Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

domenica 28 marzo 2021

Il jazz sopravvive alla condanna a morte inflitta dal Terzo Reich

 Luciano Granieri




La diffusione del jazz   in Italia e Germania negli anni della guerra  è stata  sempre osteggiata e fortemente contrastata, molto per  propaganda un po’ meno a livello pratico. 

In realtà ai musicisti era consentito esercitare la loro professione  facendo attenzione che  traducessero  i nomi delle composizioni e i loro autori in italiano o in tedesco a seconda di dove suonassero. Sotto l’aspetto culturale discussioni sulla natura della musica jazz, sulla sua valenza artistica e sui risvolti politici, nel contesto oscuro e terrorizzante della dittatura nazifascista, impazzavano su riviste semiclandestine, come “Idee Ritmiche” o  “Tutto sul jazz”, poi divenuta “Sulle ali del ritmo”, in contrapposizione ad articoli denigratori pubblicati sui giornali di regime come il “Popolo d’Italia o “Libro e Moschetto”.

Molte di queste dispute riguardavano lo spazio che i musicisti di jazz dovevano avere nell’EIAR. 

Berlino come New York e Chicago

In Germania un decreto del dipartimento dell’educazione popolare e dell’Arte,  dal titolo “”NORME PER LA CONCESSIONE DI LICENZE PER LE SALE DA BALLO  proibiva l’esecuzione di musica jazz, descrivendone analiticamente le forme melodiche armoniche e ritmiche in base alla quale si potesse definire jazz, una data esecuzione. Il decreto ebbe attuazione poche volte, soprattutto nei territori occupati, ma mai in Germania.  Proprio in  Germania  fra il 1940 e 1944, si ritrovarono molti  musicisti di diverse nazionalità:  olandesi  belgi, francesi  (l’orchestra di Fud Candrix,  dopo aver accompagnato Django Reinhardt si trasferì a Berlino), e italiani, molti italiani . 

Orchestre radiofoniche tedesche ospitarono musicisti provenienti dall’estero insieme ad elementi autoctoni. Ma perché la radio del  Terzo Reich , Reich Rundfunk ,  prese a trasmettere musica swing, nello stile di Glenn Miller? In primo luogo perché tale musica, nonostante tutto, faceva molta presa sugli ascoltatori europei e in secondo luogo per dimostrare agli americani che i teutonici sapevano suonare jazz molto meglio di loro. Una serie radiofonica chiamata  “Germany Calling”, dove si esibivano orchestre swing  tedesche,  fu trasmessa da Radio Amburgo anche in onde corte, in modo da poter essere ascoltata negli Stati Uniti  e mostrare agli americani quanto il jazz germanico  fosse superiore (sic).  Inoltre nelle esecuzioni di brani molto famosi come,  After You’ve gone , St.Louis Blues, o Night and Day, il testo   veniva cambiato. Dopo la prima strofa, eseguita in modo corretto per attrarre l’attenzione, lo sviluppo della canzone mutava le parole rovesciando improperi contro Roosvelt , i neri e gli americani tutti. 

Sia come sia,  fra l’autunno del 1940 e l’agosto 1944, jazzisti di ogni provenienza, incrociarono i loro destini in Germania.  La  cantante  Evelyne Kunneke osservò: “Per la maggior parte i musicisti erano italiani, ma anche olandesi, belgi, e cecoslovacchi; alcuni di loro erano mezzo ebrei, zingari, massoni, testimoni di Geova, omosessuali e comunisti, non certo le persone che i nazisti avrebbero voluto per giocare a carte. Dato però che il loro lavoro era importante per lo sforzo bellico, furono ingaggiati per suonare swing nelle migliori orchestre radiofoniche tedesche, senza così doversi nascondere nel retrobottega di un negozi di barbiere”.  

