La regressione prodotta da Berlusconi a volte si manifesta anche nei modi e negli argomenti di chi si oppone. Hanno ragione tutti coloro che sfidando la retorica ufficiale, hanno colto la debolezza di un’opposizione a Berlusconi che sembra costretta ad avvolgersi nel tricolore del Risorgimento e in una difesa della Costituzione che, a mio parere, finisce addirittura per snaturare il senso di quel testo, riducendolo a una pura variante dello statuto albertino. Ma davvero dobbiamo tornare a Silvio Pellico per cacciare il padrone di Mediaset? Se fosse vero allora quello che si fa e' assolutamente inadeguato..contro le tirannia si fa come in egitto. Davvero dobbiamo esaltare l’unificazione dell’Italia abbandonando tutti i temi critici sui quali la sinistra ha costruito il suo punto di vista in cento anni? La paura del leghismo ci fa abbandonare la questione sociale?
Eppure basta guardare a cosa ha deciso in questi giorni l’Unione Europea sul risanamento dei bilanci pubblici per capire che l’unità d’Italia ha gli anni contati, se non si torna a parlare di economia, diritti, ricchezze, potere.
Secondo l’Unione Europea dovremo rientrare dal deficit pubblico con una cura di tipo greco, pare 40 miliardi di euro all’anno di tagli che, grazie al federalismo, produrranno una drammatica guerra tra i poveri e tra i territori. Come nella Jugoslavia che ha cominciato a separarsi quando il Fondo monetario internazionale impose le sue drammatiche ricette di risanamento strutturale. Oppure come nel Wisconsin ove il governo repubblicano ha deciso di cancellare ogni contratto di lavoro per i dipendenti pubblici, spiegando ai cittadini che così non aumenterà le tasse.
Già, il lavoro e i contratti. Nuovamente cancellati, dopo la parentesi Fiat, dalle prime pagine del dibattito politico e sociale e dalle grandi manifestazioni.
E questo per la semplice ragione che coloro che quelle manifestazioni promuovono, scelgono di non parlare di lavoro e di economia perché, se lo facessero, si dividerebbero tra chi è a favore e chi contro Marchionne, fra chi sta con la flessibilità contrattuale e chi invece difende il contratto nazionale, chi vuole le privatizzazioni e chi vuole rilanciare lo stato sociale. La manifestazione del 12 scorso in difesa della Costituzione ha visto così una sentita partecipazione nel nome della difesa della scuola pubblica, anche da parte di chi ha tranquillamente votato, a destra e a sinistra, i finanziamenti alla scuola privata.
Dal nucleare all’acqua, dalla precarietà ai contratti di lavoro, dalle privatizzazioni alla scuola pubblica, non c’è un solo tema su quale si possa dire che chi si oppone a Berlusconi oggi è in grado di presentare un’alternativa coerente e comune. E allora si riproduce la fotografia politica del Risorgimento. Entusiasmo nelle piazze e moderatismo e autocensura sui palchi, tranne gli artisti che, si sa, hanno qualche libertà in più. Si chiama il popolo a manifestare in difesa della Costituzione, ma gli si chiede di non portare bandiere di partito, di quei partiti che la Costituzione repubblicana, a differenza dello statuto sabaudo, considera parte integrante dell’edificio della democrazia. Non si ricorda che la bandiera rossa è parte viva della storia del nostro paese, come il tricolore. Si contrappone all’indistinto reazionario di Berlusconi un indistinto liberale, dimenticando che dietro l’ideologia berlusconiana sta un blocco di potere definito composto dalla Confindustria, dalla Lega Nord, dai poteri economici forti, dal Pdl, ma anche dai sindacati confederali Cisl e Uil. Berlusconi non piacerà a molti di costoro, ma, tutto sommato, continua a tenerli assieme con reciproche convenienze. All’opposizione si pensa invece che basti cambiare un uomo perché l’Italia riprenda a progredire, al punto di offrire alla Lega l’approvazione di quel federalismo distruttivo dell’Italia, se abbandonerà l’uomo di Arcore.
