L’organizzazione
sanitaria della provincia di Frosinone nel settore ospedaliero e in quello
territoriale, ha visto un lento e progressivo impoverimento ed un venir meno
alla capacità di far fronte ai bisogni di salute della nostra popolazione. Dai
tempi della giunta regionale presieduta
da Badaloni ad oggi, sono state chiuse importanti strutture ospedaliere come
Isola del Liri, Arpino, Ceprano, Ferentino, Veroli, fino ad arrivare alle
decisioni assurde ed improvvisate, fantastiche,
della giunta presieduta dall’On. Polverini, alle quali hanno fatto
seguito la chiusura di strutture ospedaliere che avevano un radicamento storico
nel territorio ed avevano fama di luoghi di cura efficienti e capaci, come
Atina, Ceccano, Pontecorvo ed Anagni. Queste strutture erano punti di
riferimento di popolazioni di vaste zone della Ciociaria come l’alta e bassa
valle del Liri, la valle di Comino e la
zona nord della provincia, che serviva anche la zona sud della provincia di
Roma.
Occorre
rilevare e sottolineare che la chiusura di queste strutture ed il
ridimensionamento o la chiusura di reparti negli ospedali di Cassino, Sora e
Frosinone, non hanno apportato alcun miglioramento. Il caos organizzativo è
stato consequenziale anche al fatto che non si è avuta la capacità di elaborare
un atto aziendale adeguato alle necessità e ai bisogni di salute. Nella ASL di
Frosinone vige ancora l’atto aziendale del 29 maggio 2004. Tutti i cambiamenti,
le soppressioni, le chiusure delle strutture ed il ridimensionamento di taluni
servizi territoriali sono dovuti all’improvvisazione o alla necessità di
interventi dovuti alla protesta dei cittadini.
Le conseguenze sono state
catastrofiche:
1)
Drammatica riduzione dei posti letto.
Il numero dei posti per acuti nella
provincia di Frosinone è ben al di sotto dello standard nazionale: 2,4 posti
letto / per mille abitanti in Ciociaria, rispetto a 4 posti letto / per 1000 ab.
previsti dalla normativa. La nostra provincia è perciò in credito di posti letto
ed ha assolutamente bisogno di investimenti per sanare questo vuoto, causa
attuale di disagi e drammi quotidiani.
2) Non si è
costruita una organizzazione sanitaria territoriale adeguata. Non si è modernizzata l’organizzazione dei
medici di famiglia innovandone il ruolo, i compiti e la loro collocazione.
3) Non si sono
create unità di eccellenza, efficienza e qualità. Ciò ha senz’altro
favorito la mobilità passiva, che ogni anno costa alla ASL 80/100 milioni di euro.
4) La gestione delle ASL è stata sempre caratterizzata
dal clientelismo e dalla strumentazione politica. Le risorse umane e
finanziarie non sono state, perciò, finalizzate al miglioramento e al soddisfacimento della richiesta di
servizi efficienti e di qualità.
5) Le gestioni
che si sono succedute negli ultimi venti
anni nella ASL hanno volutamente trascurato la lotta agli sprechi e il recupero delle risorse, ivi compreso l’uso degli immobili di proprietà della ASL. Importanti
immobili sono oggi nel degrado e nell’abbandono (ex consultorio, ex INAM,
ecc.).
6) Le gestioni
della ASL hanno completamente e fortemente contrastato la partecipazione dei
cittadini, l’informazione e la
trasparenza.
In
conclusione le ASL non sono mai state case di vetro ma strumenti di potere molto
spesso occulto. Ciò ha impedito il crescere dell’organizzazione sanitaria tesa
al soddisfacimento dei bisogni e il raggiungimento di livelli qualitativi
soddisfacenti.
L’entrata
in funzione dell’ospedale di Frosinone aveva creato molte attese e molta
fiducia circa il miglioramento dell’organizzazione dei servizi sanitari
ospedalieri in tutta la provincia.
