Leggere la realtà è un dovere per ogni militante politico. Soprattutto per chi si pone il problema del rivoluzionamento sociale come compito pratico, non solo utopia vagheggiata.
Ogni lettura presupponebuona vista, o almeno occhiali efficienti. Il che riapre una questione che sembrava sommersa: con quali strumenti si analizza la realtà. C'è chi si accontenta dell'"analisi dei comportamenti", frettolosamente elevati a "pratiche". C'è chi si interroga pensosamente sull'"analisi di classe", ripercorrendo senza accorgersene i sentieri della sociologia, col rischio di perdere di vista le "strutture profonde" che sollecitano in superficie i comportamenti, le reazioni sociali, i malesseri, i bisogni (che naturalmente fanno "muovere" molta gente, rispondendo a input o voci molto diverse).
Rivoluzionare il mondo impone guardare ai processi di trasformazione, tenendo nel dovuto conto le autopercezioni e le autorappresentazioni (il farsi a tentoni della "soggettività") come dati problematici e ondivaghi, non come "punti fermi" in qualche modo rappresentativi dell'essenza di "nuovi soggetti". Su questo fronte, quanto ad errori enormi, come movimento di questo paese, "abbiamo già dato" e non crediamo che sia utile per nessuno tornare a battere certi viottoli.
I numerosi interrogativi, e i meno frequenti ed interessanti "equivoci", sull'annunciata "rivoluzione del 9 dicembre" (ora improvvisamente sgonfiatasi dopo la defezione dei "sindacati" degli autotrasportatori), hanno sollecitato diverse riflessioni. In alcuni casi interessanti. Qui proponiamo intanto quella di Marco Letizia, del Teatro Pinelli Occupato di Messina (e prima ancora nella Rete "No Ponte"). Scritto prima che gli autotrasportatori annunciassero la propria defezione dalla "mobilitazione".
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No destra, no sinistra, no centro , no altro...
no sindacati, SOLO CITTADINI ITALIANI...
No violenza , no provocazioni ..
rispetto dell'ordine costituito e difesa della NOSTRA COSTITUZIONE..
W L'ITALIA E CHE DIO CI BENEDICA!!
(Danilo Calvani, C.R.A. e Dignità Sociale)
E' fatto divieto assoluto a tutti i partecipanti
di fare qualsiasi riferimento a fatti,
personaggi ed epoche appartenenti al passato.
La nostra è una Rivoluzione unica nella Storia
e ciò che costruiremo non è mai stato realizzato
da alcun Popolo nella Storia della nostra Civiltà.
Siamo qui, oggi, in questo momento, qui ed ora,
SIAMO IL POPOLO ITALIANO E VOGLIAMO
LA LIBERTA', VERA E DEFINITIVA!!!
(dalle “Istruzioni ai partecipanti alla protesta”)
La manifestazione del 9 dicembre, annunciata da tutta una serie di sigle di associazioni autonome del mondo dell’imprenditoria agricola come I Forconi, impone una riflessione a tutti coloro i quali sono impegnati giornalmente nello smascheramento del populismo nazionalista, palude politica nella quale sguazzano da sempre tutte le neo-destre che non riescono, sul piano semplice della riproposizione del ventennio fascista, a ottenere consensi.
I piani d’analisi, a mio avviso, sono due: il primo è quello economico-strutturale, l’altro quello ideologico e rivendicativo. La tesi, che sostengo qui soltanto apoditticamente, è che attraverso la manifestazione del 9, promossa da un coordinamento nazionale di soggetti della corporazione padronale abbandonata dal capitalismo finanziario (agricoltura e trasporti soprattutto), si stia preparando, volontariamente o meno, uno spazio politico che può benissimo favorire una narrazione di destra e “dal basso” della crisi economica attuale, non solo per mezzo dell’azione di un apparato ideologicamente organico come quello dei partiti neo-fascisti, ma attraverso la congiunzione caotica di più pulsioni revansciste che radicano le proprie rivendicazioni sia nel terreno delle piccole patrie, sia sul piano della sovranità nazionale tradita dalla casta e sottrattaci dall’Europa delle banche.
Esperimento già in corso in numerosi paesi, quello del trattamento populista destrofilo della crisi economica è uno degli spettri più inquietanti che aleggia sullo spazio Europeo. La Grecia con Alba Dorata è l’esempio più evidente del rischio che oggi corre l’intera Europa. Anche la Francia in questo momento esprime una vocazione maggioritaria del partito di Marine Le Pen mentre la Svezia e l’Ungheria sono governate da due formazioni già ideologicamente prossime alla destra estrema. In Italia, il rischio di una recrudescenza ideologica è molto forte. Già decisamente connotato dal qualunquismo, lo spazio politico italiano rischia una deriva neonazionalista che, facendo leva sulle pulsioni anti-europee e anti-Euro, già fomentate populisticamente da Grillo, potrebbe creare le condizioni affinché vengano riesumate e portate all’estremo, più di quanto è già stato fatto in questi vent’anni, una serie di formazioni discorsive che esprimono una caratterizzazione identitario-biologica dell’appartenenza alla nazione con ovvie conseguenze xenofobiche e razziste.