Insomma, si ripropone una critica liberale del sistema di potere berlusconiano che se può servire a tenere insieme tutti, da Fini a Vendola, nelle manifestazioni, non produce però alcun risultato in termini di consapevolezza, critica e avanzamento reale.
Secondo l’Unione Europea dovremo rientrare dal deficit pubblico con una cura di tipo greco, pare 40 miliardi di euro all’anno di tagli che, grazie al federalismo, produrranno una drammatica guerra tra i poveri e tra i territori. Come nella Jugoslavia che ha cominciato a separarsi quando il Fondo monetario internazionale impose le sue drammatiche ricette di risanamento strutturale. Oppure come nel Wisconsin ove il governo repubblicano ha deciso di cancellare ogni contratto di lavoro per i dipendenti pubblici, spiegando ai cittadini che così non aumenterà le tasse.
Già, il lavoro e i contratti. Nuovamente cancellati, dopo la parentesi Fiat, dalle prime pagine del dibattito politico e sociale e dalle grandi manifestazioni.
E questo per la semplice ragione che coloro che quelle manifestazioni promuovono, scelgono di non parlare di lavoro e di economia perché, se lo facessero, si dividerebbero tra chi è a favore e chi contro Marchionne, fra chi sta con la flessibilità contrattuale e chi invece difende il contratto nazionale, chi vuole le privatizzazioni e chi vuole rilanciare lo stato sociale. La manifestazione del 12 scorso in difesa della Costituzione ha visto così una sentita partecipazione nel nome della difesa della scuola pubblica, anche da parte di chi ha tranquillamente votato, a destra e a sinistra, i finanziamenti alla scuola privata.
Dal nucleare all’acqua, dalla precarietà ai contratti di lavoro, dalle privatizzazioni alla scuola pubblica, non c’è un solo tema su quale si possa dire che chi si oppone a Berlusconi oggi è in grado di presentare un’alternativa coerente e comune. E allora si riproduce la fotografia politica del Risorgimento. Entusiasmo nelle piazze e moderatismo e autocensura sui palchi, tranne gli artisti che, si sa, hanno qualche libertà in più. Si chiama il popolo a manifestare in difesa della Costituzione, ma gli si chiede di non portare bandiere di partito, di quei partiti che la Costituzione repubblicana, a differenza dello statuto sabaudo, considera parte integrante dell’edificio della democrazia. Non si ricorda che la bandiera rossa è parte viva della storia del nostro paese, come il tricolore. Si contrappone all’indistinto reazionario di Berlusconi un indistinto liberale, dimenticando che dietro l’ideologia berlusconiana sta un blocco di potere definito composto dalla Confindustria, dalla Lega Nord, dai poteri economici forti, dal Pdl, ma anche dai sindacati confederali Cisl e Uil. Berlusconi non piacerà a molti di costoro, ma, tutto sommato, continua a tenerli assieme con reciproche convenienze. All’opposizione si pensa invece che basti cambiare un uomo perché l’Italia riprenda a progredire, al punto di offrire alla Lega l’approvazione di quel federalismo distruttivo dell’Italia, se abbandonerà l’uomo di Arcore.
Insomma, si ripropone una critica liberale del sistema di potere berlusconiano che se può servire a tenere insieme tutti, da Fini a Vendola, nelle manifestazioni, non produce però alcun risultato in termini di consapevolezza, critica e avanzamento reale.
Non c’è nulla da obiettare al fatto che ci sia un’opposizione liberale a Berlusconi. Ben venga. Ciò che non è accettabile è che ad essa sia ridotta tutta l’opposizione e che, come nel Risorgimento, chi vuole un cambiamento sociale e democratico profondo debba nascondersi o rinunciare a se stesso. Forse sta proprio qui l’attualità della lezione risorgimentale che, paradossalmente, stiamo riproducendo nelle nostre piazze ove andiamo a manifestare contro Berlusconi sperando in cambiamenti profondi mentre chi ci guida, come nel Gattopardo, vuole che cambi tutto perché non cambi proprio niente.
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