Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 7 settembre 2021

Anni '70. Al jazz riesce l'impresa unica ed assoluta di unire la sinistra in Italia

 A cura di Luciano Granieri

Il 27 agosto scorso ho avuto il piacere di presentare il libro di Diego Protani "Sunshine tutti i colori della musica"  edito da LFA Publisher. Un volume che, attraverso la testimonianza di grandi musicisti degli anni ‘60 e ‘70 descrive il clima culturale e sociale di quei due decenni. Diego Protani, nel corso della presentazione, ha chiarito che aveva scritto un libro di politica, perché le sue interviste a gente come Al Kooper, James Litherland, Leo Lyons e tanti altri artisti, protagonisti della scena rock e progressive del tempo, rimandano un quadro che è intriso di politica, la testimonia e la indirizza negli interstizi più profondi delle masse popolari. 

Nel preparare quell’intervista mi è tornato alla memoria il bel libro di Adriano Bassi, dal titolo “Giorgio Gasllini, vita, lotte, opere di un protagonista della musica contemporanea” la cui prima edizione è uscita nel 1986 per Franco Muzzo editore. Un testo in cui il   pianista jazz milanese, intervistato dall’autore,  rivela un quadro dai contorni netti e chiari del periodo storico in cui ha suonato e operato nel campo della cultura e dalla didattica a partire dagli anni ‘40. 

Da questo libro ho voluto trarre un frammento in cui Gaslini spiega come il jazz in Italia, agli albori degli anni ‘70, sia stato in grado di unire sinistra parlamentare, extra parlamentare e masse giovanili, nell’identificare la musica afroamericana come ineguagliabile  icona di liberazione nel campo dei diritti umani,  civili e sociali, trasformandola in un potente strumento di lotta . Ma allo, stesso tempo, come il jazz stesso abbia tratto linfa dai mega festival di stampo politico e di massa per ritrovare un protagonismo perso all’inizio degli anni ‘60. In particolare dall’avvento del rock incardinato per lo più nella musica dei Beatles. 

 Un periodo in cui qualche concerto veniva organizzato nei teatri, ma esclusivamente delle  grandi città, e i soli festival del jazz di Sanremo e di Bologna,  pur costituendo una vetrina importante, erano insufficienti per la diffusione della musica afroamericana. I  musicisti italiani, relegati nei sottoscala dei night club, erano sopraffatti dall’ imperversare delle  prime discoteche, o meglio, per dirla con Adriano Mazzoletti, di “locali da ballo con musica riprodotta”. 

Penso che il testo possa costituire, inoltre, testimonianza dell’evoluzione di un indirizzo culturale e sociale, seppellito poi dall’appiattimento creativo imposto dalle esigenze del mercato, eletto a sistema unico ed incontrovertibile  dalle politiche liberiste esplose a partire dagli anni ‘80.

Buona Lettura.

Luciano Granieri



 Fabbrica Occupata

di Giorgio Gaslini.

Fabbrica occupata è brano ispiratomi dal senso spettrale di angoscia, di tragedia, ma anche di forza all’interno di una fabbrica occupata, coi macchinari coperti dai teli, con le maestranze raccolte in un salone, sedute per terra attorno ad una stufa accesa a discutere per ore e ore del giorno e della notte, i bambini, i familiari, il vitto portato da casa. Tutto questo durava magari quindici giorni. Io passai tante ore con loro in varie fabbriche, poi mi invitarono gli operai stessi in molte parti d’Italia a tenere concerti all’interno delle fabbriche occupate. Andai in forma di solidarietà, assolutamente a titolo gratuito, anzi molte volte mi pagavo le spese di viaggio, ma ho la grande soddisfazione di aver contribuito nel portare a conoscenza dell’opinione pubblica queste situazioni. Una volta feci un concerto sul tetto di una fabbrica di Genova, con gli altoparlanti sulla città. Il giorno dopo fu riportato l’accaduto su una pagina intera del quotidiano ligure. Tutto ciò servì come documentazione, perché il Ministero e il Ministro si mossero finalmente e la fabbrica fu riaperta. Altre volte successe nell’hinterland milanese. Mi ricordo di un ultimo dell’anno passato con le maestranze di una fabbrica occupata vicino a Parma. 

