dichiarazione della Lit - Quarta Internazionale
I governi delle principali potenze imperialiste, oltre alla Turchia, stanno preparando un attacco militare alla Siria. Anche dopo la sconfitta di Cameron nel parlamento britannico che ha votato contro la partecipazione inglese al conflitto, il governo Obama ha dichiarato che è pronto per agire da solo, tutt’al più con l’appoggio della Francia.
Cinicamente, l’imperialismo afferma che quest’intervento armato avrebbe obiettivi “umanitari” e servirebbe a “proteggere civili” siriani usando come pretesto il brutale e riprovevole attacco con armi chimiche nei sobborghi di Damasco, in cui sono morte 1.400 persone.
Secondo il Washington Post, gli Usa stanno considerando un intervento militare limitato quanto alla sua durata e agli obiettivi. L’operazione militare, d’intesa con altre potenze, consisterebbe nel lancio di missili dal mare per pochi giorni contro obiettivi militari, nonnecessariamente circoscritto a quelli relativi all’armamento chimico.
La presenza nell’area del Mediterraneo orientale di diverse navi da guerra della marina statunitense armate con missili da crociera e in assetto da guerra, oltre a quelle appartenenti al Regno Unito e alla Francia, rafforzano quest’ipotesi.
Se si concretasse questa modalità, non sarebbe un’azione per rovesciare direttamente Al Assad, ma per indebolirlo forzando il regime ad accettare una soluzione e una transizione negoziate, politica – questa – finora privilegiata dall’imperialismo.
La stessa Casa Bianca lo ha confermato, attraverso il suo portavoce Josh Earnest, quando questi ha affermato dinanzi al Congresso statunitense che l’azione sarà “limitata” e che “in questo caso non si cerca un’invasione, né il cambio di regime”. Anche il presidente francese Hollande ha dichiarato che l’obiettivo sarebbe “frenare” l’uso di armi chimiche e che “non si tratta di rovesciare” Assad.
Nel novero delle possibilità militari, l’imperialismo sta vagliando le opzioni dal minor costo militare, in un Paese e in una regione scossi da un poderoso processo di rivoluzioni popolari. In questo quadro, quest’alternativa sarebbe la meno rischiosa per l’imperialismo che non si trova nelle condizioni politiche – solo il 25% della popolazione approva il coinvolgimento in un altro conflitto armato – per mettere le mani sulla Siria attraverso un attacco terrestre.
Anche l’ipotesi di una no‑fly zone viene considerata con la massima cautela, dato che le difese antiaeree del regime di Assad sono tutt’atro che disprezzabili.
Sappiamo che molti combattenti ribelli, che lottano eroicamente per liquidare una mostruosa tirannia che controlla il Paese da 40 anni e che dall’inizio della rivoluzione ha commesso le peggiori atrocità contro la popolazione civile, possono guardare a questo possibile intervento dell’imperialismo come un “aiuto” o una “protezione” nella loro impari lotta contro il despota di Damasco.
Nel quadro del nostro completo e incondizionato appoggio alla lotta delle masse popolari per rovesciare Assad, affermiamo che nessun intervento dell’imperialismo ha o avrà quest’obiettivo.
Non sarà un intervento “umanitario”, né per “salvare vite” o per “difendere i diritti umani”. Né tantomeno perché “trionfi la rivoluzione”, dal momento che se gli Usa avessero voluto realmente aiutare i ribelli siriani affinché rovesciassero Assad, da molto tempo li avrebbero riforniti incondizionatamente delle armi pesanti di cui essi hanno tanto bisogno, come aerei, carri armati e missili antiaereo.
L’imperialismo si intromette per cercare di imporre il suo peso militare e per essere l’asse del nuovo potere dopo Assad, per influire direttamente e garantire un accordo che contempli i suoi interessi attuali e potenziali dopo una possibile caduta di Assad.
L’imperialismo interviene sempre con i suoi propri obiettivi, che invariabilmente passano per la brama di dominare direttamente l’economia e la politica del Paese aggredito. Questa è stata la ragione dell’invasione in Iraq e Afghanistan. E per la stessa ragione appoggia Israele nell’usurpazione del territorio e nella pulizia etnica contro il popolo palestinese e sostiene l’ultrareazionaria monarchia dell’Arabia Saudita, di cui si è servito per reprimere la giusta lotta dei lavoratori del Bahrein contro il suo governo, altro regime fantoccio dell’imperialismo.