Secondo
gli impegni assunti dagli schieramenti di centro destra e centro sinistra in
occasione delle elezione regionali passate, l’ospedale del capoluogo doveva
divenire DEA di secondo livello (DCA 87/2009). Ciò avrebbe dovuto rappresentare
un vero salto di qualità in termini assistenziali per l’intera provincia di
Frosinone. Non è stato così. L’ospedale di Frosinone, ma anche gli ospedali di
Sora e di Cassino, non sono nemmeno adeguati a quanto prescrive la legge per i
DEA di I livello.
Infatti il DEA di I livello garantisce, oltre alle prestazioni fornite dagli
ospedali sede di Pronto Soccorso, anche le funzioni di osservazione e breve degenza, di rianimazione e,
contemporaneamente, assicura interventi diagnostici-terapeautici di medicina
generale, chirurgia generale, ortopedia e traumatologia, cardiologia con UTIC
(Unità di Terapia Intensiva Cardiologia). Sono inoltre assicurate le
prestazioni di laboratorio di analisi-cliniche e microbiologiche, prestazioni
trasfusionali, e di diagnostica per immagini.
Il DEA di II livello assicura, oltre alle prestazioni fornite dal DEA di I livello, funzioni di più alta
qualificazione legate all’emergenza, con la presenza di specialità quali la
cardiochirurgia, la neurochirurgia, la terapia intensiva neonatale, la
chirurgia vascolare, la chirurgia toracica. Altre componenti di particolare
qualificazione, quali le unità per grandi ustionati e le unità spinali, sono
collocate nei DEA di II livello, garantendo un’equilibrata distribuzione sia sul territorio regionale
che nazionale, ed una stretta interrelazione con le centrali operative delle
Regioni.
Il veto di assumere medici ed infermieri
ha portato ad uno sperpero di denaro senza precedenti. Il piano di
rientro ha rappresentato un alibi per gli amministratori regionali. Essi hanno
negato, infatti, alla nostra provincia investimenti mirati all’assunzioni di nuovo personale sanitario, di
stabilizzazione del personale esistente, di creazione di nuovi servizi
ospedalieri e territoriali, di acquisto di nuove e moderne attrezzature sanitarie.
A causa
di questo diniego, assurdo ed incomprensibile, tutto è diventato precario,
comprese le unità operative complesse di pronto soccorso negli ospedali rimasti.
I pronto soccorso sono ormai considerate bolge infernali senza diritti e
rispetto delle leggi. La promiscuità ed il disprezzo della dignità e della
riservatezza caratterizzano le soste o gli ammucchiamenti nei locali adiacenti
i pronti soccorsi ospedalieri.
Di fronte a questa situazione è necessario ed urgente intervenire con dei
provvedimenti che possano ripristinare legalità e diritti.
L’associazionismo
del capoluogo e della provincia ha espresso un impegno senza soluzione di
continuità, cercando il dialogo ed il confronto con l’unico scopo di migliorare
i servizi e la qualità delle prestazioni sanitarie, ma ha trovato sempre le
porte chiuse. Le dichiarazioni di intento del presidente Marrazzo, relative a
garantire l’intervento diretto dei cittadini, delle parti sociali e degli enti
locali nella programmazione sanitaria e nella verifica dei risultati, sono rimaste
lettera morta.
Parimenti
non è mai nato il tentativo di realizzare un vero e proprio bilancio sociale
partecipato e condiviso in termini di bisogni socio-sanitari
E
di costruzione di una solida rete territoriale così come previsto dalla
legislazione vigente.
Le proposte:
1) L’ospedale del capoluogo deve avere un ruolo di DEA di
secondo livello per una riconosciuta necessità di far fronte ai bisogni
sanitari della provincia.
2) L’organizzazione sanitaria, in ogni provincia del
Lazio, deve saper soddisfare in modo autonomo i bisogni di salute della sua
popolazione e del suo territorio. Il concetto di difesa di salute del cittadino
deve essere strettamente connesso alla difesa di salute del territorio e quindi
agli interventi necessari e urgenti per il risanamento ambientale.
3) In questo quadro, l’ organizzazione della sanità si pone come condizione primaria per il
rilancio dell’economia e dello sviluppo. Infatti nella nostra provincia non si
può pensare al decollo di una economia
turistica, alberghiera, montana, termale
ed agricola senza un’ efficiente qualità sanitaria. Le acque di Fiuggi sono
considerate, da sempre, miracolose per la salute dei reni. In questa importante
stazione termale potrebbe sorgere, con il contributo delle Università del
Lazio, un centro di ricerca e di cura per la patologie urologiche,
contribuendo, in modo serio, alla valorizzazione del territorio ed alla
ripresa.