Le ragioni economico-strutturali.
Nel primo livello, il tutto sembra abbastanza chiaro: la mobilitazione del mondo imprenditoriale agricolo e del settore dei trasporti gommati, dimostra quanto la rappresentanza politica, quasi a tutti i livelli, sia solo un lontano ricordo. Questa analisi venne fuori anche durante la mobilitazione de I Forconi ed è perfettamente espressa in un intervento di Gino Sturniolo, che in quel gennaio 2012 scrisse: “I forconi sono la manifestazione visibile della crisi della rappresentanza. Si collocano su un terreno che è, allo stesso tempo, politico, sindacale, sociale e non riconoscono le espressioni rappresentative pre-esistenti. Mescolano dinamiche di movimento territoriale e corporativismo sindacale. Sono utilitaristici. Aprono uno spazio. Nella loro contraddittorietà, nella loro ambiguità, esprimono un “que se vayan todos” primitivo, requisito indispensabile per potere sperare in un futuro migliore dal deserto cui sembra essere destinato il meridione”.
(La Sicilia come Oackland, http://www.democraziakmzero.org/2012/01/25/la-sicilia-come-oakland/)
Le associazioni come i Forconi, il C.R.A, Dignità Sociale, tutte sigle promotrici del 9 dicembre, se ne escludiamo la vocazione burocratico-gerarchica tipica proprio delle organizzazioni che contestano (partiti-sindacati in primis), nascono formalmente con uno spirito “anti-istituzionale” (ma non anti-statuale), in quanto sono l’espressione del totale distacco tra il piano dell’accumulazione capitalistica (quello finanziario-speculativo), e quello della cosiddetta “economia reale”, della quale questi soggetti fanno sicuramente parte. La rabbia degli imprenditori in difficoltà è salita alla ribalta soprattutto con la narrazione dei suicidi di proprietari di aziende in crisi, non più in grado di portare avanti l’attività economica ormai oberata dai debiti.
Questo proprio a causa dell’attività speculativa e spietata del mondo finanziario che, non producendo più profitti di breve periodo negli investimenti alle imprese, e trovandosi in un periodo in cui la produzione complessiva si abbassa e la liquidità scarseggia, applicano il cosiddetto credit crunch, cioè chiudono i rubinetti a favore delle imprese già in evidente stato di difficoltà economica, aprendo nei loro confronti anche procedimenti di pignoramento dei beni nel caso di insolvenza, e orientano la propria attività solo sul versante finanziario e specie sull’acquisto dei titoli di stato sostenuto economicamente dalla BCE.
Secondo la lettura della maggior parte di questi movimenti (compreso Grillo) il conflitto politico-economico sta all’interno dello spazio dialettico tra finanza ed economia reale: o almeno sta all’interno di una percezione condivisa da molti secondo cui questi due siano mondi separati, dei quali uno è buono (quello “reale”) e uno e cattivo (la finanza). E’ la teoria più volte sentita di un “capitalismo etico”, o dal “volto umano”. Una riproposizione della società solida già condannata alla rovina da Bauman. Secondo questo approccio, basterebbe sottrarre il potere alla finanza riconsegnando al popolo la propria sovranità nazionale e monetaria grazie ad un governo non corrotto e composto da gente onesta.
Il capitalismo, insomma, non fa vittime solo a “sinistra” (cioè tra i soggetti sempre inclusi nell’orizzonte politico della sinistra, come ad esempio “gli operai”, “i precari” ecc..) ma anche tra coloro i quali sono, tradizionalmente, la base sicura delle forze di destra estrema, liberale, centrista o “leghista” che in questi anni hanno fatto del sostegno alle partite iva uno degli assi centrali delle loro politiche. Un altro contributo simile a questo, di Dante Barontini, scrive più precisamente che la crisi, “colpisce anche settori clientelari, piccole rendite di posizione un tempo utilissime in chiave “anticomunista”, piccolissima imprenditoria (“padroncini”, ecc), imprese di subappalto, “uscieri della politica” locale, ecc. Strati sociali diversi, con interessi anche opposti, che reagiscono “ribellandosi” - similitudine nelle forme - per obiettivi radicalmente diversi”.
