Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 7 gennaio 2012

Frosinone. Il sindaco Marini azzera lo spread.

Luciano Granieri


Buone  notizie dalla borsa valori del Comune di Frosinone. Dopo che le deleghe assessorili  avevano subito una perdita di valore drammatica  a seguito  dalle ultime vicende giudiziarie che hanno coinvolto alcuni consiglieri e dirigenti comunali, dopo che il crollo    le aveva ridotte a  carta straccia con un picco negativo raggiunto in occasione dell’ultimo CONSIGLIO COMUNALE del 28 dicembre scorso, dopo che  il numero di titolari che volevano  disfarsi  di tali titoli spazzatura era aumentato in modo preoccupante,   è  giunto quanto mai opportuno l’intervento dell’agenzia di rating centrale.  L’agenzia di rating "Marini & Poors"  (poors  sta pe’   poracci)   ha rivalutato le deleghe accreditandogli la “TRIPLA A” con il   detto “tutto va bene madama la marchesa”. Infatti il sindaco di Frosinone,  intervenendo  alla presentazione del nuovo acquisto sul mercato di riparazione del Pd ciociaro, l’attuale presidente del consiglio del comune di Frosinone Norberto Venturi, ha confermato che  non ci saranno cambiamenti nel governo cittadino.  La giunta non verrà azzerata e i possessori delle deleghe, cioè assessori e consiglieri potranno continuare a svolgere il loro lavoro per cui il valore dei loro incarichi è tornato a volare. L’immeditata conseguenza di questo intervento ha determinato l’annullamento dello spread. Cioè, il differenziale fra la morale politica e le questione  dell’illegalità  amministrativa si è ridotto a zero. La dichiarazione dell’ex presidente della provincia, non che consigliere regionale Scalia, sull’opportunità di schierare il dott. Venturi nella formazione Piddina ciociara, mostra  gli effetti benefici dell’azzeramento dello spread.  A chi faceva notare che anche il dott. Venturi  ha subito una condanna   a 10 mesi per aver introdotto, nell’esercizio della sua professione di medico,  falsa documentazione in una cartella clinica, Scalia rispondeva che il reato è compatibile con il codice etico del Pd   che vieta l’adesione al partito a coloro i  quali  si sono macchiati solo  dei seguenti reati:  corruzione, associazione a delinquere, omicidio  ed altri,   ma non quello commesso da Venturi . Dunque  per aderire al Pd non è necessario avere la fedina penale pulita , si possono commettere reati ma  solo se  compatibili con il loro codice etico. Ci tranquillizza il fatto che Jack lo Squartatore non abbia i requisiti per prendere  la tessera del Pd .  Comunque l’ingaggio di Venturi è senza dubbio  un colpo da maestro della dirigenza piddina. L’attuale presidente del consiglio della giunta comunale, dopo essere stato messo fuori rosa  dai dirigenti della sua precedente squadra, il Psi, per divergenze relative alle ormai lontane elezioni regionali,  non si allenava più con i compagni,  ed era finito  sul mercato svincolato, obtorto collo . Il trasferimento a Sel, compagine che ad un certo punto si era interessata al campione, a parametro zero fu bloccato. Ufficialmente perché il codice etico di Sel non ammette indagati o condannati;  ufficiosamente   perché il  principale azionista    della squadra vendoliana ciociara, cioè la stessa dirigenza  socialista avrebbe  visto rientrare dalla finestra colui  che avevano cacciato dalla porta . Ed ecco il colpo da maestro di Migliorelli che, con i buoni uffici di Scalia,  riusciva ad assicurare al Pd un bomber da 500 voti a elezione. Chiusa la parentesi Venturi torniamo all’ intervento della Marini & Poors  che  ha sposato  l’ipotesi delle primarie, ventilata dal Pd,   per ritrovare una nuova  legittimazione dopo le recenti  inchieste. Marini ha dichiarato:  “Se le primarie servono a consolidare l’alleanza ben vengano, perché  io sono per l’unità di quest’area politica che va da Sel sino all’Udc” Ora un dubbio sorge spontaneo la lista “La sinistra” è fuori dall’area politica che interessa al sindaco,  pur esprimendo un consigliere e un assessore, o è posta a destra di Sel, dunque assorbita completamente nel Pd?  In attesa di dirimere questa questione che mi interessa il giusto, cioè nulla, segnalo invece a tutti coloro che vogliono sfidare il candidato a sindaco del  Pdl , Nicola Ottaviani  che possono  iscriversi alle primarie che  si terranno il 29 gennaio prossimo. E’ sufficiente contare sull’appoggio di cinquanta sottoscrittori ed essere contrari alla giunta Marini. Non è prevista l’espressione di un programma né  proprio né condiviso con i partiti del centro destra.  Facendo un rapido calcolo, penso che quasi tutti i naviganti di Aut, possiedano i requisiti richiesti, cioè essere contrari alla giunta Marini,  Perciò coraggio  amici! Tutti insieme allegramente a sfidare Ottaviani. Vista la pochezza politica già provata da solenni sconfitte  dell’avvocato piddiellino  e l’inconsistenza dei vari De Santis, Tagliaferri, Bracaglia, Magliocchetti,  personaggi che già  hanno espresso la volontà di partecipare alla contesa, le chance che qualcuno di noi possa diventare sindaco sotto l’egida dei Berluscones sono molto concrete.   Appuntamenti al 29 gennaio allora. EVVIVA LA DEMOCRAZIA.

ASSEMBLEA DEI PRECARI DELLA SCUOLA

Precari Scuola (da una segnalazione di Fausta "l'insognata" Dumano)


Il Ministro Profumo tempestivamente ha dato prova delle grandi competenze tecniche sue e del governo in generale. Hanno alzato l’età pensionabile, ma iniziano una campagna propagandistica indirizzata ai “giovani”, a cui promettono qualcosa che non hanno e su cui non investono: i posti nella scuola. Per il Governo è anziano un precario trentacinquenne, mentre i sessantacinquenni sono giovani abbastanza per continuare a lavorare. Rimangono infatti gli effetti dei tagli e della riforma Gelmini, la scuola è allo stremo, e si bandisce il concorso! Tutto questo senza tenere in alcun conto quanti sono già nelle graduatorie e nella scuola da anni, la cui unica anzianità è quella di precarietà e servizio.
Siamo di fronte all’ennesima beffa che non siamo disposti a legittimare: a fronte dei tagli della riforma Gelmini e dell’innalzamento dell’età pensionabile non esistono cattedre disponibili per bandire un concorso! Su quali posti lo si vorrebbe indire? E perché? Per illudere quanti sperano di avere accesso alla professione? Per irridere quanti, abilitati con procedure concorsuali, con specializzazioni e competenze testate sul campo, hanno speso anni e la loro professionalità nella scuola e ancora aspettano che lo Stato li regolarizzi?
In secondo luogo il concorso, date le attuali condizioni, mette in discussione le abilitazioni variamente conseguite con prove selettive, che devono già di per sé dare accesso all’immissione in ruolo; casi emblematici sono quello degli abilitati SSIS, che hanno sostenuto prove di accesso a numero chiuso e programmato, frequentato corsi biennali con esami in itinere e un esame di stato finale, e quello dei vincitori di concorso che sarebbero sottoposti ad un’ennesima prova concorsuale. "E che ne sarà di chi, pur non abilitato, si è dedicato per anni al lavoro nella scuola o di quanti, pur abilitati all'insegnamento nella primaria tramite la facoltà di Scienze della Formazione Primaria, la cui laurea ha valore abilitante, non hanno avuto accesso alle GAE?
E non possiamo dimenticarci del personale Ata, la cui presenza è fondamentale per il funzionamento della scuola e che in questi anni è stato fortemente ridotto, con grave danno al lavoro dei docenti e alla serenità e sicurezza degli alunni.
L’unica via che consente ai precari e ai “giovani” un vero canale di accesso alla scuola è il suo rifinanziamento! 

