Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

domenica 20 dicembre 2015

Argentina: la deriva parlamentarista dei "trotskisti" di Po e Pts

Matías Martínez
(Pstu di Argentina, sezione della Lit-Quarta Internazionale)


(traduzione dallo spagnolo di Matteo Bavassano)


Nota esplicativa del traduttore
 Po e Pts sono due partiti della sinistra argentina che si richiamano al trotskismo. Fanno parte, insieme ad altre forze, tra cui il Pstu di Argentina, sezione della nostra Internazionale (la Lit-Quarta Internazionale), di cui traduciamo questo articolo, del Fit, un fronte di varie organizzazioni classiste.
Il Po è anche la principale forza del Crqi, un coordinamento di poche sigle eterogenee, tra cui l'italiano Pcl (il gruppo di Ferrando) e un piccolo gruppo in Grecia e uno in Turchia, coordinamento che pubblica (in media una o due volte l'anno e ormai sempre più raramente) delle dichiarazioni congiunte. Non si può parlare di "Internazionale" nel suo caso, ma solo di mero coordinamento, dato che non fa congressi, non ha organismi dirigenti, non ha pubblicazioni (ne cartacee e neppure un sito web). Il Crqi, per ammissione dei suoi stessi dirigenti, è da tempo "collassato", cioè esiste ormai solo come generico riferimento, privo di una vita politica concreta.
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Alcuni giorni fa le sedute della Camera dei deputati del Congresso della nazione [in Argentina. ndt] hanno fatto notizia. In una sessione speciale convocata dal kirchnerismo prima del cambio della composizione delle camere, il Fpv ha fatto votare più di 90 progetti di legge in assenza dell’opposizione padronale (Pro, Fronte rinnovatore, Pj dissidente, Partito socialista) che si è rifiutata di partecipare per non far raggiungere il numero legale.
La notizia rilevante è stata che a fronte dell’assenza di 10 deputati del proprio blocco, l’ufficialismo ha potuto contare sull’appoggio di 5 deputati del centrosinistra (Unidad popular, Libres del sur y Proyecto sur) e dei 3 eletti del Fronte si sinistra e dei lavoratori(Fit): Pablo López del Po, Nicolás Del Caño e Myriam Bregman del Pts. Cioè, di fronte alla crisi di un kirchnerismo in ritirata, l’azione dei deputati del Fit è stata decisiva perché potessero essere approvate le leggi presentate dal governo. Nei fatti, sono stati degli alleati, arrivando anche a votare insieme alcuni di questi progetti argomentando che erano “leggi a favore dei lavoratori”.