Il popolo delle partite Iva non è altro, infatti, che la forma concreta della nuova cittadinanza neoliberale che trova – come diceva Foucault in “La nascita della biopolitica” (Feltrinelli) – una sua compiuta definizione attraverso la trasformazione di qualsiasi agente sociale in un produttore di profitti, per cui anche il lavoratore salariato viene concepito come una sorta di impresa in sé: “L’homo œconomicus è piuttosto un imprenditore,un imprenditore di sé stesso” (M. Foucault, cit. p.186). Foucault è dell’idea che il gesto dei neoliberali sia stato quello secondo cui l’analisi economica ha ritrovato – rispetto all’individualismo borghese classico – “come elemento di base per le sue decifrazioni, non tanto l’individuo, non tanto dei processi o dei meccanismi, ma delle imprese” (cit.).
Oggi accade che pezzi sempre più consistenti di questa impresa in frantumi subiscano le recrudescenze della crisi economica, laddove, data l’ideologia dominante che fa delle imprese il motore della società, sarebbe dovuta essere l’asse portante dello sviluppo economico.
I soggetti che scenderanno in piazza il 9 dicembre, in questo senso, sono l’espressione più evidente del distacco avvenuto tra base e vertice della destra italiana: Mariano Ferro, leader del movimento dei Forconi, già candidato anche alle scorse elezioni regionali, era a suo tempo un sodale di Raffaele Lombardo, ex presidente della regione siciliana indagato oggi per mafia, e leader dell’MPA, partito che sosteneva l’idea dell’autonomia della regione siciliana.
Proprio sul tradimento di questo mandato, cioè sull’utilizzo solo retorico -strumentale dell’autonomia regionale da parte di Lombardo, si è consumato il primo strappo: Mariano Ferro e i suoi decidono di rendersi autonomi dalla politica istituzionale, seguendo l’esempio dei compagni sardi. Dunque dopo il Movimento dei Pastori Sardi”, arriva sulla scena politica quello de “I Forconi”. Dopo aver prodotto questo soggetto politico, è iniziata una battaglia che ha espresso subito una narrazione dichiaratamente “No Global”, ma già guidata dall’ideologia delle piccole patrie contro il far-west della globalizzazione: l’agricoltura siciliana, massacrata dalla concorrenza al ribasso, priva di finanziamenti, con le aziende al collasso economico e sotto procedure di fallimento e sfratto, con immobili ipotecati, colpita dai prodotti che vengono dall’Africa, dalla Cina, con un costo del lavoro troppo alto diventa il pretesto per riaffermare con più forza la necessità di una vera autonomia regionale che tuteli i produttori autoctoni contro l’invasione dei prodotti stranieri, contro le banche, contro il signoraggio, contro i tecnocrati della finanza, contro gli ascari ecc...L’innovazione di questa lotta non fu tanto sul piano delle rivendicazioni, ma su quello della populizzazione (cioè una estensione a tutto il popolo): queste rivendicazioni, insomma, venivano inserite in una narrazione che invitava l’intero popolo siciliano a ribellarsi. E diciamo che nelle “5 giornate di gennaio” il tentativo è riuscito. I Forconi, volontariamente o meno, hanno usato una strategia tipica della narrazione populista: hanno dovuto creare un popolo, al quale ascrivere i “propri” interessi, dando al tutto una forma astratta e generale che permettesse di utilizzare uno schema binario e dialettico di interpretazione: da un lato il popolo
sovrano espropriato, dall’altro la “casta degli ascari”.
Al di là della polemica sulla presenza presenza di mafiosi nelle file dei Forconi, è facile immaginare quante aziende, che hanno divorato risorse pubbliche finalizzate alla produzione agricola, abbiano potuto usare questa contingenza politica per rigenerare la propria immagine sociale. In passato, ad esempio, è stata una pratica nota presso i proprietari terrieri siciliani quella di contabilizzare giornate di lavoro agricolo a degli operai che mai lavorano, ma che hanno il vantaggio di poter chiedere la disoccupazione alla fine della “calata” (in siciliano si dice “mi calau i iurnati”). Questa pratica, però, crea a favore dell’impresa un vantaggio maggiore: maggiori uscite che si traducono in enormi vantaggi fiscali. Lungi dal dare un giudizio morale a questa pratica, della quale ne comprendo le ragioni storico-politiche, e non avendo prove tali da poter dire con sicurezza che anche aziende che fanno parte del movimento dei Forconi abbiano effettivamente utilizzato questa “finzione fiscale”, resta un dato strutturale: il mondo
dell’agricoltura siciliana, e non solo, è stato, in molti casi, luogo di una forte corruzione, sostenuta dall’alleanza tra partiti clientelari e proprietari terrieri.
Allora è facile capire che, una volta venuta meno quell’alleanza, o meglio una volta che le condizioni economiche imposte dall’austerità non hanno più permesso questa “finzione” decade anche l’immagine ideologica dell’impresa che regge la società. E decade ovviamente anche il consenso verso la politica.