PER QUESTO DOBBIAMO RILANCIARE LA LOTTA

DISCUTIAMONE INSIEME ALL’ASSEMBLEA DEI PRECARI DELLA SCUOLA


Domenica 15 gennaio dalle ore 9,30 alle 18,00  presso "IL CIELO SOPRA L'ESQUILINO"  Via Galileo n, 57 ROMA

venerdì 6 gennaio 2012

Indignados anche in Russia

dichiarazione del Poi
(sezione russa della Lit-Quarta Internazionale)

Molti sono rimasti sorpresi. Dopo anni di stabilità politica, in cui non si producevano mobilitazioni neanche per le più elementari rivendicazioni economiche, è scoppiata una grande manifestazione dal contenuto direttamente politico.
Il 10 dicembre, in Piazza Bolotnaya, circa 40 mila persone si sono riunite (oltre ad altre 10 mila a San Pietroburgo, 5 mila a Novosibirsk ed ulteriori manifestazioni minori in quasi 80 città) per protestare contro i vergognosi brogli nelle elezioni parlamentari per la Duma di Stato, in cui il partito Russia Unita, del primo ministro Vladimir Putin e del presidente Dmitri Medvedev, ha conquistato il 49% dei voti ed il 53% dei seggi della Duma. Diversi analisti hanno stimato che Russia Unita si è aumentata i voti in ragione del 15%. Sono centinaia le denunce dalle quali risulta che i seggi elettorali avevano chiuso le urne alla sera con un certo risultato, salvo, il giorno successivo, alla riapertura, mostrare numeri completamente differenti.
Ma il problema non è cominciato con questi grossolani brogli elettorali. Le elezioni nel loro insieme sono apparse sin dall'inizio come una farsa. Come si dice in Russia, sono elezioni in cui “chiunque può vincere, purché sia Putin”. In Russia è impossibile legalizzare un partito politico senza la benedizione del Cremlino. Il partito di governo Russia Unita ha il monopolio dei mass media, non ci sono dibattiti, nulla. Oltre ai brogli, la situazione si è ancor più fatta incandescente in conseguenza del tono arrogante di Putin e Medvedev che, quando sono apparse le prime denunce e manifestazioni, riferendosi alla prima protesta nel Boulevard Tchistye Prudy del 5 dicembre, il giorno dopo le elezioni e con più di 6 mila persone in piazza, dissero sprezzantemente: “Sembra che qualcuno, in qualche posto, stia dicendo qualcosa”, oltre ad accusare i manifestanti di essere pagati dagli Usa.
Eguale effetto hanno sortito le dichiarazioni del presidente della Commissione elettorale, Tchurov, secondo cui “le depravate fantasie di questa gentaglia che mette in dubbio la nostra onestà non mi interessano affatto”. Tutto ciò ha rappresentato la goccia che ha colmato il vaso e che ha spinto migliaia di persone, che per anni avevano sopportato questo sporco gioco della politica ufficiale russa, a rompere con l’indifferenza e ad avvicinare la lontana Russia, sia pure di poco, a quei Paesi europei già colpiti dalle manifestazioni degli indignados. Putin non aveva mai visto nulla di simile, poiché era sempre stato abituato a un grande appoggio popolare.
Siamo ancora agli inizi del processo, tuttavia è già possibile affermare che con gli accadimenti di Piazza Bolotnaya il regime poliziesco-mafioso delle oligarchie del petrolio e del gas di Putin sta entrando in una fase di chiara crisi politica.
La manifestazione non è stata fermata né dalla repressione dei corpi d’assalto della polizia (la Omom), né dalla convocazione per lo stesso giorno di esami di Stato in tutte le scuole del Paese col chiaro scopo di smobilitare le manifestazioni degli insegnanti e degli studenti, né dalle ridicole dichiarazioni del Direttore nazionale della Sanità, secondo cui “le manifestazioni invernali fanno male alla salute”, né dal luogo estremamente isolato (un’isola) riservato dal governo per i manifestanti.
Con decine di migliaia di orme nella neve da poco caduta, il popolo ha messo bene in chiaro ciò che pensa dell’attuale governo, rivendicando l’annullamento del risultato elettorale, le dimissioni di Tchurov, presidente della Commissione elettorale, libertà democratiche e nuove elezioni. Gli slogan “Russia senza Purtin!” e “Libertà!” hanno attraversato la piazza. La demoralizzazione della polizia, del regime e dei burocrati, ha fatto sì che, per la prima volta, Putin è apparso debole, obbligato a ricorrere a una vergognosa falsificazione per far credere di mantenere l’appoggio popolare. In un Paese che apprezza tanto gli uomini forti ciò appare una dura sconfitta per Putin.
In questi giorni di dicembre sono finiti i lunghi anni di silenzio, la gente non ha più paura e, al contempo, appare giunta l’ora che è il regime a doverne avere. In questi giorni, mobilitandosi in tutto il Paese, i giovani hanno sentito lo spirito di Piazza Tahrir, così come la vecchia generazione ha sentito lo spirito di quelle manifestazioni nell’Urss della fine degli anni Ottanta. La vittoria ufficiale di Putin si è rivoltata contro di lui. La sua grande sconfitta ha probabilmente aperto la fase del declino del suo regime.
Indipendentemente dai brogli elettorali, la perdita di appoggio politico al governo Putin è un fatto innegabile, così come la disposizione alla lotta quantomeno di un settore popolare. Anche tenendo conto dei risultati ufficiali, il partito di Putin, Russia Unita, ha perso molti voti. Ha perso la maggioranza costituzionale che gli permetteva di modificare la Costituzione a suo piacimento. Nondimeno, ha mantenuto la maggioranza relativa, che gli consente di approvare leggi anche da solo. Al contempo, è anche diminuita l’affluenza elettorale. Secondo i dati ufficiali, il 40% della popolazione si è astenuto dal voto, mentre alcuni analisti giungono fino al 50%. La maggioranza delle persone o non è andata a votare oppure ha votato “per qualsiasi partito, salvo che per Russia Unita”. Questo genere di protesta silenziosa, che è sempre esistita, oggi è arrivato a un livello impossibile da nascondere. Gli stessi risultati elettorali sono stati come una sberla in faccia a Putin.
Un processo che è ancora agli inizi
Tuttavia, nonostante il pesante colpo subito dal regime, non si può sovrastimare la situazione. La geografia dei risultati elettorali, così come il carattere e la composizione geografica delle manifestazioni, mostrano che il processo è appena agli inizi. Per adesso, le manifestazioni hanno coinvolto per lo più la classe media, gli studenti universitari e gli intellettuali delle grandi città. La classe operaia, per il momento, è assente dal processo di lotta. Nelle regioni più rurali e arretrate, Russia Unita, pur perdendo voti, ha ottenuto un risultato migliore di quello di Mosca, San Pietroburgo e altre città, così come le grandi mobilitazioni si sono svolte soltanto nelle città più abitate. La principale manifestazione, quella nella Piazza Bolotnaya, era composta soprattutto dalla classe media e dai giovani. Perciò, dal primo segnale di lotta fino ad arrivare all’ultimo chiodo sulla bara del regime di Putin si dovrà percorrere un lungo cammino di lotte.
L’opposizione
Come dicono i russi, “Putin è solo la metà del problema, l’altra metà è l’opposizione”. Il fatto è che l’opposizione parlamentare è complice diretta dei brogli elettorali. Ci sono quattro partiti che hanno ottenuto rappresentanza parlamentare. Oltre al partito di governo, Russia Unita, c’è il Partito comunista della federazione russa (Pcfr), che si atteggia come un’opposizione “civile” e “costruttiva”. C’è poi il partito Russia Giusta, creato dal Cremlino a guisa di ala sinistra di Putin. C’è il Partito liberaldemocratico di Russia (Ldpr), della destra xenofoba e filogovernativa. Questi partiti, benché critichino i brogli, sono contentissimi dell’aumento dei voti conseguito, dato che hanno aumentato il loro numero di deputati, i loro bilanci e il loro potere di negoziazione col governo.
Particolarmente cinica è l’opposizione del Pcfr, maggior partito d’opposizione, che ha raddoppiato i suoi voti (giungendo quasi al 20%, secondo i risultati ufficiali) e che proprio per questo ha ora una grande responsabilità, essendo la principale referenza contro Putin. Il suo leader, Ziuganov, ha detto che “le elezioni sono illegittime, sia da un punto di vista morale, sia etico”. Ma ciò non lo porterà a boicottare la nuova Duma o ad assumere misure simili. Al contrario, Ziuganov ha chiarito che il suo partito approfitterà dell’aumento dei seggi per aumentare il suo “potere di controllo” nelle elezioni presidenziali di marzo. Tanto era contento per aver raddoppiato i propri voti, che il Pcfr è stato il grande assente nella manifestazione di Piazza Bolotnaya, non convocandola ed inviando in rappresentanza solo un dirigente di secondo piano.
La situazione è diversa per quel che riguarda i liberali, agenti diretti dell’imperialismo nordamericano ed europeo, ai quali il regime ha tolto spazio politico che, per questo, non sono ben rappresentati in parlamento. Essi - cioè l’imperialismo - hanno qualcosa da perdere e qualcosa da guadagnare. Perciò utilizzano e cercano di manovrare le proteste. Oggi, per dare continuità ai propri piani di colonizzazione della Russia e degli altri Paesi da essa politicamente influenzati, l’imperialismo deve negoziare con Putin, che allo stato monopolizza tutto lo spazio politico del Paese. E Putin costa caro per i servigi che presta sostenendo i piani dell’imperialismo. Di qui la causa degli attriti fra loro. All’Occidente piacerebbe partecipare direttamente alla politica russa e perciò, di quando in quando, crea difficoltà politiche nel Paese a Putin attraverso i propri agenti liberali (Nemtsoy del Movimento Solidarietà, Yavlinskiy del Partito Yabloko, Kasparov di L’Altra Russia, ecc.), utilizzando per questo i brogli elettorali e l’assenza di libertà democratiche. E oggi sono stati proprio i liberali a trasformarsi negli organizzatori di Piazza Bolotnaya.
