Luciano Granieri
NB non sono presenti foto dei partecipanti, perché inevitabilmente in ogni scatto comparivano i bambini. Come si sa non si possono pubblicare foto di minori.
The Birth Of The Cool.
The Birth of The Cool. La nascita del Cool. Ma che cos’è esattamente il Cool jazz? E The Birth of The Cool segna effettivamente la nascita di questo stile? Alla prima domanda si può rispondere ipotizzando che l’appellativo “Cool”, serve più che altro, alla caratterizzazione precisa di una espressione musicale e alla sua collocazione all’interno di un contesto temporale. In realtà stili e tempi non sono mai così definiti. E Birth of The Cool ne è una tipica dimostrazione.
Il materiale sonoro è stato registrato fra il 1949 e il 1950, con scarso favore di critica. Il disco che lo contiene è uscito sette anni dopo, nel 1957, mietendo successi e apprezzamenti, tanto da diventare una pietra miliare della musica afroamericana. Ma esattamente cosa si vuole indicare con il termine “Cool”? Freddo? Forse. Il freddo di un fluire musicale meditato, distaccato, in luogo dell’”hot”, il caldo, il rovente del Be Bop, con le sue sortite solistiche scintillanti, fiammeggianti. Ma Cool può anche significare calmo, rilassato, a descrivere una musica senza vibrato, tenue, basata sulla qualità e la complessità degli arrangiamenti, in alternativa al Be Bop con il suo incedere frenetico, quasi completamente in balia delle sortite solistiche di virtuosi musicisti.
In realtà fra il Be Bop ed il Cool non c’è un distacco temporale così netto e forse neanche stilistico. Gli studi e le sperimentazioni musicali che sin dal 1947 si svolgevano in un retro bottega seminterrato di una lavanderia cinese sulla 55° strada, partivano dal Bop, erano impregnati dal Bop. Parker era l’ispiratore principe per tutti. Ma proprio in quella stanza, di proprietà del pianista arrangiatore Gil Evans, Miles Davis, Gerry Mulligan, John Lewis, insieme allo stesso Gil, ad un buon numero di altri musicisti ed intellettuali si misero in testa di preconizzare nuovi orizzonti non solo musicali.
Di sperimentazione, di rilassatezza, piuttosto che esuberanza e fame frenetica del vivere sfrenato, di conoscenza, di filosofia della musica e delle arti, si disquisiva abbondantemente in quella stanza, diventata vero e proprio ritrovo di menti in subbuglio. Evans, pianista e arrangiatore di una strana orchestra da ballo, quella di Claude Thornill, era affascinato dalle sonorità particolari del corno francese e della tuba. Strumenti, usati in quell’orchestra, inusuali per il jazz d’intrattenimento. Lui, ossessionato com’era dalla particolarità dei suoni, prima che dalle note, immaginava l’uso degli ottoni come elementi di una nuvola sonora sospesa, eterea, da realizzarsi in un gruppo piccolo, nove elementi al massimo, dalle possibilità di arrangiamento più flessibili rispetto alla rigidezza di una grande orchestra.
Miles Davis, impegnato fino ad allora con il grande Bird, si sentiva compresso dentro un linguaggio troppo specifico, il Be Bop, che, secondo lui, era diventato un clichè. Perché, sosteneva, quando quasi tutti i musicisti, per molti anni, continuano a suonare un preciso stile senza cercare di espanderne il linguaggio, quello stile diventa un clichè. La voglia di svestire gli abiti sgargianti del Bop per indossare il doppio petto, look musicale che sentiva più suo, lo portò ad entrare nel progetto di Gil Evans. Il contatto avvenne quando l’arrangiatore canadese chiese a Miles il permesso di usare per l’orchestra di Thornill il brano, Donna Lee. Il trombettista di Alton, da buon borghese, pretese una contro partita.La possibilità di studiare e partecipare alle sperimentazioni che il pianista e arrangiatore stava effettuando nel proprio piccolo appartamento. Affascinato da ciò che Evans stava portando avanti Davis contribuì a quelle alchimie musicali in modo determinante.
L’idea di Gerry Mulligan, che aveva scritto alcuni interessanti brani per Elliot Lawrence e l’orchestra di Gene Krupa, era di applicare ad un ensemble più ampio e così particolare, con corno francese e la tuba, l’agilità delle evoluzioni bop.
Il pianista John Lewis, straordinario cultore ed esecutore di musica classica (si era già fatto conoscere con i brani “Two Bass Hit” e “Toccata for trumpet and orchestra” scritti mentre era membro dell’orchestra di Dizzy Gillespie), era convinto che proprio una formazione di quel tipo potesse essere l’ideale condizione per applicare il linguaggio classico al jazz.
