Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

domenica 24 maggio 2015

La guerra del fox-trot e del ragtime

Luciano Granieri.

 Il 24 maggio di cento anni fa l’Italia entrava in guerra. La Grande guerra ,la prima guerra mondiale. Una carneficina  con 17 milioni di morti e 20 milioni di feriti i cui vincitori e vinti risultarono  i soliti di ogni conflitto. A vincere sempre  sono gli interessi imperialisti capitalistici e perdere sempre sono i popoli. In alcuni casi però, si producono degli effetti collaterali. Capita  che, gli stessi popoli  -destinati ad essere dilaniati e a combattersi in nome di finti ideali necessari a mascherare i veri obbiettivi che muovono gli imperi  economici a creare la guerra – solidarizzino  sulla scia di strani accadimenti sociali e culturali. Conseguenze non volute da chi la guerra anima e promuove.  Ciò è accaduto in Italia anche durante la prima guerra mondiale. A causa del conflitto mezza Italia venne  a sapere  che oltre ai valzer, alle polche, alle mazurche,  esistevano anche il ragtime, il blues  e il fox-trot.  Una folgorazione che valicò le alpi non grazie a valenti musicisti, ma a uomini in divisa, che insieme  alle armi portavano nei loro zaini trombe, tromboni e qualche banjo.  Erano i soldati americani  delle forze di Spedizione in Europa, guidate  dal generale John Joseph Pershing. Formazione che avrebbero preso parte alla guerra a fianco di Italia e Francia. Questo valente generale, nato nel 1860, probabilmente a sua insaputa,   fu una figura importante per la diffusione della musica jazz. Infatti non solo fu il primo americano a portare il jazz in Italia ma la presenza del suo esercito a New Orleans, porto d’imbarco per l’Europa, causò la chiusura del quartiere a luci rosse di Storyville. Proprio nei locali di questo quartiere si esibivano allora  i  jazzisti pionieri  di New Orleans, i quali,  non avendo più palcoscenici da cui esibirsi emigrarono verso il nord provocando  così la diffusione del jazz in tutti gli Stati Uniti. Curiosa ed emblematica, in questo senso la storia di Vittorio Spina. Un ragazzino dodicenne che nel 1917 venne a contatto con il sergente Griffith dei marines, direttore a Roma, per molti mesi di un’orchestra di militari il cui repertorio era formato da celebri ragtimes e fox-trots.  Spina era un promettente  chitarrista e grazie agli americani scoprì il banjo. E’ lui stesso che ci racconta come accadde in un’intervista raccolta nel 1962 dal critico e scrittore Adriano Mazzoletti:

” A Roma erano arrivate le truppe americane e questi soldati avevano formato un’orchestra che faceva le prove alla’YMCA in Via Francesco Crispi. Il capo di questa orchestra era un sergente si chiamava Griffith. Insomma mi ci sono messo subito dietro e andavo sempre a sentirli suonare . In questa orchestra c’era un soldato americano che suonava il banjo, ma io non sapevo che strumento fosse. Così cominciai a fare un po’ di indagini su quelle quattro corde. Pesai come sarà accordato?  Se è accordato  come la chitarra allora  è facile perché io a quel tempo suonavo questo strumento, ma proprio non riuscivo a capire. A un certo punto pensai, come è accordato è accordato. Sai io da piccolo ero un paraculo, mi avvicinai e gli dissi” Sai anch’io suono il banjo; me lo fai provare?”. Il capo dell’orchestra disse di farmi provare e mi chiese che pezzo sapevo fare. Io che avevo orecchio…dissi subito “quello di prima” e cominciai a suonare, ma non venne fuori niente . Alla fine loro mi chiesero di suonare qualcosa che sapevo e allora le cose cominciarono ad andare meglio. Così entrai in amicizia; mi dettero del cioccolato, sigarette, insomma mi rianimarono un po’! A casa mia si saltavano i pasti. Mio padre era morto da poco e non si vedeva una lira. Insomma, questi americani  furono la mia salvezza, perché qualche giorni dopo  vennero a cercarmi per invitarmi a lavorare per loro , andare a prendere la posta, fare qualche piccola commissione . Figurarsi con tutto quel ben di Dio! E poi c’era l’orchestra e io sempre li ad ascoltarla, a cercare di capire come faceva questo con il banjo. Un bel giorno questo suonatore fu trasferito e il sergente Griffith mi chiese se volevo suonare con loro. Figurarsi un po’! Fecero venire un altro strumento e io due volte alla settimana, suonavo con questa orchestra americana per il ballo, alla sala Picchetti in via del Bufalo.  Era una vera e propria grande orchestra: trombe, tromboni, sassofoni e suonavano tutti pezzi in voga all’epoca: Havana, Kalua, Original Fox Trot. Di improvvisazione non se ne parlava, era tutta roba scritta, ma erano tutti pezzi che venivano dall’America , che questo Griffith trascriveva. E la gente ballava e si divertiva. Però poteva entrare  solo chi aveva l’invito: tutti nobili, aristocrazia, tutta gente altolocata. Insomma io mi sono divertito a suonare con questa orchestra e dopo un anno ero diventato bravo”

In che modo Spina suonasse il banjo con l’orchestra dei militari americani è difficile stabilirlo. Indubbiamente questo chitarrista fu musicista istintivo dotato di grandi capacità di assimilazione. Si può pensare dunque che seppe adattarsi con facilità alla nuova musica, sotto la guida del pianista Griffith e degli altri musicisti dell’orchestra le cui doti non sarà mai possibile giudicare,  ma che vien fatto di pensare, saranno state  migliori di chiunque altro in Italia tentasse, in quella stessa epoca, di affrontare le prime partiture  ragtimes e fox-trot. Per questa ragione, e per le sue indubbie doti naturali, Spina riuscì ad essere poi uno dei migliori musicisti della sua epoca.


Informazioni tratte del testo: Il jazz in Italia di Adriano Mazzoletti edizioni Laterza



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