Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 21 dicembre 2015

Al concerto di Woody Shaw c'ero anch'io

Luciano Granieri


Le valutazioni  temporali sui  social network sono sempre riferiti  al presente, al momento, al carpe diem . Oggi come non mai, quando si assiste ad un concerto, o a un evento, si è vigili e  pronti a documentare  la propria partecipazione, immortalandola o riprendendola con il cellulare, per poi postarla sui social e poter dire : “Io c’ero”,  magari tralasciando di godersi appieno  la carica emotiva che il  concerto  medesimo sta trasmettendo. Lo confesso, è capitato pure  a me,  anche se ho usato le riprese di alcune esibizioni solo  per imitare, indegnamente,  esimi critici musicali e redigere la cronaca dei concerti sul blog  Aut. 

E’sorprendente però scovare sul web, in particolare su You Tube, un concerto e poter dire: “Io c’ero”  anche se il video è del 1983. L’Altra sera,  smanettando sul web in cerca di qualche chicca interessante inerente alla mia  musica preferita , mi imbatto in un filmato della Rai, in cui viene trasmesso  il  brano ,“Lotus Flower”  registrato durante il concerto del quintetto del trombettista Woody Shaw, tenutosi al leggendario Music Inn di Roma nel 1983. Cavolo!!!! Io c’ero anche se non mi si vede, c’ero insieme al mio amico Mauro,  compagno di liceo, fede politica, e calcistica. 

Ma andiamo con ordine.  Avevo ascoltato per la prima volta Woody Shaw nel  mitico negozio di dischi jazz  Millerecords, quando ancora stava in via dei Mille vicino alla Stazione Termini. Li dentro passavo molto tempo e li ho preso ad appassionarmi alla musica afroamericana . L’occasione di assistere  ad un set dello   straordinario trombettista della  North Carolina   mi capitò nel 1981 durante la rassegna Pescara Jazz. Il cartellone di quel festival era eccellente:   Massimo Urbani quartet , Woody Shaw quintet  e Stan Getz  sextet,  la prima sera;  Art Pepper quartet ,  Dizzy Gillespie all stars,   la sera successiva;  per finire con l’ultimo appuntamento in cui si sarebbero esibiti il quartetto di Claudio Fasoli, Larry Corryell  e la Count Basie Alumni Big Band.

 Quell'estate ero ospite   di  un altro mio amico di Frosinone, Pierfrancesco.  Ogni estate  la sua famiglia affittava una  casa al mare a  Silvi Marina, un posto ad un tiro di schioppo dal Parco Le Naiadi di Montesilvano, arena dove si tenevano i concerti. 

Già Mauro, Pierfrancesco…. non erano propriamente appassionati di jazz, anche se presumo gli piacesse, per cui li ringrazio ancora oggi per  avere condiviso con me il fuoco di una passione che magari per loro non era così fiammeggiante.  Del resto i veri amici si distinguono anche per la loro voglia di condividere con te alcuni  momenti della propria vita anche se la cosa può provocargli noia.

Ma torniamo ai concerti. La prima sera, dopo il set di Massimo Urbani, insieme agli amici di sempre, Enrico Pieranunzi al piano, Roberto Gatto alla batteria, Enzo Pietropaoli al contrabbasso, arrivò il momento del quintetto di Woody Shaw. Quando i ragazzi di Woody , Steve Turre al trombone, Mulgrew Miller al pianoforte, Tony Reedus alla batteria e Stafford James al contrabbasso, salirono sul palco  si scatenò l’inferno. Un acquazzone, con tanto di tuoni e fulmini, investì  l’arena. 