Ma tutte queste idee dovevano diventare note, timbri, ritmi, fu così che si decise di trasferirle in sala prove e di coinvolgere i musicisti giudicati più idonei al progetto. I prescelti furono Ted Kelly, trombone; Lee Konitz, sax alto; Mulligan, sax baritono; Junior Collins, corno francese; Bill Barber, tuba; Lewis, pianoforte; Al McKibbon, contrabbasso; Max Roach, batteria ed il cantante Kenny “Pancho” Hagood, ma ad essi si aggiunsero altri protagonisti come il pianista Al Haig, Sandy Seigelsen, e Gunther Schuller corno francese, J.J Johnson e Kay Winding al trombone, Nelson Boyd, al contrabbasso, Kenny Clarke alla batteria. A dir la verità Miles avrebbe voluto Sonny Stitt, al sassofono ma siccome era molto impegnato si decise per Lee Konitz e mai scelta fu così azzeccata.
Quelle prove, di fatto esperimenti di laboratorio, rilevarono subito la forza collettiva di quella musica, data da arrangiamenti precisi, univoci, ma forieri di ampia libertà per i solisti, tanto che al cambiare dei protagonisti l’eccellenza del sound rimaneva immutata. Fu così che l’impresario Monte Kay riuscì a procurare al gruppo un ingaggio di due settimane al Royal Roost nel settembre del 1948, a supporto dell’orchestra di Count Basie. Pochi critici e musicisti, compreso lo stesso Basie, rimasero impressionati, la maggior parte dell’uditorio non si mostrò del tutto convinto. Nonostante ciò il gruppo ottenne un altro breve ingaggio al Clique club. Inoltre Davis, grazie alla sua abilità manageriale si assicurò un contratto per 12 incisioni con la Capitol, etichetta per la quale aveva già registrato in altre tre diverse sessioni. Le sedute si svolsero a New York il 21 gennaio, il 22 aprile del 1949 e il 9 marzo del 1950. Ne vennero tratti dei singoli vinili a 78 giri .
Questa prima diffusione fu accolta con indifferenza dalla critica e dagli appassionati di jazz. Si deve a quelle registrazioni la nascita del Cool? E’ lo stesso Gerry Mulligan a rispondere affermando che: “Non so se quei brani costituissero la nascita del Cool, totalmente o in parte, sicuramente influenzarono in modo preponderante il linguaggio di piccole orchestre, con arrangiamenti scritti per quattro o cinque ottoni” .
Resta il fatto che attraverso una geniale operazione commerciale la Capitol decise, nel 1957, di raccogliere quei brani in un Lp e intitolarlo: The Birth of The Cool. Quei pezzi, di cui sembrava essersi persa la memoria, divennero una pietra miliare del jazz. E svelarono che quei giovani musicisti sarebbero diventati, e di fatto lo diventarono, protagonisti del jazz per i decenni a venire. Infatti nei sette anni trascorsi fra le registrazioni e l’uscita del disco quei musicisti avevano intrapreso una strada completamente nuova, aperta da quei 12 brani.
Konitz, aveva iniziato a collaborare con il pianista Lennie Tristano, esibendo un jazz molto più che Cool, Mulligan aveva iniziato a suonare con Chet Baker in una formazione senza pianoforte, estremizzando quegli intrecci fra ottoni ed ance, iniziate nelle sedute del 49-50, John Lewis aveva fondato, insieme al vibrafonista Milton Jackson, il Modern Jazz Quartet, la cui raffinatezza di arrangiamenti veniva proprio da quelle registrazioni sperimentali, nate nel seminterrato di Evans. Miles Davis, aveva raffinato ed evoluto l’essenza delle eteree atmosfere degli ottoni, incidendo per la Columbia, Miles Ahead, con arrangiamenti proprio di Gil Evans allargando l’utilizzo degli ottoni, l’orchestra passò a diciannove elementi, e sperimentando egli stesso l’utilizzo del Flicorno. Tutto ciò prima che Birth of The Cool diventasse l’icona della nascita del Cool.
IL DISCO
Già nel 1954 la Capitol pubblicò un vinile con le registrazioni effettuate fra il ‘49 e il ‘50. Fu realizzato un disco di dieci pollici con soli otto brani dal titolo: Classic in Jazz Miles Davis. Il vero e proprio Lp The Birth of The Cool, vide la luce, come detto, nel 1957, conteneva 11 brani (mancava il pezzo vocale Darn That Dream). Solo nel 1971 The Birth of The Cool uscì nella sua completezza comprendendo anche il brano escluso nella precedente edizione. Poco più tardi la Capitol distribuì Cool Boppin’ con le registrazioni del concerto tenuto dal nonetto nel 1948 al Royal Roost. Nel 1998 Il materiale da studio e quello dal vivo, completamente rimasterizzato, andarono a comporre un CD unico dal titolo “The Complete Birth of The Cool. Nel 2019, in occasione del 70° anniversario delle leggendarie registrazioni, la Blue Note realizzò una pubblicazione con le registrazioni da studio e dal vivo del gruppo disponibile in vinile ed in cd, accompagnata da un libro comprendente contributi di Ashley Kahn, Phil Schaap, Gerry Mulligan e bellissime foto.
