Il 25 dicembre i romani celebravano il dio sole che, sconfiggendo le tenebre, col solstizio d'inverno, riprendeva a guadagnare terreno allungando le ore di luce. Celebravano un dio vincente, invicto e glorioso.
E non è un caso se la rappresentazione di quel dio ha delle evidenti assonanze con un certo corredo della tradizione cattolica ed ha delle inquetanti similitudini con altre simbologie trionfalistiche ed imperiali.
Che cosa c'entri con questa celebrazione la nascita di un miserabile profugo, costretto a nascere in una grotta utilizzata per il ricovero delle bestie e che dovrà fuggire nel deserto, migrante estracomunitario, per sfuggire al dittatore sanguinario di turno ... che finirà ammazzato come criminale tra i criminali...
non è dato sapere.
Al di là del buonismo natalizio propinato immancabilmente a reti unificate,
al di là delle giullarate di questo nuovo Francesco,
nei cenoni di una vigilia che di magro hanno semmai solo quel che resta nel portafoglio,
nel pranzo trimalcionico della festa,
nei luccichio delle luci e della carta regalo,
quel che si festeggia è il dio vincente e glorioso,
non quello che avrebbe scelto di essere l'ultimo tra gli ultimi;
il perdente;
non quello che, oggi, rischierebbe di annegare al largo delle coste della Turchia;
Ed allora, buone feste,
buon deo sol invictus!
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