Com’è noto, la Società SAXA GRES srl ha acquistato, tramite procedura concordataria con il Tribunale di Frosinone, investendo circa 15 milioni di euro, lo stabilimento ex Area Industrie Ceramiche (ex Marazzi), sito nella zona industriale di Anagni, per riavviare la produzione di materiali ceramici. Stavolta però si utilizzerebbero nella produzione anche le ceneri e le scorie derivanti dai processi di combustione di rifiuti solidi urbani (RSU) e assimilati.
Quando si è appresa tale notizia, è sorto spontaneo un dubbio, che ci sembra legittimo: quale strategia di mercato può aver portato una società ad investire una somma così ingente per riattivare una produzione che aveva portato al fallimento delle precedenti Società, che pur non utilizzavano rifiuti da miscelare nel prodotto finito?
Prima di avanzare ulteriori dubbi, è necessario descrivere sinteticamente i contorni tecnici della questione.
I rifiuti che SAXA GRES intende inserire negli impasti di argilla utilizzati per la produzione di gres porcellanato, sono sostanzialmente di due tipi: 1. ceneri leggere; 2. ceneri pesanti e scorie.
Le ceneri leggere. Questo rifiuto può essere classificato sia come pericoloso, che come non pericoloso, a seconda che contenga o meno sostanze pericolose. Il codice identificativo (CER) riportato nel catalogo europeo (Decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000), recepito nell’Allegato D alla Parte IVa del D.lgs. 152/2006, è infatti un cosiddetto CER “a specchio”, che appunto prevede la possibilità di classificare il rifiuto sia come non pericoloso - con CER 19 01 14, “ceneri leggere, diverse da quelle di cui alla voce 19 01 13” - che come pericoloso - con CER 19 01 13*, “ceneri leggere, contenenti sostanze pericolose” (nel catalogo europeo i rifiuti pericolosi sono caratterizzati dalla presenza dell’asterisco alla fine della terza doppietta di cifre).
Le ceneri pesanti e scorie. Anche questo rifiuto può essere classificato sia come pericoloso che come non pericoloso, con codice CER “a specchio”: CER 19 01 12, “ceneri pesanti e scorie, diverse da quelle di cui alla voce 19 01 11”; CER 19 01 11*, “ceneri pesanti e scorie, contenenti sostanze pericolose”.
Per derivazione e composizione, è dunque evidente che i rifiuti in questione sono tutt’altro che esenti da possibili rischi per la salute e per la salvaguardia dell’ambiente, dato che possono contenere sostanze pericolose.
Per classificare correttamente tali tipologie di rifiuto occorrerebbe un’attenta verifica analitica, per appurare appunto la presenza o meno di eventuali componenti pericolosi; le procedure analitiche da attuare sono descritte nella richiamata Decisione 2000/532/CE.
Le verifiche da effettuare, se correttamente ed esaustivamente svolte, sono molto onerose, per cui è avvenuto più volte, in diversi contesti, che qualche laboratorio “compiacente”, restringendo il campo di analisi, abbia “aiutato” le aziende a classificare tali rifiuti come non pericolosi, consentendo così uno smaltimento notevolmente vantaggioso in termini economici, a discapito della tutela dell’ambiente e della salute pubblica.
Ma c’è di più. Le operazioni di “recupero” delle ceneri derivanti dagli inceneritori di RSU sono consentite solamente per le ceneri pesanti qualora classificate come non pericolose (CER 19 01 12) e comunque possono essere effettuate solamente nel rispetto di specifiche condizioni normative.
Nel caso in esame, le procedure attuabili per il recupero di rifiuti non pericolosi sono indicate nel DM 05/02/1998, decreto dedicato in particolare alle specifiche per il recupero di rifiuti non pericolosi in procedura semplificata (ex art. 216 D.lgs. 152/2006), che però rappresenta comunque la norma tecnica di riferimento.
La tipologia di rifiuto non pericoloso, “recuperabile” ai sensi del citato decreto, è dunque rappresentata dalle “ceneri pesanti” CER 19 01 12, come riportato nel punto 13.3.3 dell’Allegato 1 – Suballegato 1. La norma prevede che, in caso sia stata adeguatamente caratterizzata come non pericolosa, una cenere pesante può essere recuperata solamente dai cementifici, mentre non sono contemplate le industrie di prodotti ceramici.
Nel caso di ceneri classificate come pericolose, siano esse pesanti o leggere, la norma di riferimento, il DM 161/2002, non contempla la possibilità di alcuna operazione di recupero.