4) Il cuore dell’organizzazione sanitaria deve essere
l’organizzazione dei servizi sanitari territoriali. Questi servizi devono
poggiare su un ruolo determinante dei medici di famiglia. L’attuale modo di
essere dei medici di famiglia è superato e rappresenta anche un parziale spreco
di risorse. Occorre procedere ad
un’innovazione profonda che adegui l’organizzazione dei medici di famiglia realizzando
strutture collegiali territoriali(h 24) adeguate ai tempi, senza bisogno di ulteriori
costi. L’organizzazione può trovare collocazione nelle strutture sanitarie dismesse
dove si continua a tenere accese illuminazione, riscaldamento e quanto altro. In
questo quadro occorre garantire a tutti i cittadini i tempi di accesso alle
prestazioni sanitarie, adeguate ai problemi clinici presentati. Questo
obbiettivo di primaria importanza per la tutela ed il rispetto dei fondamentali
diritti della persona va realizzato con urgenza, riducendo gli attuali
scandalosi tempi di attesa che minano anche il rapporto di fiducia verso il
sistema sanitario pubblico. E’ possibile ridurre i tempi di attesa e fornire
prestazioni adeguate e tempestive, incrementando la produttività dei medici
specialistici convenzionati e migliorando l’organizzazione dei servizi.
5)
Accanto ai medici
di famiglia dovrebbero trovare posto servizi socio sanitari realizzati secondo
convenzioni stipulate da Comuni e ASL, secondo quanto stabilisce la
legislazione vigente.
6) Il potenziamento dell’assistenza domiciliare (CAD)
porterebbe a un risparmio enorme dei
ricoveri ospedalieri e alla disponibilità dei posti letto. L’efficienza dei servizi sanitari
territoriali va, quindi, commisurata ad
un’indagine conoscitiva dei bisogni di salute di quei cittadini portatori di
patologia o di pluri-patologie croniche che non li rendono auto sufficienti.
7) La partecipazione delle associazione dei cittadini
deve diventare strumento di arricchimento della proposta sanitaria e del modo
di gestire e di fare sanità. La partecipazione deve essere vista anche come
momento di verifica e di controllo non solo della efficienza e della qualità
dei servizi ospedalieri locali, ma anche
come controllo del giusto impiego delle risorse umane e finanziare. Occorre
tener presente che la Sezione
regionale di controllo della Corte dei Conti evidenziava già nel 2007, nella
ASL di Frosinone: a) una situazione di diffusa irregolarità contabile; B) un
non corretto ed efficace uso delle risorse; c) un elevato rischio di permanente
squilibrio in bilancio;
Secondo i
pareri espressi ripetutamente da alti magistrati di Cassazione della Corte dei
conti nonché della Commissione
parlamentare d’inchiesta sulla
corruzione, la partecipazione è considerata unico strumento insostituibile per arginare
la corruzione, gli sprechi e il
clientelismo.
Una attenzione
particolare deve essere data anche ad
una informazione finalizzata alla rivalutazione ed al rilancio delle strutture
sanitarie pubbliche nonché alla conoscenza dei servizi che sono a disposizione dei
cittadini, inclusi gli orari, le specializzazioni, i nomi dei sanitari.
La trasparenza deve essere azione quotidiana. Non si
capisce perché ogni richiesta di dati diventa un segreto di stato. Si mettono
in atto resistenze inaudite ogni volta che un’associazione chiede di conoscere
un’informazione, un dato, una delibera. Va rielaborata, pertanto, una legge che
riguarda l’informazione,la partecipazione e la trasparenza che obbliga a fornire quanto si
chiede in tempi reali ( 24 ore) sia per le ASL che per i comuni.
Inoltre, tutti i dirigenti della ASL, annualmente,
andrebbero sottoposti alle valutazioni e
al giudizio dei cittadini e delle associazioni. Valutazioni e giudizi che
dovrebbero essere considerati
determinanti per il rinnovo del ruolo dirigente.
