Disgraziatamente
la mafia ha caratterizzato la storia d’Italia
almeno dalla sua unità fino ad
oggi. Le organizzazioni mafiose hanno
innervato i rapporti economici, politici
del Paese, modulandosi a seconda del mutare
delle condizioni sociali e finanziarie che hanno contraddistinto l’evolversi
della Nazione. La mafia ha condizionato e determinato gli
indirizzi politici ed economici costituendo un vero e proprio carcinoma maligno
divoratore di risorse economiche, finanziarie ma anche sterminatore di vite
umane.
Oggi si calcola che le organizzazioni mafiose e criminogene siano le multinazionali
che realizzano i maggiori profitti al mondo attraverso il governo del malaffare
e del riciclo dei proventi di queste attività nell’economia legale. Parallelamente all’evoluzione della mafia si è sviluppato, come un’anticorpo sociale,
un sistema di lotta alla mafia che ha impegnato migliaia
di persone alcune delle quali hanno pagato con la vita il prezzo della loro dedizione. Donne e uomini che si sono
battuti contro tutte le mafie con determinazione e forza, segnando spesso delle
importanti vittorie, ma non riuscendo mai a debellare il cancro. In particolare
il terreno della lotta alla mafia diventava e diventa impervio quando si arriva
ad intaccare l’intreccio tra mafia, politica e istituzioni, diciamo così,
deviate.
Il movimento antimafia in
generale ha visto grandi figure battersi strenuamente e poi soccombere.
Magistrati del calibro di Falcone e Borsellino, ma anche attori che hanno
lottato contro la mafia all’interno della società civile. Un movimento di
antimafia che combatteva tutti i giorni nel sociale, nei rapporti con i propri simili. Fra questi annoveriamo Placido Rizzotto,
Peppino Impastato, da cui la nostra
associazione prende il nome, e il
giornalista, scrittore Giuseppe (Pippo) Fava .
Il 5 gennaio di 30 anni fa, Pippo Fava fu freddato dalla mafia con 5
colpi calibro 7,65 alla nuca. Aveva
appena lasciato la redazione del suo giornale “I siciliani” e si stava recando
a prendere la nipote che recitava presso il teatro Verga a Catania. Non gli lasciarono nemmeno il tempo di scendere dalla sua Renault 5. Lo
stesso rituale di depistaggi e diffamazioni , andato in scena dopo l’omicidio
per mafia di Peppino Impastato, si replicò anche per Fava. Solo nel 1998 si
concluse il processo con la condanna all’ergastolo del boss Nitto Santapaola come mandante ,
degli organizzatori dell’omicidio Marcello D’Agata e Francesco Giammusso e degli esecutori
material Aldo Ercolano e Maurizio Avola.
Quale la colpa che ha condannato a morte Fava?
Quella di non farsi i fatti propri né più e né meno come Peppino Impastato. Con
la sua attività di giornalista, prima all’Espresso sera , poi come direttore
del “Giornale del Sud” e della rivista indipendente “I Siciliani” Fava denunciò il perverso intreccio fra mafia politica e finanza che infestava
la Sicilia e tutto il Paese . Grazie alle inchieste svolte dal mensile “I siciliani” - rivista indipendente da lui fondata dopo che l’establishment politico-mafioso era
riuscito a cacciarlo dal “Giornale del Sud”
- grazie a una redazione composta
da giovani giornalisti, molti inesperti
ma attivi e intraprendenti , fra cui il figlio il giornalista e politico
Claudio Fava, gli affari che il clan
Santapaola tesseva con i grandi imprenditori catanesi, oltre che con il
faccendiere Michele Sindona, divennero oggetto di pubblica denuncia.
In un’intervista rilasciata ad Enzo Biagi pochi
giorni prima della sua morte, il 28
dicembre del 1983 Fava ebbe a dichiarare: “ Mi
rendo conto che c'è un'enorme confusione sul problema della mafia. I mafiosi
stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici
della nazione. Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e
ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, questa è roba da
piccola criminalità, che credo abiti in tutte le città italiane, in tutte le
città europee. Il fenomeno della mafia è molto più tragico ed importante…”
Pippo Fava era uno che dava fastidio, come
Peppino Impastato, e come Peppino è
stato ucciso. Nel degrado etico o politico che contraddistingue lo scenario
attuale, con mafia e camorra che continuano a fare affari, contaminando i
rapporti economici e sociali del nostro Paese, la memoria di persone come Pippo
Fava deve rimanere sempre ben presente nella società civile. E’ dall’attività di queste persone sempre
pronte a gridare con coraggio che “La
Mafia è una montagna di merda” che può rinascere una consapevolezza oggi debole
o del tutto mancante. La consapevolezza
che con l’illegalità, la corruzione, la
prevaricazione degli altri, la nostra società rimarrà sempre vittima del
degrado etico e politico, risultato dell’azione
delle mafie con il concorso della spregiudicatezza della
speculazione finanziaria. Per questo motivo riteniamo giusto
e doveroso ricordare Pippo Fava a trent’anni dalla sua morte.
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