Baldo Maestri

Grazie agli impresari Mirador e Franco La Calamita, agli albori del 1940, iniziò l’emigrazione dei musicisti italiani verso la Germania.  Baldo Maestri, fu uno di questi. Fra l’altro il clarinettista altossassofonista romano è ben conosciuto a Frosinone. Fu titolare della prima cattedra di sassofono presso il nostro conservatorio dal 1973, attività che ha svolto fino al 1985 quando decise di andare in pensione. L’arrivo di Maestri in Germania è ben raccontato dall’alto sassofonista Tullio Mobiglia, che, in quel periodo già suonava al Patria Bar di Berlino, dove ebbe una scrittura anche Maestri, prima che alcuni ufficiali delle SS, piccati dal fatto che lì si suonava musica americana, tolsero ai jazzisti italiani il permesso di suonare nei locali. 

Mobiglia ricorda: Ho conosiuto Baldo appena giunse a Berlino. All’epoca abitavo in una pensione dove stava Italo Scotti romano come Baldo ‘sai –mi disse- è arrivato un ragazzetto che suona il clarinetto benissimo, non si potrebbe farlo entrare nel tuo complesso?” Avevo già Francesco Paolo Ricci, l’orchestra era a posto. Però portai Maestri al Kabaret der Komiker dove cominciò a farsi conoscere. Gli fecero suonare la Tarantella di Rossini. Fu un successo, anche perché Baldo la suonò con il clarinetto in si bemolle, mentre l’originale prevedeva il clarinetto in do. E’ difficilissima perché c’è un bel sacchetto di diesis. Si fece subito un nome. Lo volevano tutti”

Nel  1943, in particolare dopo l’8 settembre  molti musicisti tornarono in Italia anche perché i bombardamenti alleati cominciavano a martellare, Maestri invece rimase a Berlino fino al 1946, partecipando ad altre incisioni con le orchestre radiofoniche  Rehmsted e Osterman.  La lista dei jazzisti che ebbero successo in Germania è lunghissima dai pianisti  Eraldo Romanoni e Primo Angeli al trombettista Nino Impallomeni, ma anche Armando Trovajoli e, naturalmente, Gorni Kramer  con Natalino Otto.   La loro orchestra  suonò oltre che a Berlino anche a Lipsia e Norimberga.

Hans Rehmstedt - Keiner singt wie Eduard un esecuzione con Baldo Maestri



Canta Giovinezza 

Dopo l’8 settembre , come detto, la maggior parte degli  artisti italiani ritornò in quella bolgia che era l’Italia occupata dai tedeschi ed in piena guerra civile. L’attività musicale, per lo più, trovava  sbocco al nord della penisola, in particolare nei teatri , alle radio . Ma i rischi erano sempre dietro l’angolo. Kramer ricorda: “ Nel 1943 l’impresario Remigio Paone  ci fece una proposta interessantissima. Dovevamo prendere parte a uno spettacolo “Una notte a Madeira” con l’orchestra sul palcoscenico. Debuttammo al "Nuovo" di Milano la sera del 23 dicembre. Fu un successo strepitoso ma la prima fu travagliatissima. Molta gente era venuta da lontano  con mezzi di fortuna sfidando i bombardamenti (…) la ressa travolse tutto, le porte di cristallo andarono in frantumi. In tutta questa confusione un gruppo di fanatici fascisti iniziò ad insultarci: “Mentre i nostri virtuosi soldati combattono contro l’invasione anglo-americana-giudaico-massonica, in questo spettacolo ci sono degli imboscati che fanno del jazz trasformando il teatro in una taverna di Broadway!” I fascisti furono messi a tacere dal pubblico con bordate di fischi e rumori vari. Rimanemmo al "Nuovo" per due mesi poi andammo in tournèe: Treviso,Venezia, Bergamo. Al teatro "Duse"  di quest’ultima città successe un episodio che poteva trasformarsi in qualcosa di pericoloso. Avevamo appena terminato un brano quando sento in platea un certo tramestio. Guardo la prima fila con la coda dell’occhio e vedo una ventina di ragazzi in camicia nera, con bombe a mano alla cintola. Era il turno di Natalino Otto, capii che era lui che stavano aspettando. Appena entrò questi tizi, fra lo stupore di tutti, salirono sul palco con le armi imbracciate e dissero con facce da assassini :’Canta Giovinezza’. Natalino, guardandoli con molta calma negli occhi, disse:’Non conosco il testo ‘. E quelli: ‘Allora fischiala ‘ E lui :’Non sono capace ‘. Mentre questi energumeni stavano forse meditando come farci fuori, salirono sul palco due ufficiali tedeschi. Prima fecero quattro urla nella loro lingua. Poi, parlando in italiano, li fecero scendere e alla fine dello spettacolo li obbligarono a scortarci in albergo. Non perché i nazisti fossero migliori. Probabilmente perché avevano più cultura e più rispetto per la musica che non quei quattro gaglioffi di fascisti.”