Oggi scopriamo che l’impresa, lungi da essere quell’ente sovrano e autosufficiente che da stabilità e forza ad un sistema è una struttura vorace, debole che succhia continuamente risorse al sistema per autoriprodursi restituendo ai territori solo una parte di ciò che assorbe. Con questa affermazione non voglio occultare le difficoltà concrete che ogni giorno milioni di famiglie italiane, che traggono il proprio reddito da una piccola attività commerciale o imprenditoriale, si trovano ad affrontare. La tassazione elevata, l’impossibilità di accesso al credito, i consumi ridotti, il costo delle materie prime: per molte di queste piccole attività (al di là del fatto se siano oneste o meno) tirare avanti risulta sempre più difficile. Con questo ragionamento, però, semplicemente si sfata, laddove ce ne fosse ancora bisogno, un mito: un sistema a concorrenza perfetta mai è esistito e mai esisterà. E come diceva Rosa Luxembourg, il capitalismo può riprodursi con i propri mezzi solo finché vi sono terre da conquistare, perché con le sue briciole può costantemente placare i bisogni sociali che si esprimono con il conflitto. Quando si esaurisce il ciclo espansionistico, vi è il bisogno di sussidi provenienti da politiche non capitalistiche (cioè che tradiscono l’idea stessa del mercato che si autoregola attraverso la concorrenza) affinché il circuito economico possa essere riattivato. Oppure è necessaria una selezione: solo un’elite può praticare l’accumulazione monetaria, scaricando i costi di questa attività speculativa sull’intera società. Comprese le imprese.
Questa cosa la si vede meglio nelle grandi aziende, come la Fiat, che per anni ha usufruito di aiuti di stato.
Lo si vede nelle grandi opere, dove si annidano una manciata di grandi società speculative che, spesso, non eseguono nemmeno un lavoro a terra, subappaltando, ma che gestiscono intere fette di Pil nazionale.
Queste grandi corporation, sono i vincitori della lotta consumatasi anche all’interno del mondo capitalista. I piccoli padroni, sono stati eliminati dalla partita. Diciamo, in un senso ancora molto lato, che si sono “proletarizzati”. Oggi non servono più, in ragione di una serie di fattori per cui non risulta efficace investire su di loro. Oppure perché semplicemente il denaro si è spostato altrove e oggi, volenti o nolenti, i politici che avevano promesso i soliti sussidi alle imprese non possono far altro che alzare le braccia.
Infine, un’ultima annotazione: non è la prima volta che il mondo imprenditoriale italiano alza la voce nei confronti del potere politico. Ma perché, in questo caso, questa mobilitazione suscita un interesse maggiore?
Perché, nei fatti, questa componente sociale è in grado di attuare delle forme di lotta che incidono su uno dei punti nevralgici dello sfruttamento capitalistico: la circolazione delle merci. Come scriveva Sturniolo sulla protesta dei Forconi dei 2012, “Il movimento siciliano manifesta contropotere. Occupa le strade, gli snodi più importanti, e stabilisce un sistema regolamentare sulla circolazione. Intelligentemente impedisce il flusso delle merci e meno quello delle persone,
riducendo l’inconveniente storico dei blocchi stradali che risiede nell’inimicarsi i cittadini”.
Per questo potenziale intrinseco che questo movimento possiede di incrinare l’ordinario flusso del mercato, essendo spalleggiato da molti settori autonomi dell’autotrasporto, è necessario ancora di più addentrarsi dentro la narrazione che essi stanno proponendo al paese.
Il piano ideologico e rivendicativo. Le alleanze e il rischio di fascistizzazione del corpo sociale.
Quest’analisi economica, oltre ad essere antistorica, è l’impalcatura teorica minima di qualsiasi movimento di destra presente oggi nel grande spazio europeo. E’ vero che ogni formazione discorsiva radicale costruita da destra oggi non può presentarsi pura, ma deve tentar una ibridazione formale con alcuni temi evocati dalla parte avversa (quella dei movimenti sociali) e con tutta una serie di segni di riconoscimento collettivi, ma astratti dal loro significato storico, in grado da renderla compatibile con il potere costituito preso in quanto tale. Il riferimento alla Costituzione, ad esempio, è un paravento che serve ad un movimento che esprime contenuti di destra, e assai legati ad una concezione corporativa, per evitare di cadere nella contraddizione tra politiche dell’ordine e conflitto con l’ordine stesso stabilito dalla legge, presa anch’essa nella sua purezza, cioè come “fondamento mistico dell’autorità” (Montaigne, cit.)
