di Francesco Ricci Partito di Alternativa Comunista
Si è sciolta Sinistra Critica. Senza grandi clamori, nel pieno dell'estate, con un semplice comunicato pubblicato sul sito del gruppo si dà notizia dello scioglimento dell'organizzazione.
Lasciamo ad altri gruppi di scrivere compiaciuti coccodrilli e note funebri. A noi interessa provare a capire meglio il perché della chiusura di quella che è stata (insieme al Pdac e al Pcl di Ferrando) una delle tre organizzazioni nate dalla crisi di Rifondazione e al contempo una delle tre forze a carattere nazionale che hanno animato l'estrema sinistra italiana negli ultimi anni. Pur caduto nel silenzio (salvo, ripetiamo, qualche noticina velenosa sui siti di gruppi concorrenti) il fatto è importante anche perché Sinistra Critica era, nel bene e nel male, l'erede, la continuazione del primo gruppo trotskista costituitosi in Italia con Livio Maitan a metà degli anni Quaranta (i Gcr, che assunsero dal 1969 il nome di Lcr, e successivamente divennero l'Associazione Quarta Internazionale, poi Bandiera Rossa e infine Sinistra Critica: prima come area in Rifondazione, poi come organizzazione indipendente, dalla fine del 2007).
Per parte nostra, pur essendo stati da sempre molto molto lontani dalle posizioni di Sinistra Critica, posizioni con le quali abbiamo polemizzato anche aspramente (ma sempre in termini politici), riconosciamo a Sinistra Critica, e in particolare a Franco Turigliatto, uno dei suoi principali dirigenti, quella correttezza che costituisce una cosa anomala in una sinistra ed estrema sinistra in cui è pratica corrente il ricorso all'insulto e alla calunnia contro le altre organizzazioni (si pensi all'uso metodico - contro di noi specialmente, ma non solo - che ne fa la terza forza tra quelle citate: il Pcl).
Come è nostro costume anche in questo articolo polemizzeremo in termini esclusivamente politici, con l'intento di aprire un dialogo con quei compagni di Sinistra Critica che fanno un bilancio diverso da quello contenuto nell'atto di chiusura della loro organizzazione e che non sono disponibili a partecipare a nessuno dei due progetti alternativi guidati dalle due ali in cui si è diviso il gruppo dirigente di Sc.
Un bilancio reticente
La cosa che più colpisce nel testo pubblicato sul sito di Sinistra Critica è lo scarso peso dato al bilancio. Ciò che produce la contraddizione per cui da una parte si annuncia la chiusura e dall'altra si allude a un bilancio sostanzialmente positivo.
I motivi della fine sono così ridotti alla crisi generale che colpirebbe in tutta Europa "le forze della sinistra anticapitalistica". Secondo la dichiarazione di Sinistra Critica bisogna prendere atto che pur in un "terreno privilegiato a forze orientate verso la trasformazione sociale", determinato dall'ascesa della lotta di classe in tante parti del mondo, Europa inclusa, in ambito politico ciò non si riflette in un rafforzamento delle organizzazioni di sinistra. E nessun tentativo è fatto (almeno in questo testo) per capire il perché di questa sfasatura tra il piano sociale e quello politico, ritenendo gli autori del testo escluso, come si capisce dalla lettura del resto della dichiarazione, che la causa possa essere cercata nell'inadeguatezza del progetto politico e programmatico di forze come la loro che, aggiungiamo noi, forse proprio per questo arrivano a sciogliersi. La paradossale conclusione di questo bilancio poco bilanciato è così questa: "Restiamo convinti che l’esperienza condotta negli anni, o decenni, trascorsi alle nostre spalle, sia stata giusta."
L'esito di una lunga storia
Del tutto diverso, noi crediamo, avrebbe dovuto essere il bilancio di Sinistra Critica se, in luogo di qualche frasetta rituale per riempire un testo, i suoi dirigenti avessero voluto realmente guardare indietro a un percorso che, durato in effetti decenni (la data di inizio va indicata nel 1949, anno di nascita dei Gcr) ha prodotto una lunga catena di disastri.