Fabbrica occupata non fu un brano scritto al tavolino, ma qualcosa di molto vissuto. La prima esecuzione avvenne nel ‘72 ad Umbria Jazz, sulla piazza di Perugia, era la prima edizione del festival, con 10.000 ragazzi seduti nella piazza di Perugia fino in fondo alla via. Era successo un fenomeno stranissimo. Qualche giorno prima era stato programmato una specie di mega festival rock vicino Modena. All’ultimo momento questi ragazzi si erano già messi in cammino a decine di migliaia per andare in autostop, a piedi e con mezzi di fortuna a questo festival, dove avevano addirittura promesso la presenza di Bob Dylan (cose leggendarie). 

Io partii con la macchia per andare in Umbria ed in autostrada trovai centinaia di ragazzi che chiedevano l’autostop. Un paio di giorni prima avevano sospeso questo festival, quelli che già si erano messi in cammino dirottarono tutti su Umbria Jazz e scoprirono di colpo questo festival. Fu la sua stessa fortuna, perché già nella prima serata arrivarono in decine di migliaia, erano almeno 20.000 ragazzi con il sacco a pelo. Quella sera dopo di me si sarebbe esibito Sun Ra, tra le altre cose dovevo suonare la sera prima con i Weather Report, ma era venuto a piovere e il concerto era stato sospeso. Chiesi di poter suonare la sera dopo, nonostante il festival dovesse pagarmi lo stesso e mandarmi a casa. Dissi che non volevo i soldi senza aver lavorato ed allora ecco questa serata a Perugia, condivisa con Sun Ra. Dentro di me pensavo: “succeda quel che succeda io faccio questo pezzo”

Bisogna pensare che non si erano ma visti 10.000 ragazzi seduti per terra ad un festival di jazz e non si sapeva se questi lo conoscessero e che tipo di reazione avrebbero avuto essendo abituati al rock. La reazione fu incredibile: si alzarono tutti in piedi applaudendo. In quel momento incominciò una nuova fase non solo della mia musica, ma della musica in Italia. Quando scesi ai piedi del palco c’erano gli organizzatori di “Libertà 1”, un festival che si teneva a Pisa dopo qualche giorno. Mi chiesero di partecipare a Libertà 1 solo come pianista. Accettai e provai delle sensazioni indimenticabili per il calore diomostratomi dal pubblico. 

Ho ancora un manifesto di quella serata, che fu in realtà una non stop di dieci ore, dal pomeriggio alla notte, in cui ogni numero musicale si alternava ad un personaggio di spicco del movimento generale di rinnovamento che si era creato in Italia: dalla prima femminista, alla prima ragazza che era riuscita a denunciare una violenza subita, all’anarchico messo in galera per sbaglio, all’obiettore di coscienza, oppure a gruppi che semplicemente testimoniavano il loro modo di essere. Ricordo che suonai alle due di notte, nello stadio dove si svolgeva la manifestazione. Avevano costruito un grande palco altissimo dove non vi si era potuto mettere sopra il pianoforte perché il palco non lo reggeva. 

Erano tutte soluzioni di fortuna, con un pianoforte a coda sotto, a livello del pavimento, e tutta la gente seduta non solo sugli spalti, ma anche dentro, per cui ero sepolto da circa 8.000 persone. Mi ricordo che chiamai uno del servizio d’ordine, un tipo alto e grosso come un armadio e dissi: “Guarda che questo pianoforte ha due o tre note che non funzionano”. Questo era il clima in cui si svolgevano le manifestazioni, dove non si andava troppo per il sottile, dove l’importante era l’ideologia oltre che la musica e così lui rispose: “Ci sono due o tre note che non funzionano? E tu saltale!”. Io da musicista rabbrividii, ma poi pensai che era importante la testimonianza, in quanto la musica la suonavo come volevo e sapevo, non c’era un handycap musicale, ma una predominanza della presenza e della testimonianza. Anche in questo caso ci fu una reazione travolgente. 

