Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 3 settembre 2016

Assemblea Ato5. Sconfitti i sindaci piddini arroccati in difesa di Acea.

Luciano Granieri


L’assemblea dei sindaci dall’Ato5 finalmente ha deciso il destino dell’aumento tariffario per l’erogazione idrica, inerente il periodo compreso fra il 2016 e il 2019. Dopo le passate interminabili sedute, in cui i sindaci avevano fatto  "ammuina", buttando  la palla in tribuna  senza decidere alcunché, stavolta il difficile parto è avvenuto.  Una  posizione, in merito all’aumento tariffario  del 9% più  conguaglio da 77,5 milioni preteso da Acea, ha visto la luce.  

L’ultimo minuto dell’ultimo giorno  consentito è’ stata votata la seguente mozione : Niente aumenti  fino a quando non avrà termine il periodo di messa in mora, precedente la fase di rescissione contrattuale per inadempienza . Procedura  che i sindaci dell’Ato5  decisero di attivare   all’unanimità ad inizio anno. Il concetto è lapalissiano. Se i primi cittadini hanno unanimemente  constatato e deciso che Acea è inadempiente nell’erogazione del servizio,  grazie anche alle risultanze tecniche e gestionali prodotte dalla Segreteria Tecnica Operativa, è insano concedere  un premiante  aumento della tariffa.  L’emendamento prevede di chiedere all’AEEGSI,  autorità  competente in materia,  di concedere la sospensione dell' aumento della tariffa fino a quando Acea non abbia dimostrato di potersi mettere in regola, o diversamente si  verifichino  le condizioni per la  risoluzione contrattuale.  

Una deliberazione sensata che costituisce un  minimo sindacale. Infatti come rilevato dal Coordinamento Provinciale Acqua Pubblica, in cambio  del  servizio scadente offerto da Acea il 50% della tariffa attuale sarebbe stata una contropartita più che onesta . Dunque se la soluzione dei sindaci è apparsa  almeno sensata, sarà stata votata all’unanimità. Nemmeno per idea.  15 sindaci si sono espressi negativamente, 2 si sono astenuti . 

Quale forza politica avrà avuto l’ardire  di opporsi ad una soluzione favorevole ai cittadini e contraria ad una multiutility privata? Sindaci appartenenti ad uno schieramento espressione della peggiore fronda ultraliberista,  strenui difensori degli interessi del capitale finanziario cinicamente predatorio nei confronti dei cittadini. Sindaci del Pd. 

Infatti la proposta del congelamento degli aumenti è stata avanzata e approvata  da  amministratori   del centro destra, primo firmatario Nicola Ottaviani sindaco di Frosinone. I guardiani dem  del fortino hanno tentato una  strenua difesa dei bastioni  di Acea  ammonendo che se non fosse stato concesso almeno un’8%  di aumento, il gestore   avrebbe potuto impugnare la decisione. “La tariffa è una determinazione tecnica, dunque i sindaci non possono congelarla.  Annullando l’aumento si imbrogliano i cittadini mettendoli a rischio dell’esborso di pesanti conguagli”  Questa è stata la singolare valutazione del sindaco di Ceprano,   Marco  Galli.  Patetica e pericolosa l’esortazione del sindaco di Veroli,  Simone Cretaro, a  rinviare ulteriormente la decisione, in attesa della conclusione dalla procedura i messa in mora. Una soluzione del genere avrebbe reso nulla una  qualsiasi decisione perché  assunta dopo la data del 2 settembre cioè  fuori tempo massimo.  Inoltre  avrebbe permesso ad Acea di confermare il suo aumento in assenza della deliberazione dei sindaci. L’abbandono dell’aula   da parte dei soldatini  piddini in forza ad Acea nella fase di votazione, per far mancare il numero legale,  è stata una sorta di “canguro” uscito male. 

Di questi esiti non c’è da meravigliarsi. Il Pd locale è perfettamente in linea con Pd di Renzi.  Nel decreto Sblocca Italia, varato dal premier gigliato,  è prevista la costituzione di Ato   molto estesi, con assemblee formate dai pochi sindaci i quali  hanno semplice  diritto di tribuna, evitando così  deliberazioni incresciose  per le multiutilities private, come quella  che l’assemblea dell’Ato5 si è permessa di votare.  Se andrà in porto  il decreto Madia, oltre a diventare impossibile, per un ente pubblico, acquisire la gestione dei servizi pubblici, acqua compresa, verrà reintrodotta  nella determinazione della tariffa idrica, quella remunerazione del capitale investito bocciata dal referendum del 2011. 

Ancora peggio andrà se passerà la  riforma costituzionale targata Renzi-Boschi.  La quasi assoluta prerogativa legislativa in capo al Governo, determinata dalla farraginosa riforma  del Parlamento  che ne causerà  il blocco deliberativo, e l’esercizio dell’interesse nazionale sui provvedimenti di pertinenza  locale che consentirà   allo stesso  Governo di decidere sopra la testa di presidenti di Regione , sindaci e cittadini, permetterà all’Esecutivo di tutelare completamente gli  interessi di Acea e di altre multinazionali, senza impedimenti di origine democratica.   Lo svolgimento dell’assemblea dei sindaci  dell’Ato5 mostra come sia necessario contrastare in ogni maniera le azioni del Pd nazionale e locale, a cominciare dal referendum costituzionale. Votare No è un  doveroso atto di resistenza civile.

giovedì 1 settembre 2016

Difesa della militanza rivoluzionaria

"Bisogna preparare della gente che non dedichi alla rivoluzione solo le serate libere, ma tutta la sua vita (...)."
V.I. Lenin, "I compiti urgenti del nostro movimento" (Iskra n. 1, dicembre 1900).


di Francesco Ricci

Pubblichiamo la versione in italiano di un articolo pubblicato la settimana scorsa sul sito del Pstu brasiliano e nei giorni seguenti sui siti in varie lingue della Lit-Quarta Internazionale. L'articolo è stato "condiviso" su facebook da migliaia di persone e sta suscitando molte polemiche sui social network.