Ma la gente è scesa in piazza non “in difesa dei liberali”, quanto in difesa delle libertà democratiche. Come, scherzando, ha detto uno degli oratori della manifestazione, secondo il governo russo, Hillary Clinton avrebbe mandato sms a ciascuna persona presente in piazza. Il sentimento antistatunitense in Russia è molto forte. Ma, al di là di questo, per i liberali è molto difficile conquistare la fiducia popolare dopo la catastrofe degli anni Novanta, quando venne distrutto il parco industriale russo in nome dell’importazione di prodotti delle multinazionali imperialiste. E fu esattamente la loro politica a generare gli oligarchi (così in Russia vengono chiamati i grandi capitalisti del Paese) che si appropriarono delle proprietà statali, delle risorse naturali e delle altre ricchezze del Paese.
Furono gli stessi liberali ad aprite le porte a quel capitale straniero che oggi controlla praticamente tutte le aree dell’economia, inviando poi miliardi di dollari di profitti fuori dal Paese, dissanguandone l’economia e aumentando la miseria. Furono sempre loro a sostenere quella “assoluta libertà del mercato” che ha portato la crisi. Tutti i liberali appoggiarono il bombardamento del parlamento da parte di Eltsin nel 1993, primo passo per l’aumento della repressione in tutto il Paese. I liberali sono totalmente responsabili dell’attuale situazione in Russia. Criticano Putin, ma nella pratica propongono la stessa politica di privatizzazioni, tagli delle spese sociali, e soggezione del Paese al capitale internazionale, nella stessa misura in cui si sviluppa la ricetta di Putin. Sono perfino più radicali nel seguire le ricette del Fmi. Perciò non dicono una sola parola sull’economia di oggi, sulla corruzione e sui brogli. Tacciono su tutto il piano economico di adeguamento e privatizzazioni di Putin e le loro uniche parole d’ordine sono “Russia senza Putin!” oppure “Abbasso Russia Unita, partito di malfattori e ladri!”. Essi stessi temono le manifestazioni, che minacciano il modello economico semicoloniale del Paese, già in seria difficoltà, specialmente in un momento in cui la situazione diventa ogni giorno più esplosiva.
Falsificazione al servizio degli interessi degli oligarchi
Il fatto è che i brogli sono stati solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma il discredito accumulato dal governo viene da più lontano, risale all’applicazione dei piani di adeguamento e di tagli richiesti dal Fmi e dagli stessi oligarchi russi per aumentare i loro profitti. Così come in ogni altra parte del mondo, il governo russo ha salvato le proprie banche e gli oligarchi in crisi con denaro pubblico, indebitando lo Stato, e oggi vogliono fare economie a spese delle masse popolari. In tutti i Paesi, specialmente in Europa, i governi e i padroni stanno applicando riforme e aggiustamenti brutali: privatizzazioni, tagli salariali, licenziamenti, ecc., per imporre ai lavoratori un nuovo livello di sfruttamento. Nei loro incontri internazionali, come quelli del G-20, i governi del mondo discutono e coordinano le loro misure contro i lavoratori e i popoli per salvare i padroni dalla crisi da essi stessi provocata e di cui i lavoratori non sono affatto responsabili.
La Russia e il suo governo non fanno eccezione. Da tempo stavano sostenendo la riforma dell’istruzione, chiamata “modernizzazione dell’istruzione”, una definizione che non abbisogna di spiegazioni. Al tempo stesso, a causa dell’inflazione, la gente comune è sempre più povera. Il governo ha già approvato una serie di leggi che entreranno in vigore dopo le elezioni e colpiranno sempre di più i russi con quelle che vengono definite “misure impopolari”. Putin consegna sempre più il Paese, di per sé dipendente dagli investimenti stranieri, nelle mani delle multinazionali che fanno montagne di profitti. Segue pedissequamente le indicazioni del Fmi, della Banca Mondiale e dei governi dei Paesi dominanti per ridurre le spese sociali. Ormai c’è un nuovo bilancio, con grandi tagli alle politiche sociali ed aumenti delle risorse per la polizia, il Fsb (l’ex Kgb) e l’apparato repressivo in generale.
Tutto questo, mentre gli oligarchi continuano a realizzare profitti record. È proprio per dare continuità a questi piani che il governo si è visto obbligato ai brogli elettorali. La falsificazione delle elezioni è stata necessaria per Putin al fine di poter continuare con le riforme contro la maggioranza della popolazione e al servizio degli oligarchi e del capitale straniero. Putin voleva mostrare che “tutto è a posto”, che il popolo in massa continua ad avere fiducia in lui. Per questo, come sempre, ha falsificato le elezioni: per continuare, rafforzato “dall’appoggio popolare”, ad approvare misure antipopolari. Ma ha fatto cilecca. Oggi le masse popolari russe stanno sentendo tutto questo nella propria carne viva e sono stanche dell’ipocrisia del governo, dal momento che vedono come gli oligarchi si arricchiscono mentre il resto del Paese va impoverendosi ed è obbligato a sopportare in silenzio.
Come continuare?
Oggi è necessario ampliare le proteste per l’annullamento dei risultati elettorali. Tutti i partiti che si atteggiano ad oppositori (il Pcfr innanzitutto) debbono lottare per i voti rubati ai loro elettori, cioè disconoscere apertamente le elezioni, boicottare la nuova Duma e, tutti insieme, convocare ed organizzare massicce manifestazioni di protesta unificate per conquistare la liberazione di tutti coloro che sono stati arrestati nelle precedenti manifestazioni, per l’annullamento del risultato elettorale e le dimissioni del presidente della commissione elettorale, Tchurov. Qualsiasi altra posizione significherebbe un appoggio aperto o dissimulato ai brogli! Per proteste unificate di tutti per l’annullamento dei risultati elettorali!
È inaccettabile l’attuale posizione del Pcfr di non partecipare attivamente, non convocare le manifestazioni contro i brogli e accettare i suoi deputati nella Duma! Grazie all’autorità conferitagli dall’essere il maggior partito d’opposizione, una semplice dichiarazione del Pcfr di disconoscimento del risultato elettorale e di boicottaggio della Duma falsificata porrebbe tutto il sistema in una crisi di legittimità senza precedenti. Inoltre, se adoperasse il suo grande potere di mobilitazione (utilizzato finora solo in campagna elettorale) insieme ai 40 mila di Piazza Bolotnaya, il Pcfr potrebbe cambiare la situazione politica del Paese.
Oggi molti agitano la parola d’ordine “elezioni pulite”. Con le regole attuali, in cui non ci sono libertà democratiche e in cui “chiunque può vincere le elezioni, purché sia Putin”, parlare di “elezioni pulite” non ha alcun senso. Per una reale libertà d’espressione, di pubblicazione, di manifestazione, di riunione ed organizzazione! Per l’abolizione dell’attuale legislazione sui partiti e di quella “antiterrorismo” e “antiestremismo”, dirette ad eliminare l’esistenza di opinioni diverse! No alla repressione! Per la libertà di organizzazione e legalizzazione di partiti alternativi! Per la libertà d’informazione e di accesso dei diversi partiti e punti di vista alla televisione! Per un’ampia campagna di dibattiti elettorali in televisione! Sulla base di questi diritti democratici, realizzazione di nuove elezioni nel Paese!
Abbasso le privatizzazioni e la riforma dell’istruzione! Nazionalizzazione senza indennizzo di tutto il settore energetico e delle risorse naturali! Utilizzazione dei relativi proventi per promuovere una nuova ondata di industrializzazione del Paese e per il rinnovamento delle infrastrutture nazionali in modo da assorbire i disoccupati! Divieto di espatrio dei profitti! Nazionalizzazione e unificazione del sistema finanziario nazionale, per impedire la speculazione, l’espatrio di capitali e la corruzione! Fuori gli oligarchi, i banchieri, i malfattori e i ladri, per un governo operaio e popolare che governi nell’interesse della maggioranza e adotti un programma di aiuto dei lavoratori e non dei banchieri e degli oligarchi. Fuori Russia Unita, partito di oligarchi, banchieri, mafiosi e ladri!
Per dare gambe a questo programma, il principale problema dei lavoratori russi continua ad essere l’assenza di organizzazioni indipendenti e di una direzione politica, ciò che ritarda molto l’entrata in scena della classe lavoratrice. Oggi nessuno dei partiti legali rappresenta gli interessi dei lavoratori e del proletariato, né vuole difenderli. Il Pcfr difende alcuni punti del programma appena esposto, ma solo nelle campagne elettorali; per il resto non ha mai inteso mobilitare il proletariato su queste rivendicazioni. La classe lavoratrice non ha né sindacati indipendenti, né partiti in cui riporre la fiducia, né altre organizzazioni di lotta. Senza le loro organizzazioni, i lavoratori continueranno ad essere ostaggio dei padroni e dei burocrati. Oggi è necessario organizzare i lavoratori e i settori popolari in gruppi per luogo di lavoro, università, per quartiere, fra amici, coordinarli per contrastare la politica antioperaia, repressiva e filo-oligarchica del regime di Putin con le sue farse elettorali.
Costruire un’alternativa politica di classe e socialista costituisce oggi una necessità urgente per la classe lavoratrice russa.



