Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 24 ottobre 2011

TROTSKISMO OGGI:LA TEORIA AL SERVIZIO DELLA PRASSI

a cura della redazione web LIT (Lega Internazionale dei lavoratori)
Intervista a Mantovani, direttore della nuova rivista teorica
Incontriamo Ruggero Mantovani, direttore della rivista Trotskismo oggi, il cui primo numero è disponibile da poche settimane. Si tratta di una rivista teorica che va ad affiancare il giornale politico del Pdac, Progetto Comunista (oltre alle altre pubblicazioni della Lit-Quarta Internazionale: dal Correo Internacional, rivista di politica internazionale a Marxismo Vivo, rivista teorica internazionale della Lega Internazionale dei Lavoratori).

Ruggero: nell'introduzione al primo numero di Trotskismo oggi, la nuova rivista teorica del Partito di Alternativa Comunista, affermi che “la teoria marxista e la conoscenza della storia del movimento operaio sono uno strumento indispensabile per lottare”. Quindi pensi che questa rivista possa servire anche per sviluppare le lotte in Italia?

Sì, è proprio così. Noi riteniamo che la finalità della nostra rivista teorica non nasca né da una tensione intellettuale né tanto meno da un’idolatria della figura del rivoluzionario Lev Trotsky, richiamato nel titolo. Semplicemente riteniamo essenziale riscoprire e utilizzare il comunismo conseguente, quale unica e potentissima arma che, nella prospettiva storica, sia essenziale per la liberazione del proletariato mondiale. E proprio perché siamo consapevoli che il marxismo altro non è che la generalizzazione dell’esperienza storica e l’espressione cosciente delle tendenze oggettive, l’approccio al trotskismo dei nostri giorni fa emergere la sua dirompente attualità: la necessità di ricostruire una direzione rivoluzionaria, tanto più in un momento di profonda crisi capitalistica e dell’acuirsi del conflitto di classe su scala mondiale.

Una verità che è stata sistematicamente rimossa dal revisionismo socialdemocratico e stalinista, poiché il contenuto politico-programmatico del bolscevismo, e dunque del trotskismo dei giorni nostri, ha rappresentato, e rappresenta, un precedente pericoloso per le classi dominati e sicuramente ingombrante per chi, nella sinistra italiana, è cresciuto all’ombra del togliattismo. La nostra rivista ritiene che sia essenziale riprendere una battaglia teorica e politica per riaffermare la natura del trotskismo e la sua attualità, contro una pubblicistica riformista e staliniana che ha da sempre capovolto il senso stesso della realtà, inventando, tra le tante menzogne, una totale estraneità del trotskismo dalla politica rivoluzionaria espressa dal bolscevismo. La verità storica è tutt’altra. Sulle questioni essenziali in Trotsky non vi fu mai disaccordo con Lenin: sull’indipendenza di classe del proletariato e del partito comunista dalla borghesia ruppe con i menscevichi di Martov già agli inizi del secolo; mentre tutte le vecchie polemiche con Lenin sul centralismo si sciolsero come neve al sole negli anni seguenti e nel 1917 Trotsky confluì nel partito bolscevico e, al fianco di Lenin, diresse la rivoluzione russa. Dopo la degenerazione stalinista dell'Urss e del partito bolscevico, poi, Trotsky rimase di fatto l'unico dei grandi dirigenti comunisti internazionali a sviluppare il marxismo rispetto ai nuovi sviluppi storici (penso all'analisi del fascismo, dei governi di fronte popolare, del centrismo, ecc.), continuando nel contempo la battaglia contro il capitalismo e contro ogni variante di riformismo. In questo senso per noi il termine "trotskismo" è l'unico che indica il marxismo nel suo sviluppo odierno.



In questo primo numero della rivista, in particolare gli articoli sulle rivoluzioni arabe e sulla rivoluzione permanente rimandano a dibattiti vecchi che conservano però ancora oggi la loro attualità. In che senso, come scrivete all’interno della rivista, la rivoluzione permanente è “l’unico programma in grado di portare le rivoluzioni alla vittoria”? Vale anche per le rivoluzioni odierne?

