E’ la vicenda di un imprenditore,
o meglio di una famiglia di imprenditori, che riesce ad avere in dono per un
tozzo di pane una delle più grandi acciaierie di Europa. Nell’era delle grandi
privatizzazioni sulla scia delle prescrizioni firedmaniane uno dei più grandi
poli pubblici della siderurgia italiana l’Italsider, è smembrata e le sue spoglie
vengono regalate al gotha della classe accattona imprenditoriale italiana.
Chiuso l’impianto di Bagnoli, cedute le strutture di Comigliano e Piombino,
quest’ultima al gruppo bresciano Lucchini, la parte più consistente, il mega
impianto di Taranto, viene regalata al gruppo Riva, che riesuma il vecchio nome dell’Ilva.
Dal 1995, anno dell’acquisizione dell’impianto, la famiglia comincia a realizzare
enormi profitti. Ricchezze accumulate sulle spalle degli operai costretti a turni
massacranti, messi gli uni contro gli altri attraverso liste di proscrizione in
cui i lavoratori più rompicoglioni venivano sono segnalati con un segno rosso sulla
busta paga e messi alla gogna a monito degli altri più consenzienti il cui
foglio paga è vergato di vede . Quel segno rosso era una sordida minaccia,
che indicava a chi lo riceveva che
il suo modo di fare non era gradito ai padroni. Era l’anticamera del licenziamento.
Sulla pelle delle maestranze condannate a morte in un ambiente di lavoro
malsano e altamente nocivo, la famiglia Riva ha prosperato. Ma l’acciaieria non
è fabbrica di semplice gestione. Tutta i processi produttivi sono ad alto
impatto ambientale, l’inquinamento coinvolge oltre che gli impianti anche il territorio
che li ospita. E’ dunque necessario aggiornare continuamente i sistemi di
controllo delle emissioni inquinanti, della dispersioni delle polveri nell’aria,
in mare e nel terreno.
E’ obbligatorio rispettare ferree procedure stabilite dalla legge per contrastare l’inquinamento e ciò evidentemente
comporta l’esborso di ingenti quantità di denaro. Qui comincia il furto. Degli
enormi profitti realizzati, non un centesimo viene investito dal management per
rispettare le procedure. I denari prendono la via dei paradisi fiscali. Non
vengono usati per l’aggiornamento degli impianti ma addirittura nascosti al fisco. Si trasformano
in patrimoni immobiliari sterminati e in guadagni da speculazione finanziaria.
Non si disdegna fra l’altro di aiutare amici e amici degli amici. Per far
contento l’amico Berlusconi, si investe nella sciagurata operazione del
salvataggio di Alitalia, un presidente del consiglio può far sempre comodo,
vedi le prescrizioni ambientali all’acqua di rose che il ministro dell’ambiente
berlusconiano Stefania Prestigiacomo ha imposto all’Ilva.
Si pagano lautamente campagne
elettorali di politici di destra Berlusconi, ma anche di sinistra. Bersani. La
distrazione per uso personale e criminoso di questi fondi, determina il
deterioramento ambientale dello
stabilimento di Taranto il cui inquinamento uccide operai e popolazione
limitrofa. Furto con strage.
Nel silenzio della politica corrotta, si erge la
voce della magistratura che denuncia per disastro ambientale i Riva,
predisponendo gli arresti domiciliari per Emilio Riva, oggi di nuovo libero per
decorrenza dei termini, e il blocco
della produzione fino a che gli impianti non verranno adeguati alle norme anti
inquinamento più moderne.
Dopo la guerra fra poveri scatenata dall’imprenditore,
con la contrapposizione fra diritto al lavoro e diritto alla salute. Dopo che
è imposto un investimento di 8miliardi per la messa in sicurezza degli
impianti, fondi mai erogati dai Riva, lo stabilimento viene commissariato, posto
sotto il controllo dello stato che guarda caso nomina a guardia della ferriera un manager di fiducia
dello stesso Riva: il tagliatore di testa Enrico Bondi. Cioè il controllore è
praticamente scelto dal controllato.
Mentre la politica cincischia la
magistratura va avanti. Scopre che gli 8 miliardi necessari alla bonifica erano
nella disponibilità dei Riva i quali li hanno di fatto rubati alla collettività, trasferendoli all’estero,
nascondendoli al fisco. Dunque come è normale in uno stato di diritto, la magistratura
impone che quei soldi tornino alla comunità e il 24 maggio scorso dispone il sequestro di beni mobili e immobili sia di
Ilva che di Riva Fire spa altro gruppo facente capo ai Riva, e del patrimonio
personale della famiglia fra cui alcuni
conti correnti privati .
Passano 4 mesi, siamo ad oggi e l’indole criminale dei Riva emerge in
tutta la sua crudeltà. La famiglia sacrifica, a difesa
dei beni posti sotto sequestro, dei veri e propri scudi umani. Baluardi incarnati nei 1400
addetti impiegati nelle altre aziende del gruppo, quelle poste al di fuori del
perimetro dell’Ilva di Taranto ormai commissariata.
Come ritorsione al
sequestro si fermano gli stabilimenti facenti capo ai gruppi Riva Acciaio, Riva Energia,
e Muzzana Trasporti. Da Cuneo a Varese,
da Lecco a Brescia a Verona viene disposta la chiusura di aziende floride, produttive e la “messa in libertà” di 1400 operai sena
cassa integrazione.
Furto, strage, ricatto, frode, evasione fiscale. Serve
altro per convincere un governo a nazionalizzare tutte le aziende di questa
congrega di criminali? Cosa si aspetta a reintegrare tutti gli operai e a
pagare loro lo stipendio usando i fondi dei beni sequestrati ai Riva? I quali
continuano ad alimentare la guerra fra poveri mettendo i lavoratori delle
imprese poste al nord contro quelli di Taranto e tutti contro il gip Patrizia Todisco. Purtroppo in questo
dannato paese, così come la legge è
uguale per tutti, ma per alcuni è più uguale di altri, anche i criminali sono tutti uguali, ma alcuni
sono più uguali di altri… o più criminali? Dunque l’esproprio senza indennizzo di tutto
il gruppo non avverrà mai.
E pensare che
questo potrebbe costituire un primo
importante passo verso la nazionalizzazione di tante altre aziende in cui
altrettanti criminali giocano con la vita dei lavoratori e della collettività che frodano con l’evasione,
e la delocalizzazione. Sarebbe ora di farla finita con questa classe opulenta e
accattona che ha costruito le sue fortune sulle spalle della gente comune, a
cominciare dal delinquente arcoriano che con le sue truppe di servi da un
ventennio occupa abusivamente il Parlamento.
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