A questo punto, è possibile iniziare a parlare del 9 dicembre, per mettere in luce come si sia evoluta questa narrazione neo-nazionalistica con suggestioni rurali e l’evocazione del tema sangue-terra. E soprattutto adesso potremo mettere in luce il rischio che questa congiuntura economico politica porta con sé.Partiamo dalla fine, o meglio da quella posizione che anticipa il compimento di un movimento strutturato su basi cosi esplicitamente populiste e patriottiche, molto pericolose perché presentate come neutrali, giuste e assolutamente normali:
“COSA VOGLIAMO Che l'attuale classe politica, presidente della repubblica compreso, istituzioni infiltrate dai partiti ladroni, si dimettano ed abbandonino le posizioni. Da quel momento vi sarà un periodo transitorio in cui lo stato sarà guidato da una commissione retta dalle forze
dell'ordine trascorso il quale si procederà a nuove votazioni.
Durante questo periodo di transizione verranno prese le seguenti misure di urgenza:
-ristampare la lira per finanziare senza creare debito la spesa produttiva statale
-rescissione di tutti i trattati che ci vincolano con l'europa delle banche
INSOMMA PER UNO STATO AL SERVIZIO DI TUTTI I CITTADINI E NON PER NOI MA PER TUTTI GLI ALTRI”
Queste appena citate sono le parole di Danilo Calvani, presidente del C.R.A. e di Dignità Sociale, uno dei tre leader della protesta insieme a Mariano Ferro, leader dei forconi e Lucio Cavegato, storico indipendentista veneto, e presidente dell’associazione LIFE - liberi imprenditori federalisti europei. Anche Mariano Ferro, pur se in un modo meno esplicito, riferisce lo stesso pensiero: “E' necessario mandare a casa un governo asservito ai potenti ed un parlamento di nominati, porre fine al far-west della globalizzazione, riprenderci la sovranità popolare e monetaria".In questo condensato di topos nazionalisti, c’è racchiuso il senso del pericolo che con questo scritto sto provando a sottolineare. Lo scollamento della tradizionale base sociale del capitalismo italiano (quella della piccola-media impresa) dalle strutture della rappresentanza politica, in un periodo di austerità e rabbia può diventare un mix letale per la democrazia di questo paese. Il revanscismo destroide di queste dichiarazioni, che invocano la dittatura dei colonnelli (commissione retta dalle forze dell’ordine) e la proclamazione dello stato d’eccezione dall’alto, fa eco alla sospensione dei diritti costituzionali della repubblica di Weimar messa in atto da Hitler all’atto della sua presa del potere.
Lungi dal voler dare giudizi complessivi sull’intero corpo sociale che parteciperà alla “rivoluzione” (per gli idioti: non sto dicendo che sono tutti nazisti), mi limito a constatare l’analogia tra la rivendicazione citata e l’atto giuridico-formale di istituzione del nazismo in Germania.
In aggiunta a tutto ciò possiamo dire che il tentativo di sedurre il corpo militare del paese non si arresta a questa dichiarazione. Il comitato di Cisterna ha organizzato il 6 dicembre un incontro con alcuni sindacati di polizia per dir loro “che l’obiettivo sarà quello di manifestare pacificamente per la Sicurezza della Repubblica Italiana, minacciata, secondo noi cittadini, dall'attuale sistema politico. Chiederemo loro, tutta la collaborazione per difendere la nostra Nazione, insieme rinnoveremo un giuramento di fedeltà alla Repubblica. Chiederemo l'applicazione della Costituzione Italiana per difendere i cittadini, ricordando l'Art. 4, nello specifico per la Sovranità Popolare”
Ma l’approccio sbirresco alla rivolta non si esaurisce qui. In ogni comunicato o intervento pubblico nessuno degli scriventi o dei parlanti dimentica di precisare che il movimento non tollererà atti di violenza, specialmente se compiuti ai danni delle forze dell’ordine o a qualsiasi bene pubblico e privato. Anzi per i colpevoli, vi sarà una denuncia direttamente dagli organizzatori del blocco, dopo averli “immobilizzati ed identificati”. Ora, nessun movimento può riuscire a bloccare un paese senza subire la repressione delle forze dell’ordine, laddove “l’ordine e la sicurezza pubblica vengano meno”.
Ad esempio nel caso di una reale assenza di derrate alimentari sui banchi dei supermercati, o dei carburanti alle stazioni di servizio. Se davvero la circolazione delle merci verrà bloccata per 5 giorni in tutto il paese, questo avrà ripercussioni molto dure in termini di approvvigionamenti alimentari, come accaduto in Sicilia con la protesta dei Forconi. E procurerà forti turbolenze anche a livello internazionale, bloccando di fatto anche il movimento merci provenienti dall’estero. A quel punto, potrebbe verificarsi una frizione tra il potere e il movimento. Cosa starebbe dietro alla tolleranza totale di questo fenomeno sarà il grande interrogativo alquale dovremo rispondere nel caso in cui gli esiti della mobilitazione fossero quelli sperati dal movimento.Soprattutto per capire fino a dove le forze dell’ordine, che in larghi settori sembrano attratte da questa mobilitazione contro-rivoluzionaria, si potranno spingere nel fiancheggiare i loro seduttori. Non sempre per manifestazioni di questo genere è andata allo stesso modo: i pastori sardi hanno subito più volte la repressione poliziesca, mentre i Forconi hanno bloccato senza nessuna tensione significativa con il corpo di polizia.
