Si è svolto venerdì scorso 26 ottobre, a Sora presso la sala
bistrò del "Deliri" l’evento “Storie di Tortura”. L’incontro ,organizzato
dall’Associazione Stefano Cucchi Onlus, e dal circolo Antonio Gramsci di
Rifondazione Comunista di Sora, era
focalizzato su due drammatici casi giudiziari, relativi alla morte di Stefano Cucchi e Serena
Mollicone. Per entrambi il
coinvolgimento di militari dell’arma dei Carabinieri sembra acclarato, come
sono del tutto evidenti i supplizi e le torture che i due giovani hanno dovuto
subire prima di morire.
Il programma prevedeva la proiezione del film di
Alessio Cremonini “Sulla mia Pelle”, dedicato proprio alla vicenda Cucchi. La
visione della pellicola è stata preceduta da un dibattito a cui hanno
partecipato Ilaria Cucchi , attraverso un collegamento in diretta, Guglielmo
Mollicone, padre di Serena, Maria Tuzi, figlia del brigadiere Sandro Tuzi, il
cui suicidio inerente alla vicenda di Arce è talmente sospetto da essere ancora
oggetto d’indagini.
Hanno presentato l’evento Luigi Pede, segretario della
sezione Antonio Gramsci del Prc di Sora, Paolo Ceccano, segretario Provinciale del
Prc. E’ intervenuto, inoltre, Maurizio Acerbo, segretario nazionale di
Rifondazione Comunista. Il professore Pasquale Beneduce, docente presso l’Università
di Cassino, ha introdotto il film di Cremonini. Per un’analisi degli aspetti politici, sociali
e emersi
nel corso del dibattito, rimando ad un altro post contenente le conclusioni espresse dal segretario nazionale
del Prc Maurizio Acero .
Personalmente
vorrei condividere qualche riflessione sulle emozioni profonde che il film ha
suscitato. Partirei da quanto ha fatto notare il Professor Beneduce sull’attuale legge che introduce il reato
di tortura. Un provvedimento talmente all’acqua di rose per cui gli aguzzini di
Cucchi non potrebbero esserne accusati, infatti, secondo la norma, questo si determina solo a seguito di sevizie plurime
e ripetute. Cioè se si picchia e si
sevizia una volta sola, anche provocando la morte, come accaduto a Cucchi non si
commette reato di tortura.
Ma veniamo al
film. Si capisce subito che la pellicola racconta di un depistaggio, più che di
un pestaggio, sin dalle prime scene dopo l’arresto. Quando Cucchi, interpretato
dallo straordinario Alessio Borghi, si presenta in preda ai dolori delle percosse davanti al carabiniere della caserma di Tor Sapienza incaricato di redigere il verbale, questi rimane basito guardando il corpo martoriato di Cucchi, ma il suo
superiore, lo invita a scrivere senza annotare alcuna lesione, in fondo il
tizio non lo hanno arrestato loro, dunque è meglio evitare rogne. Sintomatico
in tal senso è come Cucchi si rivolge, in un'altra scena al carabiniere che lo accoglie al policlinico
chiedendogli cosa gli fosse successo. “Sono caduto dalle scale” è la prima
risposta di Stefano. “Sempre co’ stè scale, quando la smetterete di mettere
avanti le scale?”, aggiunge il militare: “Quando le scale la smetteranno di
riempirci di botte” ribatte Cucchi.
Allucinante è l’asettica descrizione del processo
di convalida del fermo. La giudice sembra non accorgersi minimamente dello
stato di salute dell’indiziato. Chiede nome, cognome, stato civile, se si dichiara colpevole o innocente, queste le
fredde battute del magistrato immune ad ogni tipo di compassione ed umanità, e
così per tutto il film, gli episodi di depistaggio si susseguono fino alla
morte di Stefano.
Un altro aspetto lo ha suggerito il professor Beneduce nella
sua introduzione : il film di Cremonini si basa sui luoghi. Infatti sono
proprio i luoghi a rimandare tutta la drammaticità delle situazioni. Il
corridoio che Cucchi percorre scortato
dai carabinieri , due in borghese ed un in divisa, per
arrivare alla sala di foto segnalazione - luogo dove si capisce avverrà il
pestaggio - è lunghissimo. La sequenza sembra non finire mai e getta lo spettatore
in un profondo stato d’angoscia. L’ambulanza
che trasferisce Cucchi al Pertini diventa un ulteriore strumento di tortura. La scena è
straziante con il mezzo che salta sulle buche provocando lancinanti dolori al
paziente il quale invoca una guida meno brusca e veloce.
Ancora un altro corridoio,
quello che conduce Stefano in barella presso la camera di reclusione.
Viene inquadrato dalla prospettiva di Cucchi. I neon asettici si susseguono inframezzati da pezzi di
soffitto scrostato e rendono con drammatica esattezza lo stato di
prostrazione di Stefano. Le varie celle e la camera dove Stefano muore, nel loro
scarno squallore, scandiscono il progressivo avvicinarsi della morte. Toccante è lo strazio dei genitori e di Ilaria che immaginano lo stato di abbandono in cui si
sente il ragazzo, essendo all’oscuro dei veti che impediscono ai sui
congiunti di andare a confortarlo .
Ed infine una domanda. Perché Stefano è
stato pestato fino alla morte? Perché proprio lui? Il film non lo rende
esplicito ma lo fa intuire molto bene. Stefano Cucchi è sembrata la vittima
perfetta per sfogare una vile e barbara frustrazione. Non era un delinquente.
Un malavitoso non si sarebbe preoccupato di scongiurare la perquisizione nell’appartamento dei
genitori per evitare un loro choc, non solo, Stefano era malato, epilettico, un
stato di debolezza perfetto per la squallida vigliaccheria di chi si fa forte contro i deboli.
Quella stessa mitezza, per cui il papà di Serena Mollicone non ha subito
ritorsioni.
Il contesto è diverso, ovviamente, ma i torturatori di Serena, e i
loro complici, hanno sottovalutato la caparbietà di Guglielmo ritenuto un
tranquillo insegnante incapace di opporsi così assiduamente, per amore di
Serena, della verità e della giustizia, al perverso disegno ordito dagli
assassini . La bontà d’animo profonda
che, da un lato ha condannato a morte, dall’altro sta portando alla verità è l’unica
grande differenza che contraddistingue i
due casi.