(Traduzione di Valerio Torre)


giovedì 5 gennaio 2012

1 Maggio 1976

Angelino Loffredi
                                                                                                                                                                  























Questa  foto è stata scattata a Ceccano in occasione della festa del 1 maggio 1976. Mi è stata consegnata da Valentino Piroli, barbiere da ben 46 anni.
Come si può osservare, la fotografia è chiarissima in ogni suo aspetto, segno evidente che è stata ben custodita e gelosamente conservata nei locali della barberia.
In un clima di ricerche storiche e  di vari impegnativi approfondimenti  sui modi di fare politica, Valentino l’ha tirata fuori e fatta vedere a tutti i suoi clienti e mi ha autorizzato a farla conoscere e circolare in rete, per saperne di più.
Voglio condividerla fino in fondo con chi la riceve. Vorrei, infatti, che “ parlasse “, fosse definita in tutti i particolari, pertanto chiedo a tutti di partecipare e contribuire attivamente a questa originale ricerca.
Il primo punto  da risolvere è  il luogo dove è stata scattata, poi i nomi  di tutti i presenti, anche se per la gran parte si conoscono.
Più complesso è svelare chi effettuò la foto e se la stessa venne scattata prima o dopo la manifestazione. La festa come si articolò nella giornata? Ci fu un corteo ed, eventualmente, al termine dello stesso chi parlò?.
Auguro a tutti buona ricerca e una convinta partecipazione affinché una fotografia ci possa raccontare, in ogni suo aspetto, una importante giornata.

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 Non possiamo fare in modo  che la foto parli, almeno per ora , ma che suoni  sicuramente  si. In uno scenario come quello a cui ci riporta l'immagine, pieni anni '70 primo maggio comunista, non potevamo non chiamare in causa gli Area. Il gruppo di Demetrio Stratos, ormai stranoto ai naviganti di Aut, ha segnato la musica politica e di lotta sociale per buona parte del decennio degli anni '70.  Il gruppo composto da Patrizio Fariselli alle tastiere, Ares Tavolazzi al Basso, Paolo Tofani alla chitarra e synth, l'immenso Giulio Capiozzo alla batteria, oltre che da Stratos voce e organo Hammond, si distinse in quel periodo molto fecondo di musica a carattere politico e sociale, perchè, a differenza degli artisti, dei cantautori in auge all'epoca gli Area mettevano la rivolta non solo nei testi ma anche nel modo di suonare, con ampio spazio dedicato all'improvvisazione e all'originalità degli arrangiamenti. "Alza il pugno senza tremare e guarda in viso la tua realtà, guarda avanti non ci pensare la storia viaggia insieme a te" Questo frammento del testo "l'Elefante Bianco", brano tratto dal disco  "Crac" del 1975 descrive bene l'atteggiamento dei compagni ritratti nella foto inviata da Angelino. 
Good Vibrations 


Luc Girello

Distrofie industriali e..i binari morti

Fausta "l'insognata" Dumano

Distrofie industriali, la mostra alla villa comunale di FROSINONE, visitata clandestinamente prima dell' apertura ufficiale, grazie ad un amico, il poliedrico ricercatore EUGENIO BERANGER. La mostra rientra in un progetto voluto dall' assessorato alla cultura del comune di FROSINONE, un progetto che prevede esposizioni alternate di pittori e scultori alla ricerca delle contraddizioni e delle vicende della nostra terra. DISTROFIE INDUSTRIALI DI ROCCO ALONZI ti scaraventa con dolcezza nelle contraddizioni del passato, attraverso un gioco particolare, che lui dice casuale nell'esporre le opere. Ogni opera ha un protagonista, che si agita nei ricordi, basta poco un silos,una 126, dei binari morti, un water old very old......an old water....ROCCO è un artista poliedrico, lo conoscevo di fama, ma è la prima volta che lo sento parlare, lo ascolto mentre parla con il suo amico EUGENIO E NELL' ASCOLTO REALIZZI CHE LE SUE OPERE SONO UNA RICERCA ESPRESSIVA DI UNA VITA SENTITA. UNA RICERCA DEL SENSO PROFONDO i DUE SI ''squadernano” ricordi dell' infanzia, di una nonna, di un genere alimentare mentre entri nelle sue opere d'arte pronte a stupirti e a trasmetterti emozioni, la presenza di EUGENIO è fondamentale, riconosce luoghi che io ignoro, ROCCO non mette didascalie. C'è chi per dipingere cerca la musa in una modella, lui va in giro a fotografare le contraddizioni che restano nel divenire del tempo, in giro con la sua vespa e davanti ai binari morti, io che sono una viaggiatrice incallita del dondolio dei treni, sento l' eco dei versi di QUASIMODO, quando si trasferì con il padre, dipendente delle ferrovie a MESSINA, poco dopo il terremoto, che distrusse la REGGIO CALABRIA MESSINA BINARI MORTI......per ricominciare, scivolando oltre la linea dell' orizzonte perduto, orizzonte che si fa raggiungere, gli oggetti del passato sono vivi e ti parlano, escono da una vecchia tv Binari morti che ''viaggiano” all' indietro per consegnarti un mondo che stride con i non luoghi dove tutto è simile, le autostrade, i centri commerciali, i villaggi turistici, DISTROFIE INDUSTRIALI ti scaraventa nello scrigno magico del passato , tanto da sentire gli odori della cucina della nonna......UNA MOSTRA DA NON PERDERE