Se a queste ambiguità aggiungiamo il fatto che serpeggia, a dire il vero neanche in maniera tanto velata, un odio nazionalista contro gli immigrati, possiamo davvero chiudere il cerchio. Lucio Chiavegato, in un suo celebre post su facebook intitolato “Dopo aver visto...”, elenca tutta una serie di scandali del paese (politici corrotti, comunisti con gli yatch, violentatori di donne lasciati liberi, sindacati venduti al potere, ecc...), tra cui anche “zingari ladri difesi dalle alte cariche di stato, extracomunitari clandestini mantenuti nostre spese”, invitando tutti,
proprio perché tutto ciò l’abbiamo visto, a ribellarsi. (http://bastacasta.altervista.org/p7284/)
Dunque, tirando le somme: sovranità monetaria con il ritorno alla Lira, sovranità nazionale con il rifiuto di tutti i trattati europei, stato d’eccezione e dittatura delle forze dell’ordine per cacciare via i politici, e difesa dell’identità nazionale contro immigrati e zingari. Ci manca solo l’avvio del campo di concentramento per i dissidenti e abbiamo fatto quadrare il cerchio! Chiaramente è altamente improbabile che le cinque giornate di dicembre riescano in una tale impresa. Ma non è detto che la manifestazione possa attecchire in uno spazio più largo di quello che in questo momento è possibile aspettarsi. La populizzazione di interessi corporativi, facendo ricorso al facile discorso contro la casta, ben preparato da anni di qualunquismo militante, potrebbe incistare in un corpo sociale spoliticizzato e neutralizzato contenuti di facile prensilità cognitiva, già in larga parte diffusi da alcune narrazioni destroidi proposteci in questo ventennio di regressione culturale (Lega in primis). Il “ritorno alla terra” potrebbe essere in questo senso uno schianto delle forze della democrazia reale contro un nuovo nemico interno: una base sociale che regredisce su un terreno esplicitamente reazionario, che apre un varco enorme alle ideologizzazione neo-fascista della società, mascherata da forme di costruzione del discorso politico che si reggono sull’affermazione del popolo sovrano, preso nella sua astrattezza e neutralità.
Non a caso Forza Nuova ha immediatamente emesso un comunicato della propria direzione nazionale, aderendo formalmente alla “Rivolta dell’Immacolata” (come aveva tentato di fare anche nel caso dei soli Forconi): "Forza Nuova aderirà alla protesta dei lavoratori italiani che inizierà la notte dell' 8 dicembre e si protrarrà attraverso una serie di manifestazioni e di blocchi in tutta Italia. Sulla scia, infatti, di ciò che avvenne due anni fa in Sicilia e in tutto il centro-sud, agricoltori, autotrasportatori, commercianti, imprenditori e disoccupati scenderanno di nuovo in
piazza, a partire dall' 8 dicembre, con le loro specifiche rivendicazioni, e con alcune richieste fondamentali che saranno il comune denominatore di questa lotta: la sovranità monetaria, l' eliminazione delle accise sulla benzina e il blocco dei provvedimenti esecutivi di Equitalia [...] Sarà una protesta che esploderà con la sua veemenza interclassista, sociale, per la difesa della ricchezza, delle libertà e della dignità del popolo italiano, nello stesso momento in cui con incredibile noncuranza e cinismo, il Governo programma aumenti di tasse, benzina ed Imu, in attesa dell' ulteriore mazzata dei 50 miliardi previsti per il Fiscal Compact, approvato in modo univoco da tutto il Parlamento [...]. Forza Nuova chiede dunque a tutti i suoi dirigenti e militanti di partecipare attivamente allo sciopero generale che inizierà nella notte dell' 8 dicembre, dando supporto senza simboli di partito, ma da Italiani orgogliosi di sventolare la bandiera della Rivoluzione." Questa prateria sociale, già più volte inquinata con i semi cattivi del razzismo e della xenofobia e del patriottismo retrogrado, può diventare un terreno fertile per questo tipo di ideologie rabbiose e violente, cheattraverso schemi facili e l’individuazione dei nemici più deboli, può innescare un revanscismo su scala nazionale ancora più dannoso di quello prodotto dal populismo di Grillo.
