Dottor
Valerio, lei si definisce scienziato preoccupato. Perché?
«Il concetto deriva dalla “Union of
Concerned Scientists”, che è un’associazione internazionale di
scienziati e ricercatori in tema ambientale, che si occupa, da qui il termine
inglese, di tematiche ambientali e di salute. Ma allo stesso tempo, il termine
“concerned” significa anche
preoccupazione, perché di fronte ai continui allarmi e disastri ambientali si
fa poco o nulla per prevenirli e risolverli totalmente. E la storia delle
biomasse rientra in questa mia preoccupazione».
Qual è la situazione dei rifiuti in Italia e della loro gestione?
«Le nuove tendenze derivano dalla raccolta differenziata, che permette di
recuperare i rifiuti e di immetterli in nuovi cicli produttivi, evitando così
gli sprechi e creando altresì nuovi posti di lavoro. Ormai tutti quanti abbiamo
capito che la strada da percorrere è questa, per cui la discarica da una
parte o l’inceneritore dall’altro, dove spesso converge tutto senza
differenziare, sono scelte antiche e sorpassate. L’Italia in questo
senso ha accusato forti ritardi rispetto al resto d’Europa».
Come mai l’Italia è lenta nel cambiare? E’ una questione politica o
prettamente tecnica?
«Sicuramente è politica, basti pensare a questa anomalia tutta italiana. Non
tutti sanno che nelle tasse previste per l’elettricità, c’è una voce
(Componente A3), pari al 7% del valore della bolletta, che copre i costi per la
promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili e assimilate.
Ovvero quel 7% viene destinato anche alle biomasse, che beneficiano così di un
vero e proprio finanziamento statale. Tutte queste centrali,
inceneritori compresi, esistono perchè permettono affari sicuri, grazie
agli incentivi quindicennali generosamente regalati loro, con i “certificati
verdi”, certificati pagati da tutti gli italiani, con l'apposita tassa fissata
sulla bolletta della luce».
Quante sono le centrali a biomasse in Italia?
«Sono ormai un centinaio le centrali elettriche alimentate
direttamente o indirettamente con biomasse, ovvero prodotti vegetali (cippato
di legno, scarti alimentari, oli di mais, sansa di olive, eccetera) e scarti
animali (pollina, scarti di macellazione, deiezioni da allevamenti suini e
bovini). Inoltre, ci sono quindici inceneritori che oggi
producono elettricità bruciando materiali di origine organica (scarti
alimentari, materiali cellulosici, sfalci, potature e altro ancora). In Italia,
nel 2009, complessivamente, risultava installata una potenza elettrica,
alimentata a biomasse, pari a 1.728 mega watt».
Lei nel suo blog scrive che le centrali a biomasse sono tutte illegali.
Perché?
«Esatto. La questione è semplice ed andrebbe approfondita da un punto di vista
legale. In Italia esiste il Decreto Legislativo 155/2010 che,
tra le sue finalità, prevede di "mantenere
la qualità dell'aria ambiente, laddove buona, e migliorarla negli altri casi".