Nessuno tocchi Creso

Giovanni Morsillo

 Dopo il bliz formato ridotto che la Guardia di Finanza ha effettuato su un modesto campione di ladri a  CORTINA SOTTO CAPODANNO, si sono prevedibilmente levati i lai dei poveri milionari scoperti con il sorcio in bocca, i commenti misurati della classe politica e lo scherno sado-vendicativo di chi non ne può più di subire il crescendo dello scandaloso spettacolo degli abusi dei potenti sui poveri cristi. La collezione è lunga, e contiene veri e propri gioielli di infingardaggine, come quello del parroco che si stringe nelle sante spallucce e dichiara che pure Cortina sente la crisi, e se ogni tanto qualche vip ci fa un salto che scandalo c'è? O come le mille belle addormentate che sembrano meravigliate di quanto scoperto dai militi in un veloce e limitato giro di ispezione (35 esercizi su oltre 1000, solo 133 proprietari di supercars sulle centinaia che circolano in loco), e pronunciano frasi quasi indignate senza nessuna conseguenza. Ma ci sembra che la palma spetti a due qualificate rappresentanti della classe dirigente politica del Paese, Mariastella Gelmini, già esemplare ministro
dell'Istruzione, nota per l'insolito livello della sua competenza, e l'On.Daniela Santanché, conosciuta alle cronache politiche e di costume per meriti indiscutibili (nel senso che è meglio non parlarne). Le due, dall'alto della loro autorevolezza (basta sfogliarne la biografia) hanno sentenziato che quanto avvenuto susciti la preoccupazione che si voglia "colpire la ricchezza" e che questo risulta ovviamente odioso, perché - Gelmini dixit - "passa l'idea che la ricchezza sia male". Come dar loro torto? In effetti è la povertà che è un male, e secondo un banalissimo sillogismo (sono colti, questi, che credete?) se la povertà è un male e se bisogna colpire il male, è giusto colpire la povertà. Ci vuole tanto a capirlo? E non venite fuori con le solite obiezioni da fessi, secondo cui in questo modo si colpirebbero i poveri, non la povertà, che anzi ne uscirebbe rafforzata! Solo dei comunisti fuori dalla storia possono essere così sempliciotti da non afferrare il concetto che la povertà esiste solo se esistono i poveri, che ne sono custodi e portatori. E allora viva Mariastella e Daniela, che sanno e dicono cosa frulla in testa ai padroni, senza i giri di chiacchiere di un Cicchitto qualsiasi che si appella alla propaganda: la ricchezza è un bene, chi ce l'ha se la gode, e se lo Stato si mette in testa di togliergliela ai sensi della legge, è uno Stato di polizia. Punto.

Possiamo solo sommessamente aggiungere che ben ci sta.

Austerità: cominciamo dagli F35

Giulio Marcon. Fonte http://www.sbilanciamoci.info

Per fronteggiare la crisi, le risorse si trovano tagliando i costi delle Forze armate e rinunciando al dispendioso programma per i caccia F35

Il messaggio di fine anno inviato dal ministro della Difesa Giampaolo Di Paola alle Forze Armate contiene finalmente l'implicita ammissione di una verità di cui i pacifisti e gli analisti più attenti sono consapevoli da tempo: le Forze Armate italiane sono sovradimensionate e bisogna ridurne gli organici. Costano troppo (23 miliardi di euro) e questo anche perché abbiamo troppi soldati e soprattutto troppi ufficiali e sottufficiali. Nonostante questo, la recente manovra del governo Monti le spese militari non le ha nemmeno sfiorate. Si tratta di spese ingenti che ci mettono sempre tra i primi 10 paesi al mondo per spesa militare. Spendiamo pro-capite più della Germania. Ce lo possiamo permettere?

In tutto, 180mila persone che fanno lievitare i costi delle Forze Armate a livelli incompatibili con la crisi economica che stiamo vivendo. Un dinosauro burocratico dove, in proporzione, abbiamo più generali che nell'esercito degli Stati Uniti, più comandanti (ufficiali e sottufficiali) che comandati (soldati) e che non riesce, con 180mila soldati e graduati, ad assicurare un soddisfacente turn over a 8mila militari che si trovano nelle missioni all'estero. Nelle Forze Armate regnano sprechi ed inefficienza, l'operatività è un concetto vago e la parola "casta" può benissimo essere utilizzata per i privilegi corporativi delle sue gerarchie. Per non parlare delle commistioni opache con quel via vai di commesse di armi con al centro Finmeccanica, in questo aiutata da ex generali e capi di stato maggiore assunti all'uopo.

Proprio nel messaggio di Di Paola si dice che la ristrutturazione che aspetta le Forze Armate nel 2012 deve essere all'insegna "della operatività e dell'efficienza", che tradotto in parole povere significa uno strumento militare pronto all'azione nei teatri di guerra, ben armato, integrato appieno nella Nato, pronto a mettersi al servizio di quell'umanitarismo-militare che ci ha visto ben attivi in Kosovo, Iraq e Afghanistan. Non a caso, nonostante la crisi, Di Paola non ha alcun ripensamento sul dispendioso programma dei cacciabombardieri F35 (15 miliardi di euro) e sugli altri sistemi d'arma, né tanto meno su una missione di guerra come quella in Afghanistan, che ci costa centinaia di milioni di euro l'anno. Il rischio è che si voglia ridurre il personale per destinare le risorse risparmiate ai sistemi d'arma. È più che probabile. Invece bisognerebbe ridurre anche le spese per le armi, a partire dai caccia F35: si tratta di un importo che vale la metà dell'ultima manovra di Monti. Perché il rigore deve sempre valere per i pensionati, i lavoratori, i giovani e mai per le armi ed i militari? Perché si può sempre ridurre la spesa per la scuola, la sanità, il welfare e mai quella militare? Si potrebbe benissimo dimezzare del 50%, senza venire meno ai nostri obblighi internazionali. In tutto 13 miliardi: ecco dove trovare i soldi per fronteggiare la crisi.

Che le nostre Forze Armate abbiano poi un ruolo "di pace" nel mondo è discutibile. Almeno per l'Afghanistan, dove è in corso una guerra da dieci anni e i nostri soldati vi sono pienamente coinvolti. Ma se – come dice Di Paola – obiettivo del nostro impegno nelle missioni all'estero è di portare pace, democrazia e sicurezza alle popolazioni civili, sarebbe stato opportuno dedicare un «commosso pensiero» non solo ai nostri militari morti nella missione in Afghanistan, ma anche alle tante vittime civili afgane causate dal nostro intervento e dai nostri alleati. Si tratta di molte persone e non di "effetti collaterali", la cui vita vale quella come quella dei nostri militari caduti. E, anche per il nostro ministro della Difesa, sarebbe un atto di rispetto ricordarsene in questi giorni festivi di afflato umanitario.








mercoledì 4 gennaio 2012

Riprendiamoci la città

Luciano Granieri


Frosinone li 30/12/2011


                                                                               Spett.le
                                                                               Comune di Frosinone
                                                                               Ufficio entrate
                                                                               P.zza VI Dicembre 
                                                                               Frosinone


OGGETTO: Pagamento T.A.R.S.U (Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani).
                     Avviso di pagamento n.13848 del 16/07/2011


In merito alla corresponsione del tributo all’oggetto, preciso che ho provveduto a pagare quanto a Voi dovuto in unica risoluzione il 27/12/2011 come attesta il bollettino che allego alla presente. Come è mia consuetudine ho scelto l’opzione, fra quelle da Voi concesse, di saldare la tassa in oggetto interamente alla scadenza, cioè alla fine dell’anno, quando le mie entrate, che sono quelle di un lavoratore dipendente  me lo consentono,  rinunciando alla rateizzazione. Detto questo trovo del tutto fuori luogo la vostra “INTIMAZIONE” al pagamento ancora prima che in base alle opzioni da Voi concesse i termini del saldo siano scaduti. Mi domando perché la stessa solerzia che è stata usata nei miei riguardi non viene praticata nel sollecitare il pagamento degli oneri concessori a Voi dovuti dalle grandi imprese a cui avete concesso ettari ed ettari di terreno pubblico pronto per essere cementificato ad uso e consumo del profitto privato. Mi rendo conto che il Comune di Frosinone  si trova in una situazione finanziaria disastrosa anche per colpa dei mancati finanziamenti dovuti dalla regione e dal governo centrale, questo però non autorizza a vessare i cittadini comuni e a usare il guanto di velluto con  i contribuenti più abbienti. Capisco che il nuovo corso inaugurato dal governo Monti, per cui si è forte con i deboli e deboli con i forti, stia facendo scuola, .e che è sicuramente più semplice esigere il pagamento delle tasse da chi le ha sempre pagate, però il Comune, “IL MUNICIPIO”  come ente istituzionale più vicino ai cittadini dovrebbe agevolare i propri amministrati attraverso una fiscalità più equa, e non comportarsi come un implacabile ufficio recupero crediti. Rispetto al Voi in Equitalia ci sono dei dilettanti.
Cordiali Saluti.

Luciano Granieri.