E si tratta dello stesso obiettivo anche in Siria. Le presunte motivazioni umanitarie come quella di “proteggere i civili” rappresentano un canto delle sirene che non deve ingannare i combattenti siriani e la sinistra mondiale. La prova sta nella stessa condotta dell’imperialismo durante la guerra civile in Siria.
La politica dello stesso Obama, persino nel periodo successivo all’inizio della sollevazione popolare contro la dittatura siriana, è stata di appoggio ad Assad, che ha offerto preziosi servigi circa la sicurezza di Israele e la stabilizzazione della regione.
L’ipocrisia dell’imperialismo non ha limiti. Finché Assad è stato capace di garantire stabilità, Obama e le principali potenze europee hanno sempre chiuso gli occhi sulla repressione e i crimini della sua cruente dittatura.
L’imperialismo ha ritirato il suo appoggio al dittatore – ma non già al regime in sé – solo quando si è reso conto che mantenerlo, di fronte alla lotta armata delle masse popolari siriane, è diventato insostenibile dal punto di vista del principale interesse degli Usa in questo momento: stabilizzare il Paese e sconfiggere la rivoluzione in tutta la regione.
Tuttavia, la posizione dell’imperialismo a favore dell’uscita di scena di Assad non significa che abbia abbandonato la politica di negoziare una soluzione, fin dove è possibile, tra il regime e i settori filoimperialisti dell’opposizione, come il Consiglio Nazionale Siriano (Cns).
In questo quadro, di fronte a una guerra civile che destabilizza tutta la regione trascinandosi senza una soluzione nel breve termine, e di fronte al rifiuto di negoziare da parte della dittatura di Assad, gli Usa cercano di intervenire per poter sconfiggere la rivoluzione e garantire il proprio dominio, benché senza Assad.
Il loro obiettivo, allora, non è “liberare” il popolo siriano, ma cercare di trasformarsi nei nuovi signori tentando di imporre un dominio coloniale, così come hanno fatto con tanti altri Paesi.
L’imperialismo cerca il controllo diretto. Entrerà per tentare di impedire che siano le masse popolari siriane, o i ribelli che sono stati alla testa della lotta mettendo dolore, sudore e il sangue dei loro martiri, quelli che governeranno dopo la sconfitta del tiranno.
Anzi, esigerà il disarmo di tutti i rivoluzionari affinché essi – o i loro fantocci, che non mancano, né mancheranno – detengano il monopolio militare, cercando così di “stabilizzare” il Paese per salvaguardare i propri interessi. Ma nulla indica che rispettare questi piani sarà un compito facile per l’imperialismo, così come non sta accadendo, ad esempio, in Libia, proprio perché una grandiosa rivoluzione è in corso in Siria e in tutta la regione.
Perché il possibile intervento?
Per comprendere perché l’imperialismo interverrebbe militarmente adesso, quando invece durante tutto il conflitto ha evitato di farlo, è necessario analizzare la situazione militare in Siria.
In questi ultimi mesi, il regime ha ottenuto progressi militari importanti, recuperando le posizioni strategiche che erano passate nelle mani dei ribelli. Ma queste vittorie si fondavano principalmente sulla superiorità degli armamenti e sull’aiuto esterno ricevuto da Hezbollah, Iran e Russia. Senza di ciò, sarebbe stato molto difficile conseguire questi progressi.
Ne è prova l’evidente difficoltà che il regime incontra nel fare operazioni terrestri su larga scala con le sue truppe, prive del morale di cui sono provvisti i ribelli. Per questo ricorre sistematicamente ad assedi sostenuti da attacchi
aerei o al lancio di missili, che non richiedono il combattimento diretto. Secondo alcuni rapporti, il regime ha molte difficoltà e deve far ricorso a dure repressioni interne per evitare diserzioni in massa di soldati e ufficiali.
Ciò spiega perché, nonostante gli ultimi progressi dei lealisti alla frontiera col Libano e ad Homs, le diverse forze della resistenza continuano a controllare una parte importante del territorio di questo Paese. L’Esercito libero della Siria (Esl), pur subendo la controffensiva degli ultimi mesi, costata tremende perdite in vite umane e materiale militare, ancora controlla interi quartieri della stessa capitale, Damasco.
