Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

domenica 1 gennaio 2017

Riccardo Tesi. Il respiro folk di un donatore di organetti.

Guido Festinese

Il filosofo Neri Pollastri ha  dedicato un testo al musicista pistoiese, “Una vita a bottoni”


Una via a bottoni. Dove i bottoni non sono quelli che uno si immagina, maliziosi tondini da stringere  tra pollice e indice  a coprire o scoprire ebrunee nudità, e neppure quelli di una quotidianità frettolosa  e distratta, una camicia da chiudere la volo. Sono i bottoni dell’organetto diatonico: inventato quasi due secoli orsono a Vienna, antenato della fisarmonica, dimenticato e ritrovato nell’Italia degli anni Sessanta  e Settanta, grazie a pionieri del folk revival. Oggi presidio di musica bella e vera, al di là di ogni etichetta che fa morire di asfissia la musica, tra le mani del massimo organettista italiano il pistoiese Riccardo Tesi. Una vita a bottoni è il libro (ed.Squilibri) che il critico musicale Neri Pollstri gli ha dedicato, in occasione dei sessant’anni, ricostruendo con pazienza, precisione e bella scrittura percorsi, tracce, incontri di una vicenda che parte da molto lontano, dallo scorcio ei Settanta, quando Tesi era un ragazzo innamorato del progressive rock di Jethro Tull, Genesis, King Crimson. Poi, per una di quelle cocciute capriole del destino, si ritrova tra le mani uno strumento a mantice bizzarro e desueto, se ne appassiona, e si ritrova per una vita con lo stesso tra le braccia, a inseguire sui palcoscenici di tutto il mondo musiche che ad alcuni sembrano folk, ad altri note d’autore, ad altri ancora riflessioni sul jazz, sulle note caratteristiche su tutto questo assieme. Musica  vera, dunque, tanto più viva e testarda tanto meno recintabile. 

“Sul momento all’idea del libro sono rimasto un po’ sorpreso e titubante, poi ho pensato che fosse una buona occasione per offrire uno spaccato del folk revival degli ultimi quarant’anni di cui non si è mai parlato, nonostante la grossa influenza cha ha avuto sulle musiche di oggi.  Accettata l’idea mi sono steso sul divano ed ho raccontato la mia vita a Neri, che pazientemente ha riordinato tutti i miei ricordi e li ha mescolati con le sue analisi critiche dei miei lavori. Il libro segue la cronologia dei dischi  ma qua e là ci sono capitoli tematici sulle collaborazioni, le produzioni originali, i tour più una lunga intervista finale.  Poi ci sono gli interventi di amici, colleghi, da Ivano Fossati a Stefano Bollani passando per Banda Osiris, Mauro Giovanardi, Gianluigi Trovesi, Pietro       Levratto, Gabriele Mirabassi. Al libro è allegato un cd antologico che offre uno spaccato completo  della mia discografia”.

Suoni l’organetto, uno degli struementi più fisici e “umani” che esistano, dovendo “respirare” per suonare e vivere. Ti capita di sincronizzare il tuo respiro su quello dell’organetto?

Non solo mi capita ma è necessario e fondamentale!  Il mantice dell’organetto  sostituisce i polmoni  dei fiatisti e deve necessariamente respirare insieme al musicista se vuoi che la musica  abbia un’anima. Tutta l’espressione e l’emozione viene da lì.

Il paese che ti ha più sorpreso e incuriosito, nelle tue peregrinazioni musicali?

Incuriosito molti, perché ogni paese è diverso, ma se devo fare un nome è l’Austria  che nei miei confronti  e di Banditaliana  ha dimostratori aver un amore speciale, inaspettato direi perché mi immaginavo un popolo freddo, nordico. Niente di più falso, il popolo austriaco è allegro, festaiolo e molto preparato. Però ho un affetto speciale per la Francia cha ni ha accolto a braccia aperte  e mi ha dato un sacco di opportunità per crescere. Mi sento a casa! Ho tanti amici  là e l’ho davvero attraversata in lungo e in largo durante la mia lunga collaborazione con Patrick Vaillant, oltre a registrare 5 dischi per la Silex. Respirare l’aria di Parigi è stato saltare  per uno cresciuto in provincia come me.