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Il consiglio comunale dei cittadini


Questa è la lettera che ho inviato al Comune di Frosinone insieme al bollettino di avvenuto pagamento  della TARSU. Come è noto la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani può essere corrisposta al comune o attraverso una rateizzazione divisa in quattro rate o in un'unica soluzione.  Come ogni anno ho optato per la seconda possibiità. Ma con una solerzia degna di Equitalia, è arrivato il sollecito di pagamento. E’ disarmante assistere all’ inasprimento, quasi persecutorio della nostra amministrazione verso i propri cittadini. L’immagine che il comune sta offrendo di sè in questo ultimo scorcio di consiliatura è allarmante. Alle politiche lacrime e sangue verso i cittadini, che vivono solo del proprio lavoro  senza santi in paradiso, proprie del nuovo corso governativo messo in atto dal banchiere Monti, si affianca l’emersione della peggiore corruzione retaggio del sistema berlusconiano, e di altri sistemi che alla sua ombra sono cresciuti  interessando anche amministrazioni di segno opposto.  Corruzione, mancanza cronica di fondi,  dovuta   ai tagli operati dal governo centrale agli  enti locali, cattiva amministrazione,  poca determinazione nell’esigere oneri e tributi dalle grandi imprese hanno reso il comune di Frosinone, particolarmente famelico verso i cittadini. Per non soccombere sotto le varie mannaie, locali e centrali,   che in nome della crisi e del risanamento si stanno abbattendo sul 99% della popolazione è necessario cambiare sistema e il cambiamento si deve innescare nelle  amministrazioni locali che sono gli enti più vicini ai cittadini.  Cambiare evidentemente significa uscire dal bipolarismo e dal sistema consolidato dei comitati elettorali di centro destra e di centro sinistra. E’ sufficiente gettare lo sguardo sugli schieramenti cittadini per rendersi conto della profonda crisi in cui versano i movimenti politici i cui rappresentanti siedono sia alla destra che alla sinistra del sindaco. La crisi del centro sinistra è evidente. Le responsabilità politiche sulle recenti vicende giudiziarie non possono essere ignorate  dal sindaco Michele Marini  il quale, volendo ammettere la sua  buona fede, ha sbagliato nel  non esercitare un controllo adeguato su quei dirigenti cui aveva dato fiducia. Né i fatti accaduti possono esimere tutti i partiti componenti della maggioranza da  riflessioni politiche più profonde che vadano oltre la remissione delle deleghe assessorili, le quali, probabilmente,  verranno ridistribuite una volta passata la buriana, se mai questa passerà.  In realtà il Pd ciociaro, partito che esprime il sindaco di Frosinone, è in subbuglio  ma per tutti altri motivi. Nella sede di P.zza Garibaldi la questione morale del capoluogo non è pervenuta . La sede dei democrat è  occupata  non da iscritti che rivendicano un presa di posizione più determinata rispetto alle questioni di corruzione, ma dagli appartenenti alla corrente che fa capo a Marino i quali protestano contro quelli della corrente che fa capo a Bersani per una gestione non corretta da parte del segretario provinciale Migliorelli, espressione di quest’ultima corrente, della campagna di iscrizione al partito. Lo scenario di guerra coinvolge l’elezione del segretario regionale . Dunque la discussone in atto riguarda una bieca questione di tessere altro che i bisogni dei cittadini. Il Psi  vuole che il sindaco rimanga al suo posto, nonostante tutto,  sostenendo  che se la giunta Marini dovesse sciogliersi  il Primo Cittadino  non potrebbe  più ricandidarsi  sfaldando la potente macchina elettorale  che fino a qualche tempo fa credeva di avere  la riconferma  in tasca.  L’Idv abbaia ma non morde, La lista la sinistra, orfana dell’appoggio di Rifondazione si è rimessa ai voleri del sindaco pur avendo riconsegnato le deleghe del proprio assessore. Dall’altra parte la paralisi è totale. A parte le proteste di rito  nel corso dell’ultimo consiglio comunale dei consiglieri Tagliaferri, Magliocchetti e Piacentini, nessuna iniziativa d’opposizione  particolare, come  ad esempio la richiesta decisa  delle dimissioni del sindaco, è venuta alla luce. In realtà il vero problema all’interno del Pdl è trovare una candidatura credibile adatta a sconfiggere il centro sinistra alla prossime comunali. Si disquisisce di primarie, c’è chi alza la voce come Ottaviani il quale rivendica a sè il diritto di candidarsi al soglio di primo cittadino non contento della “sveglia” presa qualche elezione fa. Udc e terzo polo stanno a guardare pronti a salire sul carro vincente non importa se i cocchieri siano in quota Pd o Pdl. Come si vede le problematiche che smuovono gli schieramenti che stanno in consiglio comunale sono ben lontane dal riguardare le questioni della città.  Dunque scegliere alle prossime elezioni fra cotanta lungimiranza politica equivarrebbe a  condannare Frosinone alla paralisi e al declino anche se la posizione occupata dai consiglieri in aula  fosse invertita. E’ quindi giunto il momento che Frosinone torni nelle mani dei frusinati. Si deve passare ad un coinvolgimento popolare che vada oltre l’opzione consultiva ma preveda l’opzione partecipativa. E’ necessario che i cittadini che vivono e lavorano in specifiche  porzioni di territorio diventino decisori reali dei provvedimenti che riguardano quel territorio. Solo chi vive la quotidianità di un quartiere può sapere cosa serve a quel quartiere e la prassi pianificata per determinare l’evoluzione sociale di quella singola  frazione  urbana può estendersi anche ad altri quartieri. I quartieri potranno sviluppare una connessione reticolare condividendo informazioni, e soluzioni. Un sistema tale consentirebbe ai processi risolutivi  di un singolo problema di diventare sistema per risolvere e affrontare altre questioni di carattere più generale. Una  tale organizzazione   del territorio, che inevitabilmente coinvolgerebbe anche la gestione dei servizi (erogazione  idrica, mobilità, rifiuti), assicurerebbe una vigilanza estremamente efficace  perché   esercitata  dai  cittadini i quali hanno tutto l’interesse a che il germe della speculazione e della corruzione non attecchisca nel luogo dove abitano. Ai comitati dei quartieri dovrebbero aggiungersi movimenti e associazioni (commercianti, piccoli imprenditori, associazioni culturali,  i vari comitati attivi in città) tutti enti portatori di bisogni specifici e reali . Il tutto a costruire un MOVIMENTO DEI MOVIMENTI, quante suggestioni evoca questa definizione,  che entri in connessione con l’amministrazione comunale, e con essa decida  sul futuro della città. L’amministrazione dovrebbe  tenere conto delle indicazioni suggerite dal MOVIMENTO DEI MOVIMENTI, metterle in pratica e soprattutto lasciare a questo il controllo della corretta applicazione delle procedure. I partiti,  le coalizioni, le liste che vorranno  partecipare alle elezioni per poter esprimere una forza di cambiamento vera, alternativa al centro destra, al centro sinistra, ma anche ad una gestione clientelare della politica, dovranno  poter offrire questa capacità d’ascolto e di cogestione della città ai cittadini stessi.  Non c’è alternativa.

Bocconi di stato

Giovanni Morsillo


Il Presidente Monti ha un sacco di pregi, qualche difettuccio e molta coerenza. Per quest'ultima dote dev'essere stato prescelto dal Presidente Napolitano per guidare l'Italia dentro la tempesta finanziaria e il decadimento etico-sociale che la sta decomponendo. E di coerenza ne ha da vendere, il Professor Senator Presidente, non solo in quanto liberista, ma anche in quanto dirigente della classe padronale (le due cose non devono per forza coincidere). Lo dimostra, fra le altre cose, il mancato pagamento dell'ICI al comune di Milano da parte dell'Università privata che dirige, la famigerata Bocconi. Tale azienda, infatti, non versa l'ICI dal 2005 per gli immobili di Via Spadolini, 333 alloggi per studenti fuori sede paganti una retta che varia dai 3100 agli 8500 Euro (si tratta di una somma ormai arrivata a quasi 600mila Euro). La stessa ICI (ribattezzata, ma sempre zuppa è) che invece richiede ai proprietari di case italiani (purché non si tratti di non meglio precisati luoghi di culto). Non vi sono molti esempi di coerenza così cristallina e allo stesso tempo ferrea. C'è solo da scegliere: per Tocqueville non esiste cosa più semplice che far pagare i poveri, per Gentile le leggi per i nemici si applicano, per gli amici si interpretano.
Sarebbe bello se il PD e chi gli fa la corte (SEL, PdCI, PRC) desse qualche segno di esistenza in vita.

martedì 3 gennaio 2012

#occupyliberazione. Ecco il primo numero del nuovo anno di Liberazione!

fonte : http://www.controlacrisi.org


Leggi e scarica tutte le pagine del giornale in pdf:

merc-4-gen-2012_1.PDF (321 KB)
merc-4-gen-2012_2-3.PDF (655 KB)merc-4-gen-2012_4.PDF (437 KB)merc-4-gen-2012_5.PDF (566 KB)merc-4-gen-2012_6.PDF (678 KB)merc-4-gen-2012_7.PDF (57 KB)merc-4-gen-2012_8.PDF (198 KB)merc-4-gen-2012_Tutto-il-giornale.pdf (2848 KB)
L'assemblea permanente delle lavoratrici e dei lavoratori di Liberazione, che da una settimana occupa la redazione, ha deciso di continuare a realizzare un vero quotidiano. E' questa una delle forme di lotta adottate a salvaguardia dei posti di lavoro e per dare un futuro a questo giornale che dal primo gennaio non è più in edicola. Non un quotidiano online in senso classico. Ma un vero quotidiano che va online, che chiude cioé in redazione alle ore 20.30 ma che invia i suoi "file" per la stampa direttamente ai lettori invece che in tipografia. Continueremo a far uscire Liberazione assieme al direttore Dino Greco. Una versione in pdf da scaricare, stampare, attacchinare, condividere sui social network o via mail "chiusa" dalla redazione di #occupyLiberazione ogni sera dalle ore 20,30.