Sta facendo molto discutere un articolo di Alvaro Bianchi, dal titolo "Crítica ao militantismo", pubblicato sul sito brasiliano blogjunho.com.br.
Su facebook sono decine i post di critica ma sono anche molti coloro che apprezzano l'articolo, elogiandolo e indicandolo come un punto di riferimento per quanto riguarda il tema affrontato: la questione della militanza.
Le pene della militanza... e le gioie dei post-attivisti
Nell'articolo Alvaro Bianchi inizia costruendo un obiettivo per la sua polemica: quello che chiama il "militantismo", cioè una forma caricaturale della militanza rivoluzionaria. Parla di "feticismo dell'azione, la convinzione che l'attività permanente e diretta condurrà inevitabilmente a una vittoria decisiva. Dal volantinaggio al picchetto, dal picchetto all'assemblea, dall'assemblea alla riunione, per poi ricominciare il ciclo." Parla di militanti che si emozionano solo "con le vite esemplari dedicate alla causa, con il sacrificio". Di sciocchi, ostinati e maniacali, animati da una fede cieca; di "capi che pensano e subalterni che eseguono".
La caricatura e il disprezzo che Bianchi rivela per la militanza vanno incontro a un senso comune diffuso. La degenerazione stalinista e quella della socialdemocrazia, la corruzione dilagante dei partiti riformisti inseriti negli apparati dello Stato borghese hanno gettato un forte discredito sulla militanza e sui partiti in generale. Un discredito di cui cercano di approfittarsi le formazioni populiste e reazionarie come il Movimento di Grillo in Italia, o le formazioni neoriformiste, come Podemos in Spagna, che hanno come base non la militanza ma gli elettori. Tutto il neoriformismo vanta come propria caratteristica il suo essere "anti-partito" o post-partito; elogia il superamento delle "tradizioni terzinternazionaliste", includendo in questo termine tanto il Comintern rivoluzionario di Lenin e Trotsky come la sua negazione burocratica e controrivoluzionaria.
Già più di dieci anni fa, Impero, delirante manifesto della "biopolitica postmoderna" che hanno scritto Toni Negri e Michael Hardt e a cui si ispirano (più o meno consapevolmente) tanti accademici criticava il militante "triste ascetico agente della Terza Internazionale" che "agisce per disciplina" e proponeva una nuova militanza, diversa, che "resiste nei contropoteri e si ribella proiettandosi in un progetto d'amore", ispirandosi invece che a Lenin a San Francesco perché il santo, a differenza del capo bolscevico, contrapponeva "la gioia di essere alla miseria del potere."
Il disprezzo per la militanza
Non avvenendo nel vuoto ma nel contesto politico che abbiamo sopra descritto, è chiaro quindi che la critica di Bianchi al "militantismo", nascondendosi dietro la critica a una caricatura di militanza che non esiste, è in realtà una critica indiretta a quei settori nel mondo che attuano una militanza rivoluzionaria. Come, ad esempio, la Lit e le sue sezioni, e in Brasile il Pstu.
Con il tono di uno che dice cose controcorrente, Alvaro Bianchi non fa altro che riprendere tutti i luoghi comuni oggi in voga nel neoriformismo, negli ambienti accademici che civettano con il post-modernismo, nei siti web e nei blog animati da ex militanti che cercano di espiare i loro peccati di gioventù, nei gruppi politici che in qualche modo cercano di presentarsi come un "nuovo" modo di fare politica in contrapposizione appunto al "militantismo" (espressione usata, come abbiamo visto, per riferirsi alla militanza rivoluzionaria e di partito).
Alvaro Bianchi non dice nulla di nuovo né di controverso: gli va riconosciuto però il merito di essere riuscito in un articolo breve a condensare tutti i luoghi comuni preferiti dal neoriformismo e dal centrismo, che si possono riassumere in definitiva in una frase: la militanza vecchia maniera (o "militantismo") è una cosa sciocca, pesante, fatta di volantinaggi davanti alle fabbriche, di autofinanziamento che richiede sacrifici, basata su inutili "certezze" e triste; invece, le nuove forme di attivismo "orizzontalista" possono essere intelligenti e leggere, basate sull'elogio permanente del "dubbio", sullo scetticismo, sulla "disobbedienza" e il rifiuto della disciplina e soprattutto possono garantire l'allegria.
E' comprensibile che molti militanti siano rimasti infastiditi per l'articolo di Bianchi: nessuno obbliga Bianchi o altri a fare militanza, ma non si capisce con che diritto debba offendere chi la fa e intere generazioni che hanno sacrificato tempo, energie e anche la propria vita per quello che Bianchi definisce con disprezzo "militantismo".
L'ottimismo della volontà
Vale la pena di soffermarsi sulla citazione che Bianchi, gramsciano e gramsciologo, pone all'inizio del suo articolo: "il pessimismo della ragione, l'ottimismo della volontà" parafrasandola così: "Senza il controllo continuo del pessimismo dell'intelletto l'ottimismo della volontà facilmente si converte in puro militantismo."
La frase che Bianchi sta parafrasando è da molti attribuita a Gramsci, che a sua volta la attribuiva a Romain Rolland. Come è stato poi dimostrato da alcuni filologi, però, lo scrittore francese la riprendeva da Jacob Burckhardt, maestro e amico del filosofo nichilista Nietzsche. In ogni caso, chiunque sia l'autore di questo motto, Gramsci lo usava in senso differente tanto da Romain Rolland come da Bianchi. Bianchi pone l'accento sul "pessimismo" dell'intelligenza, che alimenta il suo scetticismo sulla possibilità di cambiare il mondo e quindi il suo sottile disprezzo per chi fa "militantismo" e si impegna "ciecamente" (e scioccamente) convinto che il mondo possa essere cambiato. Invece Gramsci usava la frase in senso esattamente opposto: la razionalità dimostra come sia difficile cambiare il mondo, tuttavia la storia (come ci ha insegnato Marx) non è il prodotto di "forze cieche" ma è fatta dagli uomini (anche se in circostanze che non si sono scelti) che possono, con la "praxis rivoluzionaria", cambiarla. E' interessante notare che Gramsci usa questa frase per la prima volta nel 1920 (poi la riprenderà varie volte: nei Quaderni, nelle Lettere) e in un articolo sull'Ordine Nuovo di quello stesso anno la utilizza proprio per elogiare la militanza e "gli sforzi e i sacrifici che sono domandati a chi volontariamente si è assunto un posto di militante nelle file della classe operaia."
Ci sono in Gramsci, a mio giudizio, molte deviazioni centriste che spiegano perché gli intellettuali riformisti e centristi cercano spesso in Gramsci un riferimento. Non è però il tema di questo articolo . Ma qualsiasi sia il giudizio su Gramsci, è certo che egli, che come Trotsky aveva appreso il materialismo studiando i testi di Labriola, non aveva una concezione determinista in senso stretto del materialismo: comprendeva quella dialettica tra oggetto e soggetto, tra circostanze e azione rivoluzionaria dell'uomo che può cambiare il mondo. E' quella "praxis rivoluzionaria" che secondo Marx e Lenin si esprime nell'organizzazione, nel partito della classe operaia e dunque, per riprendere le parole di Gramsci, nella militanza "nelle file della classe operaia". Gramsci (come scrive in una lettera dal carcere del dicembre 1929 al fratello Carlo) vede in questo motto un "superamento di quegli stati d'animo volgari e banali che si chiamano pessimismo e ottimismo". Per Gramsci l'impegno attivo, cioè la militanza organizzata in un partito rivoluzionario, possono cambiare il mondo, a differenza di quanto credono quegli intellettuali tradizionali, non "organici" alla classe operaia, per i quali esprimeva il suo più profondo disprezzo.
