Il 24 maggio di cento
anni fa l’Italia entrava in guerra. La Grande guerra ,la prima guerra mondiale.
Una carneficina con 17 milioni di morti
e 20 milioni di feriti i cui vincitori e vinti risultarono i soliti di ogni conflitto. A vincere sempre sono gli interessi imperialisti capitalistici
e perdere sempre sono i popoli. In alcuni casi però, si producono degli effetti
collaterali. Capita che, gli stessi
popoli -destinati ad essere dilaniati e
a combattersi in nome di finti ideali necessari a mascherare i veri obbiettivi
che muovono gli imperi economici a
creare la guerra – solidarizzino sulla
scia di strani accadimenti sociali e culturali. Conseguenze non volute da chi
la guerra anima e promuove. Ciò è
accaduto in Italia anche durante la prima guerra mondiale. A causa del
conflitto mezza Italia venne a sapere che oltre ai valzer, alle polche, alle
mazurche, esistevano anche il ragtime,
il blues e il fox-trot. Una folgorazione che valicò le alpi non grazie
a valenti musicisti, ma a uomini in divisa, che insieme alle armi portavano nei loro zaini trombe,
tromboni e qualche banjo. Erano i
soldati americani delle forze di
Spedizione in Europa, guidate dal
generale John Joseph Pershing. Formazione che avrebbero preso parte alla guerra
a fianco di Italia e Francia. Questo valente generale, nato nel 1860,
probabilmente a sua insaputa, fu una figura importante per la diffusione della
musica jazz. Infatti non solo fu il primo americano a portare il jazz in Italia
ma la presenza del suo esercito a New Orleans, porto d’imbarco per l’Europa, causò
la chiusura del quartiere a luci rosse di Storyville. Proprio nei locali di
questo quartiere si esibivano allora i jazzisti pionieri di New Orleans, i quali, non avendo più palcoscenici da cui esibirsi
emigrarono verso il nord provocando così
la diffusione del jazz in tutti gli Stati Uniti. Curiosa ed emblematica, in
questo senso la storia di Vittorio Spina. Un ragazzino dodicenne che nel 1917 venne
a contatto con il sergente Griffith dei marines, direttore a Roma, per molti
mesi di un’orchestra di militari il cui repertorio era formato da celebri
ragtimes e fox-trots. Spina era un
promettente chitarrista e grazie agli
americani scoprì il banjo. E’ lui stesso che ci racconta come accadde in un’intervista
raccolta nel 1962 dal critico e scrittore Adriano Mazzoletti:
” A Roma erano arrivate le truppe americane
e questi soldati avevano formato un’orchestra che faceva le prove alla’YMCA in
Via Francesco Crispi. Il capo di questa orchestra era un sergente si chiamava
Griffith. Insomma mi ci sono messo subito dietro e andavo sempre a sentirli suonare
. In questa orchestra c’era un soldato americano che suonava il banjo, ma io
non sapevo che strumento fosse. Così cominciai a fare un po’ di indagini su
quelle quattro corde. Pesai come sarà accordato? Se è accordato come la chitarra allora è facile perché io a quel tempo suonavo
questo strumento, ma proprio non riuscivo a capire. A un certo punto pensai,
come è accordato è accordato. Sai io da piccolo ero un paraculo, mi avvicinai e
gli dissi” Sai anch’io suono il banjo; me lo fai provare?”. Il capo dell’orchestra
disse di farmi provare e mi chiese che pezzo sapevo fare. Io che avevo orecchio…dissi
subito “quello di prima” e cominciai a suonare, ma non venne fuori niente .
Alla fine loro mi chiesero di suonare qualcosa che sapevo e allora le cose
cominciarono ad andare meglio. Così entrai in amicizia; mi dettero del
cioccolato, sigarette, insomma mi rianimarono un po’! A casa mia si saltavano i
pasti. Mio padre era morto da poco e non si vedeva una lira. Insomma, questi
americani furono la mia salvezza, perché
qualche giorni dopo vennero a cercarmi
per invitarmi a lavorare per loro , andare a prendere la posta, fare qualche
piccola commissione . Figurarsi con tutto quel ben di Dio! E poi c’era l’orchestra
e io sempre li ad ascoltarla, a cercare di capire come faceva questo con il
banjo. Un bel giorno questo suonatore fu trasferito e il sergente Griffith mi
chiese se volevo suonare con loro. Figurarsi un po’! Fecero venire un altro
strumento e io due volte alla settimana, suonavo con questa orchestra americana
per il ballo, alla sala Picchetti in via del Bufalo. Era una vera e propria grande orchestra:
trombe, tromboni, sassofoni e suonavano tutti pezzi in voga all’epoca: Havana,
Kalua, Original Fox Trot. Di improvvisazione non se ne parlava, era tutta roba
scritta, ma erano tutti pezzi che venivano dall’America , che questo Griffith
trascriveva. E la gente ballava e si divertiva. Però poteva entrare solo chi aveva l’invito: tutti nobili, aristocrazia,
tutta gente altolocata. Insomma io mi sono divertito a suonare con questa
orchestra e dopo un anno ero diventato bravo”.
In che modo Spina suonasse
il banjo con l’orchestra dei militari americani è difficile stabilirlo.
Indubbiamente questo chitarrista fu musicista istintivo dotato di grandi
capacità di assimilazione. Si può pensare dunque che seppe adattarsi con
facilità alla nuova musica, sotto la guida del pianista Griffith e degli altri
musicisti dell’orchestra le cui doti non sarà mai possibile giudicare, ma che vien fatto di pensare, saranno state migliori di chiunque altro in Italia tentasse,
in quella stessa epoca, di affrontare le prime partiture ragtimes e fox-trot. Per questa ragione, e
per le sue indubbie doti naturali, Spina riuscì ad essere poi uno dei migliori
musicisti della sua epoca.
Informazioni tratte del testo: Il jazz in Italia di Adriano Mazzoletti edizioni Laterza
Nessun commento:
Posta un commento