Un dibattito necessario
Secondo noi, questo è un grave errore. Lo è stato tanto aver garantito il numero legale così come aver votato le leggi con il governo. Ed è l’opposto del ruolo che devono sempre svolgere i deputati dei partiti che si definiscono rivoluzionari sul terreno del nemico, quale è il parlamento di questa democrazia che sostiene gli interessi di banchieri e padroni.
In realtà questa tendenza non è nuova. Sono solo alcune espressioni che confermano che, nella misura in cui lo spazio politico-elettorale del Fit si va consolidando, – cosa che senza dubbio è positiva – alcune delle forze politiche che lo compongono esprimono un crescente adattamento alle regole del gioco dello stesso sistema democratico borghese. Cioè, mentre una frangia dell’attivismo operaio e giovanile del Paese inizia ad avanzare verso posizioni di scontro con il capitalismo, con l’imperialismo e con il regime democratico borghese corrotto e fraudolento che li sostiene, dei partiti che fanno parte del Fit vanno in senso contrario, canalizzando questo movimento progressivo verso una fiducia nello stesso regime.
Mentre la presenza del Fit compie un ruolo progressivo nel presentare ai lavoratori una alternativa elettorale di indipendenza di classe, la sua direzione compie un ruolo regressivo, con un orientamento riformista. Questa è la questione di fondo che dobbiamo discutere.
Ed è evidente che le nostre critiche sono rivolte alle direzioni delle tre forze che compongono il Fit, cioè il Pts, il Partido obrero (Po) e Izquierda socialista.
I rivoluzionari votano leggi con i padroni?
“Così, in una giornata senza dubbio imbarazzante, la cosa più importante è stata la votazione dei progetti di legge in favore dei lavoratori. Progetti che, tuttavia, non hanno potuto incorporare le proposte migliorative dei deputati del Fronte di sinistra”. (Daniel Satur, La Izquierda Diario, Pts, 27/11/2015).“ E "Il blocco del Fit garantirà che venga approvata ciascuna delle leggi a favore della classe operaia…” questa è stata la giustificazione di Pablo López nel comunicato pubblicato dal Po il 26/11/2015.
Cioè, entrambi sostengono che il Fpv, il blocco padronale di governo, ha presentato “leggi operaie” o “favorevoli ai lavoratori” e perciò questi deputati del Fit lo hanno appoggiato criticamente con il loro voto.
Questo è l’opposto di quanto raccomandava Lenin e delle risoluzioni del Secondo Congresso dell’Internazionale comunista del 1920, che pure tutte le forze che compongono il Fit continuano a rivendicare, che indicava in una delle tesi sulla tattica rivoluzionaria in parlamento che “I deputati comunisti devono subordinare tutta l’attività parlamentare all’azione extraparlamentare del partito. Devono presentare regolarmente progetti di legge concepiti per la propaganda, l’agitazione e l’organizzazione rivoluzionaria, e non per essere approvati dalla maggioranza borghese”. (il corsivo è nostro).
È vero che, come prodotto delle mobilitazioni e in determinate circostanza, alcuni settori borghesi possono proporre alcune misure “progressive” tra virgolette per i lavoratori, come diceva Trotsky. In questi casi, come consigliava il rivoluzionario russo che tutti rivendichiamo nel Fit, quando qualche settore borghese le attacca da destra noi le difendiamo. Ma mai diamo il nostro appoggio politico, dunque mai votiamo a favore di una determinata legge, perché queste misure comunque, nel loro insieme, sono al servizio di un piano profondamente reazionario. Per esempio, saremo a lottare nelle strade se il macrismo proporrà la riprivatizzazione delle imprese che sono state nazionalizzate. Faremo lo stesso se tentasse di farlo il kirchnerismo. Ma questo non significa in nessun modo che diamo il nostro appoggio politico votando a favore di queste "nazionalizzazioni" fatte col contagocce.
Perché i rivoluzionari vanno in parlamento?
Anche quando rimaniamo in assoluta minoranza, e nonostante inizialmente questo atteggiamento non sia compreso da un settore importante dei lavoratori a causa della coscienza riformista che questo sistema costruisce quotidianamente, i nostri deputati devono presentare in parlamento i propri progetti, denunciando i piani reazionari della borghesia. Il messaggio deve essere chiaro: i lavoratori non hanno mai un interesse politico comune con i partiti dei padroni e il parlamento borghese non voterà mai miglioramenti reali per i lavoratori, per questo i nostri progetti non vengono approvati. Non attuando così finiremmo con il fare il contrario di ciò che è necessario e cioè dimostrare che questo parlamento è un vero “covo di banditi”.  Non c’è compito più importante per i rivoluzionari che denunciare in forma implacabile che nessuna legge di questa istituzione padronale può essere benefica per i lavoratori. Perché il nostro compito è quello di convincere pazientemente e mobilitare la classe operaia e i settori popolari per rovesciare tutte le istituzioni per mezzo delle quali la borghesia imperialista esercita il suo potere, per rimpiazzarla con organismi che rappresentino il potere dei lavoratori.
