Guido Festinese
Il filosofo Neri Pollastri ha dedicato un testo al musicista pistoiese, “Una
vita a bottoni”
Una via a bottoni. Dove
i bottoni non sono quelli che uno si immagina, maliziosi tondini da
stringere tra pollice e indice a coprire o scoprire ebrunee nudità, e
neppure quelli di una quotidianità frettolosa
e distratta, una camicia da chiudere la volo. Sono i bottoni dell’organetto
diatonico: inventato quasi due secoli orsono a Vienna, antenato della
fisarmonica, dimenticato e ritrovato nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta, grazie a pionieri del folk
revival. Oggi presidio di musica bella e vera, al di là di ogni etichetta che
fa morire di asfissia la musica, tra le mani del massimo organettista italiano
il pistoiese Riccardo Tesi. Una vita a
bottoni è il libro (ed.Squilibri) che il critico musicale Neri Pollstri gli
ha dedicato, in occasione dei sessant’anni, ricostruendo con pazienza,
precisione e bella scrittura percorsi, tracce, incontri di una vicenda che
parte da molto lontano, dallo scorcio ei Settanta, quando Tesi era un ragazzo
innamorato del progressive rock di Jethro Tull, Genesis, King Crimson. Poi, per
una di quelle cocciute capriole del destino, si ritrova tra le mani uno
strumento a mantice bizzarro e desueto, se ne appassiona, e si ritrova per una
vita con lo stesso tra le braccia, a inseguire sui palcoscenici di tutto il
mondo musiche che ad alcuni sembrano folk, ad altri note d’autore, ad altri
ancora riflessioni sul jazz, sulle note caratteristiche su tutto questo
assieme. Musica vera, dunque, tanto più
viva e testarda tanto meno recintabile.
“Sul momento all’idea del libro sono
rimasto un po’ sorpreso e titubante, poi ho pensato che fosse una buona
occasione per offrire uno spaccato del folk revival degli ultimi quarant’anni
di cui non si è mai parlato, nonostante la grossa influenza cha ha avuto sulle
musiche di oggi. Accettata l’idea mi
sono steso sul divano ed ho raccontato la mia vita a Neri, che pazientemente ha
riordinato tutti i miei ricordi e li ha mescolati con le sue analisi critiche
dei miei lavori. Il libro segue la cronologia dei dischi ma qua e là ci sono capitoli tematici sulle
collaborazioni, le produzioni originali, i tour più una lunga intervista
finale. Poi ci sono gli interventi di
amici, colleghi, da Ivano Fossati a Stefano Bollani passando per Banda Osiris,
Mauro Giovanardi, Gianluigi Trovesi, Pietro Levratto,
Gabriele Mirabassi. Al libro è allegato un cd antologico che offre uno spaccato
completo della mia discografia”.
Suoni l’organetto, uno degli struementi più fisici e “umani” che
esistano, dovendo “respirare” per suonare e vivere. Ti capita di sincronizzare
il tuo respiro su quello dell’organetto?
Non solo mi capita ma è necessario e fondamentale! Il mantice dell’organetto sostituisce i polmoni dei fiatisti e deve necessariamente respirare
insieme al musicista se vuoi che la musica
abbia un’anima. Tutta l’espressione e l’emozione viene da lì.
Il paese che ti ha più sorpreso e incuriosito, nelle tue peregrinazioni
musicali?
Incuriosito molti, perché ogni paese è diverso, ma se devo
fare un nome è l’Austria che nei miei
confronti e di Banditaliana ha dimostratori aver un amore speciale,
inaspettato direi perché mi immaginavo un popolo freddo, nordico. Niente di più
falso, il popolo austriaco è allegro, festaiolo e molto preparato. Però ho un
affetto speciale per la Francia cha ni ha accolto a braccia aperte e mi ha dato un sacco di opportunità per
crescere. Mi sento a casa! Ho tanti amici
là e l’ho davvero attraversata in lungo e in largo durante la mia lunga
collaborazione con Patrick Vaillant, oltre a registrare 5 dischi per la Silex.