In altri termini, nonostante le vittorie militari, il regime non ha la capacità di schiacciare definitivamente la rivoluzione, neppure a Damasco. Lo stesso accade in altre importanti città, come Aleppo, dove recentemente i ribelli hanno preso una delle principali basi aeree del regime.
È questa situazione, di vittorie tattiche ma in un quadro a lungo termine più sconfortante, che ha spinto la dittatura a scatenare un sistematico e devastante bombardamento sui sobborghi di Damasco e, come risulta dalle denunce, a ricorrere al suo arsenale chimico su scala così larga come mai era accaduto. Il suo obiettivo, con questa escalation di attacchi, anche con gas velenosi, non può essere altro che lo sterminio, vale a dire ripulire Damasco dai ribelli e infondere in tutta la popolazione il terrore più completo.
L’imperialismo, di fronte a questa dinamica dalle conseguenze imprevedibili, cerca di risolvere a suo favore una situazione segnata da una guerra civile bloccata e che si trascina da due anni e mezzo in una regione strategica.
Interverrà per dimostrare una presenza militare in questa regione e forzare una negoziazione con Assad per una “transizione” che tenda a stabilizzare il Paese e l’area, condizione importante per continuare il saccheggio imperialista. Se la negoziazione non sarà possibile, cercherà di imporre un nuovo governo, senza Assad, sotto il suo diretto controllo.
Il castrochavismo usa le minacce di intervento imperialista per giustificare ancor di più il suo nefasto appoggio al dittatore genocida della Siria – come appoggiò il sanguinario Gheddafi – affermando che se lo attaccano è perché Assad sarebbe un “leader antimperialista e antisionista”. Già sta facendo appello perché le masse popolari e la sinistra appoggino e si uniscano ad Assad in virtù del suo presunto ruolo nella “resistenza” all’imperialismo.
Ma la realtà è totalmente diversa. Il regime del clan Assad non ha nulla di “antimperialista”. È stato una pedina importante nello schema di dominazione imperialista e sionista nella regione, essendo, soprattutto negli ultimi anni, fedele esecutore delle ricette neoliberali dell’Fmi e garante delle frontiere dello Stato sionista di Israele, contro cui non ha sparato un sol colpo in 40 anni, mentre massacra il suo stesso popolo.
Secondo la fantasiosa versione dei castrochavisti, Assad sarebbe anche un radicale oppositore di Israele e protettore dei palestinesi. Ma la realtà mostra che nel corso della guerra civile, fra tutti i crimini contro l’umanità che ha commesso, Assad si è ascritto quello di bombardare sistematicamente i campi profughi dei palestinesi quando un loro settore è passato con l’opposizione, come nel caso di Yarmuk, a Damasco, oggi sotto un assedio che impedisce loro di ricevere alimenti e medicinali.
Siamo completamente contro l’intervento dell’imperialismo, ma questo non può condurci ad appoggiare la sanguinaria dittatura di Assad, che massacra il suo popolo senza nessuno scrupolo, un popolo che lotta coraggiosamente per farla finita col suo regime. Questo sta invece facendo il castrochavismo, che perciò si è trasformato in complice degli orrendi crimini di questi dittatori.
La classe lavoratrice e le masse popolari del mondo intero debbono stare più che mai dal lato della rivoluzione siriana contro la dittatura di Assad e, al contempo, ripudiare l’intervento imperialista in questo Paese.
È necessario nei Paesi imperialisti smascherare la campagna mediatica in atto a giustificazione dell’intervento militare, mobilitandoci contro i governi che preparano i piani d’intervento armato. Dobbiamo denunciare il possibile intervento, benché si pretenda di dargli una veste “umanitaria” a partire dagli orrendi massacri di Assad, dal momento che il suo vero obiettivo è imporre nuovi padroni al popolo siriano.
La soluzione è un’altra: l’appoggio totale ai ribelli. Ciò significa l’invio, subito e senza condizioni, di armi pesanti, di ogni tipo di fornitura, come medicinali ed equipaggiamenti per la resistenza siriana, e l’apertura delle frontiere per il transito di questi aiuti e dei combattenti che siano disposti a combattere contro Assad.
Al contempo, dobbiamo rivendicare, in tutti i Paesi, l’immediata rottura delle relazioni diplomatiche e commerciali con la dittatura siriana.
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