Tale è la confusione che questa deviazione riformista sta portando che, dalla conquista dei seggi legislativi nel 2013, uno slogan molto comune intonato da queste forze che fanno parte del Fit dice “con i deputati dei lavoratori è arrivata l'ora che la crisi la paghino i padroni”, come se bastasse avere deputati di sinistra per sconfiggere la crisi. In questo senso, è stato sbagliato anche che il Po abbia festeggiato un progetto di legge sulla violenza contro le donne del parlamento di Buenos Aires, frutto del consenso tra il Po e il kirchnerismo, o quando il Pts ha votato a favore delle leggi sui parchi pubblici presentate dal kirchnerismo. Entrambi hanno giustificato queste azioni dicendo che avrebbero portato benefici per i lavoratori, appellandosi a una “logica riformista” per giustificare l’approvazione di leggi proposte o appoggiate dai partiti padronali. 
Alla luce degli ultimi avvenimenti, crediamo sia importante iniziare questo dibattito tra tutti i compagni e le compagne che vedono con grandi aspettative l’avanzamento elettorale del Fit, per non trasformare tali avanzamenti in una nuova frustrazione.
Una polemica che si è già espressa durante la campagna
Già da alcune settimana, su Izquierda Diario, quotidiano del Mtr del Brasile, il partito legato al Pts argentino, si polemizza con le prime valutazioni sul Fronte di sinistra e dei lavoratori che abbiamo pubblicato nel numero 98 di Avanzada socialista [il periodico del Pstu argentino, ndt].
Curiosamente, in una nota firmata da Simone Ishibashi, questa organizzazione ci accusa di “non riconoscere le conquiste del Fit” e polemizza con il nostro partito dicendo che “secondo il Pstu i risultati del Fit sono stati ‘deboli’ per la presentazione di ‘liste divise’ tra Pts e Po nella Paso, e la campagna sarebbe stata con 'contenuti deboli' a causa della presentazione di liste divise tra Pts e Po nelle primarie. 
Si lamentano anche del fatto che i candidati del Pstu non hanno figurato (nelle elezioni generali), quando si sono uniti alla lista guidata da Altamira nella Paso” [cioè nelle primarie, ndt].
In primo luogo, dobbiamo partire dal chiarire quali sono i veri dibattiti senza distorcere le posizioni.
Il nostro bilancio dei risultati del Fit è chiaro. È una campagna della quale il nostro partito ha fatto parte facendo tutto quello che era nelle sue possibilità per raggiungere il “risultato molto buono” ottenuto (questo è il titolo della nota con la quale si pretende di polemizzare). Sempre lì abbiamo segnalato, tra gli altri aspetti, che “Il risultato ottenuto, sommato ai risultati raggiunti durante il 2015, consolida il Fit come la alternativa politico-elettorale di sinistra nel Paese e conferma che esiste uno spazio per disputare da sinistra la rottura con il kirchnerismo che si è espressa in queste elezioni”. Inoltre abbiamo affermato che “di fronte alle tre proposte maggioritarie (Fpv, Cambiemos, Una) che hanno trascinato dietro di loro la maggioranza dell’elettorato, il Fit è riuscito a resistere alla pressione del voto utile e a presentarsi come l’unica proposta diversa, con un programma alternativo che proponeva una soluzione operaia e popolare alla crisi in queste elezioni. E questo risultato elettorale costituisce una conquista per i lavoratori che dobbiamo valorizzare”.
La polemica che invece esiste riguarda l’orientamento sbagliato e riformista che le forze che fanno parte del Fit hanno dato alla campagna elettorale, dall’errore di aver utilizzato le antidemocratiche primarie come mezzo per dirimere le divergenze sorte sulle candidature fino alla proscrizione di candidati usando un metodo sleale e burocratico.
Le tendenze elettoraliste delle forze “legalizzate” del Fit
Il Fronte di sinistra e dei lavoratori (Fit) è nato nel 2011 come conseguenza della riforma politica antidemocratica proposta da Cristina Kirchner, con la quale, imponendo il piano restrittivo delle elezioni primarie aperte simultanee e obbligatorie (Paso), ha obbligato le forze a unirsi in un fronte per potersi presentare alle elezioni e non perdere la legalità dei singoli partiti. Questo fronte si è combinato alla rottura politica da sinistra di una frangia della popolazione con il kirchnerismo e si è trasformato in un fenomeno politico che si è consolidato sul terreno elettorale.
