Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 27 novembre 2012

Lavorare meno ma tutti, nazionalizzare le imprese in crisi


MANIFESTO DI LOTTA
“Redistribuire il lavoro che c’è, nazionalizzare le imprese che chiudono”


Due punti per uscire dalla difesa della miseria dell’esistente e lottare contro un futuro senza prospettive

1. La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e senza aumenti di produttività.
2. L’esproprio/nazionalizzazione sotto controllo collettivo delle aziende in crisi e che delocalizzano.



Nonostante le centinaia di miliardi di euro che sono stati prelevati dalle tasche dei lavoratori e delle loro famiglie per essere regalati alle banche dal governo Monti attraverso le sue controriforme, la crisi continua a mordere e sempre gli stessi settori sociali. E nel prossimo futuro andrà ancora peggio visto il pareggio di bilancio introdotto in Costituzione con l’applicazione, per volere della UE, del Fiscal Compact che imporrà a qualsiasi governo avremo tagli alla spesa per circa 45-47 miliardi di euro per ogni anno nei prossimi venti anni almeno. Questo vuol dire che non sono previste risorse né per investimenti e progressivamente nemmeno per gli ammortizzatori sociali.



Chi perde il lavoro o andrà in cassintegrazione perché la sua azienda è in crisi, chiude e/o de localizza ha davanti a sé unicamente un futuro di disoccupazione e miseria in solitudine.



Secondo l’osservatorio Nazionale sulla CIG della CGIL: “L’attuale situazione recessiva non accenna a migliorare” e anzi la produzione continuerà a calare. Da quanto si evince dal rapporto: “Sono 800 milioni le ore di cassa integrazione registrate da inizio anno fino a settembre -510 mila i lavoratori a zero ore per un taglio del reddito, al netto delle tasse, di 3 miliardi di euro, pari a 6 mila euro per ogni singolo lavoratore. La richiesta di ore di CIG da gennaio a settembre ha superato le ore concesse nello stesso periodo del 2011 e continua a mantenere una richiesta media di oltre ottantacinque milioni di ore mese”. Sempre in base all’osservatorio, a settembre 2012 delle aziende in CIGS 4.096 erano quelle che sono già in concordato preventivo, in fallimento o che dichiarano crisi. Parliamo di centinaia di migliaia di posti di lavoro a rischio. Solo sui tavoli aperti al ministero dello sviluppo economico sono coinvolti 285.800 lavoratori e lavoratrici, dei quali 74.605 sono stati dichiarati già da oggi in esubero. Per non parlare dell’impatto sull’indotto che moltiplica per due o tre i numeri. Da questi numeri, raccolti sempre dallo stesso rapporto CGIL, sono escluse le grandi aziende gestite direttamente dal ministero. 



Questi numeri fanno capire chi sta pagando tutte le conseguenze della crisi e che le azioni messe in campo dal governo, spesso avallate passivamente dalle OOSS, non fanno altro che peggiorarla. Se continuiamo ad accettare il principio che dobbiamo pagare noi i costi della crisi dei padroni (che siano essi industriali, banchieri o speculatori) ci scaviamo la fossa con le nostre stesse mani. Gli ammortizzatori sociali ormai sono solo il viatico per la mobilità e i licenziamenti, e l’azione sindacale ormai è rivolta solo al loro utilizzo. Mentre i governi impongono tagli e controriforme per mantenere alti i profitti di banche e imprese, gli unici ad andare veramente in “default” in questo paese, col ricatto della crisi e del debito, sono i lavoratori e le lavoratrici dipendenti, i precari, i cassintegrati ed i disoccupati. Le nostre singole vertenze contro i licenziamenti e contro la precarietà rischiano di sbattere contro il muro delle controparti (aziende e governo) col ricatto della chiusura o il contentino temporaneo di qualche ammortizzatore per fiaccare la nostra resistenza prima di perdere definitivamente il posto di lavoro.



Proponiamo che queste vertenze e lotte, che ciascuno conduce autonomamente con gli strumenti che ritiene più adeguati, siano affiancate dalla rivendicazione da parte di tutte le lavoratrici ed i lavoratori in lotta, dipendenti o precari, di due punti generali: 



1. La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e senza aumenti di produttività.

2. L’esproprio/nazionalizzazione sotto controllo collettivo delle aziende in crisi e che delocalizzano.
Non siamo più disponibili ad accettare che le grandi e medie imprese, sostenute in ogni modo con i nostri soldi, che hanno devastato interi territori e la salute di milioni di persone, per accrescere comunque i loro profitti chiudano qui e le vadano a riaprire ovunque gli convenga di più gettando per la strada centinaia di migliaia di lavoratori!
L’articolo 43 della costituzione italiana già recita “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.
Rivendichiamo che anche in termini di legge è possibile praticare l’esproprio e l’assegnazione a “comunità di lavoratori” delle aziende che chiudono o delocalizzano salvo pretendere che, visti tutti gli sgravi e incentivi pubblici ricevuti, non ricevano ulteriori indennizzi o al massimo un indennizzo simbolico di un euro!



L’introduzione di tecnologie e l’aumento dei ritmi di lavoro hanno aumentato a dismisura la velocità di produzione di beni e di servizi senza che questo abbia provocato una liberazione da una parte del tempo di lavoro per noi ma ha significato solo l’incremento di profitti per le aziende. Gli ammortizzatori e l’aumento della produttività (ormai, al pari della precarietà, introdotti anche nel pubblico impiego e nella scuola) sono solo l’anticamera della disoccupazione e quindi rivendichiamo, azienda per azienda, categoria per categoria, la riduzione d’orario a parità di salario e senza aumenti produttivi come l’unica possibilità per redistribuire intanto il lavoro che c’è e far si che non siamo noi a pagare, ancora una volta, i costi della crisi!



NOI ABBIAMO GIA’ PAGATO COL NOSTRO LAVORO E CON LE NOSTRE TRATTENUTE
E’ ORA CHE LA CRISI LA PAGHINO LE BANCHE, LE IMPRESE E GLI SPECULATORI 



promuovono delegat*, lavoratrici, lavoratori: Irisbus Valle Ufita, Marcegaglia Milano e Forlì, GKN Firenze, Carbosulcis, Portovesme, Fiat Termoli, Telecomitalia, appalti Selex, Alitalia

Nessun commento:

Posta un commento