Intervista
al leader dell’”Idea Trio” , terzo
mondista ante litteram
Franco
Bergoglio. Da “Alias” del 14 dicembre
Pochi minuti con Gaetano Liguori
e si capisce quanto può essere fuorviante, per eccesso di cinismo, la massima
di Oscar Wilde: la coerenza è l’ultimo rifugio delle persone prive di
immaginazione. Liguori è stato (e sarà) un artista con l’immaginazione “a sinistra”. Una
coerenza che non lo confina al mantra del formidabili quei tempi. Celebre per
le esibizioni di fronte alla platea milanese
della Statale Occupata dal “suo” movimento studentesco, ha scontato la fama giovanile con una maturazione
saggia, all’insegna di una musica nobile,
suonata dove serve (più che nei club
bene): per i ribelli, le vittime, i poveri. Ha condiviso con l’idea Trio
migliaia di piazze, di festival,
fabbriche e centri sociali. Spesso che si è dedicato all’arte politica poi ha
danzato tra le ideologie a saltelli da
quaglia o si è ritirato nel privato, asuonare e basta. Quando si iniziò a respirare l’aria normalizzatrice degli anni
Ottanta Liguori divenne un altromondista ante litteram:
membro della delegazione italiana per il Festival della Gioventù a Cuba
nel 1978, fece viaggi di solidarietà in Eritrea, Amazzonia, Sahara, Senegal,
Nicaragua; a Gerusalemme e Sarajevo per Time for Peace a Beirut nel ventennale di Sabra e Chatila, a
Bagdad per l’associazione Naga, che offre assistenza sanitaria agli indigenti. Il Comandante (2002) , pubblicato dai
Dischi del Manifesto, scatta una istantanea in jazz della sinistra italiana: da un cupo risveglio significativamente
intitolato Genova G8, attraverso
nostalgie dolenti, fino alla volontà di riprendere il cammino. Di questo 2013 l’ultima
zampata: ristampare su cd Cile libero Cile rosso, il primo ellepì con l’idea Trio pubblicato all’indomani del
golpe (11 settembre 1973). Da atto di denuncia in musica, ora, dopo
quarant’anni, assume il senso di consegnare al futuro il ricordo di una pagina
tragica nella storia della sinistra.
Per il cd del 2011 “Noi
cedevamo” ( e crediamo ancora) hai recuperato materiai degli anni Settanta ,
con spezzoni di musica popolare “significante” :”Bella Ciao”, “El Pueblo unido”
“Hasta siempre comandante”. Nelle note di copertina, elenchi i personaggi in cui credere da Marx a Mani Pulite. Vorrei intervistarti
a partire dai tanti nomi che citi, per
costruire una biografia generazionale.
Il secondo della lista è Lenin . Hai ancora il suo busto dietro il piano forte?
Certo che ce l’ho! Quando Pat Garrett si vende ai latifondisti
e al suo vecchio amico Billy the Kid
dice: “Billy il mondo è cambiato” . Billy in pieno stile loser risponde: “Il
mondo è cambiato, io no!”. Ecco io sento
di appartenere a una razza in via d’estinzione, i coerenti. Non vuol dire che
non possa guardare ciecamente a un passato quasi remoto, ma non significa
neanche che in virtù di una prostrazione di comodo a nuove – ma non necessariamente
giuste – idee, debba fare il salto della quaglia come tanti politici o uomini
di cultura. Questo affermo in “ Noi
credevamo ( e crediamo ancora)” Credere ancora in miti della nostra (mica tanto spensierata)
giovinezza non è disdicevole, perché nomi di musicisti come Hendrix o Coltrane o
parole come Resistenza ora più che mai vanno riproposti ai giovani. Nella mia storia generazionale c’erano
musicisti e personaggi come Malcom X o
Che Guevara , c’erano i “Magnifici 7” E IL “Mucchio selvaggio”; insomma non
vivo con i fantasmi ma non li butto via
per un piatto di lenticchie. Quando ero
un giovane musicista e non sapevo come sarebbe andata la mia vita ero
intransigente verso l’onestà intellettuale e pur avendo bisogno di sodi per
vivere non mi sono mai venduto a manager, partiti e alle sirene del
successo. Figuriamoci ora, che sono una
attempato signore alla soglia della pensione di insegnante del Conservatorio.
