Siderurgico e industria automobilistica sono da sempre
considerati due settori
fondamentali per l’economia di
una Nazione. Ciò è probabilmente vero,
anche se tali attività industriali andrebbero ripensate per produrre secondo
procedure più consone ad uno sviluppo tecnologico continuamente in evoluzione ed orientato
verso un migliore utilizzo dell’energia
per quantità e qualità.
Le acciaierie della Hyundai Kia in Corea del Sud sono un tipico esempio di
come si possa produrre dell’acciaio molto evoluto, con processi produttivi a
basso impatto ambientale. Seguendo
questo ragionamento in Italia è obbligatorio
ritenere Ilva e Fiat indispensabili per lo sviluppo economico del
nostro Paese.
Ma siamo sicuri che ciò che vale in senso generale sia vero anche
in Italia? E' possibile
affermare che l’Ilva e la Fiat, in base
ai piani industriali e al loro modo di rapportarsi col tessuto economico e
sociale italiano, siano così
indispensabili? In un ipotetico bilancio, siamo scuri che le famiglie Agnelli e Riva con i loro manager
d’assalto abbiano contribuito allo sviluppo economico dello Stato, più di quanto lo Stato non abbia
contribuito al loro personale profitto?
Le domande sorgono spontanea proprio alla luce di quanto si è appreso in
questi giorni. Il nucleo tributario della guardia di finanza di Milano ha
sequestrato un miliardo e duecento
milioni ai Riva. Un tesoretto che i
fratelli Emilio e Adriano avrebbero sottratto all’azienda e posto sotto la
propria disponibilità personale facendolo transitare in vari paradisi fiscali
per poi farlo rientrare in Italia grazie
allo scudo fiscale di tremontiana
memoria.
Ricordiamo quando qualche
mese fa all’epoca dell’arresto di Emilio Riva per disastro ambientale si
calcolava che per rimettere a norma lo stabilimento di Taranto e renderlo
all’avanguardia come gli impianti della Hyundai Kia, sarebbero serviti tre miliardi e mezzo di euro. Se quel miliardo e due anziché essere finito
nelle capaci saccocce della famiglia Riva fosse stato investito per mettere a
norma lo stabilimento, metà del lavoro sarebbe già stato portato a termine e
probabilmente il mostro siderurgico, con nuove cocherie e altiforni all’avanguardia, avrebbe prodotto di più e
meglio senza uccidere la gente di Taranto.
Per non dire che su quel
miliardo e rotti lo Stato ne ha ricavato la miseria del 5% di tributi, ossia il
pagamento del privilegio di cui i
riciclatori ed evasori hanno goduto e godono per scudare i loro capitali fatti rientrare
dai paradisi fiscali. O meglio qualcosa i Riva hanno sborsato verso uomini di Stato, nel 2006 hanno finanziato la
campagna elettorale di Bersani e l’anno prima hanno foraggiato abbondantemente
Berlusconi.
Ma veniamo a Fiat. Dopo aver goduto da sempre di contributi
dallo Stato sotto varie forme, da ultimo gli eco incentivi, dopo aver
trasferito gran parte dei propri dipendenti su libro paga della collettività
con il ricorso alla cassa integrazione, dopo aver ridotto a carta straccia il
contratto di lavoro nazionale e
distrutto la rappresentanza sindacale, il signor Marchionne decide di spostare in Inghilterra la sede fiscale di una parte del gruppo. La FI Cbm, nuova
holding del gruppo quotata a Wall Street , che assorbirà Fiat industrial e
Cnh , verrà domiciliata nella City dopo aver sfruttato i paradisi fiscali delle Antille olandesi. L’operazione consentirà a Fiat di
risparmiare ogni anno almeno 564 milioni di euro. Gettito fiscale che verrà a
mancare nelle disastrate casse del nostro Bel Paese.
Facendo due conti in pochi giorni abbiamo
realizzato che Ilva e Fiat stanno sottraendo alla collettività quasi due
miliardi. Con tali entrate trovare il miliardo per rifinanziare parzialmente la
cassa integrazione in deroga sarebbe stato un gioco da ragazzi . Ma questa non
è che la punta dell’iceberg, perché
molte altre grandi aziende e banche (l’ultima è Mediolanum) hanno contenziosi aperti con il fisco per
miliardi di euro.
Basterebbe quindi impegnarsi a risolvere questi
contenziosi per scongiurare l’aumento
dell’Iva l’imposizione della Tares, per
assicurare sanità e scuole pubbliche efficienti. Non sarebbe difficile
trasferire un po’ di pressione fiscale dalle oberate spalle dei lavoratori alle
grandi imprese e ai grandi manager.
Purtroppo il vizio delle holding italiane di privatizzare i profitti e
socializzare le perdite è radicato da decenni di combutte e accordi sotto
banco tra politica e mondo del
capitalismo finanziario, per cui stiamo parlando di roba vecchia. E allora per
tornare al quesito posto all’inizio del testo
rispondo che i settori siderurgici e metalmeccanici sono
sicuramente fondamentali per lo sviluppo
economico di una comunità .
Ma è necessario che le aziende operanti in questi settori, come in altri, che hanno ricevuto contributi dallo stato,
possano essere nazionalizzate senza indennizzo nel caso in cui, non presentino
un piano industriale efficiente, delocalizzino, licenzino o adottino un comportamento fiscale non vantaggioso per
la comunità. Solo con un sistema di
tutela "dell’utilità sociale e di difesa
dai danni che l’iniziativa economica privata può recare alla sicurezza,
alla libertà, alla dignità umana", così come riportato nell’art.41 della
costituzione, si può essere sicuri che le aziende saranno in grado assicurare sviluppo economico e sociale di un paese, il resto è fuffa.
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