E' una finalità chiara, sensata e, sostanzialmente, rispettata fino a qualche anno
fa. L'illegalità è dovuta al fatto che tutti questi impianti, una volta entrati
in funzione, hanno peggiorato la qualità dell'aria dei territori che li
ospitano con l'immissione in atmosfera di importanti quantità di ossidi
d'azoto, polveri sottili e ultra sottili, idrocarburi policiclici aromatici,
diossine. Tutte le statistiche dimostrano che, da alcuni decenni, a parità di
produttività, le emissioni inquinanti inviate nell'atmosfera del nostro Paese,
sono drasticamente diminuite. Questo risultato è stato ottenuto migliorando i
combustibili (gasolio a basso tenore di zolfo, benzina senza piombo),
sostituendo olio combustibile e carbone con gas naturale. Questa tendenza, che
ha comportato un progressivo miglioramento della qualità dell'aria del nostro Paese,
si è interrotta con il proliferare di grandi e piccole centrali alimentate con
biomasse, oltre ai "termovalorizzatori" di rifiuti urbani, in tutti i
casi combustibili poveri e altamente inquinanti. Dunque, è inevitabile che
tutti questi inquinanti provochino un sicuro peggioramento della qualità
dell'aria e un proporzionale aumento di rischio sanitario per la popolazione
esposta. Questo significa che il rispetto delle concentrazioni di inquinanti
nei fumi, ammessi dalla Legge, è una condizione necessaria, ma non sufficiente,
al rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione e l'entrata in servizio
di questi impianti. L'autorizzazione ha valore solo se il progetto dimostra
anche che l'entrata in funzione dell'impianto "mantiene la qualità dell'aria ambiente, laddove buona, e la migliora
negli altri casi". E questa duplice norma cautelativa è stata fatta
propria solo dall’Emilia Romagna.Pertanto, ipotizzo che gran parte delle
attuali autorizzazioni rilasciate ad impianti alimentati a biomasse, oltre che
molti inceneritori per rifiuti urbani, siano illegittime».
Allora, se gli impianti a biomasse sono inquinanti e illegali, perché
continuano ad esistere e a funzionare?
«Il problema è una mistificazione costruita ad arte. Negli USA, per esempio,
fino alla fine degli anni 90, per la costruzione degli inceneritori c’erano
degli incentivi pubblici, terminati i quali non se ne costruirono più. In nord
Europa, invece, oggi, si continuano a bruciare rifiuti perché sono costretti a
tenere in vita gli impianti al fine di ammortizzare i costi e gli investimenti
fatti in passato. Ecco perché l’Olanda spinge per avere i nostri rifiuti. A
Genova, per esempio, ci siamo battuti contro la costruzione del
termovalorizzatore dopo una importante sollevazione popolare. Il contratto, che
era già pronto, stipulava che il Comune di Genova si sarebbe impegnato a
produrre un tot di centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti l’anno e, se
non si fosse raggiunta tale quantità, il Comune stesso avrebbe pagato una
penale, che sarebbe stata a sua volta scaricata sulle tasse dei rifiuti dei
genovesi. Poi, da un punto di vista ambientale, non è questione di essere
scienziati o meno, un inceneritore trasforma un rifiuto urbano in una serie di
composti inquinanti che in parte vengono immessi nell’ambiente e in parte
diventano rifiuti tossici da smaltire».
Altro che “energia rinnovabile”! Le centrali a biomasse sono un affare solo
per chi le fa!
L’energia prodotta da impianti a
biomassa o biogas possiamo definirla energia da fonte rinnovabile?Stando a
quello che dice il prof. Gianni Tamino sicuramente no “si può parlare di fonti
rinnovabili solo se nel territorio di origine e nel tempo di utilizzo quanto
consumato si ripristina” Ciò vale per l’energia solare, eolica e idrica, ma non
si applica totalmente alle biomasse intese come materiale prodotto da piante e
destinato alla combustione o alla digestione anaerobica.
Come
funzionano le centrali a biomasse: esistono centrali di tre tipi a) a biomasse solide (legno, cippato,
paglia, ecc.), sono impianti tradizionali con forno di combustione della
biomassa solida, caldaia che alimenta una turbina a vapore accoppiata ad un
generatore. b) a biomasse liquide (oli vari: palma, girasole, soia,ecc.); sono
impianti, alimentati da biomasse liquide (oli vegetali, biodiesel), costituiti
da motori accoppiati a generatori (gruppi elettrogeni). c) a biogas ottenuto da
digestione anaerobica (utilizzando vari substrati: letame, residui organici,
mais o altro). Da tener presente che una centrale a biogas con colture dedicate
può ricorrere legalmente anche alla Forsu (frazione organica rifiuti solidi
urbani) in base al DL n°387 del 29/12/2003 e alla sentenza del Consiglio di
Stato Sez. V n°5333 del 29/07/2004.