Contemporaneamente mi successe un altro fatto. Fui contattato dai rappresentanti del Festival dell’Unità, che mi dissero: “Il jazz al Festival dell’Unità non l’abbiamo praticamente mai fatto, vogliamo provare a Firenze, alle Cascine, è un festival provinciale e vediamo cosa succede”. Era il 1973 e mi invitarono con il mio gruppo. Andai nel pomeriggio, c’era un palco organizzatissimo con i microfoni, un pianoforte a coda e una grande platea; gli organizzatori erano terrorizzati e si chiedevano se sarebbe venuta gente con la vecchia mentalità istituzionale del Festval dell’Unità, dove i divi erano stati per dieci anni Claudio Villa e Sergio Endrigo. Per rincuorali dissi: “Sentite, io facci concerti dal dopoguerra, ho sempre avuto pubblico e non vedo perché non dovrebbe venire questa sera”. 

Arrivarono le 21,00 e anche 3.000 persone, famiglie complete con bambini. Sbalorditi dal grande successo avuto, da quel momento per 10 anni i Festival dell’Unità hanno fatto il jazz. Tutto ciò dimostra come il PCI nella sua maggioranza di base era più all’avanguardia di alcuni suoi intellettuali di vertice. 

L’importanza di tutto ciò non era tanto nel risultato economico, ma nel fatto che si erano accorti del jazz tutti in sintonia: i grandi movimenti giovanili che provenivano dal rock con Umbria Jazz, i movimenti della sinistra istituzionale con i Festival dell’Unità, e i movimenti della sinistra extra parlamentare con Libertà 1

   


 Note Biografiche tratte dal sito “giorgiogaslini.it”

Pianista, compositore, direttore d’orchestra milanese, musicista jazz di fama internazionale, ha al suo attivo più di tremila concerti e cento dischi, per i quali ha vinto dieci volte il Premio della Critica.

Iniziatore di correnti musicali e portatore della musica ai giovani in scuole, università, fabbriche, ospedali psichiatrici ha tenuto concerti e partecipato a festival inoltre 60 nazioni.

E’ stato titolare dei primi corsi di jazz nei Conservatori S. Cecilia di Roma (1972-73) e G. Verdi di Milano (1979-80), facendo conoscere una nuova generazione di talenti musicali e aprendo la strada all'ingresso ufficiale del jazz come materia di studio in tutti i conservatori italiani.

Ha collaborato per le musiche di scena con i più prestigiosi registi di teatro e per la televisione.

Per il cinema ha composto numerose colonne sonore: celebri le sue musiche per il film “La Notte” di MICHELANGELO ANTONIONI, premiate con il NASTRO D’ARGENTO. Ha collaborato inoltre con registi quali CARLO LIZZANI, MIKLOS JANCSO e DARIO ARGENTO.

E’ autore dei libri Musica Totale (Feltrinelli), Tecnica e arte del Jazz (Ricordi), Il tempo del musicista totale (Baldini e Castoldi). 

Grande artista milanese. Compositore, Direttore d'orchestra, pianista oltre che intellettuale autentico. In  oltre sessant'anni di carriera  ha tradotto la sua creatività in suoni, versi e parole.
Protagonista assoluto nella storia della musica italiana, ha contribuito all'affermazione del jazz, ha posto le fondamenta della musica totale europea.
Dopo aver conseguito sei diplomi al Conservatorio di Milano, ha composto lavori sinfonici, opere e balletti rappresentati al Teatro alla Scala e nei più importanti teatri italiani e internazionali.

Giorgio Gaslini è morto il 29 luglio 2014 all'ospedale di Borgotaro (Parma), dove era ricoverato da circa un mese dopo una caduta. Era nato a Milano il 22 ottobre 1929.

Nella sua lunga carriera ha tenuto circa quattromila concerti in tutto il mondo e all'impegno nel jazz ha affiancato anche la musica classica, con una copiosa discografia.