Da quell'ora basterà cliccare e si apriranno le pagine, basterà mandare in stampa e diventeranno di carta!
Pagine che saranno tutte caratterizzate dalla lotta: la lotta del giornale per continuare a vivere e tornare in edicola, prima di tutto. Le lotte degli altri lavoratori in occupazione in tutta Italia, le lotte delle altre testate, giornalistiche e televisive, in chiusura, le lotte di chi ha perso il lavoro, le lotte di chi vuole cambiare, le lotte contro il governo Monti, le lotte contro i potentati finanziari, le lotte contro il conflitto di interessi.
Un giornale aperto a tutti quelli che, come noi e insieme a noi, hanno intenzione di non mollare. Nemmeno di un passo. Nemmeno di una parola.

Finalmente si vota

Lucia Fabi,  Angelino Loffredi

Il 9 agosto del 1961 fu il giorno designato per la votazione della fabbrica. Rappresentava una data fatidica che a sedici anni dalla fine della guerra poteva segnare, nel saponificio Annunziata di Ceccano, lo spartiacque fra abuso e legalità, fra repressione padronale e democrazia sindacale.
Le elezioni per la Commissione Interna, pur in un clima teso, si tennero con regolarità, senza litigi o contese fra le parti in campo. Vi fu una particolarità che merita di essere ricordata: prima di arrivare al seggio elettorale gli operai in servizio erano stati sollecitati a passare nell’ufficio del personale per ricevere delucidazioni e consigli che lasciamo immaginare di che natura fossero.
Prima vennero scrutinate le schede riguardanti gli impiegati. Furono 19 e tutte riportarono voti a favore del candidato della lista padronale. Fu un esito scontato poiché fra gli stessi era l’unica ad essere stata presentata. Successivamente iniziò lo scrutinio del voto operaio. I votanti furono 517. I primi voti furono per la lista padronale e tale vantaggio si mantenne fino alla sessantesima scheda. Subito dopo la lista della Cgil superò tutte le altre per terminare con un crescendo di voti che arrivò a toccare i 275. La lista Annunziata ne ottenne 161, quella della Cisl 71, quella Uil 24. Per i sindacati c’era veramente da festeggiare. Per essere ancora più precisi riportiamo che la Cgil ottenne il 54% dei voti, la Csil il 14%. Visti i precedenti si potrebbe scrivere, senza esagerare, che si poteva ipotizzare l’alba di un nuovo giorno, un momento tanto ardentemente ricercato sia dai lavoratori che dalla città di Ceccano.

Il giorno dopo le elezioni la Cisl provinciale redige un comunicato dai toni veramente discutibili. Il filo conduttore dello stesso si sviluppa attorno a questo ragionamento: gli anni degli abusi padronali, dei licenziamenti e delle discriminazioni hanno fatto si che gli operai “ hanno condensato il loro profondo malcontento in un preciso orientamento politico a favore del partito comunista “. Fatta questa pretestuosa premessa, il pensiero diventa più chiaro ma non convincente “la pentola compressa del dispositivo aziendale prepara la cottura di successi elettorali politici e amministrativi” per raggiungere tali fini, inoltre, viene scritto che “ induceva la Cgil a non turbare i sistemi arbitrari della Società Annunziata “
Il comunicato preparato a Frosinone da persone distanti anni luce dalla realtà cittadina e di fabbrica, arriva  ad accusare la Cgil  di aver fatto in tutti gli anni precedenti il gioco delle parti: licenziamenti,  selezioni degli assunti sulla base delle idee politiche poiché tale repressione portava automaticamente più voti al Pci. Non sappiamo a quali riferimenti elettorali si appoggiasse tale teorema, noi ci vogliamo limitare a mettere in evidenza dati che a riflettere bene si commentano da soli. Alle elezioni comunali del novembre 1960, la Dc, seppur divisa in due liste, ottiene 14 consiglieri comunali, il Pci 9, il Psi 6, il Msi 1. Nel giorno del voto per eleggere la Commissione Interna, l’amministrazione comunale, sindaco Vincenzo Bovieri, era diretta da una precaria coalizione di sinistra che godeva solo di 15 consiglieri su trenta.
Forse è più rilevante ricordare che nella lista democristiana erano stati eletti, così come nel 1956, due autorevoli ed influenti dirigenti del saponificio Annunziata: Forte e Basile. Ovviamente con i voti operai.
 Solo per un attimo, ma velocemente, il comunicato coglie il momento, il significato nuovo e dirompente del voto, quando afferma “ questa consultazione rappresenta l’inizio della vita sindacale nell’Azienda Annunziata “ E’ una osservazione veramente  necessaria per partire e progettare il futuro, ma essa viene immediatamente mutilata da altre considerazioni quali “ la Cisl esce con la consapevolezza di aver ottenuto 71 voti qualitativamente sindacali “ mentre i 275 ottenuti dalla Cgil esprimono “ una volontà pretestuosa sorretta unicamente da pregiudiziali politiche “ Questa riflessione è un capolavoro di disorientamento e di una logica di divisione. E’ sconcertante che voti veramente coraggiosi, potremmo dire eroici, vengano contrapposti con una logica ipocrita ed ideologica: i voti ricevuti dalla Cisl sono espressione del sindacato mentre quelli dati alla Cgil esprimono una pregiudiziale politica.
In quel comunicato, purtroppo non si tiene conto che la lista padronale, pur sconfitta ha ottenuto 161 voti. Tanti. Si tratta di persone che pur disorientate, condizionate o ricattate bisogna raggiungere, per condurle alla democrazia sindacale, far avanzare in un clima unitario necessario e idoneo a conquistare le tante richieste disattese per anni dall’azienda.
Si, a esaminare attentamente questo comunicato, vista l’incapacità di avviare una necessaria  ricognizione dei ritardi accumulati e delle questioni drammaticamente aperte, c‘è veramente da temere per l’antagonismo che emerge verso l’altro sindacato. Il documento va letto con timore ed angoscia perché le gravi responsabilità della direzione aziendale non vengono focalizzate, non viene individuato il commendatore come controparte bensì la Cgil. L’insieme di tutte queste considerazioni risulta essere un pericoloso freno a mano tirato proprio nel momento in cui l’unità sindacale dovrebbe fare affermare e vincere diritti e migliori condizioni economiche per tutti i lavoratori.


Per accedere alla puntate precedenti della storia, si può cliccare sul link qui sotto

Banche 2012. N. 1: a cosa servono?

Antonio Zanotti. Fonte http://www.sbilanciamoci.info/

Sebbene sia un luogo comune asserire che i processi di liberalizzazione favoriscano la concorrenza fra imprese a vantaggio dei consumatori, la liberalizzazione dell’industria bancaria1 viene sempre più additata come la causa scatenante della grave crisi in corso.
Che cos’è che non ha funzionato?
Cercheremo di riflettere su alcune caratteristiche dell’industria finanziaria che la differenziano dalle altre industrie di produzione di beni e di servizi, per concludere sulla necessità di tornare a maggiori regolamentazioni in questo settore.