Sì. Difatti se nei Paesi a capitalismo avanzato si evidenzia l’acuirsi della lotta di classe, in altri Paesi dipendenti stiamo assistendo a vere rivoluzioni (date dall’impossibilità del governo a governare e dallo scontro aperto delle masse popolari con gli apparati repressivi dello Stato). In questo senso le rivolte popolari in atto in Algeria, Tunisia, Egitto,Libia, Siria, Yemen, ecc., segnalano che queste masse di giovani si stanno ribellando non solo al carovita, ma alla propria condizione sociale di sfruttati, precari, disoccupati. Una condizione tanto più intollerabile a fronte del lusso delle proprie borghesie nazionali e del carattere reazionario e corrotto dei regimi politici dominanti. Un’intera generazione di giovani è privata di ogni futuro: condannata o alla disoccupazione e alla marginalità di strada, o al supersfruttamento praticato da tante aziende europee (europee in testa) a caccia di manodopera a basso costo. Quello che sta accadendo conferma ancora una volta la centralità della concezione della “rivoluzione permanente”.

Trosky asseriva: “I Paesi arretrati sono parte di un mondo dominato dall’imperialismo (...) le parole d’ordine democratiche, le rivendicazioni transitorie e le questioni della rivoluzione socialista non si suddividono in distinte epoche storiche, ma confluiscono direttamente l’une nelle altre. Tuttavia l’andamento generale dello sviluppo rivoluzionario nei Paesi arretrati può essere determinato dalla formula della rivoluzione permanente”. Con queste efficaci parole Trotsky riteneva che occorresse una “rivoluzione permanente” che coniugasse le rivendicazioni democratiche con la lotta per il socialismo, in un unico processo. Ma l’esito di una rivoluzione dipende dall’influenza che su di essa può avere un partito autenticamente rivoluzionario: solo un partito d’avanguardia, leninista nella forma e nella sostanza, internazionalista, può guidare il proletariato alla vittoria. Quel partito era stato lo strumento fondamentale attraverso il quale Lenin e Trotsky avevano reso vittoriosa la rivoluzione proletaria in Russia nel 1917, e riaffermarne la natura e le finalità ha significato anzitutto restituire al proletariato mondiale quella potentissima arma seppellita dallo stalinismo e dalla socialdemocrazia.



La rivista contiene anche un importante saggio di Trotsky sulla guerra, La guerra e la Quarta Internazionale, del 1934. E’ un testo che presentate in una nuova traduzione e che è di fatto inedito nel nostro Paese, nonostante Trotsky lo definisse il testo fondamentale sulla guerra. Pensate che le questioni affrontate in quel testo – dal rifiuto del pacifismo all’intransigente opposizione alle cosiddette democrazie imperialiste – siano ancora attuali?

Anche in questo caso non è una formula astratta o ideologica a rendere importante lo scritto di Trotsky sulla guerra, ma il livello e la natura della crisi del sistema imperialistico mondiale e le nuove frontiere dei conflitti intercapitalistici. Quello che sta accadendo, sia con le rivoluzioni in Nord Africa e in Medio Oriente, sia con le mobilitazioni radicali che stanno attraversando l’Europa e l’America, dimostra che la nostra epoca è ancora quella delle guerre e delle rivoluzioni. Di più. Il quadro delle contraddizioni che si condensano nell’attuale crisi capitalistica indica che la politica proletaria non può che porsi compiti internazionali. Trotsky nel testo citato smaschera sia la difesa dello Stato nazionale come parola d’ordine del riformismo di ogni tempo, sia la melensa e ingannevole politica del pacifismo democraticista, che pretenderebbe di fermare la guerra imperialista attraverso una politica di collaborazione di classe. Insomma una politica conseguentemente comunista in tempo di guerra deve evitare la confusione tra il sentiero della lotta di classe e quello della guerra. E questo può accadere solo se i comunisti continuano a battersi per trasformare la guerra capitalistica in guerra civile e in lotta rivoluzionaria.

