Giorgio Cremaschi
Grillo ogni tanto si sveglia, i costituzionalisti e i regimi negano la possibilità di farlo. Ma un referendum sui trattati europei, quindi anche sul'euro, è possibile. E va fatto, finalmente.
Adesso che la potenza mediatica di Grillo spinge il referendum sulla Europa, è solo sperabile che questa giusta proposta non finisca nel tritacarne mediatico e nel teatrino della politica.
Noi del movimento No Debito l'abbiamo chiesto da quasi due anni e ne discutiamo sabato prossimo a Roma con, tra gli altri, Luciano Vasapollo e Gianni Ferrara.
Una consultazione popolare sui trattati europei c' è già stata nel 1989, abbinata alle europee. Ora sarebbe giusto indire un referendum non tanto sull'Euro in quanto tale, ma su quei trattati che, come il fiscal compact, ci vincolano alle politiche di austerità.
Un referendum come quelli che si sono tenuti in altri paesi europei avrebbe un pregio di fondo: almeno per qualche momento e con un minimo di par condicio romperebbe la barriera di propaganda, chiacchiere e bugie che oggi impediscono ai cittadini italiani di farsi una propria idea su quanto sta davvero accadendo in Europa. Poi si potrebbe affrontare davvero la questione di come rompere la cappa dell'Euro, che produce da noi 40000 disoccupati al mese, centinaia di migliaia in tutta l'Europa del Sud.
Di un vero e pubblico confronto su questi temi ce ne sarebbe davvero bisogno, visto anche come è andato il dibattito al Senato sul vertice europeo e visto come ne sono stati informati i cittadini.
Il presidente del consiglio ha fatto un discorsetto sulla necessità di farsi valere e di far capire, immagino alla Germania che però per paura non è stata citata, che bisogna aggiungere la crescita alla austerità. Come ha detto la destra, bisogna andare in Europa a battere i pugni sul tavolo.
Tutto questo in concreto non vuol dire nulla, assolutamente nulla. Ma oggi su diversi quotidiani si esalta il successo del governo italiano perché a luglio ci sarà un summit dei ministri del lavoro sulla disoccupazione giovanile, ridicolo.
Intanto il ministro italiano fa capire che i soldi non ci sono, e avanti così.
Ma torniamo al Senato. Lì alla fine si è votato e non un solo grande telegiornale ha spiegato chi e come. Con il governo dei pugni sul tavolo ha votato anche la Lega, 5 stelle ha votato contro e SEL si è astenuta. Perché? Questo partito aveva presentato un ordine del giorno che chiedeva al governo di rinegoziare il fiscal compact. Letta l'ha seccamente respinto, ma ciononostante SEL non è riuscita a votare contro.
Penso che la notizia vera sia questa: il governo accetta in toto il fiscal compact, la Lega lo sostiene e solo il 5 stelle si oppone.
Questa notizia è stata invece ignorata dal regime informativo. Meglio parlare delle solite sceneggiate piuttosto che far capire ai cittadini che cosa è il fiscal compact e cosa vuol dire accettarlo.
Il 29 maggio si spera che l'Italia sia perdonata dalla procedura europea di infrazione per deficit pubblico eccessivo. Così, fanno capire governo e stampa, si potrà ricominciare ad investire... Falso.
Il vecchio parlamento ha inserito in Costituzione il pareggio di bilancio. Il che vuol dire che, consumati tutti i margini possibili, ogni anno bisogna togliere al paese circa 80 miliardi di euro solo per pagare gli interessi sul debito pubblico.
A questo il fiscal compact aggiunge dal prossimo anno la riduzione a rate ventennali dell'ammontare stesso del debito per la sua metà. Sono nuove cambiali di oltre 50 miliardi all'anno che si aggiungono a quelle sugli interessi. Insomma 130 miliardi che vengon tolti al paese, ai suoi servizi pubblici, ai suoi investimenti per uno scopo finanziario assolutamente improduttivo.
Se si pagano questi soldi tutti gli anni, non ce ne sono altri per il lavoro e dunque si faranno solo giochi di prestigio. Taglio qui e spendo là, prendo due e pago uno, tutto questo abbonderà, ancora di più nella propaganda, ma certo non ci saranno veri piani per il lavoro per la ripresa economica.
Se si accetta il regime del fiscal compact tutto il resto sono solo chiacchiere magari ben alimentate dal regime informativo.
Ben venga dunque un referendum, a causa del quale la fabbrica della disinformazione sia costretta almeno per poco a misurarsi con il pensiero e le notizie che ignora. I cittadini avranno qualche elemento in più per capire, organizzarsi, lottare, come avviene in tutto il resto d'Europa.
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