In altri testi abbiamo fatto riferimenti più argomentati alle posizioni di quella corrente: la stessa nostra corrente internazionale (la Lit-Quarta Internazionale) nasce da un percorso di decenni di battaglie contro le posizioni del Segretariato Unificato (Su, l'organizzazione internazionale a cui Gcr, Lcr e poi, seppure con adesione individuale dei militanti, Sinistra Critica hanno fatto riferimento) e da una rottura definitiva, anche in termini organizzativi con l'Su, nel 1979, seguita, nel 1982, dalla nascita della Lit-Quarta Internazionale
Non abbiamo la pretesa di riassumere qui in qualche riga mezzo secolo di dibattito storico: chi fosse interessato ad approfondire il tema può trovare sul nostro sito web vari testi di ricostruzione storica e, sul sito della Lit, una breve sintesi in spagnolo: http://www.litci.org/inicio/quien-somos/historia-de-la-lit
Qui ci limitiamo piuttosto a indicare il filo conduttore di tutta la storia della corrente sfociata in Sinistra Critica e quindi nel suo scioglimento: una costante revisione centrista del marxismo rivoluzionario (cioè del trotskismo) che la ha condotta progressivamente ad abbandonarne i pilastri programmatici e a considerare il trotskismo come, nella migliore delle ipotesi, un "contributo" da portare ad altri progetti, una sorta di integratore alimentare (la vitamina T...). Fu appunto portando alle logiche conseguenze questa concezione che nel '68 - cioè nel momento in cui avrebbe potuto fare un balzo nella costruzione - i Gcr andarono in frantumi, mentre vari dirigenti di primo piano davano vita a organizzazioni concorrenti (Vinci e Gorla fondarono Avanguardia Operaia, Brandirali Servire il popolo, e poi ancora Mineo, Russo, Illuminati, Savelli, ecc.)
Ed è sempre seguendo questa concezione (la rinuncia a costruire un partito basato sul programma marxista, dunque trotskista) che - facciamo ora un salto di vari decenni - in tutta la vita di Rifondazione la corrente di Turigliatto, Maitan e Cannavò ha prima cercato di fare da "consigliere del re" (e il re era Bertinotti...), poi ha dato vita a una tendenza interna che perennemente oscillava tra il sostegno critico e una moderata opposizione al bertinottismo. E' da questa posizione oscillante (quintessenza del centrismo, per dirla con Trotsky) che i parlamentari di Sinistra Critica eletti in quota a Rifondazione hanno votato più volte la fiducia al governo imperialista di Prodi (coprendo questa pratica con virtuosismi linguistici: "una fiducia distante", "siamo tendenzialmente all'opposizione del governo"), votandone la prima finanziaria "lacrime e sangue", la missione militare in Afghanistan (19 luglio 2006) eccetera. Arrivando persino dopo l'espulsione di Turigliatto da Rifondazione a votare i "dodici punti" con cui Prodi rilanciava il suo governo (tra questi punti ricordiamo: il rilancio delle missioni militari, la Tav, ecc.) e a "non partecipare al voto" (che equivale al Senato a un voto a favore, in quanto fa abbassare il quorum) sulla Finanziaria 2007.
Turigliatto porta ancora l'etichetta, attribuitagli ingiustamente dalla stampa borghese (che procede sempre per cliché), di affossatore in parlamento di Prodi: ma in realtà fece sempre tutto il possibile per non disturbare il governo. (1)
Questo atteggiamento non derivava da errori per quanto gravi o di una semplice subalternità a Rifondazione e quindi al centrosinistra. Sinistra Critica, rimuovendo (insieme a molte altre parti del programma marxista, revisionato) il principio cardine del marxismo dell'indipendenza di classe dei comunisti dalla borghesia e dai suoi governi, sostituito con un possibilismo (rispetto ai governi borghesi si valuta di volta in volta), partita con l'intenzione di dare un contributo marxista al riformismo, finì in quegli anni con il ricevere dal bertinottismo... il suo contributo riformista basato sulla collaborazione di classe.
Il fallimento del "partito anticapitalista"
La Sinistra Critica fuori da Rifondazione, organizzazione indipendente, ha poi proseguito lungo quegli antichi binari, avviando la sperimentazione di un progetto "nuovo": il cosiddetto partito anticapitalistico. Negli atti di nascita di Sc si poteva leggere a chiare lettere una nostalgia per un presunto "bertinottismo delle origini", l'epoca in cui il Prc civettava con i movimenti per poi (aggiungiamo noi) usarli come tramplino di lancio nel governo. E' su questa prospettiva vaga e confusa che fu costruita in questi ultimi anni Sinistra Critica.
