Con magno gaudio
dei media di regime e dei sindacati,
egualmente di regime, il Lingotto conquista definitivamente l’America . Quando
Marchionne ha a che fare con sindacati recalcitranti sfodera il meglio di se.
Ed è stato così anche con il Uaw, United Auto Workers, la potente organizzazione
sindacale che attraverso il fondo sanitario Veba deteneva il 41,5% delle azioni
di Chrysler. Quelle quote ora sono di
Fiat e consente al gruppo di possedere al 100% Chrysler.
La trattativa è stata
da manuale. Veba pretendeva 5 miliardi, Marchionne sdegnato per la insolente ed esosa
offerta ne offriva al massimo due. Si è
arrivato alla fine ad un accordo per il quale Marchionne è stato incensato come
grande manager da giornalisti, politici e sindacati. A dire il vero l’affare in soldi è sembrato
più soddisfacente per i sindacati che hanno spuntato una cifra di poco
inferiore alla loro richiesta, 4 miliardi e 300mila dollari, ma il colpo da maestro sta
nelle modalità con cui Fiat pagherà
questo importo.
Dalle casse del lingotto usciranno solo 1,75 miliardi, gli eredi Agnelli non cacceranno un dollaro
di più. Di aumento di capitale neanche a parlarne. Il resto della cifra verrà corrisposto come
segue: Altri 1,9 miliardi, necessari per
comprare Chrysler, li pagherà
Chrysler e il fondo Veba cioè coloro che hanno venduto. Potenza della
finanza! In pratica gli azionisti di
Chrysler, Veba e Fiat anziché spartirsi
un generoso dividendo di un miliardo e nove lo destineranno all’acquisto da parte di Fiat dell’intero pacchetto
azionario. Il resto della spesa, 700
milioni verrà pagato al sindacato in quattro tranche per quattro anni, trasformato in premio
di produzione. Cioè se gli operai saranno bravi avranno
saldate le loro spettanze sulle quote che hanno ceduto a Fiat, altrimenti
nisba. Bel colpo!
Ma da questo gioco
delle tre carte, agli operai di Cassino, Pomigliano, Melfi, Mirafiori e all’Italia
tutta , che ne verrà in saccoccia? Questo è una domanda blasfema che come al
solito pongono i soliti comunisti disfattisti. La fusione, sostengono le truppe cammellate, consentirebbe a Fiat di
assaltare il tesoretto di Chrysler, accumulato con i successi commerciali ottenuti nel mercato americano e quello brasiliano, e destinarlo a faraonici investimenti sugli
stabilimenti italiani per trasformare le asfittiche catene di montaggio
nazionali in mirabili fabbriche sforna suv. Ma sarà vero?
Perché le agenzie di rating non benedicono questa
operazione? La struttura finanziaria del gruppo in verità ha ancora qualche debituccio, la
sua situazione economica , tutt’altro che solida, è
superiore solo al gruppo Peugeot. Un
poco di dollari per pagare i buffi saranno forse necessari. Poi, a quanto si conosce, gli investimenti previsti
riguarderebbero il rilancio dei marchi Alfa Romeo e Maserati. A Cassino verranno prodotte, sotto il segno
del biscione, un’ammiraglia e un Suv, oltre che l’erede della Giulietta. E’ possibile che la
catena del Suv vada Mirafiori.
A Grugliasco, ai
modelli Maserati Quattroporte e Ghibli
già in produzione, si affiancherebbe un altro Suv di maggiore potenza e
prestigio. A Melfi sono invece previsti
la nuova
Punto, sempre annunciata e mai realizzata e due
mini Suv 500X e Jeep. Solo per i tre
nuovi modelli di Cassino gli investimenti dovrebbero aggirarsi attorno ai 3
miliardi di euro.
Con tutta la buona
volontà è difficile capire quale successo potrà avere la scelta di produrre Suv
e ammiraglie, vetture che si pongono in
segmenti dove Volkswagen, Audi e Bmw la fanno da padroni e dove il numero di
auto vendute è limitato. Di investimenti
su auto elettriche o a bassa emissione neanche a parlarne. Inoltre
molti dubbi arrivano dai mercati di riferimento. In Italia Fiat continua
a perdere anche se il business dell’auto è in ripresa, in Brasile le cose non
sembrano rimanere così rosee come in passato. E negli Stati Uniti, finta la
cura da cavallo di Obama che ha risollevato l’economia a botte
di politiche keynesiane e iniezioni di denaro fresco dalla Federal
Reserve, il successo commerciale fini ad
ora ottenuto verrà riconfermato? Di conquistare nuovi mercati emergenti, in
Russia, in Cina, in Asia in generale, non si fa menzione.
Basterà il tesoretto Chrysler a pagare i debiti e a rilanciare la produzione in Italia? Ma
soprattutto - considerata la spoliazione operata da Marchionne degli
stabilimenti italiani, con l’aiuto dei sindacati , attraverso la chiusura di Termini Imerese e della
Irisbus, usando dosi massicce di cassa
integrazione e erodendo i diritti dei lavoratori -siamo sicuri che ci sia la volontà
di investire in Italia? Di certo da questa operazione di fusione c’è solo che
un’altra parte del gruppo migrerà in paradisi fiscali come già e accaduto per
la Fiat Industrial - sottraendo ulteriori entrate fiscali all’erario - che la nuova società verrà quotata alla
borsa di New York anziché a Milano e che gli azionisti Fiat già da ieri hanno
visto le proprie azione apprezzarsi del 16%. Forse varrebbe la pena che il
governo vigilasse un po’ meglio sulle attività di questo genio capace di fare
soldi ma non di fare macchine, cioè per dirla in termini di lotta di classe,
capace di ingrassare gli azionisti e fottere gli operai.
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