La lotta per la pace, in tempo di guerra, per Trotsky è interna al legame indissolubile che esiste tra l’insurrezione, la lotta di classe e la politica del partito rivoluzionario. Per questi motivi, la concezione del “disfattismo rivoluzionario” - che Karl Liebknecht egregiamente così sintetizzava: “il nemico principale delle masse popolari è nel proprio Paese”, poiché il proletariato non può legare i suoi compiti storici con gli interessi della nazione capitalista – è attuale. Similmente, la concezione del “pacifismo rivoluzionario”, che utilizza la parola d’ordine della pace per dimostrare alle masse popolari che l’unica pace duratura si ottiene con la rivoluzione proletaria che disarma l'imperialismo distruggendo gli Stati borghesi, rappresenta un altro caposaldo del marxismo rivoluzionario. Ma per Trotsky la lotta contro la guerra presuppone uno strumento indispensabile: il partito. Un partito internazionale del proletariato che è, oggi come allora, la Quarta Internazionale. Un partito che ancora non esiste ma che la Lit-Quarta Internazionale (in Italia rappresentata dal Pdac) sta tentando di rifondare, nella consapevolezza che quello sia l’unico strumento per la preparazione della rivoluzione mondiale. Come abbiamo detto più volte, la Lit (a differenza di altre organizzazioni) non pensa di essere oggi la Quarta Internazionale rifondata: ma certo di essere uno strumento per avanzare verso quell'obiettivo (e peraltro oggi è la più dinamica ed estesa organizzazione centralizzata, basata sul programma marxista, presente in vari continenti con le proprie sezioni nazionali). Ma quest'ultimo è un altro discorso: lo affronteremo magari nel numero 2 della rivista, anche alla luce del X Congresso mondiale della Lit che si svolgerà in Brasile a partire dal prossimo fine settimana.

Ci sono poi nella rivista due articoli che ricordano due anniversari che cadono quest'anno: la Comune di Parigi del 1871 e la nascita del Pcd’I nel 1921. Anche in questo caso, non si tratta di semplice commemorazione accademica, vero?

Assolutamente nessuna commemorazione accademica. Lenin più volte sottolineò che la vera concezione della lotta di classe non fu per Marx e Engels figlia di una ricetta ideologica e astratta, ma colta nel vivo della dell’esperienza storica. Difatti in una lettera a Kugelman, Marx scrive: “La Comune ha fornito la prova che la classe operaia non può impossessarsi semplicemente di una macchina statale già pronta. (...) ma deve spezzare la macchina burocratica e militare della borghesia”. Ma non solo. Marx nel 1852 in una produzione epistolare dice: “Per quel che mi riguarda a me non appartiene né il merito di aver scoperto l’esistenza delle classi sociali né quello di aver scoperto la lotta tra esse. Quello che io ho fatto di nuovo è dire: 1) che l’esistenza delle classi è legata a un determinato stadio dello sviluppo storico della produzione; 2) che la lotta di classe necessariamente conduce alla dittatura del proletariato; 3) che questa dittatura costituisce soltanto un passaggio alla soppressioni di tutte le classi”. Insomma per il marxismo la lotta di classe è tale solo se giunge fino al riconoscimento della dittatura del proletariato, cioè al potere dei lavoratori. Questo è l’elemento centrale della teoria marxista, tant’è che ogni volta che i riformisti, ma anche il centrismo in ogni sua variante storica, sono stati posti dinanzi a questo fattore del marxismo, hanno sempre negato la dittatura del proletariato e cioè l’essenza della lotta di classe, riconoscendo quest’ultima solo all’interno dei rapporti borghesi. Per questi motivi la rivoluzione proletaria non è mai stata concepita come un putsch, un colpo di mano.

Parimenti, celebrare la nascita del Pcd’I, con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni (dal settarismo del primo gruppo dirigente bordighista, al successivo conformismo espresso da Gramsci con l’adesione alla politica staliniana della "bolscevizzazione", nome col quale si intendeva in realtà la stalinizzazione dei partiti comunisti), per noi è stata un’occasione per cogliere il meglio della politica bolscevica che, parzialmente, per poco tempo e solo sulla carta con il congresso di Lione nel 1926, caratterizzò la vita di quel partito. Ma siamo consapevoli che solo la riscoperta del leninismo e cioè del trotskismo dei giorni nostri contro tutte le deformazione socialdemocratiche, staliniste e centriste, sia essenziale per ricostruire un vero partito comunista: un partito intransigente nei fini e al contempo duttile nella tattica, l’unico che nella prospettiva storica potrà dirigere la presa del potere delle masse popolari contro la quotidiana barbarie espressa dall’imperialismo.

Infine, quali sperate siano i frutti che potrete raccogliere dalla pubblicazione di questa rivista?

I frutti che speriamo di raccogliere con questa rivista - che, non per partigianeria, riteniamo davvero unica, per qualità dei contenuti (ma anche per la bellissima grafica) nel panorama della sinistra che si definisce comunista e non solo - è il rilancio di un dibattito storico, teorico e politico che in definitiva serva ad aiutare le avanguardie di lotta dei lavoratori e dei giovani la necessità di ricostruire un partito conseguentemente comunista e internazionale. Un partito assolutamente necessario al movimento operaio, cioè la Quarta Internazionale.




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