8) La lotta agli
sprechi e al recupero delle risorse umane e finanziare dovrebbe essere una costante e dovrebbe trovare espressione nella creazione di una struttura
composta da personale della ASL e da rappresentanti delle associazioni. In una
struttura come la ASL
di Frosinone gli sprechi ammontano a centinaia
di milioni l’anno. Ne sono testimonianza: l’acquisto incontrollato di
prestazioni aggiuntive, il lavoro straordinario, le spese legali, il contenzioso
con il personale e con l’esterno, il mancato funzionamento di tutti i
macchinari d’indagine strumentale esistente (come per esempio la TAC rimasta inoperante per
anni nell’ex Umberto I di Frosinone), lavori eseguiti non adeguati (come ad
esempio la stanza per la radioterapia di Sora), lavori eseguiti per milioni
euro in strutture sanitarie che in seguito sono state chiuse, assunzione di
personale che non è mai stato messo in grado di lavorare come è accaduto con
l’assunzione di un chirurgo cardio-vascolare nell’ospedale del capoluogo che
non è mai stato messo in grado di operare in quanto l’unità operativa complessa
di cardio-chirurgia non è mai decollata, insufficiente o scarsa verifica dell’appropriatezza
delle cure e delle prestazioni e dei ricoveri nelle strutture private
convenzionate, semplificazione e snellimento delle attività dirigenziali, spesso
conflittuali e contrapposte.
Risorse finanziarie importanti potrebbe essere
recuperate con l’abolizione del CUP. I centri di prenotazione potrebbero essere
gestiti da personale dipendente dei
comuni, mediante una stipula di convenzione tra ASL e comuni a livello di provincia, oppure tra regione e
associazione nazionale dei comuni a livello regionale. Si eviterebbero così
disagi enormi ai cittadini e in modo particolare alle persone non autosufficienti
per quanto riguarda le prenotazioni.
Rivalutazione degli immobili di proprietà della ASL sottraendoli
al degrado ed alla fatiscenza per restituirli ai cittadini per attività
sociali, culturali ed assistenziali in collaborazione con l’associazionismo.
L’organizzazione ospedaliera
L’organizzazione ospedaliera
deve poggiare su quattro poli geograficamente
omogenei:
1) Frosinone - Ceccano -
Alatri;
2) Anagni - Colleferro -
Ferentino (occorre tener presente, però, che questo centro, trovandosi a metà
strada tra Frosinone ed Anagni, gravita
su entrambi i poli.)
3) Sora - Atina;
4) Cassino - Pontecorvo.
Questa
organizzazione sanitaria ospedaliera rispecchia l’organizzazione della società
della nostra provincia. Sora, Cassino, Frosinone ed Anagni sono i comuni di
riferimento di una struttura economica, culturale, sociale, scolastica e quant’altro,
che si perde nella notte dei tempi. Vogliamo
sottolineare che nell’area dellaValle del Sacco, compresa tra i Comuni di :
Anagni, Colleferro e Ferentino potrebbe trovare collocazione, così come era stato
proposto dal presidente della giunta regionale Marrazzo, la costruzione di un
ospedale nuovo, collegato con una delle università romane, al servizio della
popolazione del sud della provincia di Roma e del nord di quella di Frosinone, che
servirebbe come filtro per gli ospedali
di Roma, che sono a loro volta in emergenza.
La
necessità di collegamento della struttura ospedaliera di Atina e Sora, è
dettata dal fatto che la Val
di Comino è zona popolosa e montana, difficilmente raggiungibile, in particolare
nei mesi invernali, in tempi brevi.
Un polo ospedaliero unico che accorpa le
strutture di Frosinone, Alatri e Ceccano deriva dalla esigenza di rimettere in piedi
importanti servizi, come quello della riabilitazione (cardiologica, traumatica,
post-operatoria) oggi completamente in mano ai privati. Le attività
riabilitative sono erogate attraverso un insieme di interventi in massima parte
da strutture afferenti alla sanità privata accreditata e solo i minima
parte da parte delle strutture
aziendali. Gli interventi riabilitativi
non risultano proposti secondo modalità di sinergia e di integrazione operativa e, nonostante il notevole impegno economico profuso nei
confronti di settori quali quelli della sanità privata, non vengono raggiunti
risultati operativi soddisfacenti. Nonostante la numerosità dei posti letto di
riabilitazione ospedaliere privata accreditata, permangono liste di attesa
eccessivamente lunghe che si ripercuotono sulla funzionalità dei reparti per
acuti, ritardando il turnover dei
ricoveri.
