne è lavata le mani  rimandando  il tutto ad una negoziazione autonoma  fra Israeliani e Palestinesi. Tutto ciò si è tradotto in una disaffezione dei militanti della prima ora verso la rielezione di Obama. Molti di loro, soprattutto nelle comunità nere più povere non sono andate a votare, limitando la portata della vittoria del Presidente. Ora però questo secondo mandato, proprio perché sarà l’ultimo, potrebbe veramente segnare la svolta. Liberato dal fardello di ricandidarsi fra quattro anni, Obama ha la grande possibilità di realizzare veramente quel programma di eguaglianza sociale attraverso il quale aveva ottenuto lo schiacciante consenso nel 2008. Non dovendosi ingraziare i favori del pentagono, dei petrolieri, della finanza, si aprono possibilità concrete per il Presidente rieletto di terminare quella rivoluzione promessa e mai realizzata.  Questa è la speranza anche di chi al, di qua dell’oceano, auspica un’America un po’ meno imperialista e maggiormente impegnata a costruire un occidente più umano e solidale.

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