"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"
Dichiarazione del costituzionalista Massimo Villone, a nome della presidenza
del Comitato per la democrazia costituzionale
La condanna ad oltre tredici anni di carcere inflitta dal Tribunale di Locri all’ex sindaco di Riace Domenico Lucano rappresenta una pagina nera nella storia della Repubblica.
Con questa condanna, che inasprisce persino le richieste del Pubblico Ministero, viene criminalizzata un’esperienza di solidarietà umana, di accoglienza, di integrazione culturale che ha costituito un esempio ed un modello apprezzato in tutto il mondo.
Il Tribunale ha obiettivamente trasformato eventuali irregolarità amministrative e contabili in una condotta criminale e lucrativa, quando è a tutti evidente la finalizzazione a favore degli ultimi di ogni attività del sindaco Lucano e la finalità altruistica del suo agire.
In questo modo, attraverso un percorso tortuoso è stato introdotto nell’ordinamento un inconcepibile reato di solidarietà. La solidarietà è uno dei fondamenti della Repubblica e non può essere criminalizzata, tantomeno dai giudici che sono i guardiani della Costituzione.
Esprimiamo la nostra più sincera solidarietà umana e politica a Domenico Lucano, confidando che la macchina giudiziaria saprà correggere i suoi errori.
“Credo
di aver suonato con i due musicisti più logorroici di tutta la
musica jazz". Questo soleva dire Miles Davis, riferendosi a Charlie
Parker e John
Coltrane. Ed
era vero. Due
personalità geniali, debordanti e
rivoluzionari. Ma, per
certi versi, contrastanti con la poetica di Miles. Una
poetica, forse ancora
più geniale, basata
sulla magneticità del fraseggio, fatto di note taglienti, o soffuse
dalla sordina Harmon. Una genialità che travalicava i flussi
melodici per andare oltre, indirizzando
la ricerca verso
nuove soluzioni nel
campo armonico,
ritmico.
Ma, a fronte di un approccio melodico misurato, Miles Davis è stato
logorroico a modo suo, vulcanico,
per meglio dire,
nell’inventare, nel
rivoluzionare forme e stilemi. Impareggiabile nello scoprire
nuovi talenti dalle doti straordinarie inizialmente incomprese, il già citato
Coltrane ne è un esempio. Un iperattività creativa ed innovativa
che non ha eguali.
Volendo intraprendere un viaggio in trent’anni dall’attività di Miles, a partire dalla
collaborazione con Parker, si possono apprezzare: una
nuova variazione nel
fraseggio bop, più riflessiva
rispetto a quella
di Gillespie, si
ascoltino le registrazione del 1948; l’invenzione di un nuovo
stile basato sulla creazione
di melodie ed armonie
meno frenetiche, piùricercate,
improvvisazioni meditate, intime.
Parliamo ovviamente della nascita del Cool
Jazz, dove “cool”
non sta per “freddo”, ma per “calmo”. “The
Birth of the Cool”,
col nonetto diretto da
Gil Evans,
è il disco manifesto di questo nuovo stile, che avrà uno sviluppo
nel jazz della West Coast. Non
a caso, insieme con Miles suonavano Gerry Mulligan e
Lee Konitz,
icone della corrente bianca sviluppatasi negli anni ‘50 a Los
Angeles e dintorni.
Non finisce qui. Nel passare in rassegna i
protagonisti della rivincita nera dell’hard bop newyorkese, come
non aggiungere, ad
Horace Silver, i
Messanger di Art
Blakey, Sonny
Rollins, la nuova
vena creativa di Davis? Rinnovato
sia nel morale che nel fisico, dopo
essere uscito dalla tossicodipendenza, Miles
sfoderò una serie di dischi fenomenali per la casa discografica
Prestige,
con un quintetto destinato ad entrare nella storia. Coltrane al
Sax tenore, Red
Garland al
pianoforte, Paul
Chambers al
contrabbasso e Philly
Joe Jones alla
batteria. Relaxin’
with the Miles Davis quintet, Steamin’with the Miles Davi quintet,
Workin’ with Miles Davis quintet, Cookin’ with the Miles Davis
quintet furono
album straordinari registrati tutto d’un fiato necessari per
assolvere gli impegni
con la Prestige prima
di passare alla casa
discografica Columbia,
anche in questo caso stabilendo un record, quello di essere il primo
jazzista a registrare per una grande etichetta dal fatturato
milionario il cui
catalogo era composto da dischi di sicuro successo in ambito
commerciale.
Non
bastava. Da
qui iniziò la sperimentazione per la nuova rivoluzione. Quella
dell’armonizzazione modale basata
su scale e non su
accordi. Preannunciato
dalle musiche per il film “Ascensore
per il patibolo”
di Louis Malle,irruppe nello scenario
discografico quello che
ad oggi viene considerato l’album di jazz più bello in
assoluto, “Kind
of Blue”, con
Coltrane, Julian Cannonbal Adderley, al sax alto, Jimmy Cobb alla batteria Paul Chambers al contrabbasso e il nuovo astro nascente del pianoforte Bill
Evans, oltre a Wynton Kelly.
L’evoluzione
del modale contraddistinse tutti gli anni ‘60 con un altro
quintetto storico: Wayne
Shorter al sax
tenore e soprano, Herbie
Hancock al
pianoforte, Ron
Carter al
contrabbasso e
Tony Williams
alla batteria. Fu il
gruppo che mosse i primi passi verso la rivoluzione elettrica.
Infatti
l’irrequietezza di Miles spinse il
trombettista verso
altri orizzonti: la contaminazioni con sonorità elettrificate,
frutto
dell’apprezzamento verso il
re di Woodstock
Jimi Hendrix.
In a Silent Way
e, soprattutto, il capolavoro Bitches
Brew, costituirono
l’ennesima rivoluzione: la musica Fusion. I protagonisti saranno destinati a diventare
le
nuove stelle
nel firmamento musicale: Chick
Corea, Jack
De Johnette, Keith Jarrett, Joe Zawinul, John
McLaughling e molti
altri . Bitches Brew segna un altro record è il primo disco di jazz
ad entrare nelle classifiche degli album più venduti.
Sono passati
più o meno trent’anni dall’inizio del nostro viaggio.
L’attività di Miles continuerà ancora con altre scoperte e
sperimentazioni, magari
non tutte riuscite. Ma
il confronto di quei trent’anni mette in risalto il sordo silenzio
dell’oggi. Il silenzio creativo
di altri trent’anni passati senza Miles che veniva
a mancare il 28
settembre del 1991. Poco
prima di morire egli
aveva in animo di riproporre, con
arrangiamenti nuovi,
proprie esecuzioni degli anni ‘50-’60. Forse
il fisico, minato da una salute precaria, aveva fiaccato il musicista
dell’Illinois, e lo aveva convinto che il tempo delle rivoluzioni
era finito, era il momento di guardarsi indietro.
Non fece in tempo. A Miles Davis, non era concesso di fermare il suo
impulso rivoluzionario.