La mancata costituzione delle Commissioni permanenti delle Camere è una
flagrante violazione dei regolamenti parlamentari e quindi della Costituzione,
che ad essi rinvia. Entrambi i regolamenti prevedono che i gruppi parlamentari,
una volta costituiti, hanno l'obbligo di indicare i loro rappresentanti nelle
Commissioni permanenti entro termini brevissimi, al massimo entro cinque
giorni, già abbondantemente scaduti.
L'obiezione che non si potrebbero costituire gli
uffici di presidenza se non viene prima definita una maggioranza che sostiene
il governo e una minoranza che vi si oppone, è del tutto inconsistente e
contrasta, ancora una volta, con entrambi i regolamenti. Sia quello della
Camera (art. 20) che del Senato (art. 27) prescrivono che le Commissioni
eleggano presidente e ufficio di presidenza nella loro prima seduta, senza
alcun riferimento a maggioranza o opposizione, che non sono articolazioni
istituzionali del parlamento, ma variabili entità politiche. Viene eletto chi
riporta più voti, da qualunque parte provengano, con le stesse procedure
previste per l'elezione dei vertici delle due Camere (maggioranze qualificate
nelle prime votazioni e poi ballottaggio), cui i regolamenti fanno esplicito
riferimento anche per l'elezione dei vertici delle Commissioni. E non si
capisce perché le stesse regole, applicate in un caso, non possano esserlo
nell'altro.
Ed anche gli uffici di presidenza delle due
Commissioni speciali di Camera e Senato, confluite nella Commissione speciale
congiunta «per l'esame di provvedimenti urgenti» (crediti delle imprese) sono
stati eletti con le stesse procedure. Ancora una volta non si capisce perché, a
termini di regolamento, le Commissioni speciali possono essere costituite senza
fare il nuovo governo e quelle permanenti no.
La ostinazione dei due maggiori partiti (per
fortuna con il dissenso di Sel e di un pezzo di Pd) ad impedire l'ordinaria
attività legislativa, riduce le Camere a mere strutture per l'attuazione del
programma del governo, rovesciando la "gerarchia" degli organi
costituzionali, relegando il parlamento in un ruolo subordinato.
Invece, proprio in una congiuntura politica così
difficile sarebbe stato necessario mandare al paese un messaggio di vitalità e
funzionalità del parlamento, che avrebbe dimostrato nei fatti la sua
centralità, che non basta declamare a parole.
Come la storia dimostra, il parlamento, quando
vuole, è capace di approvare in tempi brevissimi leggi importanti e complesse.
La famigerata Fini-Giovanardi - decine di articoli, centinaia di commi - è
stata approvata in venti giorni dalla maggioranza di centrodestra.
Se, come sarebbe stato doveroso, questo parlamento
si fosse messo al lavoro nei termini prescritti dalla Costituzione, oggi
nessuno potrebbe dire che stiamo perdendo tempo e non avremmo davanti a noi uno
sconcertante vuoto di qualche settimana. E qualcuno degli otto punti di Bersani
potrebbe essere già legge o almeno approvato dalla Camera, con il parere del
governo in carica per gli affari correnti, ritenuto legittimato addirittura ad
emanare decreti legge. Sarebbe stato certamente un buon viatico per meritarsi
l'incarico di governo dal nuovo Presidente della Repubblica.
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