Dunque Gramsci usa la citazione ripresa da Bianchi ma lo fa per esaltare la militanza rivoluzionaria. Se dunque Bianchi vuole attaccare la militanza (fingendo di attaccare il "militantismo") dovrebbe cercare altre figure di riferimento. Con tutti i suoi limiti, con le sue deviazioni centriste, Gramsci fu per tutta la vita un militante di partito e morì nelle carceri fasciste esattamente per questo: se si fosse limitato a fare l'accademico e lo scettico, a scrivere su qualche rivista (o blog, come si direbbe oggi), Mussolini non lo avrebbe individuato come un pericoloso nemico da eliminare.
Un dizionario dei luoghi comuni
Sarebbe ingiusto, però, limitarsi a liquidare l'articolo di Bianchi come una banale celebrazione dello scetticismo piccolo-borghese. E' vero: l'articolo di Bianchi trasuda scetticismo e raccoglie con metodo contro la militanza un vero e proprio catalogo dei luoghi comuni piccolo-borghesi, tanto da risultare quasi un "dizionario dei luoghi comuni" come lo avrebbe concepito (forse con più senso dell'umorismo) il romanziere francese Gustave Flaubert.
Non sappiamo cosa volesse affermare Bianchi con questo articolo: la cosa più probabile è che si tratti di uno scritto estemporaneo, anche se fatto con lo scopo di "reinventare la sinistra e riorganizzarla", visto che questo è non solo il titolo di un altro recente articolo dell'autore ma anche lo scopo del blog su cui scrivono lui, Henrique Carneiro, Ruy Braga e altri intellettuali con le stesse posizioni.
In ogni caso, questo articolo contiene implicazioni importanti, politiche, che se anche sono state introdotte da Bianchi inconsapevolmente, sono state subito colte da alcuni suoi estimatori impegnati in politica. Per indicare queste implicazioni dobbiamo però fare prima un passo indietro di cento anni.
Nuove teorie... di cento anni fa
Una caratteristica tipica del riformismo e del centrismo di ogni epoca è sempre stata quella di presentare periodicamente come "nuove" delle teorie che sono in realtà molto vecchie. Questo si deve al fatto che, essendo il riformismo una pratica molto antica nel movimento operaio, è difficile per i suoi teorici odierni produrre qualcosa di nuovo, che non ripeta cose già dette e fatte. Ma la pretesa di essere originali è dovuta spesso anche al fatto che questi teorici "post" (post-marxisti, post-bolscevichi, post-trotskisti, ecc.) vivono in genere nella ignoranza dei dibattiti e dell'esperienza pratica che il movimento operaio ha prodotto in quasi due secoli di vita. L'ignoranza non è una virtù per dei rivoluzionari, ricordava Marx. Ma, potremmo aggiungere noi, è di certo una virtù per riformisti e centristi: perché la teoria rivoluzionaria è un implacabile avversario della loro politica opportunista; dunque per loro è meglio coltivare l'ignoranza. Questo accade spesso anche con gli accademici: in questo caso si aggiunge anche un altro elemento: l'arroganza di chi crede di parlare dalla sua cattedra a militanti ignoranti, a operai rozzi. Per questo, quando scrivono i loro articoli e presentano le loro "nuove" teorie, questo tipo di intellettuali non si preoccupa nemmeno di approfondire, di studiare i dibattiti precedenti.
Ad esempio, nel caso che stiamo discutendo, le teorie di Bianchi contro il "militantismo" sono già state scritte e ripetute nella socialdemocrazia russa agli inizi del secolo XX. Non solo: sono state il tema dello scontro e della rottura dell'ala rivoluzionaria (Lenin e i bolscevichi) con l'ala opportunista (Martov e i menscevichi). Una buona parte del libro di Lenin intitolato Un passo avanti e due indietro (1904) è dedicato a polemizzare contro chi criticava i bolscevichi per una presunta "disciplina da caserma", per la "militanza cieca", perché i militanti sarebbero stati privati della loro libertà individuale e ridotti a "rotelle e rotelline" di un ingranaggio .
Alvaro Bianchi non inventa nulla di nuovo quando parla di militanti privati della "immaginazione creatrice", sciocchi per i quali "pensare è un'attività controrivoluzionaria", settari che desiderano "distruggere" gli oppositori, partiti che vorrebbero "sostituire l'avanguardia alle masse", eccetera. E anche quando propone, in sostituzione di tutto questo, "nuove pratiche emancipatrici" sta camminando su sentieri che già altri hanno percorso molto prima di lui.
La "nuova" Iskra, cioè l'Iskra da cui era uscito Lenin e che, dal novembre 1903 all'ottobre 1905, era diventato l'organo dei menscevichi, pubblicò una gran quantità di articoli appunto per polemizzare contro la concezione "rigida" e "militante" che Lenin e i bolscevichi sostenevano.
Come si capirà in seguito, non si trattava di un dibattito su questioni puramente "organizzative" o sullo Statuto (anche se era nato a partire dalla definizione di militante nello Statuto): era un dibattito strategico perché la definizione del partito centralizzato di militanti, basato su una "disciplina di ferro" (cioè quel modello di partito e di militanza contro cui scrive Alvaro Bianchi) implicava la relazione tra il partito e la classe. Nella concezione dei menscevichi doveva essere un partito di tutta la classe, che non distingueva attivisti e militanti (non "militantista", direbbe Bianchi). Nella concezione dei bolscevichi, invece, doveva essere un partito d'avanguardia, al contempo separato e integrato nella classe. A sua volta, la relazione tra il partito e la classe operaia definiva anche la relazione con la borghesia e il suo Stato. Per questo il vero epilogo di questo dibattito sulla "militanza" sarà nel 1917, quando i menscevichi faranno parte di un governo borghese che sarà rovesciato dalla rivoluzione d'Ottobre. Cioè il graffio dei menscevichi nel 1903 introdotto col dibattito sulla "militanza" si trasformerà nella cancrena del 1917.
Se Alvaro Bianchi - e i suoi estimatori - avranno il tempo e la pazienza di approfondire lo studio, scopriranno che tutti gli argomenti contro il "militantismo" sono già stati espressi più di cento anni fa. Con l'unica differenza che forse il livello della polemica era un po' più elevato: anche perché a condurla si impegnarono teste come quella di Akselrod e di Plechanov, che seppero offrire all'opportunismo articoli, spero di non essere offensivo, più brillanti di quello di Alvaro Bianchi  .
I filosofi hanno finora interpretato il mondo...
Come si capisce, la vera posta in gioco quando si discute della militanza è lo scopo per cui si costruisce (o ci si rifiuta di costruire) un autentico partito rivoluzionario: è la questione del potere della classe operaia e di quella rivoluzione che è necessaria per arrivare al potere e che è impossibile fare senza un partito di militanti, o con un surrogato di un partito di tipo bolscevico. Non stiamo cioè discutendo di interpretazioni del mondo: se si trattasse solo di questo, come già segnalava il Marx delle Tesi suFeuerbach, sarebbero sufficienti i filosofi. Ma si tratta di cambiare il mondo con una rivoluzione operaia e socialista: e questa è una questione che possono affrontare con serietà solo i militanti rivoluzionari, i tribuni del popolo, gli operai con le loro mani callose. Agli accademici, agli scettici e a coloro che disprezzano la militanza disciplinata in un partito centralizzato, lasciamo volentieri la loro accademia, i loro blog, i loro luoghi comuni piccolo-borghesi e - se questo può dare loro allegria così come ci assicura il post-moderno Toni Negri - anche gli uccellini di San Francesco.

Marchionne vota Sì e ci aiuta a capire

Michele Prospero


Non poteva mancare la voce grossa del padrone che getta il suo pesante pullover blu sulla bilancia del referendum. «Marchionne è per il sì, personalmente» dice, parlando di sé, il manager di Detroit. Le truppe schierate per il governo sono molteplici, e impressionano per la loro potenza di fuoco: influenti giornali economici internazionali, grandi banchieri, spericolati finanzieri, Confindustria, cooperative arcobaleno. I poteri forti sono tutti in riga al presentat arm, altro che rottamazione strappata da un manipolo di ragazzi incontaminati.
Per garantire il controllo totale dell’informazione, già da un pezzo omologata alla narrazione del governo, è stata rimossa Berlinguer dalla tv pubblica e persino il battitore libero Belpietro è stato detronizzato dalla carta stampata privata. Oltre alle parabole immateriali dell’immaginario che si sintonizzano sulle frequenze dei media amici, il governo si avvale anche delle truppe di terra. La Coldiretti è stata arruolata per aggiungere un tocco di Vandea bianca, proprio della vecchia bonomiana, in una competizione che altrimenti avrebbe consegnato la difesa del governo soltanto ai signori della finanza e alle sentinelle del rigore. Quando il conflitto si fa aspro, i poteri forti entrano in scena, senza troppi infingimenti. E le antiche cariche istituzionali, che negli ultimi anni si sono mosse in maniera creativa, fuori le righe dello stanco diritto formale, sono richiamate in servizio effettivo e offrono munizioni di guerra per l’ultimo sacrificio alla nobil causa: non turbare la sovranità dei mercati legibus solutus. Chi vota no è dipinto come un pericoloso destabilizzatore, che lascia precipitare il bel paese nel caos più cupo. Si fa sempre più trasparente così il quadro della contesa, la fisionomia dei suoi protagonisti principali, la portata effettiva dello scontro. Il teatro di guerra, che ospita il fronte d’autunno, è sin troppo nitido: tutti i santi poteri del denaro sono intenti a scagliarsi contro il popolo irrazionale che rischia, con il suo ostinato no, di travolgere la sacra stabilità. Il merito delle riforme non conta nulla. La guerra è dichiarata per proteggere i simboli minacciati. E tutti i rappresentanti di accanite agenzie mondiali del denaro accorrono a difesa del simbolo diventato per loro più sacro di tutti: il potere in ultima istanza di sua maestà il mercato.
La portata della battaglia è, dal loro punto di vista, palese nella sua drammaticità: il pericoloso risveglio di una sovranità dei cittadini contro la bella dittatura del denaro che neanche la grande contrazione economica è riuscita a scalfire imputandole i suoi disastri. Nel tramonto dei ceti politici europei, ridotti a maschere che giocano battaglie surreali (il costume da bagno sulle spiagge) e non osano ribellarsi agli ordini impartiti dal capitale per la potatura dei diritti di cittadinanza, il referendum è una delle ultime eccentricità, una dismisura, un intoppo che allarma non poco. La volontà di sorveglianza e di normalizzazione sprigionata da un ceto economico dominante che ha ottenuto a tempo record la disintermediazione (che miopia politica, e che sordità sociale, quella del sindacato che non si schiera in una contesa cruciale, di cittadinanza ma anche di classe!), il jobs act, le decontribuzioni, lo sblocca Italia, la buona scuola, oggi fa da guardiano al governo, perché il padronato sente che quello col marchio gigliato è davvero il suo governo. La velocità non è in politica una grandezza indifferente e il tempo non è una misura neutra. Per tamponare i guasti che hanno rovinato la vita degli esodati, ancora si devono prendere le misure finanziarie necessarie e chiudere così, in percorsi dalla biblica durata, la vergogna di aver lasciato lavoratori privi di ogni reddito. Per varare una legge sulla tortura occorrono tempi illimitati, come per riaprire i contratti pubblici e privati. Per chi non ha tutele, o è privo di rappresentanza, o vive ai margini, guadagnare tempo, rispetto all’arbitrio del potere, non è un male. La velocità è un vero incubo se a dettare l’agenda della legislazione è il governo-azienda che impone le sue metafore in tutto ciò che è pubblico (scuola, dirigenti, sanità) e trasferisce le misure della sovranità in tutto ciò che è privato (comando assoluto nell’impresa, abolizione del diritto del lavoro).
Qualcuno, per incutere timore agli elettori, dice che il referendum di novembre è ancora più importante di quello inglese per le sue implicazioni su scala continentale. Può essere, ma non perché il voto a sostegno della Carta evochi un salto nel buio. I cittadini, rigettando la negazione del principio della sovranità popolare nella designazione di un organo di rappresentanza, hanno la possibilità di rimediare al fallimento dei ceti politici europei che hanno strappato ogni apertura sociale e quindi lanciano il populismo delle destre come risorsa plausibile per i marginali, i perdenti, gli esclusi. A destabilizzare l’Europa sono i poteri forti e i ceti politici deboli che, con il loro ottuso credo mercatista recitato anche su una portaerei a Ventotene, rendono lo Stato una residuale zona piegata all’interesse privato. Il no è una risposta democratica alla sciagura delle élite politiche europee che non organizzano il conflitto sociale della spenta postmodernità e rischiano di essere spazzate tutte via dal disagio che trova rifugio nei miti irrazionali. Più i signori della finanza alzano la voce, per orientare il voto di novembre a favore del loro governo dei sogni, e più cresce la rilevanza liberatoria del no, come riscoperta con movimenti dal basso dell’autonomia della politica dal denaro, dal nichilismo del capitale vestito di blu.

Michele Prospero (dal Manifesto del 30/08/2016)


Promuovere i beni comuni, fermare il decreto Madia, respingere la controriforma costituzionale


FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L’ACQUA



In seguito all’inequivocabile sconfitta subita alle recenti elezioni amministrative, il governo Renzi sta pensando di utilizzare tutto il tempo tecnico a sua disposizione, posticipando a fine novembre l’approvazione definitiva del Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale, decreto legislativo attuativo dell’art. 19 della L. 124/2015 (Legge Madia).

Evidentemente in difficoltà, e con la prospettiva - completamente aperta - di un referendum costituzionale in cui ha deciso di mettere in gioco il proprio futuro politico, il governo Renzi cerca di dissimulare le carte, rallentando la marcia e suggerendo aperture.



Ma la direzione è comunque tracciata: il Testo unico è, e rimane, un vero e proprio manifesto liberista, la cui finalità è quella di promuovere “la concorrenza, la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione di servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione dei servizi pubblici locali di interesse economico generale”.
Si tratta di un provvedimento che, cinque anni dopo la straordinaria vittoria referendaria sull’acqua e i beni comuni, vuole portare fino in fondo la sciagurata scelta compiuta ventidue anni fa, con la legge Galli, di risolvere i problemi del servizio idrico non con il risanamento e la riqualificazione delle gestioni pubbliche, ma imboccando la via opposta, ossia consegnando il servizio idrico a grandi holding finanziarie, secondo il credo neoliberista, e agli interessi di un ceto politico che aspira a farsi potentato economico.



Oltre vent'anni dopo i risultati di quella scelta sono gravemente passivi per i cittadini. I pesanti aumenti tariffari solo in piccola parte sono stati utilizzati per costruire depuratori e rinnovare la rete. La massima parte sono andati a risanare i conti delle multiutilities e a distribuire dividendi agli azionisti, quasi tutti istituti finanziari.
Il referendum del 2011 chiedeva, anzi imponeva, di voltar pagina. Ma la volontà popolare, che indicava la via di un rinnovamento della politica attraverso la partecipazione dei cittadini (e dei cittadini-lavoratori delle aziende) è stata ignorata. L'esplosione delle tubature dell'acqua quasi contemporaneamente a Firenze (Publiacqua, con forte presenza di Acea tramite la controllata Acque Blu Fiorentine) e a Genova (Iren) riveste un significato quasi simbolico dell'esito delle scelte compiute dai governi della “Seconda Repubblica”.



Con l’alibi della crisi e la trappola artificialmente costruita del debito pubblico, si cerca di portare a termine la spoliazione delle comunità locali, mercificando i beni comuni, privatizzando i servizi pubblici e attaccando i diritti del mondo del lavoro.
Con questo provvedimento, il governo Renzi prova a chiudere il cerchio aperto dalla straordinaria vittoria referendaria del giugno 2011, attaccando esplicitamente la stessa nozione di servizio pubblico locale e prefigurando l’intervento del pubblico come di supporto al mercato.



Dunque oggi si confrontano due linee: il vero cambiamento, a partire dai risultati del referendum, da una parte; il perseverare sulla via fallimentare dell'assoggettamento dei servizi pubblici locali agli interessi della finanza casinò, dall'altra.



A sostegno del necessario cambiamento di rotta in questi mesi si è progressivamente prodotta un’opposizione sociale alla legge Madia e a ciò che essa rappresenta: lo dimostrano le decine di iniziative territoriali e la raccolta di centinaia di migliaia di firme in calce alla petizione alle Camere, promossa dal Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua e sostenuta dalle compagini che hanno dato vita alla campagna dei Referendum Sociali.



Crediamo sia giunto il momento di fare un punto collettivo, proponendo a tutte e tutti quelli che, a diverso titolo e in tutti i territori, da anni si battono contro tutti i provvedimenti che vogliono consegnare i beni comuni ai grandi interessi finanziari, devastando i territori ed espropriando le comunità territoriali, un’assemblea nazionale di discussione collettiva sulle iniziative e le mobilitazioni da intraprendere nel prossimo autunno.



Fermare il decreto Madia vuol dire consentire alle comunità territoriali la riappropriazione sociale dei beni comuni, l’autogoverno partecipativo degli stessi, la messa in campo di una nuova economia sociale territoriale.



Fermare il decreto Madia vuol dire rispettare la volontà popolare espressa dal referendum sull’acqua, bloccare le politiche liberiste di privatizzazione, riappropriarsi della democrazia.



E' evidente come tutto ciò incroci la scadenza del referendum confermativo sulla controriforma costituzionale del prossimo autunno. E almeno due sono le ragioni di fondo: la prima è che il combinato tra controriforma costituzionale e legge elettorale nasce proprio con l’idea di restringere gli spazi di democrazia in termini funzionali ad affermare le scelte di carattere neoliberista e classista che contraddistinguono l’attuale governo. La seconda è che non è possibile disgiungere i contenuti delle scelte sul terreno economico e sociale da quelle relative alle forme e agli assetti istituzionali. Da questo punto di vista, è evidente che, se non si vuole produrre un discorso che rischia di essere astratto sulla difesa e sull’espansione della democrazia, esso va innervato di contenuti e fatto vivere in relazione alle scelte che intervengono sulle politiche economiche e sociali, su quelle scelte che riguardano la condizione di vita concreta delle persone.



Proponiamo di vederci tutte e tutti domenica 11 settembre a Roma.



*****

Programma
Roma, 11 settembre 2016
Cinema Palazzo (Piazza dei Sanniti – S. Lorenzo)

ORE 10.00 - 13.30 - SESSIONE I
Quali lotte costruire per contrastare e fermare il decreto Madia

IntroduzioneMarco Bersani - Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua
Interventi programmati- Maurizio Montalto - Presidente ABC Napoli
- Bengasi Battisti - Coordinamento Nazionale Enti Locali per l'Acqua Bene Comune
- Rappresentante DecideRoma
- Rappresentante Massa Critica Napoli *
- Luciano D'Antonio - RSU Publiacqua
Dibattito

ORE 14.30 - 16.30 - SESSIONE II
Attacco alla Costituzione, attacco ai diritti: come coordinare le lotte

IntroduzioneAlice Cauduro - Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua
Interventi programmatiGaetano Azzariti - Ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università di Roma "La Sapienza"
Dibattito

mercoledì 31 agosto 2016

Acea ATO5. Tariffe 2016, basta rapine.

Comitato Provinciale Acqua Pubblica Frosinone



L’Assemblea dei sindaci si riunisce venerdì 2 settembre alle ore 14,00  presso il palazzo della Provincia di Frosinone.
Per fare cosa?

Per verificare lo stato della procedura di messa in mora del gestore?

Per modificare la Carta dei Servizi ed impedire così ad Acea Ato5 di continuare a vessare i cittadini?

Nel mondo delle favole potrebbe essere, ma nell’incubo ciociaro pensarlo è pura follia.
Eppure il 18 febbraio di questo 2016 tutti i sindaci meno uno avevano votato proprio questo, ma dopo 197 giorni di … questo non si parla e l’unico argomento degno dell’attenzione del nobile consesso è la tariffa per l’anno domini 2016.

I fatti parlano da soli, ma se la rabbia per la cialtroneria di questi signori è tanta, non dobbiamo consentire che questa rabbia ci faccia fare il gioco altrui.
Fermo restando che Acea Ato 5 S.p.A. se ne deve andare, non dobbiamo consentire ai signori sindaci di fare il solito squallido giochetto che si risolve in due possibili e sperimentate soluzioni.

La prima è che le assemblee vadano deserte o non arrivino a nessuna decisione, consentendo così ad Acea di ricorrere al TAR per la nomina del commissario killer, che farà gli affari del mandante.

La seconda è che l’Assemblea approvi, come è avvenuto per il 2014 e per il 2015, la proposta di tariffa fatta direttamente da ACEA e che ha garantito a questa di chiudere i relativi bilanci con un utile nell’ordine dei dieci milioni l’anno.

L’Assemblea deve decidere la tariffa, ma questa non può essere neanche una proposta di una Segreteria Tecnica che, nella migliore delle ipotesi, si limiterebbe solo all’applicazione delle astruse formule del metodo imposto dall’A.E.G.S.I.

L’Assemblea dei sindaci deve approvare una tariffa per il 2016 che risponda ad un criterio di equità e giustizia nei confronti di un territorio e di una popolazione martoriata.

L’Assemblea dei Sindaci deve assumere la decisione politica di stabilire per l’anno 2016 una tariffa non superiore al 50% della tariffa del 2015 e rigettare ogni richiesta di conguaglio di un gestore che deve restare solo il tempo necessario al subentro di un nuovo gestore pubblico.

Noi venerdì 2 settembre ci saremo e chiederemo conto dei presenti e degli assenti e presenteremo il conto a chi dovrebbe essere lì a rappresentarci.

Acqua Pubblica. Appello ai sindaci dell'ATO5

Ai Sindaci dei Comuni dell'Ambito Territoriale Ottimale n. 5 Lazio Meridionale – Frosinone

Al Presidente dell'Autorità dell'Ambito Territoriale Ottimale n. 5 Lazio Meridionale – Frosinone

Agli organi di stampa

Gentile Sindaco,
in occasione dell’Assemblea dei sindaci convocata per il giorno 2 settembre p.v. con all’ordine del giorno l’approvazione del Piano Economico Finanziario e l’aumento delle tariffe idriche 2016-2019, Le chiediamo di non risolvere l’Assemblea secondo già sperimentate e disastrose soluzioni, di non essere, quindi, responsabile di una eventuale non decisione dell’Assemblea che consentirebbe al gestore Acea Ato 5 S.p.A. di ricorrere al TAR per la nomina di un commissario, di non approvare (come già avvenuto pe il 2014 e per il 2015) la proposta fatta direttamente dal gestore che ha garantito a quest’ultimo di chiudere i relativi bilanci con un utile nell’ordine dei dieci milioni l’anno, e neanche di decidere una tariffa sulla proposta di una Segreteria Tecnica che si limita all’applicazione delle formule del metodo imposto dall’A.E.G.S.I. di cui abbiamo espresso in altre occasioni le innumerevoli criticità.

È necessario che L’Assemblea dei sindaci approvi una tariffa per il 2016 che risponda ad un criterio di equità e giustizia nei confronti di un territorio e di una popolazione martoriata. Chiediamo, quindi, a Lei e a tutti i Sindaci facenti parte dell’Assemblea dei Sindaci dell’Ato 5 di assumere la decisione politica di stabilire per l’anno 2016 una tariffa non superiore al 50% della tariffa del 2015 e rigettare ogni richiesta di conguaglio di un gestore che deve restare solo il tempo necessario al subentro di un nuovo gestore pubblico. Quindi, di verificare lo stato della procedure di messa in mora del gestore e procedere alla risoluzione del contratto per colpa del gestore; di modificare la Carta dei Servizi ed impedire che Acea Ato 5 S.p.A. continui a vessare i cittadini. 

Con la presente facciamo inoltre formale richiesta al Presidente dell’Autorità d’Ambito di prendere parola durante l’Assemblea dei Sindaci per avere la possibilità di rappresentare le nostre preoccupazioni e illustrare nel merito le suddette richieste. 

Distinti saluti 

Comitato provinciale acqua pubblica Frosinone


Una battaglia che non possiamo permetterci di perdere

Rossana Tasselli Comitato per il NO-Democrazia Costituzionale Genova

Buongiorno a tutti. Ora più che mai, in occasione della volata finale della campagna referendaria, sento la necessità di condividere con tutti gli attivisti dei vari comitati locali un appello, al quale spero vorrete concedere la vostra attenzione. 

Innanzitutto, è doveroso da parte mia presentarmi. Rossana Tasselli, cinquantaquattrenne genovese, nipote, per parte di nonno e zio paterni, di partigiani “veri”, anzi verissimi, anche se deceduti. I valori democratici della Resistenza e della Costituzione fanno quindi parte del mio DNA, per averli vissuti e assorbiti atraverso il racconto dei diretti testimoni, tra i quali c'era ovviamente mio padre che, allora bambino, ha visto con i propri occhi gli orrori, le privazioni e il clima della guerra. In qualità di erede di partigiani e di iscritta ANPI, ho seguito per anni, e con immutata apprensione, le vicende riguardanti il pericoloso e inaudito tentativo di manomissione della Costituzione. La partecipazione alla raccolta firme, avvenuta in un clima surreale, mi ha purtroppo indotta (e tengo a sottolineare che si è trattato di una conclusione dolorosa e sofferta) a stigmatizzare anche il comportamento di ANPI, che a mio avviso non si è mostrata, nella circostanza, né conseguente agli allarmi che da tempo andava lanciando, né sufficientemente agguerrita nella difesa dei valori dai quali mi sentivo rappresentata. Unirmi a uno sparuto ma determinato gruppo di fuoriusciti da varie forme partitiche e associative (quelli che io definisco, come me, gli “ex-tutto”), con i quali abbiamo fondato il Comitato per il NO- Democrazia Costituzionale Genova , è stata la sola scelta possibile non solo per me, ma per tutti i genovesi che fossero fermamente intenzionati a dare un contributo attivo al raggiungimento del risultato Chi mi conosce sa anche che fino ad oggi non ho votato Cinque Stelle (e a questo punto devo dire purtoppo, perché Renzi sta governando con il voto da me dato a Bersani, fatto che considero un vero e proprio tradimento) e che non ho ancora deciso a chi darò il mio voto. Chi mi conosce sa, soprattutto, che non sono persona che si appassioni al primo venuto, e che anzi detesto i fanatismi e i vari “deus ex machina”, di qualsiasi genere e provenienza. Sono abituata a pensare con la mia testa, e non amo prendere per buone le verità rivelate. 

Ciò premesso, preciso che il mio approccio al problema non è di natura ideologica, ma invece analitica e strategica. Non è di natura ideologica non perché io non avessi prima o non abbia più ideali, ma perché ritengo che questo non sia il momento di combattere battaglie ideologiche. Non è il momento dei calcoli politici, né dei personalismi, né dei regolamenti di conti. È piuttosto il momento di ricordare che, a consegnare l'Italia al berlusconismo prima e al renzismo poi, siamo stati noi. È il momento di unirci sotto la sola bandiera che ci rappresenta tutti, e cioè in difesa della nostra Costituzione. Non si tratta di salire sul carro del vincitore, atteggiamento che non mi appartiene e che mai mi sognerei di proporre a nessuno di voi. Si tratta piuttosto di stabilire delle priorità, e di rimandare qualsiasi valutazione che ci distolga dal nostro unico obiettivo, altrimenti non ci saranno più priorità da assegnare né obiettivi da perseguire. Si tratta, soprattutto, di non ripetere gli errori del passato, di cogliere ogni opportunità, di ritrovare entusiasmo e determinazione, e di mettercela tutta, fino all'ultima goccia, proprio come hanno fatto i partigiani che questa Costituzione ci hanno faticosamente lasciato in eredità. 

Il mondo è cambiato, e il nemico ci conosce molto bene. Sa con precisione quali sono i nostri punti deboli, se ne è già abbondantemente servito e, se non gli togliamo dalle mani quest'arma, continuerà a farlo fino a spazzarci via definitivamente. Ricordiamo come Ulisse ha vinto la guerra di Troia. Ricordiamo qual è il segreto dell'evoluzione di qualsiasi essere vivente, cioè la capacità di adattamento all'ambiente circostante. Non dimentichiamo che “prevenire è meglio che curare”, e che una tardiva prevenzione è comunque meglio di una intempestiva quanto illusoria ricostruzione, come purtroppo dimostra la recente sciagura che ha colpito al cuore il nostro Paese. Non dimentichiamo, infine, la soverchiante forza della realtà, che vorrei definire con le parole di un mio racconto: “C'è, nel reale, una genuina attitudine a riportare le idee al contingente, al concreto, al materiale, una mano salda e provvidenziale che in un attimo è capace di spazzare via le illusioni e riconsegnarle alla tangibile dimensione del fattuale”. La realtà, dunque, ci obbliga costantemente al confronto. É un confronto impietoso, d'accordo, perché non muta con la nostra disapprovazione, non si piega ai desideri, non perdona gli errori e non lascia spazio agli ideali. Ma è un confronto ineluttabile, indifferibile ma anche salutare, che ci restituisce come rilevante opportunità il supporto dei Cinque Stelle. Non a caso il Coordinamento Nazionale, al quale tutti abbiamo aderito, ci ha messo a disposizione l'aiuto di un esperto, nella persona di Gherardo Liguori, il cui apporto, però, mi risulta non aver riscosso, da parte di alcuni di noi, il favore sperato. Le strategie che può indicarci e gli strumenti che può fornirci, invece, sono preziosi, competitivi e straordinariamente potenti, e non solo perché provengono da una profonda conoscenza del settore della comunicazione, ma anche perché intelligentemente proposti con sensibilità e disponibilità all'ascolto, e soprattutto suscettibili del necessario adeguamento alla nostra storia e al nostro bagaglio culturale. Nulla ci viene imposto: siamo anzi noi, gli attivisti, a indicare a Liguori le modalità secondo le quali impostare la campagna, mai il contrario. Dovendo combattere non solo un nemico infinitamente più potente, ma anche un nemico che non esita a fare ricorso a queste stesse strategie, sia pure con un metodo completamente diverso, non possiamo permetterci di sottrarci alle nuove logiche, pur modellandole sul linguaggio che ci appartiene per tradizione. Non possiamo scegliere il campo di battaglia, perché è su questo che, volenti o nolenti, ci troviamo a batterci, né possiamo sperare di combattere l'atomica con l'arco e le frecce. 

Che ci piaccia o no, siamo a una svolta.
 Ci troviamo in una congiuntura che richiede un salto oltre i consueti steccati, un rapido adeguamento all'inarrestabile procedere dei tempi, e anche un po' di sana umiltà. Se saremo pronti a raccogliere l'aiuto che ci è stato offerto, avremo tempo per tutto: per le dissertazioni su chi e perché, per le ricostruzioni di cosa e come, per le opinioni e i distinguo, per le idee, le divisioni e le rifondazioni. Avremo tempo per tutto quello che saremo stati capaci di difendere. Viceversa, se non coglieremo quest'ultima opportunità, sarà la realtà a superarci e a metterci definitivamente all'angolo: un angolo totalitario da cui non ci sarà via d'uscita. Non diamoci per vinti, raccogliamo tutte le forze usiamo tutte le armi a nostra disposizione. La spoporzione delle forze in campo non ci lascia altra via, ma la causa vale ogni singola energia che saremo in grado di spendere. Augurandomi che il mio appello non solo aiuti a superare insensate e pericolose resistenze, ma, per gli intenti unificanti e l'accoratezza che lo ispirano, riesca anche a far breccia nelle menti e negli animi di chi legge, auguro a tutti buon lavoro e buona battaglia, perché la nostra è una battaglia che non possiamo permetterci di perdere. 

martedì 30 agosto 2016

Elezioni comunali a Frosinone. Iniziano le grandi manovre

Luciano Granieri

Cominciano le grandi manovre in vista delle elezioni comunali nel Capoluogo. Movimenti e organizzazioni politiche di Frosinone iniziano  a sondare il terreno, mettere appunto liste e candidature. Ad una prima sommaria analisi, fra incertezze e dubbi, un fatto emerge  con chiarezza. I candidati proverranno da liste civiche. La prossima tornata elettorale nella nostra città non vedrà la partecipazione dei partiti. Le uniche due eccezioni potrebbero essere il  Movimento 5 Stelle, che designerà il candidato a sindaco  con la solita riffa sul web,  e il Partito Socialista Italiano. La partecipazione dei Socialisti a qualsiasi votazione si tenga nella nostra Provincia è ormai una tradizione.  Elezioni a Frosinone senza il Psi e come il carnevale senza la radeca. Candidato a sindaco sarà il segretario cittadino Vincenzo Iacovissi. 

Per il resto, come detto,  solo liste civiche. La prima formazione è il Pd (Pontieri Democratici). Un nome una garanzia. La lista, infatti pone al primo punto del suo programma l’edificazione di un ponte militare a sutura del Viadotto Biondi. Ciò in aperta contestazione con il sindaco uscente Nicola Ottaviani, il quale ha sempre promesso
l’edificazione della struttura, ma non l’ha mai realizzata.  Francesco De Angelis,  presidente dell’Asi,  Francesco Scalia,  Senatore della Repubblica, sono gli organizzatori delle lista. Pare che fra i due sia in corso una lite sulla primogenitura dell’idea del nome, non solo, ma le divergenze potrebbero estendersi anche alla scelta del candidato sindaco. 

Nel merito il presidente dell’ordine dei medici di Frosinone, Fabrizio Cristofari ha già proposto la sua candidatura. Il medico  sembra essere benvisto  da Scalia e dai componenti di un’altra lista civica l’NCD (nuova ciociaria democratica). La formazione organizzata dall’ex deputato   europeo Alfredo Pallone, potrebbe appoggiare Cristofari, oppure, qualora ci fossero primarie aperte, proporre come candidato l’ondivago ma fedele Gerardo Trina, detto Zaccheddu, già vice sindaco di Frosinone in rotta con il sindaco Ottaviani. 


Nomi questi poco graditi dall’altro tenutario del Pd Francesco De Angelis, il quale punterebbe sulla senatrice Maria Spilabotte o altre figure come la dirigente  Sara Battisti. Probabilmente si terranno le primarie. E il candidato perdente,  non importa se sostenuto da Scalia o De Angelis, verrà  indotto, da chi dei due avrà subito la sconfitta, a costituire un’altra lista antagonista.

A meno che non subentri il Papa straniero.  Il sindaco uscente Nicola Ottaviani.  La sua candidatura, pur se apparentemente in  contrapposizione allo spirito della lista metterebbe  d’accordo tutti.  Lo stesso Ottaviani non vedrebbe male un supporto del  Pd (Pontieri Democratici) ritenuto  il veicolo più efficace  per trasferirsi da P.zza VI Dicembre a Palazzo Madama, qualora dovesse passare il referendum costituzionale.  


In opposizione al Pd, potrebbe schierarsi un’altra lista civica FI (Frosinone Indomita) il cui ideatore è Mario Abruzzese attuale consigliere regionale. Ancora incerta la candidatura a Primo Cittadino.  Fra i più quotati potrebbe esserci  il consigliere provinciale e consigliere comunale Danilo Magliocchetti. Il sogno sarebbe ripresentare   Nicola Ottaviani, ancora lui ,ma la cosa appare alquanto difficile . Non c’è da meravigliarsi per l’elevata considerazione che l’avvocato frusinate gode in tutte le formazioni.  E’ riconosciuta la sua capacità di formare liste che lo appoggiano personalmente.  Pensionati per Ottaviani - Carcerati per Ottaviani - Ottaviani nel cuore e nella saccoccia - Appalti ottavianei - Ciavardini, Concutelli, Spada per Ottaviani , sono solo alcune delle liste personali che potrebbero assicurargli un secondo mandato.  



Passiamo ad entità  minori. Noi con Salvemini, si presenterebbe  come formazione  separatista meridionalista il  cui candidato a sindaco potrebbero essere l’ex consigliere di minoranza e maggioranza Carmine Tucci. Il programma è incentrato sulla forte entità etnico culturale del meridione con Frosinone come capitale morale . Entità da difendere a tutti i costi dalle pericolose contaminazioni degli extracomunitari. Ad essa potrebbe unirsi la lista FdI (Fratelli di Incitti), chiaramente inspirata dal leader ciociaro di Casapound Fernando Incitti che non vuole  concorrere con l’ancora poco accreditato vessillo dei fascisti del 3°Millennio. 

Rimangono i riformisti a sinistra del Psi e i comunisti ciociari variamente allocati. Per ora si stanno occupando d’altro. Disoccupazione, immigrazione, disagio sociale. Temi importanti ma raramente riferiti alla città di Frosinone. Formazioni particolari non sono previste. Tanto una volta definiti gli schieramenti, ognuno di loro si presenterà con la lista che più ritiene utile  per accaparrarsi un posto in consiglio comunale  e affanculo la lotta di classe. 

AMBUFEST: FALLIMENTI E STRANE NOMINE

Ufficio stampa 
Dep.Luca Frusone



La polemica sugli ambufest non si placa. Otre i medici di medicina generale anche la politica inizia a chiedere conto del progetto “ambufest” cioè gli ambulatori festivi che dovevano eliminare le code nei pronto soccorso. In realtà il Movimento 5 Stelle aveva già da tempo messo sotto la lente questo progetto che a Roma era partito in anticipo e un’interrogazione, ancora senza risposta, del consigliere Barillari chiedeva proprio conto del fallimento del progetto. Ma il caso degli Ambufest di Frosinone ha una sua specificità come ci spiega il Deputato Luca Frusone:” gli ambufest è chiaro che non tolgono le file al pronto soccorso ed erano nati proprio per questo . Zingaretti come al solito sbandiera numeri renziani ma la realtà è un’altra e ci troviamo di fronte ad un nuovo fallimento come lo furono gli ambumed qualche anno fa ma oltre ai numeri abbiamo chiesto conto di un’altra cosa, sia al Ministero che all’anticorruzione e precisamente dell’iter che ha nominato i vari coordinatori”. L’Asl di Frosinone negli ultimi mesi, a seguito di alcune riunioni per questo progetto ha nominato 3 coordinatori, naturalmente stipendiati, per i 3 Ambufest di Sora, Cassino e Frosinone. Secondo Frusone ci sono alcune coincidenze particolari: “nella convocazione per il tavolo tecnico a maggio” dice “appaiono 3 nomi e non si capisce a che titolo vengono convocati. Qualche giorno dopo viene approvato il progetto Ambufest e successivamente, come è giusto che sia, segue l’avviso interno per trovare 3 coordinatori che alla fine di tutta questa recita risulteranno essere proprio i 3 che venivano convocati dal Direttore Generale Macchitella ancor prima che uscisse l’avviso. Visti i risultati potevano evitarsi tutta la storia dell’avviso e dire direttamente a chi volevano dare quei ruoli”. Questo il giallo dietro gli ambufest ciociari secondo Frusone che conclude dicendo “non sarebbe la prima volta che l’ASL di Frosinone si spinge oltre con le nomine, ma non sta a noi dirlo. Di certo con il progetto Ambufest si è persa un’altra opportunità per creare un legame forte tra la medicina territoriale dei medici di famiglia e quella ospedaliera che viene sempre di più depotenziata per favorire il privato. Non si è persa però occasione per sperperare denaro pubblico per fare l’ennesimo buco nell’acqua”


lunedì 29 agosto 2016

Siamo sempre lo straniero di qualcun altro. Imparare a vivere insieme è lottare contro il razzismo.

Ufficio Stampa PRC Provincia di Frosinone




Bellissima  iniziativa quella che si è svolta ieri presso la sede del Centro Multiculturale Oltre L' Occidente a Frosinone, promossa dalla Federazione del Partito della Rifondazione Comunista.
Una giornata di incontri, di emozioni, di racconti e di storie sincere. 
E’ stato un modo per trascorrere una giornata insieme tra persone provenienti da diverse parti del Mondo, dando così un forte segnale di solidarietà e fratellanza.
C'è sempre un'Italia, che conserva nonostante i tanti problemi ancora una coscienza e un cuore immenso che va al di là dei propri confini disegnati su Carta Geografica.
Riconoscere la  diversità non è razzismo. E’ un dovere che abbiamo tutti. Il razzismo però deduce dalla diversità degli altri uomini la diversità dei diritti. Noi invece pensiamo una cosa, ovvero che tutti siamo diversi ma tutti abbiamo gli stessi diritti. Durante la giornata è stato proiettato il Film Fuocoammare, vincitore del festival Orso d’Oro  di Berlino. Un idea ecumenica di dignità e colore umano, che annulla i confini di razza e di lingua. Un film opportuno,umano e sconvolgente.