L’idea di un blocco sociale interclassista e identitario è un’idea tipicamente populista, se non fascista. Come lo è l’idea dello stato d’eccezione e del governo dei militari. Questo contributo cattivo, che riprende lo schema narrativo della destra xenofoba e autoritaria, può germogliare nei mille rivoli di una società incancrenita e già fastiscizzata da numerosi punti di vista.
Ironia della sorte, la legittimazione di questo percorso politico arriva, nella sua forma più ideologicamente odiosa, proprio da un movimento che si dichiara di sinistra e che da tempo bazzica intorno a questo genere di mobilitazioni, ovvero il “Movimento Popolare di Liberazione”, organizzazione guidata dall’ “intellettuale” Moreno Pasquinelli, ex Campo Antimperialista.
Insieme all’associazione Socialismo Nazionale e al coordinamento Resistenza Italiana, Mpl è il volto sinistro della mobilitazione. In tutti e due i sensi: sinistro in quanto formalmente si adagia sulle ceneri del movimento operaio, cercandolo forzatamente in ogni dove, e sinistro nel senso dell’ambiguità della sua collocazione storico-politica. Non comprendiamo, infatti, come un’organizzazione di sinistra possa ignorare che la formazione di un simile discorso contribuisce enormemente all’acuirsi di ciò che la lotta di classe deve sforzarsi di rimuovere: la guerra tra poveri, quella tra gli italiani poveri e gli immigrati poveri su tutte. Una forza di sinistra non può sostenere con tale abnegazione le ragioni di una lotta che nasce corporativa e che si proclama non solo popolare ma interclassista, proponendo una visione grillina dello spazio politico, nel quale si muoverebbe un corpo sociale omogeneo che, in maniera differente nella forma, viene
sostanzialmente privato dei propri diritti dalla casta politico-finanziaria, ignorando totalmente numerose analisi anche molto discusse sul fenomeno del populismo trattato da sinistra (vedi ad esempio il lavoro dei Wu Ming, Ma con una serie di acrobazie retoriche, l’ideologo Pasquinelli è riuscito a inventarsi una giustificazione per la presenza delle forze di sinistra in questa piattaforma politica da un punto di vista “marxista” e “di classe”.
L’Mpl spiega di aver sostenuto il M5S alle elezioni politiche perché, in primo luogo, avrebbe dato “forza e coraggio al popolo lavoratore” facendolo “uscire dall’apatia e dallo stato d’impotenza”, e in secondo luogo perché dopo la “spallata elettorale” dei 5 Stelle sarebbe venuta quella “sociale” che, con leninistica preveggenza, viene chiaramente individuata nella mobilitazione del 9 dicembre. Secondo l’Mpl a sostegno della propria analisi ci starebbe proprio un passo decisivo di Lenin sul ruolo della piccola borghesia nel processo rivoluzionario: “il compito dei rivoluzionari è di stare accanto a questi settori sociali che si ribellano, di innervare questo movimento di
idee a proposte adeguate. Solo da dentro, eventualmente sulle barricate, dando l'esempio di determinazione e intelligenza tattica, portando la nostra esperienza, si conquista la fiducia di chi lotta, si possono far viaggiare le idee giuste, così contrastando gli avventurieri e i demagoghi reazionari che fanno capolino”.Insomma, ancora non siamo arrivati alla rivoluzione del 1917, siamo ancora a quella del 1905, ovvero nel momento in cui dobbiamo sostenere la rivoluzione democratico-borghese che si esprime con “una serie di lotte di tutte le classi, i gruppi e gli elementi scontenti della popolazione”. E proseguendo con l’interpretazione antistorica e ideologica di Lenin citano anche questo passo: “v'erano tra di essi masse con i pregiudizi più strani, con i più oscuri e fantastici scopi di lotta, v'erano gruppi che prendevano denaro dai giapponesi, speculatori e avventurieri, ecc. Obiettivamente, il movimento delle masse colpiva lo zarismo e apriva la strada alla democrazia, e per questo gli operai coscienti lo hanno diretto” [V. I. Lenin, Luglio 1916]Oggi dunque, analogamente al 1905, quella del 9 dicembre “sarà oggettivamente una rivoluzione popolare e democratica contro il regime dell'euro-dittatura, per rovesciare il sistema oligarchico e plutocratico”.
Ma l’Mpl va oltre. E non solo riesce a includere nella storia del movimento operaio una manifestazione che parte socialmente – per loro stessa ammissione – come una costruzione di “strati della piccola borghesia”, ma cercano di ricondurre la loro presenza ad un chiaro intento antifascista. Nella parte successiva del comunicato di adesione, dopo aver ammesso che i gruppi neofascisti come Forza Nuova parteciperanno alla “rivoluzione nazionale”, con un tono di indignazione i membri di Mpl scrivono: “4 dicembre. C’era da aspettarselo.