Ma al di là dell’accordo programmatico costitutivo, il Fit funziona semplicemente come un “accordo elettorale” che gira intorno alla presentazione di liste in tutte le elezioni del Paese dove la legge lo permette, e nelle quali si dirime la “ripartizione” delle candidature e dei rispettivi seggi parlamentari, in rare occasioni si realizzano presentazioni politiche comuni, come fronte, e l’attività al di fuori delle elezioni è quasi nulla. Fin dalla sua origine, il disprezzo e l'emarginazione da parte delle direzioni delle forze che compongono il Fit verso tutte le organizzazioni che il regime proscrive dall’avere legalità è stata una costante che prova il criterio “elettoralista” che impongono dette forze. Si impone una pratica settaria, meschina e autoproclamatoria, nella quale la differenziazione all’interno del fronte la concedono le regole determinate dallo stesso regime democratico borghese. Per esempio, nonostante avesse aderito al Fit partecipando con le proprie liste di candidati dalla sua fondazione nel 2011, il Pstu e altre organizzazioni non sono mai state convocate per dibattere i punti programmatici o la pianificazione delle campagne elettorali.
Il non rispetto degli accordi (da loro stessi imposti) riguardo alla posizione dei candidati del nostro partito senza altro intervento che la nota in cui viene segnalata una nostra “lamentela” è un’altra dimostrazione della pressione che esercita la legalità borghese su queste organizzazioni.
Questa metodologia burocratica e sleale aliena alla classe operaia, molto comune negli “intrighi” e nelle “lotte per le cariche” dei partiti padronali e della burocrazia sindacale, deve essere sradicata da quelli che si rivendicano rivoluzionari. Non basta scaricarsi l’un l’altro la colpa di questo. Bisogna prendere posizione e combatterlo con fermezza.
Come abbiamo già segnalato, risulta innegabile che le proposte politiche programmatiche sono state messe in secondo piano rispetto alla lotta per le candidature. E al contrario delle risoluzioni della Terza Internazionale diretta da Lenin (che tutte le forze che fanno parte del Fit dicono di difendere), la “febbre elettoralista" ha portato al fatto che il centro della campagna fosse l’ottenimento di deputati di sinistra, ci hanno sommersi di manifesti con le “facce” dei candidati senza troppe proposte (competendo anche tra le stesse forze del Fit, fino a coprirsi a vicenda i manifesti) e di volantini che indicavano la quantità di voti che mancavano per ottenere i seggi, senza quasi un contenuto politico. Chiaramente noi consideriamo importante l’ottenimento di seggi parlamentari del Fit, ma questo non può essere il centro dell’attività dei rivoluzionari nelle campagne elettorali.
A sua volta, “la forza dei lavoratori, delle donne e della gioventù”, “l’aborto legale, sicuro e gratuito” o che “un deputato guadagni lo stesso di un’insegnante”, che la stessa nota riconosce come assi della campagna, sono rivendicazioni democratiche molto importanti che tutti rivendichiamo, ma si dimentica di dire che ci sono varie forze politiche padronali del nostro Paese che propongono cose simili. Cioè, nonostante siano importanti, non possono essere questi gli assi di una campagna che si rivendica essere socialista e rivoluzionaria. Quello che nessuno ha proposto, perché sicuramente avrebbe potuto far perdere voti, è la necessità di smettere di pagare il debito estero e di rompere tutti gli accordi con l’imperialismo, la nazionalizzazione delle banche e del commercio estero, la necessità di nazionalizzare sotto controllo operaio tutte le imprese multinazionali che saccheggiano le nostre risorse senza nessun indennizzo, e che per questo manca un governo dei lavoratori e delle masse popolari che applichi un piano operaio alternativo.
Purtroppo, al di là di alcuni vaghi riferimenti in qualche occasione, queste proposte, che sono parte dell’accordo programmatico del Fit, non sono stati gli assi scelti da chi ha diretto la campagna. Lo sono stati invece per il Pstu. In questo modo, le forze che compongono il Fit non hanno svolto il principale compito dei rivoluzionari quando si presentano alle elezioni: portare il programma rivoluzionario a milioni di persone. Per questo diciamo che il Fit non ha approfittato dell’opportunità storica di presentare in forma tagliente e forte le proprie proposte programmatiche di fronte ai milioni di lavoratori che hanno seguito il dibattito presidenziale.
Il candidato presidente del Fit non ha mai rotto gli schemi e si è posto solamente come una sinistra moderata sul piano meramente elettorale. Gli elogi e le sottolineature della stampa padronale, come O Estado de Sao Paulo che si inseriscono nella polemica – qualcosa di simile ha fatto l’argentina Izquierda Diario con l’impatto delle dichiarazioni di Del Caño sulla stampa argentina, dovrebbe preoccupare. Perché tutto ciò rappresenta un segnale d'allarme sull'avanzamento dell'adattamento del Fit a una logica elettorale riformista.
Per questo, senza smettere di valorizzare il risultato ottenuto, continuiamo a sostenere che lo sviluppo della campagna elettorale voluto da Po e Pts non ha avuto niente a che vedere con una campagna orientata da una prospettiva operaia e rivoluzionaria, svuotandola in questo moro di contenuto politico. Ed è per questo che insistiamo sull’importanza di aprire questo dibattito tra le migliaia di lavoratori in lotta che hanno fatto riferimento al Fit nelle ultime elezioni.

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