Le procedure operative di recupero che intende attuare SAXA GRES non trovano quindi applicazione nella norma, ma nonostante ciò - e nonostante la prima “bocciatura” del progetto nel contesto del procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) presso la Regione Lazio, proprio per le motivazioni sopra esposte - la Regione Lazio ha deciso comunque di percorrere la via sperimentale, emanando la Determinazione n. G13381 del 14/11/2016 (del Direttore della Direzione Regionale Governo Ciclo dei Rifiuti, Arch. Demetrio Carini) ad oggetto: “Pronuncia di Valutazione di Impatto Ambientale ai sensi dell'art. 23 del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. progetto Impianto per la produzione di ceramiche con recupero di scorie da termovalorizzazione di RSU presso l'esistente impianto sito in località Selciatella, Anagni, Proponente SAXA GRES srl . Registro elenco progetti n. 54/2014. Modifica in autotutela della determinazione G08462 del 22/7/2016”.
Occorre rilevare che nel sito della Regione Lazio non è reperibile la determinazione G08462 del 22/07/2016, con cui l’Area VIA si esprimeva in merito all’attività presentata da SAXA GRES. È invece reperibile la determinazione G13381 del 14/11/2016, del medesimo Direttore, nel cui dispositivo si legge: “DETERMINA - Per quanto riportato in premessa che integralmente si richiama: di dichiarare concluso negativamente il procedimento per il rilascio della Autorizzazione Integrata Ambientale ex art. 29 ter del D.lgs. 152/2006 di cui all’istanza della SAXA GRES srl P.IVA e C.F. 02806440604 con sede legale ed operativa in loc. Selciatella snc in comune di Anagni (FR), per l’esercizio di una attività di recupero di scorie da termovalorizzatore di rifiuti urbani nell’ambito della produzione di ceramiche.”
Ricapitoliamo. In prima istanza il procedimento di autorizzazione ambientale si conclude in maniera negativa. Poi il progetto, con qualche integrazione, rientra sorprendentemente in pista, bypassando il divieto della normativa attraverso una fase sperimentale monitorata da un’Università.
Delineato il quadro tecnico-amministrativo, si possono finalmente riprendere i leciti dubbi lasciati in sospeso, che implicano a loro volta ulteriori domande.
Perché un impianto che dovrebbe produrre dei materiali ceramici di dubbia qualità, in quanto miscelati con rifiuti (anche pericolosi), dovrebbe avere un mercato migliore di un impianto che produceva prodotti ceramici di qualità (o quantomeno non contenenti rifiuti pericolosi), che però è fallito?
Il nuovo prodotto sarà tracciabile con adeguata evidenza, cioè il cittadino che per sua scelta decidesse di acquistare materiale ceramico proveniente da SAXA GRES, sarà adeguatamente informato che tale prodotto contiene rifiuti (anche pericolosi)?
Supponiamo che la composizione del prodotto sia corretta e trasparente. Quale cittadino sano di mente comprerebbe, magari per “piastrellare” il bagno, un prodotto contenente rifiuti pericolosi, anche se venisse proposto a costi notevolmente inferiori a quelli del prodotto “pulito”?
Perché, se la norma non contempla la possibilità di “recuperare” le ceneri e le scorie, soprattutto se pericolose, la Regione Lazio “si lancia” in un’improbabile sperimentazione?
A fronte di tutto ciò, quali benefici effettivi apporterebbe tale produzione alla popolazione della Ciociaria, in particolare di quella che risiede nell’alta Valle del Sacco?
Quanti posti di lavoro durevoli può portare un’azienda del genere?
Non sarà piuttosto che, non potendovi essere un fondato rientro economico assicurato dalla produzione di materiali ceramici, qualcuno è interessato esclusivamente allo smaltimento di ceneri e scorie, anche e soprattutto pericolose, provenienti dagli inceneritori di rifiuti solidi urbani, sparsi in tutta Italia?
Vuoi vedere, allora, che si sta per realizzare, per via traverse, l’ennesima discarica, a martoriare un ambiente e una cittadinanza che da anni continua a subire abusi indiscriminati a causa di scelte strategiche di pianificazione territoriale vantaggiose solo per una ristretta cerchia di beneficiari?
Non è superfluo infine rammentare che un’analoga attività di recupero di rifiuti era già stata attivata nel Comune di San Vittore del Lazio dalla Società LATERMUSTO, che alla fine degli anni ’90 mescolava rifiuti pericolosi nelle argille per produrre mattonelle. La Società, nel fallire, ha lasciato depositate in maniera incontrollata diverse tonnellate di materiale argilloso contaminato, provocando un vero e proprio disastro ambientale, con grave inquinamento di sostanze cancerogene nei terreni e nelle acque di falda, a tutt’oggi persistente.