I BRANI*
Seduta del 21 gennaio 1949
BAND: Davis Tp- Kai Winding Tbn -Junior Collins Fch -Bill Barber Tuba- Lee Konitz alto- Gerry Mulligan, Baritono – Al Haig Piano -Joe Shulman basso – Max Roach Batteria
JERU: Composto e arrangiato da Mulligan, rivela alcuni degli esperimenti formali a cui il gruppo era legato. Alcune misure sono in terzine , ad esempio, ma questo non fa altro che aumentare l’efficacia complessiva del brano. Il titolo incidentalmente si riferisce al soprannome che Gerry aveva affibbiato a Davis.
MOVE: scritto dal batterista Denzil Best, che lo aveva originariamente intitolato Geneva’s Move. fu arrangiato da John Lewis. Vividi passaggi d’insieme con abili punteggiature della tuba, fanno del brano uno dei più estroversi pezzi di tutto il disco.
GODCHILD, una composizione del pianista Gerorge Wallington elaborata da un particolare arrangiamento di Mulligan, i suoi punti salienti sono le voci variegate dei corni che eseguono il tema e l’eccezionale solo di Davis e di Mulligan.
BUDO, composta da Davis e Bud Powell, fu registrata dal pianista con il titolo di Hallucinations. Come nelle altre partiture della band, Lewis dimostra di aver attinto al linguaggio tradizionale del bop più degli altri suoi compagni musicisti arrangiatori. Il tema è tipicamente Bop, perfetto l’intervento di Konitz.
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Seduta del 22 aprile 1949 New York
BAND: Davis, Tp – J.J. Johnson Tbn – Sandy Seigelsein frh – Bill Barber Tuba- Lee Konitz alto-Gerry Mulligan baritono – John Lewis Piano- Nelson Boyd – basso – Kenny Clarke batteria
VENUS DE MILO, è indubbiamente uno dei migliori brani che Mulligan abbia scritto per la band, l’utilizzo altamente fantasioso delle tecniche strumentali si traduce in una performance straordinariamente scorrevole.
ROUGE, di John Lewis, inizia con una spiritosa introduzione in 3/4 e si sviluppa in un vigoroso lavoro di gruppo con degli interessanti assolo di Davis, Konitz (molto parkeriano) e dello stesso Lewis.
BOPLICITY, è stata composta da Miles Davis e Gil Evans che, per alcune ragioni inesplicabili usò uno pseudonimo prendendo il nome della madre di Davis Cleo Henry. Superbamente costruita ed eseguita, questa partitura di Evans culmina in una deliziosa interazione fra Davis e delle variazione notevoli di tutto il gruppo.
ISRAEL, una rilettura altamente originale del blues da parte del trombettista Johnny Carisi, è un esempio magistrale di scrittura polifonica. Davis, in particolare si immedesima magnificamente nelle caratteristiche di una partitura particolarmente avanzata. Pregevole l’assolo di Konitz.
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Seduta dal 9 Marzo 1950 New York.
BAND: Davis tp – J.J, Johnson tmb – Gunther Schuller Frfa- Bill Bauer Tuba – Lee Konitz alto – Gerry Mulligan Baritono- John Lewis Piano – Al McKibbon basso – Max Roach batteria – Kenny Hagood voce.
DECEPTION, una composizione di Miles Davis probabilmente arrangiata da egli stesso, gli accenti sincopati nel tema sono molto bene eseguito dall’ensemble, ma non sono gestiti così agevolmente dai solisti.
ROCKER, è il più noto dei brani di Gerry Mulligan, questa agile perforamance è un eccellente dimostrazione di ciò che Gerry voleva intendere quando affermava che il suono della band “era principalmente nella concezione del protagonista”. Miles guida il gruppo completamente tutta la natura dell’interpretazione è assolutamente la sua.
MOON DREAMS, la seconda partitura di Gil Evans in questo album è descritta da Max Harrison come “uno studio sulle armonie lente e sottili, cambiamenti di tessitura armonica che hanno una bellezza rara e austera. L’arrangiamento consiste nel trasformare questa innocua canzone in una creazione orchestrale completamente nuova e assolutamente convincente. Una sonorità particolare è presa dal baritono di Mulligan.
DARN THAT DREAM , non è stata arrangiata da Evans, nonostante tutti fossero convinti del contrario fin dalla prima uscita della registrazione nel 1950, ma da Gerry Mullligan. Il cantante Kenny Hagood aveva per lo più lavorato con l’orchestra Bop di Gillespie, ma la sua vocalità è più in sintonia con la tradizione di Billy Eckstine.