Conclusioni

Si leggono oggi diversi  giudizi, in particolare sul web, che accusano i jazzisti italiani di quel periodo, ma anche i loro colleghi europei, di essere  acquiescenti al regime, se non addirittura dei collaborazionisti.  Soprattutto in relazione al fatto che  alcuni di loro suonavano per radio controllate dai repubblichini e dagli occupanti tedeschi. In particolare Radio Tevere, un’emittente gestita da ex dirigenti EIAR, nata e voluta da Mussolini nel 1944, per trasmettere false notizie sull’arrivo degli alleati con lo scopo di demoralizzare i partigiani  (vi si esibivano, fra gli altri:il sassofonista Glauco Masetti, il pianista Eraldo Romanoni, i giovani Giampiero Boneschi, pianista e arrangiatore, il chitarrista Franco Cerri, il sestetto del chitarrista Cosimo Di Ceglie  il cui batterista  Claudio Gambarelli, era anche  un partigiano)  e Radio Fante un’emittente sotto diretto controllo tedesco (Kramer e Mobiglia erano fra i musicisti ingaggiati) .  Entrambe trasmettevano da Milano. 

In realtà le esibizioni musicali erano completamente avulse dai fini politici, potevi pensarla come volevi basta che suonavi.  A questi personaggi, musicisti anche di levatura straordinaria, interessava solo  poter fare il proprio lavoro, cioè suonare. Avrebbero fatto volentieri a meno, come la maggior parte della popolazione, di rischiare la vita sotto i bombardamenti, e subire la crudele devastazione di trovarsi dentro lo  sterminio voluto dai  deliranti demagoghi della purezza della razza. Non erano eroi, ma traevano forza dal loro estro, dal dono della loro creatività e cercavano di esercitarla in ogni momento. E se questo atto creativo, in qualche modo, riusciva a donare un minimo di sollievo dall’insopportabile peso delle  tenebre più nere e instillava anche solo  una goccia di umanità nei terribili carnefici autori dello sterminio, diventava un potere dirompente. Non è un caso, che anche gli stessi carnefici mal sopportavano l’idea di dover zittire la musica, anche se “non conforme”. Perché, è bene ricordarlo, le arti  travalicano  ogni forma di oppressione. 

Ad onor del vero bisogna sottolineare che quel jazz, lo swing, era  una forma di pura evasione, era musica da ballo senza implicazioni di ordine politico. Anche in America essa  non aveva particolari risvolti sulla lotta per i diritti dei neri e degli sfruttati in genere, salvo qualche eccezione.  Fu solo con l’irrompere del Be Bop, che  il jazz smise di essere musica da ballo e divenne espressione musicale nuova, con una forte dignità artistica molto connotata, più rivendicativa per un avanzamento dei diritti dei neri, ma questa è un’altra storia.

Testimonianze tratte da "Il jazz in Italia dallo swing agli anni '60" di Adriano Mazzoletti.