Aggiungi didascalia |
L’assemblea
che si è svolta a Roma l’8 settembre per iniziativa di Lorenza Carlassarre, don
Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky sulla base
del documento significativamente intitolato La
via maestra costituisce un evento di notevole rilievo, in aperta e dichiarata
controtendenza rispetto al degrado in cui si sta sfiancando il sistema politico.
Le ragioni che rendono questo evento rilevante, e da seguire con grande
attenzione per gli effetti che potrà generare, sono principalmente tre.
Innanzitutto, dopo anni di sottovalutazioni,
tentennamenti e attenuazioni che hanno coinvolto anche le sinistre comunque
denominate, tra incomprensioni e connivenze di chi ha governato, tra la
retorica di chi si definisce democratico e gli strappi di chi si dichiara
liberale, l’assemblea ha messo in chiaro qual è la posta in gioco nella crisi
che soffoca l’Italia, ben al di là della formazione di un governo e del destino
di un padrone megalomane. In gioco (e non da oggi) è la democrazia
costituzionale. Vale a dire una conquista storica del popolo italiano sulla via
dell’uguaglianza e della libertà: qualcosa di molto concreto, che riguarda la
vita delle donne e degli uomini di questo Paese, il loro lavoro, i loro
diritti, le loro aspirazioni. Non per caso il diritto al lavoro per un’intera
generazione è diventato un’ irragiungibile utopia, mentre la Fiat pretende di abolire i
diritti costituzionali nelle sue aziende e J. P. Morgan, tra i maggiori
responsabili della crisi globale, sentenzia senza mezzi termini che le
Costituzioni del sud Europa sono intrise di idee socialiste e perciò vanno tolte
di mezzo.
In secondo luogo, si è affermato con
altrettanta chiarezza che lottare per l’attuazione della Costituzione è il tema
del momento. Non si tratta semplicemente di difendere in astratto i principi
costituzionali, ma di attuarli. Che è cosa ben diversa, e richiede una
mobilitazione sociale e culturale ampia e articolata nei diversi territori del
Paese, in grado di coinvolgere tutte le forze disponibili superando divisioni e
settarismi, capace perciò di fare massa critica. Insomma, è tempo di abbandonare
uno stanco difensivismo di routine e
di aprire le porte a un progetto di trasformazione che guarda al futuro. Non
difendiamo la
Costituzione se non lottiamo per attuarla. Ma una lotta combattuta sulle vecchie trincee del passato
sarebbe destinata alla sconfitta. Perciò servono una visione dinamica della
nostra Carta fondamentale, che ne liberi tutte le potenzialità innovative, e
una manutenzione ordinaria adatta a questo scopo. Il contrario dello stravolgimento
dell’articolo 138, che apre la strada alla Repubblica presidenziale e alla
cancellazione di fondamentali diritti. È utile invece un riassetto istituzionale
centrato sulla eliminazione del bicameralismo perfetto e la riduzione dei
parlamentari: proposte avanzate fin dagli anni ottanta da Enrico Berlinguer e
sempre respinte.
In terzo luogo, già nel documento preparatorio
dell’assemblea di Roma, si sostiene senza possibilità di equivoci che lottare
per l’attuazione della Costituzione significa promuovere un’altra idea di
società, idonea a farci uscire dalla crisi. La Costituzione fondata
sul lavoro è un progetto di società. non un coacervo di regole ammuffite, che
impediscono all’uomo del destino di governare il Paese. «La difesa della
Costituzione - si legge nel documento –
è innanzitutto la promozione di un’idea di società, divergente da quella di
coloro che hanno operato finora tacitamente per svuotarla e, ora, operano per
manometterla formalmente. Non è la difesa di un passato che non può tornare, ma
un programma per un futuro da costruire in Italia e in Europa». Questo è il cuore
del problema, che dà senso e contenuto alla politica, una politica
completamente diversa da quella praticata in questi anni.
Il fondamento del lavoro cambia la natura dello Stato
e della società rispetto al passato e apre le porte al futuro, a una civiltà
più avanzata in cui l’economia sia posta al servizio dell’uomo e non viceversa.
Non è la prima volta che mi capita di sottolineare che nella Costituzione il
progetto di una società di tipo nuovo è realizzabile perché il centro di
gravità della società e dello Stato non è più la proprietà ma il lavoro, ossia
il lavoratore cittadino. E che perciò in questo disegno la democrazia politica
non si riduce all’esclusiva rappresentanza istituzionale, ma si arricchisce con
forme di democrazia diretta e con innovativi contenuti sociali. La Repubblica fondata sul
lavoro, che nei suoi principi costitutivi innalza i lavoratori a protagonisti
del cambiamento dando una nuova dimensione alla dignità della persona, non si
limita a chiedere consenso: vuole partecipazione e protagonismo delle masse. L’opposto
di ciò che vuole il capitale e di ciò che praticano i partiti attuali, più o
meno leaderistici.