Note di Gerry Mulligan **
Sono stato fortunato a trovarmi nel posto giusto al momento giusto per far parte della band di Miles Davis. Per un paio di anni avevo girato l’America suonando in diversi gruppi attivi in quel periodo, ma con l’incoraggiamento di Gil decisi di rimanere a New York. Immerso nella grande varietà di band, piccole e grandi, che si esibivano allora, mi ritrovai in un ambiente musicalmente eccitante. L’intera attività musicale e di ricerca sembrava gravitare intorno all’abitazione di Gil frequentata da musicisti e studenti . Tutti influenzavano tutti e Bird era l’ispiratore n.1 per tutti noi. Gil abitava in una stanza di un seminterrato sulla 55° strada vicino alla 5°Avenue. Era situata dietro una lavanderia cinese, ci passavano tutti i tubi dell’edifico, c’era un letto, un lavandino, un pianoforte, una piastra per cucinare, ma niente riscaldamento. Per Gil era una cosa più o meno normale.
Ricordo John Carisi una testa calda come me. Ma chiunque abbia le capacità di scrivere un brano come Israel, non può essere del tutto cattivo giusto? John Lewis Il nostro inquilino classico. George Russell il nostro inquilino innovatore. (Aveva scritto un paio di temi interessanti e accattivanti per la band di Claude Thornill delle quali, suppongo non sia rimasta traccia oggi)
George Benson Brooks era il nostro sognatore di sogni impossibili. Dave Lambert il nostro yankee itinerante dai modi molto pratici Billy Exiner, batterista di Thornill era il nostro filosofo di casa con il suo straordinario atteggiamento verso la vita e la musica.
C’era Joe Shulman, il contrabbassista di Thornill: credeva che Count Basie avesse una sezione ritmica assolutamente unica. Barry Galbraith , il Freddy Green della sezione ritmica di Thornill era assolutamente un bel ragazzo.
Pecs Goldberg spirito allegro. Un fantastico musicista intuitivo, aveva difficoltà ad incanalare la sua straripante immaginazione in un qualsiasi percorso definito andava assolutamente a ruota libera. Sylvia Goldberg (nessuna parentela) studentessa di pianoforte e incontenibile ciclone. Blossom Daerie , blossom is blossom (blossom significa fiore è un gioco di parole)
E Miles il leader della band. Egli prese l’iniziativa e trasformò la teoria in pratica. Organizzò le prove affittò la sala, chiamò i musicisti e generalmente schioccava la frusta.
Max Roach, il genio. Non potrei dire altro sul suo modo di suonare con il gruppo, il suo approccio melodico al mio tema (Jeru ndt) fu per me una vera rivelazione. Era fantastico e per me il batterista ideale per la band (Un affermazione non da poco, visto che Miles Davis ingaggiò Art Blakey e Kenny Clarke per le date successive).
Lee Konitz, genio anch’egli . Lee si era unito all’orchestra di Claude a Chicago. Ci aveva spiazzato tutti, compreso bird, per la sua originalità. Per il resto dell’orchestra: J.J (Johnson) e Kai (Winding) alternati al trombone.
Non fu molto facile trovare suonatori di corno francese che avevano provato a confrontarsi con la fraseologia jazz. Partecipavano alle nostre prove diversi di loro come Sandy Siegelstein (dall’orchestra di Thornill) Junior Collins, (in grado di suonare degli ottimi blues) e probabilmente Jim Buffington. Quindi Billy Bauer alla tuba. Era solito trascrivere chorus di Lester Young ed eseguirli sul suo strumento.
Gil avrebbe voluto anche Danny Polo al clarinetto ma lui era sempre fuori con l’orchestra di Claude e non trovavano nessuno per sostituirlo. Non molto tempo dopo Danny morì. Partecipammo insieme ad alcune jam session. Nel corso di quelle jam capii come il suo stile moderno nel suonare il clarinetto era il migliore che avessi mai ascoltato.
Quindi, come ho detto all’inizio, mi considero fortunato a essermi trovato li e ringrazio la mie stelle fortunate per avermi fatto frequentare quell’ambiente. C’era una sorta di perfezione in quelle registrazioni e mi ha fatto piacere che tutto il materiale sia stato alla fine realizzato con un unica esecuzione per brano e senza diavolerie elettroniche. Per parafrasare una innovatrice americana, la scrittrice Gertrude Stein: una band è una band è una grande band.
Gerry Mulligan Maggio 1971.
* il testo dei brani è tratto dalle note di copertina dell'Lp del 1971
** il testo di Gerry Mulligan è tratto dalle note di copertina dell'Lp del 1971