Sulla scia del progetto dell'Npa, l'organizzazione sorella di Francia (anch'essa legata al Segretariato Unificato), Sinistra Critica teorizzò la possibilità di costruire partiti basati sull'unione di riformisti e rivoluzionari, che abbandonassero cioè quelle precise delimitazione programmatiche che Lenin e Trotsky posero alla base della costruzione dei partiti rivoluzionari d'avanguardia della Terza e della Quarta Internazionale; rimuovendo di conseguenza l'obiettivo della "dittatura del proletariato", cioè del potere dei lavoratori per avanzare nell'abolizione della società divisa in classi, unico fine che giustifichi l'uso del termine comunista.
I risultati di questo revisionismo programmatico e politico non richiedono molte parole. Quel progetto è fallito in modo clamoroso in Francia, dove l'Npa è esploso, perdendo due terzi dei membri iniziali, e ora ha prodotto gli stessi esiti in Italia, con lo scontro sviluppatosi nell'ultimo anno tra due tendenze opposte nel gruppo dirigente di Sinistra Critica (scontro nato dall'evidente insuccesso del progetto costitutivo) che è infine sfociato nello scioglimento dell'organizzazione.
Un nuovo inizio o una nuova fine?
L'atto che comunica la conclusione dell'esperienza di Sinistra Critica è intitolato "Nuovi inizi". Il riferimento è ai due differenti progetti in cui annunciano di volersi impegnare le due anime del gruppo dirigente di Sinistra Critica emerse nella divisione prodottasi all'ultima Conferenza nazionale.
Un settore (quello legato a Cannavò, Maestri, Malabarba) è, secondo la loro stessa definizione, "intenzionato a intraprendere, in un'ottica di classe, la strada della promiscuità tra 'politico' e 'sociale", cioè, potremmo provare a tradurre noi, a portare fino in fondo l'allontanamento dal marxismo, sciogliendosi in una imprecisata dimensione "nuova", più culturale che politica (come tutto culturale è il principale progetto animato da Cannavò e dagli altri, la rivista Letteraria. Riviste di letteratura e interessanti pubblicazioni a parte, verso quali lidi possa approdare questo progetto è difficile dire: ma ancora più difficile è capire come tutto ciò potrà mai essere fatto (come annunciano i promotori) "in un'ottica di classe", dato che (salvo buttare a mare tutta l'esperienza rivoluzionaria da Marx in poi) l'ottica di classe ha senso solo in funzione della costruzione di un partito che permetta alla classe di prendere, per via rivoluzionaria, il potere). Qui l'orizzonte sembra sinceramente un altro ed è quello in effetti ben sintetizzato dal nome del progetto: Solidarietà, che pare un regresso dalla rivoluzione russa a quella francese (e per giunta all'89 più che al Novantatré...).
L'area guidata da Turigliatto, invece, annuncia per settembre la costituzione di Sinistra anticapitalista, che, se capiamo bene, dovrebbe servire a costruire una tendenza nella costituenda Rossa cui lavora Giorgio Cremaschi, avviata (quest'ultima) nelle scorse settimane con un'assemblea nazionale (scarsamente partecipata) e con una serie di riunioni locali (che per ora hanno riunito qualche decina di persone).
Rossa nascerà dalle ceneri di Rifondazione (di cui è probabile l'esplosione al prossimo congresso, con una parte del gruppo dirigente che finirà nella Sel di Vendola e una parte che guiderà la confluenza in Rossa). Già la lista delle figure pubbliche e dei gruppi che stanno concorrendo a questo nuovo progetto sono utili a definirne le coordinate: a parte Cremaschi (che a suo tempo lanciò il Comitato No Debito appunto con l'unico scopo - come denunciammo in tempi non sospetti - di usarlo per costruire il nuovo partito che avrebbe potuto presentarsi già alle scorse elezioni, se non fosse stato battuto sul tempo dalla fallimentare Rivoluzione Civile del magistrato Ingoia), faranno parte del gruppo dirigente della nuova (si fa per dire) impresa anche gli stalinisti della Rete dei Comunisti (Cararo, la Papi, Leonardi, ecc. che a loro volta dirigono, in forma in genere ignorata dagli stessi attivisti sindacali, il sindacato Usb). Non serve molta fantasia per capire cosa potrà uscire dall'amalgama di cremaschismo (un neo-keynesismo dal piglio barricadero), quanto resta del ferrerismo (cioè dell'area dell'ex ministro della Solidarietà sociale nel governo imperialista di Prodi), e soprattutto la forte componente di stalinisti inveterati (oltre alla Rete dei Comunisti, Rossa attirerà anche altri frammenti della medesima area culturale; al momento mancano all'appello, ma non stupirebbe che partecipassero, in tutto o in parte, anche i Carc, ala ufficiale del "clandestino" nPci, dato che sono la parte più attiva del No Debito di Cremaschi).