Non la
Costituzione bisogna cambiare, ma i partiti e l’intero
sistema politico. Ormai siamo molto vicini al punto di rottura di una
contraddizione che appare sempre più lacerante e distruttiva: come può reggersi
una Repubblica fondata sul lavoro se le persone che vivono del proprio lavoro,
i nuovi lavoratori salariati (e non solo) del XXI secolo, non hanno alcun peso
politico? Se i portatori di interessi contrapposti a quelli del capitale sono di
fatto privi degli strumenti della politica? La lotta di classe praticata dal
capitale anche sul terreno culturale e ideale ha avuto come effetto principale,
sebbene efficacemente occultato e misconosciuto, la cancellazione dal sistema
politico delle lavoratrici e dei lavoratori eterodiretti nella fase della
globalizzazione capitalistica. Ma in tal modo la Repubblica democratica
è stata disancorata dal suo fondamento, e sta andando alla deriva. Ciò spiega
perché l’Italia viva in uno stato di sofferenza crescente e di perenne
incertezza, sempre in bilico tra enormi potenzialità represse e regressioni
reali.
Allora la scena si illumina, e appare di solare
evidenza che una componente decisiva della lotta per l’attuazione della
Costituzione è la costruzione, nel contatto vivo con i movimenti della società
e delle spinte al cambiamento che in essa si manifestano, di una rappresentanza
politica del lavoro del XXI secolo, ben più ampio del lavoro fordista sebbene frantumato
e diviso nelle infinite forme della precarietà, del non-lavoro, della
disoccupazione. C’è bisogno, nell’interesse stesso del Paese e dell’Europa, di
un soggetto politico capace di interpretare le aspirazioni e i bisogni delle
lavoratrici e di lavoratori della nostra epoca, costruendo insieme a loro nuove
forme della politica, organizzate e capaci di produrre egemonia e alleanze, cioè
un nuovo blocco storico in grado di dare respiro e concretezza al disegno
costituzionale.
È un nodo che non si può eludere. E che dà senso alla
parola sinistra: essere di parte per fermare i poteri economici e politici che
stanno distruggendo la
Costituzione e la società; essere di parte per trasformare la
società applicando la Costituzione. Dando
sbocco generale a quelle pur significative e vincenti iniziative che si sono
espresse nel referendum sull’acqua e sul nucleare, nella resistenza della Fiom.
Merito dei promotori dell’assemblea romana è di avere indicato un percorso di
lotta e di mobilitazione, la cui prima tappa è la manifestazione di Roma, che
si terrà anche se cade il governo Letta perché - ha detto Landini concludendo
l’assemblea - non c’è oggi in Italia una forza politica che rappresenti le
istanze indicate da La via maestra. E
Rodotà aveva affermato che l’obiettivo è quello di aprire un nuovo spazio
pubblico al di fuori dei partiti presenti. Precisando poi in una intervista:
«personalmente, penso che con questo lavoro non escludente potremo poi
ricostruire i tratti di una sinistra costituzionale».
Dunque, appare chiaro che se la mobilitazione per
l’attuazione della Costituzione può e deve raccogliere uno schieramento più
ampio di quello di una sinistra fondata sul lavoro, si può d’altra parte essere
certi che in assenza di una sinistra politica fondata sul lavoro le possibilità
di reggere l’urto dell’offensiva politica contro la Costituzione si
riducono di molto. Al tempo stesso, dovrebbe essere altrettanto chiaro che una
sinistra vera, qualunque sia il suo nome, può svolgere un ruolo in questo Paese
solo se assume con coerenza rivoluzionaria i principi fondamentali e i diritti
della Carta costituzionale. In definitiva, sono due facce di un unico problema.
Si tratta di un dato oggettivo che sta nelle cose, nel processo stesso aperto dall’iniziativa
dei promotori de La via maestra, di
cui è difficile prevedere adesso l’approdo finale. Si dice che ci vuole cautela
e ponderatezza per evitare errori, ed è vero. Ma attenzione: in questa fase di
crisi e scomposizione del sistema politico si aprono spazi che bisogna saper
coprire. I tempi non sono infiniti.
Intervento pubblicato anche su http://www.unoetre.it/
Nessun commento:
Posta un commento