Per quanto riguarda il settore della
riabilitazione ambulatoriale i tempi di attesa sono scandalosamente lunghi e
gli utenti sono di fatto obbligati al ricorso alle strutture private con
notevole conseguente disagio economico.
In
diversi servizi ambulatoriali aziendali i tempi di attesa superano i 10/12 mesi
per determinate prestazioni riabilitative anche di basso impegno e non risulta
attivata alcuna modalità di integrazione operativa tra i vari servizi aziendali
o di prenotazione telefonica o telematica.
Persistono in tale contesto fenomeni sanitari abnormi estremamente onerosi per
la stessa azienda sanitaria, come il day hospital riabilitativo utilizzato
diffusamente per fruire di prestazioni di tipo ambulatoriale in strutture
private accreditate.
Le
attività di riabilitazione nella nostra provincia, nell’ambito del servizio
pubblico, gravemente deficitarie in passato, sono state ulteriormente
penalizzate raggiungendo un degrado in tutti i settori di intervento ed un
livello di insoddisfazione dell’utenza e degli stessi operatori mai registrato
prima.
Un
polo ospedaliero unico, al centro della provincia, permetterebbe
ancora
di allestire hospice e residenze sanitarie assistenziali, dove oggi predomina il
privato. Si potrebbero recuperare risorse finanziare importanti e dare
assistenza di qualità. Inoltre, c’è necessità di accorpamento delle strutture
ospedaliere di Frosinone, Ceccano e Alatri, per organizzare una rete diffusa di
day-hospital, day-surgery e di hospice per non intasare i ricoveri
ospedalieri.
Non bisogna trascurare il fatto che oggi i
Pronti Soccorso e le UOC di medicina sono intasate dalle richieste di ricovero
per pazienti anziani, portatori di pluripatologie e malati terminali.
La realizzazioni di Hospice e di una
efficiente rete di assistenza domiciliare potrebbe portare ad un notevole
recupero di posti letto e ad un recupero sostanziale di risorse finanziare.
Bisogna considerare che nella cultura del
cittadino è ormai consolidata l’abitudine di delegare all’assistenza sanitaria
gli ultimi momenti di vita del malato terminale.
Concludendo,
si vuole ancora sottolineare la necessità di interventi pubblici urgenti ed
efficaci per rilanciare la fiducia della gente nella sanità pubblica. In
particolare, gli interventi devono essere mirati per creare eccellenze nel
settore della cardiologia, della oncologia, della traumatologia e della chirurgia.
Occorre anche prevedere la necessità di un salto di qualità nella ematologia alla luce
dell’aumento progressivo della insorgenza di malattie del sangue.
Rapporto con la sanità privata
Le
strutture sanitarie private e la stipula di convenzioni di queste strutture con
la ASL , debbono
essere condizionate ad un impegno del privato a realizzare attività di indagine
e di cura integrative e non sostitutive
delle attività dei servizi sanitari pubblici.
Le
convenzioni, inoltre, dovrebbero prevedere l’abbattimento dei tempi di attesa
con l’erogazione dei servizi nei tempi previsti dalla legge. Finora non è
andata così.
a)
definisce,
nell’ambito della programmazione regionale, le linee di indirizzo per
l’impostazione programmatica delle attività dell’azienda unità sanitaria locale;
b)
esamina il
bilancio pluriennale di previsione e il bilancio di esercizio dell’azienda
unità sanitaria locale e rimette alla Giunta regionale le relative
osservazioni;
c)
verifica
l’andamento generale dell’attività dell’azienda unità sanitaria locale;
d)
contribuisce alle
definizione dei piani programmatici dell’azienda unità sanitaria locale;
e)
trasmette le
proprie valutazioni e propri
suggerimenti al direttore e alla Giunta regionale che sono tenuti a fornire
entro trenta giorni risposta motivata.
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