Attempato non ti si
adatta. Dopo Mao Tse-Tung, metti: amicizia, amore, donne, sesso libero tre temi
universali e uno slogan…
C’è dell’ironia, in sesso libero. Quando rivedo le
immagini d Woodstock con tutte quelle
belle ragazze nude penso che per la mia generazione che arrivava dagli anni
Cinquanta il sesso fosse ancora un mito-tabù da affrontare. Il movimento hippy ci aiutò, come la liberazione sessuale della donna, il Maggio
francese... Andando a vedere i complessi Beat al Piper di Milano, capii subito
quanto il suonare uno strumento facilitasse
negli incontri con l’altro sesso, anche per chi suonava del sano free jazz!
Oggi i musicisti
sembrano vivere una dimensione esclusivamente musicale. Non ci sono jazzisti
che si permettono di citare, come fai tu, elenchi che portano in quest’ordine : la Statale
Occupata, Albert Ayler, oppure Charles Mingus, Eric Dolphy, i partigiani, la Resistenza.
Non voglio fare la
morale a nessuno. Certo, le mie scelte erano diverse, non facevo il comico in
televisione, suonavo in Aule Magne occupate da ragazzi a cui celerini avevano rotto la testa per quella
scelta di campo e dunque c’era poco da ridere. Se poi dedicavo un brano ad uno
studente ammazzato dalla polizia, allora la sintonia con il pubblico che
seguiva i miei concerti era massima. A volte penso a quanto ora siamo più
lontani dal Sessantotto di quanto noi lo
fossimo allora dalla Resistenza antifascista. Eppure titoli e musica del mio primo
disco Cile libero, Cile rosso sono
ancora validi ideologicamente, ma – lasciamelo dire - anche musicalmente. Suonavamo, Del Piano, Monico ed io, come se fosse l’ultimo concerto della nostra vita: impegno, tecnica,
suono, ritmo, melodie….. tutto concorre a cerare quella magica atmosfera che
distingue un buon disco da un affare commerciale.
Gli eroi come icone
assolute, dall’adolescenza all’eternità. Metti fianco a fianco Frank
Zappa, Tex Willer, il Grande Blek, Moby
Dick, I raazzi della via Pal, l’ultimo dei Mohicani…
Certo nono ho mai distinto i musicisti rock da quelli jazz,
pop, o dai cantastorie. Ho sempre ascoltato la musica per quello che mi comunicava in quel preciso
momento. Chiaramente con la maturità posso
aver cominciato ad apprezzare anche un’opera di Verdi, una suonata di
Scarlatti, una polacca di Chopin o una Fuga di Bach. Uguale per la letteratura: leggere Moby
Dick o Cuore di tenebra a 15 anni non è lo stesso di farlo a sessanta;
ci sono cose, sentimenti, atmosfere, che dopo averle vissute ti fanno cambiare
la sensazione di “sentire la parola”. Il mio libro preferito a vent’anni era Confesso
che ho vissuto di Pablo Neruda.
Allora vivevo le sue parole sula
pelle. In questo il viaggiare, l’avventura,
le guerre, le rivoluzioni, i morti, i vivi, gli amori veri e quelli scomparsi,
tutto ha concorso a farmi pensare che la
vita va vissuta “day by day” e di questo sono grato al mio pianoforte che ha
fatto si che si avverassero i sogni della mia gioventù, compresi quelli del Grande Blek.
Un ultimo slogan, non
dall’elenco. Il disco in ristampa: “Cile libero, Clle rosso”.
Devo dire che l’operazione di ristampare vecchi dischi non
mi piace molto. Primo, perché ho ancora tanto da dire: poi perché ti volti un
attimo, e tac! Sono passati quarant’anni. Mi sembra ieri: ascoltai gli Inti-Illimani
al Festival de l’Unità pochi giorni prima dell’11 settembre 1973 e dopo preso
dallo sdegno, composi con Filippo Monico alla batteria e Roberto Del Piano al
basso elettrico la suite a cui diedi il
titolo Cile libero, Cile rosso , così
come si poteva leggere sui muri della città. Aveste visto la faccia del
direttore artistico della Pdu, l’etichetta
di Mina, quando firmai il contratto che
mi legava loro e proposi come primo
titolo proprio quello. E l’adrenalina che ci prese quando annunciai il titolo
della suite al palazzetto dello sport di Bergamo dove suonavamo prima di
Mingus, accolto da cori del pueblo unido jamas serà vencido.