Le centrali a biomasse funzionano per combustione: a temperature che di
solito superano gli 800°C, trasformano la materia delle biomasse (solide o
liquide) in energia sotto forma di calore. Il calore alimenta una caldaia
che può fornire riscaldamento (c.d. Co-generazione e teleriscaldamento, cioè lo
sfruttamento dell’energia termica per riscaldare l’abitato circostante
aumentando l’efficienza energetica dell’impianto che ne rappresenta circa il
70-75% della produzione) o produrre il vapore necessario per azionare una
turbina e produrre energia elettrica (che rappresenta il 25-30% del potenziale
energetico dell’impianto.
Le centrali a biogas funzionano attraverso un processo di
fermentazione-digestione-metanizzazione: trasformano la materia attraverso la
“digestione anaerobica” che, in assenza d’aria e per mezzo di batteri che si
nutrono della sostanza organica, producono gas/metano e digestato.
Il
digestato è un rifiuto (codice CER: 190600-03-04-05-06).
Il gas captato dalle
vasche di fermentazione viene immesso in centrali a gas con motori con potenza
solitamente inferiore a 1MW elettrico, dove per mezzo della combustione produce
energia elettrica e calore.
A chi
servono queste centrali?
Servono agli
imprenditori che realizzano l’opera, per beneficiare di generosi incentivi
statali previsti per le “fonti rinnovabili”. Senza incentivi statali verrebbe
meno la ragione economica principale di questa attività. In ogni caso è
possibile ritenere che la generalizzata propensione alle centrali a biomassa e
biogas rientra anche in una più generale prospettiva di riutilizzo di queste
centrali per il trattamento di rifiuti. Infatti, la frazione organica dei
rifiuti solidi urbani (Forsu) è equiparata alle biomasse con decreto ministeriale.
Facile prevedere che una volta costruite queste centrali, invece di essere
alimentate con biomasse agricole, di cui l’Italia non dispone e che hanno un
costo sempre maggiore, potranno essere alimentate con Forsu, il cui costo di
smaltimento è già una prima fonte di redditività. Il conferimento della Forsu
vale da 80 a 110 €/t, il verde circa 60 €/t e i fanghi da depurazione circa 90
€/t.
Se pensiamo che una centrale a biomasse solide della potenza di 1 MW accesa
tutto l’anno, tutti i giorni 24 h al giorno consuma 14.400 t/anno di materia
prima due sono le considerazioni: la prima è che l’enorme inquinamento
derivante dalla combustione di una così elevata quantità di materiale non è
limitato soltanto all’entità dei fumi, delle ceneri e delle microparticelle
emesse nell’aria, ma deve tener conto anche del traffico di camion necessario
per il continuo rifornimento della biomassa da bruciare; la seconda è
l’impossibilità di rispettare una clausola che troviamo sempre nei progetti di
questi impianti “materiale reperito in zona”. Non è difficile capire come sia
impossibile raggiungere tali quantità solo con le potature degli alberi o con
il legname residuo del taglio consueto dei boschi in zona. Quindi il materiale
da bruciare viene da forniture diverse, incluse importazioni di cippato a
prezzo più economico, spesso proveniente dall’estero, anche da zone altamente
inquinate o da paesi in via di sviluppo che subiscono il “land grabbing”
(accaparramento di terreni da parte di società straniere).
Le centrali a biomasse possono bruciare qualsiasi tipo di combustibile
secco e purtroppo in molti casi è stato accertato che in queste centrali
venivano inceneriti illegalmente anche altri prodotti (immondizia, plastica,
gomma). Inoltre il Decreto Ministeriale (DM 6 luglio 2012 “nuovi incentivi alle
rinnovabili”) ha introdotto la possibilità di alimentare le centrali a biomassa
anche con Combustibile Solido Secondario (CSS) cioè il rifiuto secco trattato.
Quindi è purtroppo possibile “per decreto” bruciare lecitamente i rifiuti in
questo tipo di impianti.