Respirare l’aria di Parigi è stato saltare
per uno cresciuto in provincia come me.
Quale il senso del tuo lavoro sulla memoria da Caterina Bueno a “Acqua
foco e vento” e “Bella Ciao”?
La mia discografia segue due filoni ben distinti ma in
realtà collegati. Da una parte la mia musica, quella che compongo in prima
persona e che ho sviluppato con Banditaliana
e altri progetti. Dall’altra invece ho realizzato lavori tematici,
spesso su commissione, dove mi veniva chiesto di reinterpretare alla mia maniera repertori ben definiti. Il primo lavoro in questo senso
è stato Un ballo liscio poi Acqua, foco e vento, Crinali e Sopra i tetti di Firenze dedicati alla musica tradizionale toscana
e per finire Bella Ciao il
riallestimento del primo spettacolo folk italiano del 1964. Quest’ultima era
una grande responsabilità ma è andato oltre ogni aspettativa. Da un concerto
che dovevamo fare siamo già a quaranta, e si sta aprendo sempre di più il
mercato estero. Lavorare sulla memoria è importante per ritrovare le proprie
radici, per avere un punto di partenza solido da cui partire. Quando avevo
ventidue anni Caterina Bueno mi ha insegnato ad apprezzare la mia tradizione e
a non vergognarmene, e allo stesso tempo partire da questa per andare avanti.
Non l’ho mai dimenticato. I lavori tematici sono un gioco di equilibrio tra il
rispetto della musica originale e la quantità di personalizzazione che decidi
di apportare. Il mio punto di riferimento
in questo genere di operazioni è l’opera di Ry Cooder proprio per questa
questione dell’equilibrio. Mahler diceva che la tradizione non è il culto delle
ceneri, ma la custodia del fuoco.
Anni fa con Banditaliana
scrivevate di “Pianura invasa a sud”, parlando dei populisti xenofobi.
Oggi siamo invasi come e peggio di prima, ma in più con una sinistra
sbriciolata, rissosa e inconcludente, e un populismo generale che sembra assorbire e far proprio ogni
disagio. Come la vedi?
Concordo pienamente sono davvero preoccupato. Ho una figlia
di vent’anni e il suo futuro mi sta naturalmente a cuore, spesso mi chiedo che
prospettive possano avere le nuove
generazioni in questo mondo che sembra andare in direzione opposta a
quelli che sono stati i miei valori. Però poi, da inguaribile ottimista, penso
che esistano utopie che si realizzano e credo nella capacità individuale di
disegnarsi un percorso originale in questo mondo di conformismo. In fondo il
mio percorso musicale è stato un po’ così nel 1980 suonare l’organetto non era
così trendy!
Internet ha cambiato il tuo modo di ascoltare la musica, di cercarla?
Devo dire che a livello di ascolto ho mantenuto le vecchie
abitudini e continuo a preferire il cd e a leggermi tutti i credit. Talvolta se
ho bisogno di ascoltare qualcosa di particolare per il mio lavoro faccio
ricorso a Youtube ma non uso mai Spotify o Dezer contro cui sono abbastanza
arrabbiato perché stanno distruggendo il mercato della musica. Internet è
inevitabile se ti vuoi affacciare sul mercato mondiale ed ha sostituito i
negozi che ormai stanno scomparendo, per cui tutti i dischi di cui posseggo i
diritti sono reperibili sulle varie piattaforme digitali e si possono comprare
on line. Io invece sono un pessimo consumatore di downloading. Cerco di
prendere il buono delle nuove tecnologie ma mantengo una posizione critica,
anche sui social media.
Tre brani e tre libri senza i quali Riccardo Tesi preferisce non
vivere?
Mama Africa di
Chico Cesar, La musica che gira intorno
di Ivano Fossati, Bella Ciao. Per i
libri: Cecità di Josè Saramago, Life di Keith Richard, Cent’anni di solitudine di Gabriel
Garcia Marquez.
fonte: alias del 31/12/2016
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