Critiche di donne e giuristi alla nuova norma: arretrata rispetto alle direttive Ue. Molti i dubbi emersi nelle audizioni alla camera. Le associazioni chiedono profonde modifiche. La discussione in aula dal 20 settembre.
Il decreto sul femminicidio sembra ormai un treno
in corsa, un treno che potrebbe deragliare e a cui la stessa la società civile sta
chiedendo di rallentare. In vista dell'approdo in aula per il 20 settembre - e
con la scadenza per la presentazione degli emendamenti fissata a lunedì
prossimo - le audizioni delle associazioni nelle commissioni giustizia e affari costituzionali della camera hanno chiesto ieri una maggiore riflessione e un'apertura
verso un'azione più complessa e ampia. Un problema di cui Lunetta Savino, a
nome di Snoq Factory, ha dato bene il senso, dicendo che «la violenza sulle
donne riguarda la società intera e non solo gli uomini», e che per questo si
risolve solo intervenendo in profondità «sulla formazione, la presa in carica
dei violenti, sui media, la scuola, e con un forte spostamento culturale e
simbolico».
Titti
Carrano, presidente della rete dei centri antiviolenza DiRe, ha sottolineato
come per contrastare la violenza maschile sulle donne, sia necessaria «una rete
funzionante, un numero di centri antiviolenza adeguato, un'adeguata
protezione». «Per quanto ci riguarda - ha detto - ci aspettavamo una legge organica
con un congruo finanziamento e invece ci troviamo di fronte a un decreto che
affronta il fenomeno solo su un piano penale», e che considera ancora la
violenza sulle donne come una «emergenza sociale, mentre è stato detto molte
volte che si tratta di un problema strutturale». Ma le magagne di questo
decreto si trovano soprattutto tra le sue pieghe, perché oltre a tralasciare
l'approccio culturale e strutturale, inciampa anche sul fronte
giuridico-penale. Come osservato dall'Associazione nazionale magistrati
nell'audizione, questo decreto rischia di «introdurre elementi che non sono
coerenti» con il codice penale, un giudizio su cui sembra concordare anche
l'Unione delle camere penali.
Sulla
violenza assistita dai minori, per esempio, che innalza l'età dai 14 ai 18
anni, è stato rilevato da più parti come sia insufficiente l'applicazione solo
ai maltrattamenti, in quanto la stessa Convenzione di Istanbul la riconosce in
tutte le situazioni di violenza intrafamiliare, dando ben altre indicazioni
(come il divieto di affido condiviso tra coniugi che si separano in una
situazione di violenza domestica).
Incongruenze
che Barbara Spinelli - avvocata dei Giuristi democratici che ha parlato a nome
della Convenzione «No More» insieme a Vittoria Tola dell'Udi - ha sottolineato
prendendo in considerazione l'articolo 2. «La più grossa incongruenza - dice
Spinelli - è quando si introducono i vari obblighi di informazione e protezione
della vittima nel processo
penale per il maltrattamento, perché si tratta di obblighi già introdotti dalla
direttiva europea 29 del 2012 come spettanti a tutte le vittime di reato doloso
per tutto il processo penale. Una direttiva su cui, tra l'altro, il parlamento
italiano ha dato mandato al governo con la legge comunitaria 2013 entrata in
vigore il 20 agosto, cioè 4 giorni dopo il decreto sul femminicidio». In poche
parole un inaccettabile restringimento della stessa direttiva europea. In un
decreto che torma indietro anche quando definisce la violenza domestica come
fenomeno «non episodico» - e non come violenza in sé - con un passaggio in
chiara contraddizione con la Convenzione di Istanbul che invece ne definisce i
termini in maniera più ampia e realistica, in sintonia con tutta la letteratura
internazionale sul tema.
Anche
Vittoria Tola, responsabile nazionale dell'Udi, ha segnalato incongruenze del
decreto, facendo notare come l'articolo 5, che chiede un piano antiviolenza
straordinario, sia davvero curioso in quanto «ce ne è già uno in corso in
Italia che deve essere verificato a novembre». «Noi vogliamo che il parlamento
si interroghi su quello che stiamo dicendo qui e imposti un dialogo con le
associazioni», ha detto Tola, aggiungendo una nota anche folkloristica sulla
confusione del linguaggio usato nel decreto dove si parla di violenza sessuale,
stalking e violenza di genere,
senza riconoscere che le prime due sono interne a quest'ultima definizione.
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