Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

mercoledì 16 marzo 2011

Unità d'Italia

Comunicato del Circolo Spartacus  di Rifondazione Comunista Frosinone.

Il seguente comunicato è stato  letto dal consigliere della Lista "La Sinistra" Francesco Smania nel Consiglio Comunale di ieri.  (ndr)



Centocinquant’anni fa veniva proclamata l’Unità d’Italia. Unità che in molti territori i cittadini più che voluta l’hanno subita, non solo politicamente ma anche fisicamente sulla propria pelle e su quella dei propri cari. Sarebbe un errore imperdonabile non ricordare chi nel nome dell’Unità ha dovuto subire le vessazioni del nuovo governo, sotto forma di tasse e di privazioni che si riversavano sul popolo dopo che a questo era stata data l’illusione che invece si sarebbe tolto ai ricchi per distribuire ai poveri. Ricordiamo anche chi per svariati motivi si è ritrovato brigante, senza patria per non essersi riconosciuto in quella patria gli era stata imposta. E tutte le stragi di innocenti effettuate dall’esercito piemontese che metteva in pratica sul campo leggi repressive emanate dal nuovo parlamento unitario. I briganti sono stati migliaia, i morti ammazzati in maniera indiscriminata altre migliaia, diversi paesi del meridione sono stati rasi al suolo per ritorsioni dell’esercito italiano. Non si saprà mai il numero reale delle vittime: ma il nostro pensiero va anche a loro, che sono stati protagonisti involontari della costruzione del nuovo stato unitario, anche se a loro non vengono intitolate strade come viene fatto per gli eroi ufficiali del risorgimento. E ricordiamo chi è stato prelevato dalle arretrate campagne del sud, che evidentemente non erano arretrate a tal punto da impedire la leva obbligatoria lunga anni, per andare a combattere guerre contro nemici lontani in nome della nuova patria: gli era stata promessa la terra, e gli sono state donate un’uniforme ed una bandiera per cui morire. E una strada non sarà intitolata neanche ai milioni di cittadini che a partire dai primi anni dopo l’Unità hanno iniziato, con l’interessato aiuto della nuova patria, a partire verso terre lontane, che sarebbero diventate la patria dei propri figli e nipoti. E nel mentre il nuovo stato unitario con le rimesse degli emigrati rinsanguava le proprie casse. No, neanche i loro nomi compaiono negli angoli delle strade delle città italiane. Ma il meccanismo ormai era in moto e, incurante di queste tragedie personali, andava avanti e il nuovo stato si sviluppava, prendeva forma. Si celebra in questi giorni l’anniversario dell’Unità, ma se geograficamente l’unità è stata sancita 150 anni fa, a noi piace parlare di Unità a partire dalla scrittura della costituzione repubblicana: che partendo dai sentimenti antifascisti sanciva che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, una Repubblica che ripudia la guerra, una Repubblica che ripudia il fascismo, una Repubblica dove a tutti i cittadini devono essere assicurati l’istruzione pubblica e la salute, una Repubblica che non discrimina le persone in base al ceto, al sesso, alla religione, alla razza. E se diciamo queste cose non possiamo non prendere atto che ognuno dei principi su elencati oggi è vittima di un tentativo di revisione in senso negativo: l’Italia oggi è presente con il proprio esercito in luoghi dove si fa la guerra; la sanità e la scuola pubblica sono oggetto di tentativi di smantellamento per favorire i privati; il fascismo viene sempre più spesso rivalutato, anche nei banchi del parlamento; E le discriminazioni si riversano in gran parte anche sui migranti in cerca di una nuova vita, come facevano i nuovi italiani dal 1861 in poi. Ma quest’ultimo particolare evidentemente i nostri governanti attuali lo hanno dimenticato, o semplicemente fanno finta di dimenticarlo. Ed il malessere è sempre più diffuso a causa della lotta fra poveri che deriva da quel senso di insicurezza verso il futuro, diretta conseguenza del fatto che ormai la Repubblica Italiana non è più una Repubblica fondata sul lavoro, ma una Repubblica dove il lavoro è una chimera e se c’è per la maggior parte dei casi si tratta di lavoro precario o in nero. Come si fa a festeggiare l’anniversario dell’Unità d’Italia proprio quando tale unità viene spezzata proprio in quello che è il fattore più importante per la vita, la dignità e la libertà delle persone: il lavoro? Gli attacchi allo statuto dei lavoratori e al contratto nazionale del lavoro, uniti all’accondiscendenza del governo e dell’opposizione parlamentare al progetto di Marchionne, di fatto stanno distruggendo proprio ciò che tutta l’Italia si accinge a festeggiare. Più che festeggiare l’Unità si dovrebbe lavorare seriamente per costruirla un’unità che assicuri ad ognuno, indipendentemente dal sesso, dalla razza e dalla regione di residenza, le stesse possibilità di accesso nel mondo del lavoro, gli stessi diritti sancite da regole generali uguali per tutti, la disponibilità di una scuola pubblica efficiente, una sanità pubblica che non preveda i viaggi della speranza. Non esiste unità senza uguaglianza. Non esiste unità senza libertà. E non esiste unità senza dignità. Quindi questi festeggiamenti sono celebrazioni in onore di un qualcosa che non esiste. Paradossalmente mentre si festeggia l’unità il parlamento ha varato il cosiddetto federalismo fiscale, che causerà l’esaltazione delle differenze già oggi esistenti fra le parti più ricche e le più povere del paese. Si celebra l’unità mentre nei fatti la si sta distruggendo: il trionfo della demagogia esaltata ai massimi termini, ed intrisa di un pomposo quanto inutile patriottismo.



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