Da quanto esposto sorgono spontanee due considerazioni: la prima che dietro
l’etichetta BIO chi promuove questi impianti ha spesso le carte in regola per
partecipare al ricchissimo business del trattamento dei rifiuti; la seconda che
i cittadini pagano quindi più volte: con i soldi per gli incentivi, con le
tasse per lo smaltimento dei rifiuti e con la salute il proliferare di questi
impianti.
Quali
rischi per l’ambiente e la salute sono connessi alle centrali a biomasse?
Con le centrali
a combustione diretta di biomasse l’impatto ambientale è molto gravoso,
soprattutto in relazione al fatto che vengono considerate biomasse anche
materiali altamente inqinanti (elenco D.M. 6 luglio 2012). Tutte le biomasse
bruciate liberano in atmosfera quantità enormi di sostanze altamente inquinanti
che per ricaduta vanno ad inquinare l’ambiente e in particolare i terreni
agricoli, oltre a formare ulteriori aggregazioni chimiche inquinanti che vanno
a depositarsi anche nei polmoni di animali e umani. Infatti a temperature
elevate, fino ad 800° C, gli impianti liberano fumi con molte sostanze
inorganiche che volatizzano per poi ricombinarsi sotto forma di polveri sottili
ovvero di particolato. Questo termine, indicato con la sigla PM, designa
piccolissime particelle solide o liquide del diametro del micron che rimangono
sospese nell’aria per periodi variabili e dipendenti dalla loro massa e
diametro prima di ricadere al suolo. Le particelle hanno un diametro che può
variare da un paio di nanometri fino a 100 micron e in base a questa
caratteristica possono avere una diversa penetrazione nell’apparato
respiratorio di animali e persone fino a penetrare direttamente nel sangue
quando il particolato diventa ultrafine.
Il termine “bio” viene utilizzato per attribuire una valenza positiva e
“naturale” a questo tipo di impianti in modo da poterli ascrivere al mondo
della cosiddetta “green economy”. La mistificazione del linguaggio, in questo
caso, è strumentale ad una politica di proliferazione di queste tecnologie
sotto l’ombrello dell’ecologia e del rispetto della natura.
Il termine “bio” significa vita, crediamo che questi impianti di vita non ne
dispensino affatto.
Contributo a
cura del Comitato Lasciateci Respirare di Monselice
Per i motivi suesposti
le associazioni chiedono al Sindaco ed al Consiglio comunale del Capoluogo, al
Presidente della provincia, ai consiglieri provinciali ed a tutti gli Enti preposti e competenti a
rilasciare il nullaosta per simili impianti a ritornare sulle decisioni assunte
per impedire con ogni mezzo, legale e democratico, la realizzazione dell’impianto di biomasse a
Frosinone.
A questi Enti ed alla
Regione Lazio, si chiede, inoltre, di adottare e deliberare provvedimenti
urgenti che vietino, inderogabilmente, la realizzazione e il potenziamento di
impianti inquinanti, anche se la realizzazione di tali impianti fosse agevolata
da leggi nazionali ( decreto sblocca Italia) o da accordi particolari tra
Stato-Regioni.
Le associazioni sollecitano, altresì, gli Enti
sopra citati a promuovere iniziative per la realizzazione del catasto delle
emissioni inquinanti e, il rispetto e l applicazione della normativa anti
inquinamento (direttiva Seveso), che si applica alle attività industriali
particolarmente nocive, quale presupposto per iniziare a elaborare un progetto
di recupero di tutta la Valle del Sacco, partecipato e condiviso da Enti
locali, istituzioni, forze sociali ed associazioni per il rilancio economico e
occupazionale dell’intera provincia.
Frosinone 23 marzo 2016
Presidente della Consulta delle
associazioni della Città di Frosinone
Associasione “Frosinone Bella e Brutta”
Comitato “Salviamo il paesaggio”
Associazione Italiana Pazienti Anticoagulati
Associazione “Osservatorio Peppino Impastato”
Legambiente
AUT-Frosinone
Associazione “Oltre l’Occidente”
Comitato “Altiero Spinelli” –Possibile-
Associazione “ Amici della
Pescara “
Comitato di lotta per il lavoro