La vicenda di “mafia capitale” è solo il brufolo putrido eruttato
sulla superficie del “nuovo” che avanza.
Quello che non è riuscito in vent'anni a Berlusconi ed al
tecnokiller Monti, lo sta realizzando Renzi con una pratica politica
autoritaria che non può neanche definirsi plebiscitaria (infatti nessuno lo ha
eletto).
A colpi di leggi delega, con cui un Parlamento di nominati abdica al
suo ruolo, il governo sta portando a casa una serie coordinata di “novità” -
dallo “Sbocca Italia”, alla riforma della Pubblica Amministrazione; dalla
Madia, alla nuova disciplina degli appalti – grazie alle quali il complesso dei
diritti di cittadinanza, quei diritti riconosciuti dalla stessa Costituzione
Repubblicana e a cui lo Stato – che per questo può avvalersi dell'attributo di
“sociale” - fa fronte con i servizi pubblici, quei diritti di cittadinanza,
cessano di essere diritti per trasformarsi in bisogni cui i cittadini dovranno
trovare soluzione sul mercato e alle condizioni del mercato.
Questa vera e propria mutazione genetica del patto sociale che
giustifica il vivere comune riguarda tutti e tutti i servizi, dalla scuola,
alla sanità; dai trasporti alle reti dell'acqua, della luce e del gas; dai
servizi sociali a quelli per l'infanzia, con una riduzione a merce non solo dei
beni comuni, ma del benessere se non della stessa vita delle persone.
In questa ermergenza democratica, sociale e culturale, i referendum
sull'acqua del 2011 hanno rappresentato l'unico baluardo che si è dimostrato in
grado di frenare efficacemente questo disegno, con due bocciature da parte
della Corte Costituzionale di due distinti tentativi di privatizzazione dei
servizi pubblici portati avanti da Berlusoni, prima, e da Monti, poi.
Renzi ha semplicemente evitato di agire direttamente ma con il
combinato disposto delle diverse misure, stà portando a casa il risultato.
Nel deserto in cui le truppe dei rottamatori dei diritti di
cittadinanza avanzano, si ha la ventura che nel Lazio queste truppe si trovino
a dover fare i conti con un'asperità, piantata in nome e grazie ai 27 milioni
di cittadini che nel 2011 hanno votato ai referendum, che rischia di infilare
il classico granello di sabbia nel ben oleato ingranaggio del profitto: la
legge regionale 5 del 2014, ovvero
l'unica legge di iniziativa popolare mai approvata in Italia.
L'affare è grosso, parliamo della messa a profitto di un bene
indispensabile alla vita, parliamo dell'acqua.
L'affare prevede che il paese sia spartito in quattro multiutility e
la parte del leone spetta ad ACEA S.p.A. (in cui il Comune di Roma si appresta
a cedere un ulteriore 20% delle quote), cui tocca la gestione di Toscana,
Umbria, Lazio, Campania, Molise, Basilicata e Puglia; che ha già fatto i conti
del ritorno finanziario dell'operazione; che già sperimenta in Publiacqua di
Firenze le modalità di gestione.
E' un affare a nove zeri … altro che “mafia capitale”!
Per poter realizzare l'operazione ACEA S.p.A. ha bisogno che, come
in Toscana, nel Lazio si faccia un ATO unico, con un'agenzia che veda gli
stessi sindaci ridotti a postulanti con diritto di tribuna.
Ma c'é la legge 5/2014, quella che rispetta la volontà popolare e
che va in direzione ostinata e contraria, quella che riporta le decisioni nei
consigli comunali con la partecipazione ed il controllo dei cittadini.
Da oltre un anno il consiglio regionale, che quella legge ha
approvato all'unanimità, non è messo nelle condizioni di renderla applicabile
definendo i nuovi Ambiti di Bacino Idrografico ed adottando le forme
democratiche e partecipate di governo.
Di questo le risponsabilità ricadono per intero sulla giunta
regionale che, tra gli interessi forti del capitale e gli interessi diffusi di
cittadini e comuni, sceglie di non decidere aspettando che sia l'azione del
governo a rottamare la volontà popolare e con questa la legge regionale 5/2014.
Mai come in questo caso “si dice acqua ma significa democrazia”:
questa non è una semplice questione del movimento dell'acqua, è il punto di
resistenza che è dato a tutti per rivendicare i diritti di cittadinanza.
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