La natura della produzione bancaria.
L’industria bancaria è la sola che produce un output uguale al suo input: denaro.
In qualunque altro settore, la produzione finale è il risultato di un processo di trasformazione tecnica degli input, questo vale sia per la produzione di beni che di servizi 2.
Le banche fondamentalmente acquistano denaro e vendono denaro o meglio acquistano l’uso del denaro e vendono l’uso dello stesso denaro, attività che non richiede da parte della banca né la proprietà né il possesso del denaro stesso.
La vendita dell’uso del denaro implica il trasferimento del denaro stesso dal venditore al compratore, senza possibilità di controllarne la destinazione: una volta che il denaro entra nelle disponibilità del debitore, è praticamente impossibile. In termini più tecnici, potremmo dire che non esistano contratti completi in grado di regolare la certezza di adempimento del contratto di prestito.
In questo modo però il rischio non riguarda solo il prezzo per l’uso del denaro (rischio in c/interessi), ma la restituzione del denaro stesso (rischio in c/capitale).
Nelle altre forme di contratto d’uso (leasing o affitto di un immobile) se l’acquirente non paga il corrispettivo, il venditore si riappropria fisicamente del bene.
Lo stesso però non avviene nel caso di compra-vendita dell’uso del denaro 3.
L’attività bancaria, diversamente da qualsiasi altra attività, ha quindi una esposizione al rischio più alta del valore della transazione avviata 4.
Nelle altre attività economiche, il venditore può cercare di evitare qualunque rischio ottenendo il prezzo della compravendita contestualmente alla consegna del bene ceduto o anche farsi pagare anticipatamente la prestazione di un servizio. L’attività bancaria è l’unica dove, anche in caso di pagamento anticipato della transazione, resta un rischio multiplo del valore della transazione stessa.

La natura del tasso di interesse
Ora se la banca vende ciò che compra, senza alcuna trasformazione fisica o spostamento materiale del bene oggetto della propria attività, come può praticare due prezzi diversi per lo stesso oggetto, ovviamente al netto dei costi per la gestione del denaro?
Il costo unitario del denaro è il tasso di interesse.
I tassi di interesse non sono uniformi a parità di quantità di denaro prestata e la differenza dipende dalla rischiosità delle operazioni realizzate dalla banca rappresentabile come:
- capacità del prenditore di denaro di pagarne l’uso (interesse) e di restituirlo a scadenza;
- durata nel tempo (scadenza del finanziamento) che aumentando accresce il rischio dell’operazione.
Quindi, la banca per realizzare un profitto, deve modificare il profilo del rischio delle operazioni che esegue. In altri termini la banca per guadagnare deve produrre rischio.
Trasferendo il rischio a livelli sempre più alti, aumenta il differenziale fra i tassi, passivi ed attivi, che la banca pratica alla propria clientela e, se il rischio non si trasforma in perdita, gli utili sono maggiori.
La produzione bancaria consiste quindi in un riposizionamento del rischio fra il denaro preso a prestito e quello dato a prestito, per qualità della clientela e per durata dell’operazione. Se la banca non fosse disponibile a differenziare i livelli di rischio, verrebbe meno la stessa attività creditizia.
Più alti sono i profitti che vuole ottenere, più alto è il rischio che la banca deve correre.
Per i depositanti (ma anche per gli obbligazionisti) la prima fonte di garanzia resta il patrimonio netto della banca stessa. La garanzia dipende allora dal volume fra prestiti e patrimonio che la banca realizza. Questo rapporto fra debiti e patrimonio (leverage) è uno degli indici più comuni per valutare la solvibilità di una società, al pari dell’indice di disponibilità che misura crediti e debiti in funzione della loro scadenza.
Utilizzando entrambi gli indici le banche risultano essere le imprese più rischiose: hanno leverage altissimi ed il loro riposizionamento del rischio (le cui possibilità sono aumentate con la deregolamentazione degli anni ’80 e ’90) si basa anche sullo scarto temporale crescente fra operazioni di raccolta a breve ed operazioni di impiego a medio lungo.
Le banche per misurare le perdite probabili sui dei propri investimenti fanno affidamento sulla legge dei grandi numeri, secondo la quale la probabilità e la frequenza di un evento tendono a convergere. Fondamentalmente è la tecnica usate dalle assicurazioni per valutare eventi come il rischio di un incidente stradale o di una malattia, di un evento atmosferico e della nostra speranza di vita. Ma questo metodo è assai discutibile per calcolare il rischio di insolvenza su un finanziamento concesso. Valutare questo rischio estrapolando le serie storiche può essere quanto mai distorsivo se il passato è una fase ascendente del ciclo, mentre il futuro potrebbe essere una fase discendente, o viceversa. Nel primo caso il rischio di insolvenza viene sottostimato, mentre nel secondo caso viene sovrastimato.
Se, poi, i decisori ottengono retribuzioni incentivanti rispetto ai profitti, i rischi assunti saranno ancora maggiori. In altre parole, se incentivo le retribuzioni dei banchieri legandole ai profitti che sono correlati positivamente ai rischi assunti, in sostanza li sto incitando ad assumere rischi sempre maggiori. Inoltre mentre i profitti li registro con scadenze ravvicinate, la maggior parte delle perdite di insolvenza le registro alla scadenza del contratto (o anche dopo se debbo realizzare le garanzie eventualmente ricevute). La rilevazione contabile dei ricavi è allora anticipata rispetto ai costi di insolvenza.
La critica contro i bonus dei banchieri è stata prevalentemente di carattere etico e morale. Pochi hanno attirato l’attenzioni se, per le banche, i bonus connessi ai profitti non fossero un incentivo monetario distorcente. 

1 Uso il termine “banca” per indicare ogni intermediario finanziario seguendo R. Posner (Un fallimento del capitalismo – 2011 – Codice edizione). Al pari, quando intendo fare riferimento ad una banca in senso tradizionale, uso il termine “banca commerciale”.

2 A volte la trasformazione può essere minima, puramente estetica, ma percepita diversamente dal consumatore, oppure un trasferimento nel tempo e nello spazio di un bene.

3 Una società immobiliare che gestisca l’affitto di abitazioni sa che l’affittuario può danneggiare l’abitazione stessa, per cui spesso pretende una cauzione. Ma in ogni caso il valore della cauzione non potrà mai essere pari al valore dell’abitazione perchè il rischio che l’affittuario demolisca l’abitazione è considerato nullo. Nell’attività finanziaria il rischio che la banca assume è, al limite, proprio quello che il prenditore di denaro “demolisca l’abitazione”.

4 Se una banca presta 100 € al tasso del 5%, dopo un anno, se il debitore fosse totalmente inadempiente, la banca registrerebbe una perdita di 105, pari a 21 volte il costo della transazione. Anche nel caso la banca si fosse cautelate con garanzie, il costo finale sarebbe sicuramente più alto del rischio in c/interesse.



lunedì 2 gennaio 2012

Zamba del Che

Daniele Sepe



1 Gennaio 1959 - 1 Gennaio 2012 
53° Anniversario della Rivoluzione Cubana

Campagna Boicottaggio OMSA

fonte:  http://ilfarodelsud.net


La Omsa chiude lo stabilimento di Faenza per riaprirlo in Serbia. 350 lavoratrici a casa. Eppure la Omsa non è in crisi, produce e vende tantissimo. Ma in Serbia, forse, può sfruttare meglio chi lavora.
La proprietà ha agito sotto banco, mettendo tutti di fronte al fatto compiuto, mentre ancora si discuteva sul futuro dello stabilimento e di come assicurare alle operaie continuità lavorativa. Niente da fare: la OMSA che per decenni ha fatto la sua fortuna sfruttando il lavoro delle donne di Faenza e il marchio made in Italy, non ne vuole proprio sapere.
Abbandonare il Paese in un momento di crisi, lasciando sul lastrico centinaia di famiglie, è un atto imperdonabile. Alla vigilia del Capodanno, abbiamo lanciato un invito a scrivere un messaggio sulla bacheca Facebook della Omsa. Migliaia i messaggi di protesta hanno costretto la Omsa a rispondere: “Abbiamo preso in considerazione il vostro punto di vista e abbiamo conversato con voi più volte riguardo a tali avvenimenti. Rimaniamo aperti alla discussione, ma per una serena convivenza di chi utilizza la nostra community per altri scopi i commenti off topic o con un linguaggio scorretto verranno moderati”.
A questo punto, c’è qualcosa che noi possiamo fare? Sì, sensibilizzare la Omsa. Ecco come:
1) estendere a più persone possibile l’invito a non acquistare i prodotti indicati nella foto in basso
2) scrivendo sulla bacheca Facebook della Omsa
3) condividendo e diffondendo le informazioni di questo post
La Omsa non è certo l’unica azienda italiana che, per qualche soldo in più, sbatte i lavoratori sulla strada per andare all’estero ma con questa iniziativa intendiamo cominciare un percorso di sensibilizzazione generale perché noi, in fondo, un grande potere ce l’abbiamo: quello di non comprare i loro prodotti. E chissà che la Omsa non ci ripensi.
Ecco cosa non acquistare: