Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 6 ottobre 2018

Meglio stare con l'illegale umanità di Lucano piuttosto che con la legale bestialità di Salvini

Luciano Granieri


Mimmo Lucano, sindaco di Riace è agli arresti domiciliari. Ma è colpevole?  Indubbiamente  si . E’ colpevole di non aver prolungato il periodo di accoglienza di  Becky Moses,   sbarcata in Italia il 28 dicembre 2015.  La ragazza ventiseienne nigeriana  aveva inoltrato la richiesta d’asilo e iniziato  il percorso d’accoglienza a Riace. Nel dicembre 2017 ha ricevuto il diniego  e il 3 gennaio è costretta a lasciare Riace. Perché il sindaco Lucano non ne ha prolungato l’accoglienza, magari rinnovandole il documento  d’identità , per farla rimanere nel paesino della locride  anche dopo il secondo diniego? Perché è illegale. 

Mimmo fortunatamente se ne è fregato, e lo ha fatto per altri immigrati , sapete perche? Perché la povera Becky ,costretta ad abbandonare il  virtuoso percorso d’integrazione cui era stata avviata a Riace,  a causa del diniego, è finita a prostituirsi nella baraccopoli di San Ferdinando a Rosarno, una bidonville che accoglie fino a 2000 disperati nel maggiore picco della raccolta delle arance. Una baraccopoli di plastica e carta che, proprio perché fatta   di     materiale di fortuna altamente infiammabile ci mette un minuto ad andare a fuoco. 

La  cronologia finale della sua storia è impietosa: ilb primo di  gennaio finisce nel giro della prostituzione, l’11 dello stesso mese festeggia il ventiseiesimo compleanno, il 27 trova la morte nel rogo delle baracche.  Nel corso di una lite fra clienti e prostitute pare che  un accendino sia caduto  in terra innescando l’incendio.  Becky non ce l’ha fatta ad uscire da un alloggio ridotto immediatamente in cenere. Nella bara di zinco hanno messo  pochi dei suoi  resti,  quelli che    il sindaco Lucano , fuori di se, ha reclamato  per seppellirli  a Riace. 

Forse è proprio per scongiurare morti come queste e per evitare che il destino di altre ragazze fosse  sulla strada ad alimentare il giro della prostituzione, che Lucano ha fatto ciò per cui è accusato, ossia favorire il prolungamento dell’accoglienza anche dopo i dinieghi alle richieste  d’asilo.  Ha tentato di farlo combinando matrimoni fra riacesi ed immigrate, oppure, nel peggiore dei casi, fornendo autonomamente un carta d’identità senza  che questa avesse il sostegno giuridico del permesso di soggiorno. Tutto ciò non è legale, ma è giusto per evitare altre morti orrende come quelle di Becky.  

Quelle morti cui andranno incontro, in misura ancora maggiore  altre donne e uomini, se il decreto Salvini, già firmato dal Capo dello Stato, in barba alla Costituzione di cui dovrebbe essere garante,   verrà approvato in Parlamento. Nel  dispositivo  infatti è previsto che  sindaci ,  prefetti  e questure non potranno più  rilasciare   permessi  di soggiorno per motivi umanitari, salvo rare eccezioni,  in attesa che vengano esaminate le richieste di protezione internazionale  . Ciò significa che tanti ragazzi e ragazze come Becky, saranno sprovvisti di un qualsiasi documento prima che venga deciso il loro destino.  Ed altri come loro, che avranno ricevuto il diniego, non potendo essere espulsi, perché il procedimento di espulsione è lungo e riguarda accordi con solo Tunisia Nigeria Egitto e Marocco, dopo il periodo di reclusione nei Cpr, vagheranno nelle periferie  preda di sfruttamento , vittime del reclutamento da parte della malavita, e del  giro della prostituzione.  

Rischieranno seriamente di morire uccisi da un  caporale, dalla malavita, da qualche ritorsione razzista. Se il decreto Salvini diventerà legge sarà legale tutto ciò, ma profondamente ingiusto e disumano . Sindaci come Lucano, saranno ancora più colpevoli di pratiche disumane se attueranno, come legge comanda, il decreto immigrazione. Bisognerà   scegliere fra la legale bestialità di  Salvini e l’illegale umanità di Lucano. 

giovedì 4 ottobre 2018

Presidio a Frosinone per Riace




L’arresto del Sindaco di Riace è una notizia che lascia senza parole in questa Italia incattivita. L’accusa è di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Inutile dire che sono molti i dubbi che in realtà si tratti di un attacco ad un modello di accoglienza e integrazione di cui tanto si è parlato. Mentre però noi attendiamo di conoscere i dettagli, i capi di accusa e le contestazioni, che via via sembrano sempre più legate a forzature per risolvere problemi e non a distrazione di danaro pubblico, Salvini è già in rete a fare propaganda. Nel totale mutismo dei partner di governo.
Noi vogliamo reagire a questa vergogna e in questa fase esprimiamo solidarietà al Sindaco di Riace.

Per questo motivo la Rete delle Comunità Solidali di Frosinone invita tutti i cittadini e le cittadine della provincia di Frosinone, al Presidio di Solidarietà a Riace ed al Sindaco Mimmo Lucano. L'appuntamento è per sabato 6 ottobre alle ore 16:00 in Piazza Gramsci a Frosinone (la piazza dell'Amministrazione Provinciale).



mercoledì 3 ottobre 2018

Perplessità internazionali sulla manovra...la spesa pubblica può rendere popolari, ma alla fine gli italiani capiranno totalmente la verità, chi paga.

Mario Zorzetto





L'Ue vorrebbe delle garanzie sulle spese per investimenti che giustifichino almeno in parte l'allentamento dei cordoni della borsa. Soldi che dovrebbero essere spostati dalle misure sbandierate dai partiti (10 miliardi per il reddito di cittadinanza, 8 per il superamento della Fornero, solo per citare le principali) a capitoli di spesa diversi. Manca la spending review per rendere digeribile la manovra e c’è la flat tax ad aggravarla. Un ulteriore punto di frizione è sulla programmazione triennale. Il 2,4% per i prossimi tre anni è indigeribile per le istituzioni comunitarie, che vorrebbero una riduzione nei prossimi anni almeno come segnale politico. E invece la proposta flat tax aggraverebbe la situazione con il buco erariale a crescere.
Per il “Financial Times”, “la manovra italiana può innervosire i mercati finanziari”.  Secondo il principale giornale economico-finanziario del Regno Unito, “il forte aumento della spesa pubblica approvato dal governo italiano rischia di mettere Roma in rotta di collisione con Bruxelles”. Il giornale è convinto che un deficit del 2,4 per cento del Pil rappresenti “una significativa espansione rispetto al target dell’1,6 concordato per quest’anno dall’ultimo governo di centro-sinistra e sarebbe il triplo dello 0,8 precedentemente pianificato per l’anno prossimo”.
Il quotidiano sostiene che l’incremento del deficit potrebbe spingere gli investitori nel debito del governo italiano, il secondo più alto dell’eurozona, a mettere in dubbio la capacità del Paese di onerare i suoi creditori che chiederebbero più interessi….la verità: chi paga gli interessi? Anche il “Guardian” critica la manovra del governo gialloverde: “La mossa del governo italiano potrebbe creare un conflitto tra un Paese pesantemente indebitato e l’Unione Europea”. La stampa estera rileva “La supposizione sotto la quale i mercati finanziari hanno operato fino a oggi, l’idea che il ministro del Tesoro Tria potesse tirare le redini degli spiriti animali di questo governo è ora sfumata”.

Acerbo (PRC): «Salvini cita motto fascista e squadrista "me ne frego". Un personaggio del genere non può fare il ministro degli Interni»

Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista - Sinistra Europea, dichiara: 



«Oggi Salvini, il Trump italiano, cita in un tweet il più celebre motto del fascismo squadrista - il tristemente noto "me ne frego" - per polemizzare con l'Ue. E' vergognoso che il ministro degli Interni della Repubblica democratica nata dalla Resistenza faccia proprio il motto degli squadristi. Il Presidente della Repubblica dovrebbe intervenire immediatamente e pubblicamente. Un personaggio del genere non può fare il ministro degli Interni. Quella di Salvini è una provocazione - l'ennesima - volta ad attirare l'attenzione ma non si può ignorarla. La retorica di Salvini è quella del ventennio e anche la polemica con l'Europa ricorda quelle con la "perfida Albione". Il leader della Lega ha già sdoganato nel dibattito pubblico razzismo e xenofobia. A poco a poco anche il fascismo. L'appoggio della Confindustria a questo figuro ci ricorda che per i capitalisti la democrazia liberale è un optional, contano solo gli affari. I loro nonni e bisnonni nel ventennio appoggiarono Mussolini e Boccia oggi licenzia Renzi e Calenda e passa armi e bagagli con Salvini. Lunedì sarà a Roma con Salvini l'erede del fascismo e del colonialismo francese Marine Le Pen per spiegarci che c'è bisogno dell'Europa delle Nazioni. Ricordo che i loro antenati lasciarono l'Europa in macerie e più di 50 milioni di morti».

martedì 2 ottobre 2018

Manifestazione per la cultura e il lavoro

Manifesto


PER UNA MANIFESTAZIONE NAZIONALE UNITARIA PER LA CULTURA E IL LAVORO
Il settore culturale muove 250 miliardi, il 17% del PIL, in controtendenza rispetto a molti altri; ogni euro investito in Cultura ne produce 1,8 in altri settori; la tutela del Patrimonio Culturale e della produzione culturale immateriale è principio fondamentale per il nostro Paese, contenuta nell’articolo 9 della Costituzione, che all’art.1 si fonda sul Lavoro. Eppure:
– L’occupazione nel settore culturale non cresce, fatto reso possibile dal sistematico utilizzo di lavoro nero o gratuito.
– I diritti e gli stipendi dei lavoratori della Cultura vengono di anno in anno abbattuti.
– Un settore chiave dell’economia italiana viene pezzo per pezzo privatizzato, sulla pelle dei lavoratori, senza alcun vantaggio per la cittadinanza.
Per questo il 6 ottobre 2018 scendiamo in piazza. Ecco le nostre ragioni e le nostre richieste.
Siamo professionisti dei Beni Culturali, siamo professionisti dello spettacolo dal vivo, e del cinema, siamo autori, operatori, tecnici, custodi, siamo aspiranti professionisti e siamo soggetti in formazione. Siamo le lavoratrici e i lavoratori della Cultura. Svolgiamo professioni diverse, lavoriamo in decine di luoghi diversi, dai teatri ai musei, dagli archivi ai laboratori. Ma tutte e tutti abbiamo visto, negli ultimi decenni, il nostro settore definanziato e marginalizzato, di volta in volta screditato o strumentalizzato; tutte e tutti abbiamo visto i nostri diritti crollare, una crescita della competizione al ribasso, un attacco alla qualità del lavoro.
Per questo, oggi, chiamiamo a raccolta tutti i nostri colleghi, tutti i cittadini e le cittadine italiane, e in genere tutti coloro che abbiano a cuore il Patrimonio culturale e artistico di questo Paese, per la prima Manifestazione nazionale unitaria per la Cultura e il Lavoro.
Pochi lo sanno, ma il settore culturale è uno dei pochi in cui, nonostante la crisi, le entrate hanno continuato a crescere. Un settore cardine dunque, su cui investire e su cui puntare per il rilancio dell’occupazione. Ma non è andata così.
Nonostante l’enorme contributo offerto al Paese ogni anno, il settore culturale è costretto a funzionare (male) in costanti condizioni di ristrettezze economiche forzate, con investimenti e occupati nettamente al di sotto della media europea. Le Soprintendenze sono sotto organico, costantemente in regime di emergenza – da anni esponenti di diverse forze politiche ne chiedono la chiusura -; musei, siti archeologici, teatri, cinema, archivi e biblioteche chiudono, uno dopo l’altro; i pensionamenti si succedono spesso in assenza di turnover; il Fondo Unico per lo Spettacolo cala costantemente (-55% dal 1985), le esternalizzazioni dal 1993 in poi riguardano servizi sempre più essenziali per la vita dei luoghi culturali. I danni sono evidenti: l’80% degli italiani (dati Istat 2015) non è mai andata a teatro nel corso dell’anno, il 68% non ha mai visitato un Museo, il 56% non ha mai letto un libro. Questo non crea solo un problema economico e di esclusione sociale, ma permette anche il proliferare di teorie false e antistoriche che fomentano odio e divisioni, lontanissime dalla realtà storico-archeologica, o letteraria: teorie sempre più diffuse nella società e nel dibattito politico, fino ad arrivare alle Istituzioni.
Con la ricetta utilizzata finora – investimenti bassissimi e il sistematico utilizzo di volontari, esternalizzazioni e lavoro al massimo risparmio -, sarebbe difficile aspettarsi dati diversi: eppure la fame di Cultura c’è, è evidente dai buoni risultati registrati da teatro e lirica quando passano (eccezionalmente!) nel servizio pubblico radiotelevisivo, o dalla crescita costante del turismo culturale, nonostante la cronica mancanza di personale.
In questo quadro, ogni anno migliaia di giovani professioniste e professionisti della Cultura in Italia si trovano costretti a scegliere tra stipendi indecenti e vergognosi, tirocini di sfruttamento, stage senza prospettive, servizio civile, contratti a chiamata, volontariato, rimborsi spese…. o il cambiare mestiere, o l’estero.
Perché non si investe nel settore culturale, uno dei pochi che non conosce crisi? Perché non si permette a giovani e meno giovani di lavorare nel rispetto delle proprie qualifiche, con stipendi e contratti dignitosi, in modo che possano mettere le loro competenze a servizio del Paese? Perché non si lavora per ottenere contratti di qualità per tutti, lasciando perdere le esternalizzazioni a tutti i costi, e puntando a un equo trattamento per i lavoratori? Perché non si rispettano i contratti nazionali di categoria dove esistono, e non si punta ad estendere simili diritti a tutte e tutti?
I numeri parlano chiaro: risparmiare sulla cultura, in Italia, è una scelta suicida, ma la cittadinanza lo ignora perché il dibattito pubblico è viziato da letture volutamente distorte, come il fatto che la crisi della cultura sia economica o che la mancanza di lavoro nel settore sia un fatto logico e scontato.
La verità è che il lavoro nella Cultura in Italia c’è, e pure parecchio. Ma in questo settore si sta sperimentando l’abbattimento dei diritti e del costo del lavoro, perché si tratta di professioni poco note, e di categorie storicamente divise, o poco numerose, o poco pronte a manifestare per la propria dignità professionale.
Abbiamo assistito a questo sfacelo per troppo tempo. Ora tutto ciò deve finire.
Per questo il 6 Ottobre 2018 tutti noi lavoratori e professionisti dell’intero settore culturale italiano, dagli archeologi ai musicisti, dagli autori, gli attori, le guide fino ai custodi museali o ai bibliotecari, con l’aiuto di Sindacati, Associazioni e di tutti i cittadini che hanno a cuore la causa, abbiamo deciso di mobilitarci, per la prima volta insieme, per far vedere che ci siamo, abbiamo chiaro dove stiano le colpe e abbiamo capito come rilanciare il Paese: ora lo faremo capire a tutti, con una Manifestazione per la Cultura e il Lavoro.
Roma si terrà una Manifestazione unitaria dell’intero settore dei Beni e della Attività Culturali, la prima nella Storia d’Italia, per chiedere di ribaltare il tavolo, e di iniziare a trattare la Cultura come merita: come uno dei settori cardine dell’economia Italiana, dando risorse, dignità e riconoscimento a Istituzioni, professionisti e lavoratori del settore.
Chiediamo ai cittadini, alla classe politica e ai giornali di prendere coscienza del problema, e al Governo di prendere urgentemente provvedimenti per porre fine a queste politiche del tutto insensate. I provvedimenti da assumere sono tanti, previa l’abrogazione del pareggio di bilancio (art.81) in Costituzione, ovvia premessa di tutte le altre necessarie azioni; azioni quali, anzitutto:
• Portare l’investimento dell’Italia in cultura al 1,5% del PIL, in linea con gli altri Paesi europei.
• Aumentare i finanziamento pubblici al settore dello spettacolo (Fondo Unico per lo Spettacolo e finanziamenti locali), e creare miglior coordinamento e sinergia degli stessi, garantendo altresì finanziamenti certi su base almeno triennale. Modificare i criteri di elargizione del Fondo Unico per lo Spettacolo secondo veri principi di pluralismo, trasparenza, reale controllo dei criteri, evitando centralismi e marginalizzazioni dettati da mancanza di norme.
• Pubblicare i decreti attuativi della legge 175/2017 ascoltando le Parti Sociali.
• Promuovere un nuovo, coerente, omogeneo e condivisibile sistema nazionale di abilitazione a guida turistica.
• Pubblicare i decreti attuativi della legge 110/2014, che riconosce per la prima volta 7 professioni dei beni culturali; riconoscere e tutelare tutte le professioni oggi non regolamentate del settore dello spettacolo (registi, sceneggiatori, danzatori, attori, musicisti, doppiatori…), dei beni culturali (mediatori museali, paleontologi, manager del Patrimonio Culturale…) e in generale della cultura (traduttori, scrittori…).
• Far rispettare i Contratti nazionali esistenti, prevedendo che in mancanza di tale requisito si determini automaticamente la decadenza dei finanziamenti; creare finalmente un contratto nazionale del settore audiovisivo.
• Annullare le recenti riforme Ministeriali, e costruire, in cooperazione con i funzionari e i lavoratori del MiBACT, una struttura ministeriale ottimale, che metta in condizione il Ministero di adempiere a tutti i compiti specificati dal Codice del 2004.
• Promuovere l’assunzione, nei ranghi ministeriali, di almeno 3500 lavoratori entro il 2020, a partire dagli idonei al concorso dei 500 funzionari MiBACT, al fine di ottenere la copertura totale del turnover; ridefinire i fabbisogni professionali, nel rispetto delle competenze scientifiche e dei ruoli di ciascuna professione, riqualificando i servizi ed elevando gli standard di tutela, mortificati dalle ultime riforme organizzative.
• Ampliare le previsioni occupazionali specifiche degli Enti Locali e delle Istituzioni Culturali pubbliche, permettendogli, dopo anni di compressione forzata delle spese, di assumere secondo le esigenze.
• Promulgare una legge che regolamenti il volontariato culturale, mettendo fine al lavoro gratuito mascherato da volontariato.
• Abrogare l’articolo 24 legge 160/2016 sul declassamento delle fondazioni lirico-sinfoniche ed estinguere il debito pregresso delle fondazioni causato dalle inadeguate erogazioni.
• Riformare la Legge 4/1993 (Legge Ronchey) e rivedere il sistema delle esternalizzazioni, per tutelare il Patrimonio pubblico e il lavoro; ristatalizzare ove necessario, come nel caso delle fondazioni lirico-sinfoniche o dei servizi essenziali di Musei, Biblioteche e Archivi.
Servono leggi, servono risorse. Ma non solo per i professionisti dei beni culturali, non solo per i professionisti dello spettacolo, non per gli operatori museali, non per le Soprintendenze né per i Teatri: servono per il Paese.
Ed è il momento che la politica si decida a far funzionare il settore culturale. Siamo stati zitti all’angolo, chiusi nella nostra frustrazione e divisione per troppo tempo.
Il 6 ottobre la Cultura italiana si muove, unita: smettetela di mentirci, smettetela di sfruttarci, e lo vedrete, vi#RilanciamoilPaese.
Il 6 Ottobre 2018, una Manifestazione unitaria nazionale per la Cultura e il Lavoro. E da lì non si torna indietro.
Vi aspettiamo in piazza. Non serve a noi, serve al Paese.

lunedì 1 ottobre 2018

Da workfare a slaveunfair

Luciano Granieri


Ammettiamolo, noi  inguaribili fautori dello sforamento del parametro defici/pil, noi di estrazione comunista strenui avversari e contestatori della Troika (Ue, Bce, Fmi), quanto avremmo voluto attestarci il merito della vittoria  del 2,4% ! O forse no? Qualcuno duro e puro,  avrebbe voluto eliminare ogni parametro restrittivo imposto dalla consorteria ultraliberista di cui la Troika è palese espressione. Altro che il 2,4% ! Non si può mettere un limite alle spese necessarie per il progresso sociale. 

Resta il fatto che proprio da noi, mi ci metto anch’io, sulla vicenda del DEF viene un assordante silenzio.  Forse varrebbe la pena di osservare che la querelle sui punti decimali del rapporto deficit/pil, con conseguente reazione dei nevrotici mercati alle decisioni del governo, non è altro che l’ennesima "caciara" mediatica, (con annessi proclami di sconfitta della povertà) messa in piedi per coprire la reale natura della manovra che , in base agli annunci contrattuali nero-giallo-verdi, si annuncia odiosamente classista. 

Da un lato ci sono gli iper ricchi a cui viene gentilmente offerto un mega regalo fiscale,  con la flat-tax, e  l’ennesimo condono, dall’altro ci sono i poveri che tali rimarranno, e per di più saranno costretti ad accettare un lavoro purchessia, retribuito,  se  va bene con  780 euro al mese. Da un lato i padroni, sempre più ricchi,  dall’altro una platea  sempre più numerosa di “workpoor”.  Alla faccia del “workfare” !(così tanto per far vedere che qualche cosa d’inglese si conosce). Parliamo di gente  che pur essendo obbligata a lavorare , quando, se, e come vogliono i padroni,  non riesce  comunque ad arrivare a fine mese. Sarebbe forse più corretto usare il termine  di “slaveunfair” (sempre per far vedere che si sa qualcosa d’inglese). 

Ma su questa terribile natura della manovra economica, nessuno dice nulla. Si guarda il dito del 2,4% senza curarsi della luna che esso indica. I neo barbari nero-giallo-verdi rivendicano il coraggio di aver abbattuto il tabù del defict, i vecchi barbari riformisti-liberisti replicano che tale audacia porterà alla vendetta dei mercati così profondamente offesi. Noi vetero-comunisti che potremmo, quantomeno invitare a spostare lo sguardo dal dito ad una luna fredda, asfittica,  ci guardiamo bene dal farlo. Né ci imbarchiamo in una discussione, per altro più che legittima,  sulla natura predatoria delle politiche imposte dalla Troika, cosa che neanche  i nero-giallo-verdi, nonostante qualche annuncio si azzardano a fare. 

Al di la del discorso sulla natura ultraliberista della UE, più volte già affrontata, varrebbe la pena mettere i piedi sul piatto della manovra. Si è sempre detto, o almeno lo si diceva in campagna elettorale, che uno dei più grandi ostacoli  alla ripartenza della crescita   è  la grande diseguaglianza esistente fra pochi super ricchi (che usano i propri profitti, per fare soldi con altri soldi) e la maggioranza di gente che non può permettersi di consumare granchè se non se stessa.  

La soluzione al problema l’ha squadernata ieri sera da Fabio  Fazio il super tagliatore di sprechi Carlo Cottarelli. Il manager del Fondo Monetario Internazionale ci ha spiegato che l’Italia, a fronte di un debito pubblico fra i più alti d'Europa, presenta una quota di risparmio privato elevatissimo, basterebbe  quindi destinare un po’ di quest’accumulazione privata alla riduzione del debito. Come? Attraverso una sostanziosa tassa patrimoniale. Poi però l’economista, a fronte delle sue ferree convinzioni ideologiche,  si è affrettato ad aggiungere che questa soluzione non è adottabile se non in presenza di catastrofi bibliche di fatto mai avveratesi e che mai si avvereranno. Una sorta di sindrome bipolare spingeva Cottarelli:  come economista a invocare una patrimoniale,  come  ideologo ultraliberista a scongiurarla. 

Sia come sia la  necessità di spostare ampie quote di capitali privati verso il pubblico è accertata anche dal più ordoliberista degli economisti. Dunque corroborati anche dall’autorevole giudizio di un tecnico, suggerirei di  smetterla di accapigliarsi sul 2,4 e di proporre, una forte tassa patrimoniale sui beni immobili, e sulle rendite finanziarie.  Quindi il  contrario della flat-tax, ossia una progressività fiscale che imponga una tassazione proporzionata alla  ricchezza, chi più ha più tasse paga. Una seria e reale lotta all’evasione, altro che condoni! 

Sul lato delle uscite invece, c’è un ansimante sistema sanitario che ha necessità estrema  fondi , ci sono gli enti locali che hanno bisogno di soldi per non far crollare le scuole, c’è la necessità di mettere in campo risorse  atte  a promuovere piani economici,  finanziati dallo Stato  incentrati sulla manutenzione  e valorizzazione del territorio sulla fondazione di imprese  a partecipazione pubblica impegnate nella green economy, nell'erogazione di servizi,   e in attività in grado di creare lavoro vero, non la misera elemosina dei 780 euro. Su questo dovremmo ragionare noi vetero comunisti o no?

PENSIONI: la realtà, le bufale, il cosa fare

Umberto Franchi


In Italia negli ultimi 25 anni , hanno riformato per ben 9 volte le pensioni, con tutti i governi di centrodestra e centrosinistra , che (salvo qualche poca eccezione)  si sono esibiti tutti nello smantellare , mattone per mattone, la struttura portante del sistema pensionistico, che fu la più grande conquista delle lotte operaie, studentesche e pensionati,  sviluppate “nell’autunno caldo del 1969”.
Il fine è stato quello di fare sparire il diritto sancito dagli articoli 36 e 38 della Costituzione : :  chiudere il ciclo lavorativo della propria vita con dignità e serenità. Per questo fine si sono inventate bugie clamorose sul costo pensionistico più alto d'Europa, statistiche mistificanti, falsi buchi di bilancio dell'Inps, fondi privati e pubblici aperti o chiusi false illusioni sostenute da chi detiene il potere economico/finanziario e mediatico, ecc...
La vera riforma delle pensioni fu fatta dal Ministro Brodolini il 30 aprile 1969 ed era fondata su tre pilastri :
-       Il passaggio dal sistema a capitalizzazione contributiva a quello retributivo, in base alla media delle retribuzioni degli ultimi 5 anni di lavoro, con u incremento sostanziale delle pensioni (circa il 20%);
-       La possibilità di andare in pensione di vecchiaia con 40 anni di lavoro, con circa l’80% del salario lordo, a 60 anni gli uomini e 55 anni le donne, e la pensione di anzianità con 35 anni di contributi con circa il 70% del salario lordo;
-       La possibilità di avere una pensione sciale per i lavoratori che hanno raggiunto i 65 anni  senza avere 20 anni di contributi.

MA QUALI SONO I CONTENUTI DELLE SUCCESSIVE RIFORME  CHE HANNO CANCELLATO MOLTI DIRITTI DEI LAVORATORI E PENSIONATI   ? QUESTI:

1) la “riforma” Amato del 1992, ha modificato il meccanismo di perequazione automatica delle pensioni al costo della vita sganciandolo dalla variazioni dei salari, inoltre vi è stata la modifica di calcolo della pensione media retributiva, che è passata da 5 anni a 10 anni; sempre nel 1992, l'adeguamento al costo della vita , da semestrale diventa annuale;
2) la “riforma” Dini del 1995, che aveva l'obiettivo della tenuta del sistema pensionistico fino al 2040, in realtà ha creato la divisione tra i giovani dagli anziani distruggendo l'unità del mondo del lavoro con:
a) calcolo contributivo  anziché retributivo per chi entra al lavoro a partire dal 1996 con un calo della pensione di circa il 40% rispetto al sistema retributivo, mantenendo il sistema retributivo  per coloro che al 31 dicembre 1995 avevano almeno 18 anni di contributi ;
 b) calcolo della pensione legato all'aspettativa di vita;
 c) la cancellazione delle pensioni di anzianità a 35 anni senza vincolo di età;
 d) la introduzione di “finestre” che obbligava ad attendere 3 mesi per aver diritto all'uscita pensionistica;
 e) riduzione delle pensioni per i superstiti.
3) nel 1997 anche Prodi fa una “riformicchia” per accellerare la gradualità della riforma Dini, con l'introduzione della rivalutazione annuale al 100% solo per le pensioni fino a due volte il minimo dopo la rivalutazione scende gradualmente al 90%, 75%, 30%.
4) nel 2004, la "riforma" Berlusconi/Maroni, prevede che a partire dal 2008, le pensioni di anzianità con 35 anni di contributi potranno essere recepite solo da coloro che hanno almeno 60 anni di età (61 autonomi) e dal 2010 61 anni di età (62 se autonomi);inoltre  le finestre passano da trimestrali a semestrali;
5)  nel 2007, anche Cesare Damiano fa una “riformicchia” delle pensioni , reinserendo le 4 finestre per le pensioni di vecchiaia , ridefinendo i coefficienti di trasformazione del sistema contributivo;
6) nel 2009, il governo Berlusconi con Sacconi e Brunetta , fanno una “riformetta” dove stabiliscono in senso negativo, a partire dal 2015, una diminuzione dell'indicizzazione dell'età pensionabile in rapporto all'innalzamento dell'aspettativa di vita.
7) Nel 2010, la “riforma” Tremonti, inserisce una sola finestra mobile che manda i lavoratori in pensione solo a partire da un anno (prima erano 3 mesi dopo 6 mesi ed infine 1 anno) per  la maturazione dei requisiti per i lavoratori dipendenti e 18 mesi per quelli autonomi ; inoltre aumenta innalzamento  dell'età pensionabile in base all'aspettativa di vita , ogni 3 anni anziché ogni 5; anche i coefficienti di trasformazione verranno aggiornati ogni tre anni .
8)  Infine la “riforma” Fornero che: fa saltare il diritto ad andare in pensione con 40 anni di contributi assicurativi; innalza l'età pensionabile oltre i 67 anni; ora 67 e 6 mesi, stabilisce il sistema contributivo per tutti coloro che vanno in pensione dal gennaio 2012,(ad eccezione di quelli che avevano 18 anni di contributi al 31/12/95) ,   crea il dramma di coloro che sono anziani e non hanno più un lavoro e nemmeno il diritto di andare in pensione dovendo aspettare i 67 anni (esodati) , inoltre blocco  l'indicizzazione al costo della vita per le pensioni superiori di due volte il minimo ( è stato alcolato che il bocco delle indicizzazioni su una pensione di 1500 euro mensili abbia causato una penalità di circa 100 euro mensili) .
9) anche il Governo Renzi fa una riforma cercando di migliorare marginalmente la riforma Fornero con : la definizione  dell’APE, con la possibilità di andare in pensione con 20 anni di contributi e 63 anni di età, ma attraverso un prestito bancario molto oneroso da restituire alla banca in 20 anni; la possibilità di mandare in pensione con 41 anni di contributi i “precoci” cioè tutti coloro che sono entrati al lavoro prima dei 19 anni di età; definisce la possibilità di andare in pensione a 61,7 mesi di età e 35 anni di contributi i seguenti lavoro usuranti :  lavoratori delle cave e gallerie, conce, lavoro notturno, gruisti, conduttori treni e camion, infermieri, lavoratori addetti alla catena di montaggio, cantieristica navale; la concessione della 14° per le pensioni minime (da 500 a 650 euro l’anno ai pensionati al minimo) . Inoltre nel 2015 , a seguito del giudizio incostituzionale da parte della Consulta in merito al blocco delle indicizzazione stabilite dalla Fornero sulle pensioni superiori a 1400 , ha restituito tra il 5% e 10% del maltolto.
Questo attacco alle pensioni, ha fatto anche si che negli ultimi 15 anni, l'entità del valore reale delle pensioni rispetto al costo della vita è diminuito del 40%.
MA QUALI SONO LE MOTIVAZIONI CHE HANO INDOTTO I VARI GOVERNI A CONTRORIFORMARE IL SISTEMA PENSIONISTICO ?  SONO QUESTE DUE BUFALE:

1)      Essi sostengono , come fa la Fornero ed il presidente Inps Boeri, che le varie operazione contro-riformatrici,  sono state  effettate per dare la possibilità alle future generazioni di avere una pensione dignitosa , in realtà le future generazioni  con il sistema contributivo prenderanno una pensione ridotta del 30% rispetto a quella con il sistema retributivo, i giovani sono quasi tutto assunti con contratti precari e difficilmente fanno un anno pieno di lavoro,  per cui la lor pensione sarà decurtata di circa il 50%, rispetto a quella dei genitori e nonni;

La cosa più curiosa è quella  detta da Giuliano Cazzola , ex deputato Forza Italia al servizio di Berlusconi, che si autodefinisce economista, ma che ho conosciuto bene agli inizi degli anni 90 quando ero Segretario dei chimici della CGIL della Regione Toscana e lui era Segretario dei chimici della CGIL Nazionale in quota socialista (all’epoca in CGIL esistevano ancora le componenti) … costui sostiene che non solo va mantenuta intatta la legge Fornero, ma   che per garantire una pensione dignitosa ai giovani,  bisognerebbe tagliare tutte le pensioni a coloro che sono andati in pensione con il sistema retributivo, rifacendo i calcoli con il contributivo… salvo dirsi contrario al taglio della sua pensione d’oro in qualità di Parlamentare (sic) .

2) Sostengono  che  il taglio delle  pensioni è necessario perché l’INPS  altrimenti fallirebbe . Anche questo è falso : Hanno inventato anche un buco all’INPS , senza mai dire che il buco si è creato nel 2011 quando il governo Berlusconi/Tremonti  di allora,  decise di fare confluire le pensioni del settore Pubblico ed amministrativo INPDAP, con quello dei lavoratori privati INPS. Ma nessuno dice che l’INPS nel 2012 con l’accorpamento con l’INPDAP Aveva assorbito ANCHE il suo debito creando un buco di 12 miliardi , che successivamente sono diventati circa  50 miliardi , dovuti al fatto che le aziende pubbliche e le amministrazioni dello Stato , non pagavano e non pagano  i contributi assicurativi dei propri lavoratori dipendenti . Soldi che allora dovrebbe  pagare in toto lo Stato , o ripianare i debiti delle aziende pubbliche, ed invece fanno pagare in gran parte ai lavoratori privati dell’INPS anche i contributi anche dei lavoratori pubblici , e con la crescita del  buco (deficit) dell’INPS ….
LA REALTA DI BILANCIO' INPS AL 30 OTTOBRE 2017 ERA QUESTA :

- Entrate complessive sono state di  Euro 330 miliardi e 865 milioni di cui 107 miliardi e 371 da parte dello Stato a copertura delle aziende ed amministrazione pubbliche ex Inpdap, che non pagano i contributi. ai dipendenti ;
- Ora , se un’azienda privata non paga i contributi, interviene l’ispettorato del lavoro gli fa una multa e se non paga la fa fallire… mentre se non paga i contributi una amministrazione pubblica o azienda di stato, viene ripianata dallo Stato e in parte con i contributi dei dipendenti delle aziende private. Insomma,  il fondo dei lavoratori privati sarebbe in attivo , ma con la fusione Inps Inpdap va in passivo e lo Stato deve ripianare , nonostante i 107,371 miliardi per ripianare, l'Inps nel 2017, chiude il bilancio con oltre 5 miliardi di deficit;
- ma dobbiamo considerare anche che a differenza di altri stati Europei,  sulle entrate dell'Inps viene fatto  gravare anche tutta l'assistenza ai lavoratori per:
a) Cassa Integrazione Guadagni;
b) mobilità;
c) in caso di fallimento di una azienda, l'Inps garantisce ai lavoratori la copertura della liquidazione e le ultime tre mensilità;
d) Malattia
Con una spesa complessiva molto alta  per l’ Assistenza, mentre dovrebbe gravare sulle casse dello Stato .

Oggi sappiamo che queste leggi anti-costituzionali  (ultima quella Fornero), hanno portato la realtà pensionistica allo sfacelo dove le pensioni con il nuovo calcolo contributivo saranno di entità inferiori del 50 % rispetto al precedente calcolo retributivo, dove l'allungamento dell'età pensionabile è stata stabilita a di 67 anni e 7 mesi (non per tutti)   ed in prospettiva supererà i 70 anni di età; dove il 70% dei pensionati ha media pensionistica è inferiore ai 1000 euro mensili, con il 40% dei pensionati che non superano la pensione di 500 euro mensili.
Ora , tutti siamo i attesa di verificare quale sarà la riforma pensionistica del governo Giallo/verde, ma da quello ce sta emergendo non c’è più l’abolizione della legge Fornero, bensì  un piccolo ritocco chiamato “quota 100” riguardante una ridotta platea di persone che  per poter andare in pensione devono avere  62 anni di età e 38 di contributi…  anche in merito alle pensioni minime (percepite a maggioranza da donne) … si para di portarle a 780 euro ma soltanto se il reddito familiare lordo non supera la cifra annua di 32.000 euro … quindi sarebbero pochi a percepirle… staremo a vedere, ma intanto, condonano gli evasori e riducono le tasse ad autonomi e piccole imprese che sono i primi ad evadere l fisco , denunciando spesso redditi inferiori a quelli dei propri dipendenti, in attesa della FLAT TAX che regalerà molti miliardi a ricchi.
 Quello che invece da subito  bisognerebbe fare è una vera riforma delle pensioni con la cancellazione delle “dannate” leggi che hanno portato molti pensionati alla miseria attraverso :  
a)       Interventi tesi ad   incrementando tutte  le pensione medie basse;
b)      Riportare tutto il sistema  pensionistico  al retributivo per  garantire ai giovani una futura pensione dignitosa  ;
c)      Stabilire la possibilità di andare in pensione a 60 anni di età o con 40 anni di contributi;
d)      Dividere la previdenza a carico dell’Inps, con l’assistenza che deve andare a carico dello Stato  ;
e)      Rimborsare quanto è stato tolto ai pensionati con il bocco perequazione semestrale;
f)      Alzare il tetto per avere il diritto alle detrazione del coniuge a carico, oggi fermo a 2800 euro l’anno come stabilito 40 anni fa (circa 5 milioni di lire che avevano un altro valore);
g)      Obbligare le imprese statali o amministrazioni pubbliche a pagare i contributi assicurativi o in caso di mancato pagamento lo stato deve intervenire per ripianare il deficit senza scaricarlo sul fondo dei lavorator privati .
Non credo che il governo vorrà fare queste cose , e penso che  senza un moto di lotta nel Paese… non ci sarà mai l’abolizione reale della legge Fornero… E’ soprattutto il Sindacato… la CGIL che dovrebbe organizzarlo… ma allo stato attuale non vedo una svolta sindacale … il sindacato CGIL (  che va verso il congresso, salvo  una esigua  minoranza che chiede una svolta, anche con ciò che ho elencato )  di fatto gestisce in termini assistenziali le ricadute negative delle scelte fatte dai padroni e dal governo.