Noi rimanemmo indefessi  sotto la pioggia, ma dopo le prime battute del concerto, saltò la corrente, il quintetto provò a continuare anche senza amplificazione, ma il tentativo fallì. Dopo un paio d’ore  di pioggia, e di silenzio, l’organizzazione del festival  fece trasferire tutti i reduci presso lo stadio Adriatico di Pescara, sotto le tribune coperte. Erano le due di notte e si riprese da Stan Getz. Il concerto di Woody era saltato. Il sassofonista,  eroe del cool jazz bianco,  andò avanti per due ore incurante del  fatto che si fossero fatte la 4 di mattina, ammiccando, fra l’altro,  per cercare di ottenere la richiesta del bis, come si usa ne concerti jazz, ma alle quattro del mattino, immagino  che se  qualcuno degli spettatori  si fosse azzardato ad invocare il bis, sarebbe stato preso a selciate dagli astanti. 

Il quintetto di Woody Shaw, a giudicare dalle prime note ascoltate sotto la pioggia, prometteva  faville. I giovani Mulgrew Miller al piano, Steve Turre al trombone e Tony Reedus alla batteria, furono, insieme all’altosassofonista Kenny Garrett degli Out of the Blue  e al trombettista Terence Blanchard, stella dei Jazz Messengers  dell’inossidabile Art Blakey,  le nuove talentuose leve emerse in quell’inizio di anni ’80. Rimasi dunque deluso per non aver potuto assistere al concerto. Un paio di dischi acquistati dopo quell’estate, fra cui “Lotus Flower” rafforzarono in me l’idea che alla prima occasione, per nulla al mondo avrei dovuto perdermi quel quintetto guidato da un funambolo della tromba,  oggi apprezzato dai migliori jazzisti, Fabrizio Bosso ne è  devoto debitore. 

L’occasione capitò due anni dopo  a Roma.  Woody era di scena  al Music Inn.  Fui invitato da  Mauro   a cena nel suo  piccolo appartamento a Trastevere. Dopo aver gustato degli ottimi tortellini e scolato una bottiglia di lambrusco, chiesi al mio amico di accompagnarmi al Music Inn. Non passò molto che ci trovammo nel locale di Picchi Pignatelli. 

I ragazzi erano in una stanzetta vicino al piccolo palco. Mulgrew Miller,  stava scaldando le   grandi mani per poter esprimere tutta la sua straordinaria abilità al pianoforte, Steve Turre stava sistemando una scatola di piccole percussioni vicino ai suoi due tromboni. Woody  era intento a soffiare nel bocchino del suo strumento . Tony Reedus, picchiettava  con le bacchette, paradiddle  sul cuscino del divano,  mi confessò che avrebbe voluto imparare a suonare la tromba, tanto che provò a rubarla, per un attimo a Woody cercando di biascicare qualche nota. 

Mauro mi guardava perplesso, io mi sentivo veramente in paradiso fra quei   musicisti.  Fu un bel momento dividere con loro gli attimi  subito precedenti il concerto . Il set, inutile dirlo,  fu straordinario. Il  quintetto dalla ritmica potente, su cui si saldavano scorribande solistiche  fatte di arpeggi, scale straordinarie,  soluzioni armoniche  ad alto livello creativo,  offrì una mirabile  dimostrazione di quante emozioni possano regalare  cinque musicisti ispirati come  erano quella sera Woody, Steve, Mulgrew, Tony e Stafford.   

Anche Mauro mostrò di gradire molto l’esibizione. Ma la sua ironia non risparmiò nè me, nè gli altri appassionati che stavano assistendo rapiti. Inevitabilmente certi atteggiamenti di noi scemi per il jazz si prestano ad una sacrosanta presa in giro.  Mauro si mostrò entusiasta dell’esibizione del trombonista, Steve Turre, ribattezzato ironicamente  Kublai  Khan per il suo look, ma non sopportava il suono del trombone grosso (trombone basso) quando Kublai Khan  ne copriva la campana con il tira busciò o stura lavandini (sempre definizione di Mauro) , evidente il riferimento al sordina wah wah. Fra una frizzo e un lazzo siamo giunti alla fine di questo racconto e allora invito tutti i lettori a vivere insieme a me un momento di quello straordinario concerto del 1983 dove “Io c’ero”.

Good Vibrations






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