Quale il senso del tuo lavoro sulla memoria da Caterina Bueno a “Acqua foco e vento” e “Bella Ciao”?

La mia discografia segue due filoni ben distinti ma in realtà collegati. Da una parte la mia musica, quella che compongo in prima persona e che ho sviluppato con Banditaliana  e altri progetti. Dall’altra invece ho realizzato lavori tematici, spesso su commissione, dove mi veniva chiesto di reinterpretare  alla mia maniera repertori  ben definiti. Il primo lavoro in questo senso è stato Un ballo liscio poi Acqua, foco e vento, Crinali e Sopra i tetti di Firenze dedicati alla musica tradizionale toscana e per finire Bella Ciao il riallestimento del primo spettacolo folk italiano del 1964. Quest’ultima era una grande responsabilità ma è andato oltre ogni aspettativa. Da un concerto che dovevamo fare siamo già a quaranta, e si sta aprendo sempre di più il mercato estero. Lavorare sulla memoria è importante per ritrovare le proprie radici, per avere un punto di partenza solido da cui partire. Quando avevo ventidue anni Caterina Bueno mi ha insegnato ad apprezzare la mia tradizione e a non vergognarmene, e allo stesso tempo partire da questa per andare avanti. Non l’ho mai dimenticato. I lavori tematici sono un gioco di equilibrio tra il rispetto della musica originale e la quantità di personalizzazione che decidi di apportare. Il mio punto di riferimento  in questo genere di operazioni è l’opera di Ry Cooder proprio per questa questione dell’equilibrio. Mahler diceva che la tradizione non è il culto delle ceneri, ma la custodia del fuoco.

Anni fa con Banditaliana  scrivevate di “Pianura invasa a sud”, parlando dei populisti xenofobi. Oggi siamo invasi come e peggio di prima, ma in più con una sinistra sbriciolata, rissosa e inconcludente, e un populismo generale  che sembra assorbire e far proprio ogni disagio. Come la vedi?

Concordo pienamente sono davvero preoccupato. Ho una figlia di vent’anni e il suo futuro mi sta naturalmente a cuore, spesso mi chiedo che prospettive possano avere le nuove  generazioni in questo mondo che sembra andare in direzione opposta a quelli che sono stati i miei valori. Però poi, da inguaribile ottimista, penso che esistano utopie che si realizzano e credo nella capacità individuale di disegnarsi un percorso originale in questo mondo di conformismo. In fondo il mio percorso musicale è stato un po’ così nel 1980 suonare l’organetto non era così trendy!

Internet ha cambiato il tuo modo di ascoltare la musica, di cercarla?

Devo dire che a livello di ascolto ho mantenuto le vecchie abitudini e continuo a preferire il cd e a leggermi tutti i credit. Talvolta se ho bisogno di ascoltare qualcosa di particolare per il mio lavoro faccio ricorso a Youtube ma non uso mai Spotify o Dezer contro cui sono abbastanza arrabbiato perché stanno distruggendo il mercato della musica. Internet è inevitabile se ti vuoi affacciare sul mercato mondiale ed ha sostituito i negozi che ormai stanno scomparendo, per cui tutti i dischi di cui posseggo i diritti sono reperibili sulle varie piattaforme digitali e si possono comprare on line. Io invece sono un pessimo consumatore di downloading. Cerco di prendere il buono delle nuove tecnologie ma mantengo una posizione critica, anche sui social media.

Tre brani e tre libri senza i quali Riccardo Tesi preferisce non vivere?

Mama Africa di Chico Cesar, La musica che gira intorno di Ivano Fossati, Bella Ciao. Per i libri: Cecità di Josè Saramago, Life di Keith Richard, Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez.

fonte: alias del 31/12/2016

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