I fascisti di Forza Nuova hanno diffuso ieri un comunicato col quale dicono di aderire alla mobilitazione popolare del 9 dicembre. Siamo davanti ad una provocazione politica, al tentativo disperato di una setta che annaspa nell’isolamento per ottenere visibilità e fare proselitismo”.E certo che c’era da aspettarselo. Dopo aver giustificato le contraddizioni del movimento, ci si sorprende che in una piattaforma di rivendicazioni di carattere corporativo e con uno spirito nazional-populista facciano capolino i gruppi neofascisti, che non predicano altro che sovranità nazionale, sovranità monetaria e sovranità alimentare, i tre capi saldi della mobilitazione del 9 dicembre! Bisognerebbe chiedersi, semmai, chi sia il corpo estraneo, la new entry del momento!
Sorprende con quanta facilità alcune organizzazioni politiche della sinistra di questo paese, incapaci di interpretare i processi storici in atto, cerchino di fare esattamente le stesse cose che fanno i fascisti: una “provocazione politica”, simbolo di un “tentativo disperato di una setta che annaspa nell’isolamento per ottenere visibilità e fare proselitismo”.
A queste condizioni non c’è d’aspettarsi altro che il Nazional – Socialismo.
Alla fine appare altrettanto disperato il tentativo di ricoprire di eroismo un percorso politico che mette a tacere le obiezioni ideologiche e storiche distorcendone il senso profondo, in nome di un opportunismo politico degno di questo nome: “Prendere la distanze dalla mobilitazione, giungere alla follia di denunciarla come “fascista” (come alcuni sciagurati hanno fatto) è esattamente ciò che Forza Nuova si augura per avere campo libero. Significa in poche parole fare il gioco dei fascisti e delle forze occulte che li manovrano”.
Insomma, l’Mpl invita tutti noi a fare questo salto nel buio della tormenta sociale, perché solo attraverso questa frattura temporale, nel divenire politico che questa lotta può inaugurare, sarà possibile condurre le masse sociali verso la retta via del socialismo nazionale, contro l’austerità. Insomma, lo stalinismo versione digitale 2.0, che contraddice, fino al punto di rendersi ridicolo,il senso autentico della recente esperienza sociale dei movimenti territoriali e metropolitani di tutta Europa, che va verso l’alleanza euro-mediterranea, per proclamare il diritto all’autogoverno dal basso dei territori senza rispolverare i fasti del patriottismo nazionale, né in chiave ideologica, né in chiave strategica.
Le forze sociali che hanno costruito fino ad oggi l’opposizione dal basso al neoliberismo partono tutti dalla consapevolezza che un ritorno allo Stato è quanto di più rischioso oggi, vista la necessità di un contropotere dal basso che faccia della democrazia reale e partecipativa i propri capisaldi. Lo Stato è una struttura esausta, che va rimodellata dai conflitti sociali e dalla riappropriazione concreta e immediata di un welfare sottrattoci attraverso la legge dell’austerità. Cosa uscirà fuori solo le lotte potranno deciderlo. Un passaggio della lotta
è sicuramente quello di smascherare i falsi percorsi di liberazioni, i populismi e i mascheramenti di forze politiche autoritarie che, in nome del “popolo unito”, vogliono stringere un nuovo cappio al collo di una società già brutalizzata da tanto nazionalismo, razzismo e populismo. In questo passaggio rientra anche lo sforzo di pensare un’alternativa anche in nome della parte avversa, non concependo attualmente tutto il blocco imprenditoriale in lotta come rappresentanti di una classe omogenea, riferibile tout court al “mondo padronale”. Chiaramente anch’io ritengo che finanziare l’impresa oggi sia un errore. Non perché non bisogna trovare delle forme per salvare le migliaia di persone che oggi stanno chiudendo i battenti (magari bloccando sfratti e pignoramenti, rinegoziando i debiti, ecc..), ma perché non
credo che l’impresa possa più rispondere ai bisogni sociali che le lotte dal basso stanno esprimendo: più che finanziare il privato affinché tenga in vita artificialmente qualcosa che da sé non sta più in piedi, è meglio universalizzare le forme di protezione sociale (Reddito di Cittadinanza e Diritto alla Casa su tutti) in modo tale che siano direttamente i cittadini a scegliere quali attività economiche sostenere, non rinunciando alla funzione di orientamento tipica di ogni proposta politica (ad esempio è meglio sostenere l’agricoltura locale biologica che i prodotti industriali). L’impresa può salvarsi solo se si salvano le unità minime di ogni società:
le persone in carne ed ossa. Se la gente ha una dotazione di reddito a propria disposizione a prescindere dal lavoro anche i produttori potranno usufruirne.
Un’alternativa alla riaffermazione anacronistica dell’impresa esiste. E’ nostro compito ricercarla in ogni dove.
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