Si tratta insomma dell'ennesimo tentativo di rifare un partito riformista, con l'aggravante, in questo caso, che il tentativo avviene dopo il fallimento catastrofico di Rifondazione. In questo pasticcio Turigliatto e la sua tendenza (Sinistra anticapitalistica) porteranno il solito contributo "marxista" (o di quello che loro si ostinano, contro ogni evidenza, a chiamare "marxismo"), per riprendere da un altro imbocco quella medesima strada che, dopo vari decenni, li ha portati allo scioglimento di Sinistra Critica.
Più che un nuovo inizio a noi sembra l'inizio di una nuova fine. Per questo è auspicabile che quei compagni di Sinistra Critica che finora non si sono schierati né con Solidarietà né con Sinistra anticapitalistica possano decidere di imboccare un'altra strada, diversa.
C'è un'altra strada
Chi cerca una strada rivoluzionaria e internazionalista potrà trovare nel Pdac un partito con cui confrontarsi, e in cui militano compagni di provenienze diverse, in cui non ci sono soci fondatori né guru, l'unico che oggi in Italia è parte di una reale organizzazione internazionale: la Lit-Quarta Internazionale, nei fatti la principale forza trotskista a livello internazionale, presente in Europa e in crescita nei diversi continenti, in prima fila in tutte le lotte, tanto qui in Italia (dove negli ultimi mesi spesso ci siamo scoperti essere l'unico partito presente nelle lotte più radicali, specie in quelle dove non c'erano telecamere davanti a cui sventolare bandiere) come nelle piazze di Spagna, Portogallo, Turchia e soprattutto nella nuova ondata di lotte del Brasile, in cui il nostro partito, il Pstu, riconosciuto anche da molti avversari come il più grande partito che si rivendica trotskista oggi nel mondo, svolge un ruolo di primissimo piano.
Come abbiamo detto più volte, avendo il senso della realtà, come Pdac (a differenza di quanto fanno altri) non ci siamo mai considerati come il partito rivoluzionario che manca e che è ancora tutto da costruire: ma certo pensiamo di aver rafforzato in questi anni uno strumento importantissimo in quella prospettiva. Per questo siamo interessati a confrontarci fraternamente con tutti quei compagni che, come noi, non credono che il capitalismo possa essere la fine della storia, per questo vogliamo dialogare con chi (all'opposto di Rossa) non crede che il capitalismo possa essere riformato o governato diversamente, con chi ha compreso che la collaborazione di classe premia solo la borghesia. E' con chi pensa che il capitalismo vada rovesciato con la rivoluzione, che per farlo la sola crescita delle lotte, pur indispensabile, non basta, che cerchiamo il confronto e la collaborazione, nel reciproco rispetto, a prescindere dalle singole esperienze precedenti. Per questo ci rivolgiamo, anche con questo articolo, tanto ai compagni di Rifondazione, che nei prossimi mesi si ritroveranno senza partito, come ai compagni della ora disciolta Sinistra Critica. A tutti loro chiediamo: non pensate anche voi che dopo tanti fallimenti è arrivato il momento di provare a cercare insieme un'altra strada?
Note(1) Dal versante opposto, Turigliatto e Sinistra Critica sono stati più volte accusati dal Pcl di Ferrando per queste loro oscillazioni nei confronti del governo Prodi. Tuttavia, giova ricordarlo, come ammise Ferrando in un testo del 18 giugno 2006 pubblicato sul manifesto (e non si tratta di un'intervista, quindi non vi fu nessuna deformazione giornalistica) nel caso fosse stato eletto in parlamento (come gli aveva inizialmente promesso Bertinotti, che poi ci ripensò su sollecitazione del Corriere della Sera) anche Ferrando avrebbe vagliato ogni espediente per non disturbare il governo di centrosinistra: non avrebbe mai votato la fiducia a tale governo ma, aggiunge, "altre soluzioni di carattere eccezionale - incluse le mie dimissioni da parlamentare - si sarebbero rese possibili solo nel caso del carattere determinante del mio unico voto." In altre parole, mentre Turigliatto alternava voti a favore con uscite dall'aula e astensioni, Ferrando, più generosamente, si sarebbe dimesso da parlamentare per non infastidire con la sua presenza il governo imperialista...
L'idea che si potesse in parlamento votare (anche da soli) contro la borghesia, come faceva Karl Liebnecht, è un'idea che non ha mai sfiorato né l'uno né l'altro.