Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 19 ottobre 2013

C'è spending review e spending review

Luciano Granieri


“Spending Review”, è una perifrasi che  insieme a “Fiscal Compact”,  “Patto di Stabilità”,  “Pareggio di Bilancio   in Costituzione”,  forma   il  testo di quella sorta di romanzo criminale che il potere della finanza ultra liberista ha scritto e prescritto, attraverso le istituzioni europee,  a lavoratori, precari e disoccupati di tutta Europa,  in particolare alle nazioni meridionali del continente.  

In nome della  spending  review  ad ogni manovra finanziaria si impongono tagli ai costi della spesa pubblica sia a livello locale che a livello nazionale. Di conseguenza le prime voci a cadere sotto la mannaia della  revisione di spesa, detto in italiano,  sono gli oneri legati   ai dipendenti  pubblici ,  che subiscono il blocco dell’indicizzazione  degli stipendi e del turn-over,  ma  soprattutto  l’erogazione dei servizi alla comunità. Questa ultimo capitolo riguarda per lo più gli enti locali, regioni, province e comuni, i quali in nome della spending review  e del patto di stabilità sono costretti a tagliare su sanità, scuola e servizi essenziali per la  gestione del  territorio. 

Eppure esiste un altro modo di attivare un’imponente operazione di spending review che risparmi alla collettività privazioni e impoverimento  diffuso. Se si va ad analizzare il   bilancio dello Stato ma anche di regioni, province e comuni, si scovano  voci di spesa relative a contratti di privatizzazione e cessione in appalto di servizi, spese di consulenza,  sempre a favore di privati, spese di partecipazione a società  in-house ,  carrozzoni per lo più inutili.  A tagliare questi rami secchi nessuno pensa.  Meglio togliere servizi ai cittadini,  ridurre gli organici, piuttosto che eliminare strumenti di ricompensa elettorale. 

L’appalto milionario per l’amico,   e il dorato parcheggio all’interno di una società partecipata da destinare al sodale di partito trombato o all’amministratore latore di consistenti pacchetti di voti,  sono elementi che non devono mai mancare all’interno delle dinamiche del consenso proprie dei vari comitati elettorali che si spartiscono le poltrone di giunte e governi. 

La società Aeroporto di Frosinone Spa è un tipico esempio .  Questa Spa  nasce   per costruire un eliporto e una aeroporto civile in una zona, fra Frosinone e Ferentino, flagellata da emissioni inquinanti di svariata natura. Un’aera  chiusa fra due catene collinari sferzata da venti che comprometterebbero    la sicurezza degli aerei  in fase di atterraggio e di decollo.  Inoltre le rotte che gli airbus dovrebbero tenere per fare scalo in un aeroporto del genere sono  impraticabili perché incrociano con le direttrici degli elicotteri del limitrofo aeroporto militare e con quelle dello scalo di Grazzanise. 

Un opera così concepita,  sia come aeroporto,  sia come eliporto civile è,  irrealizzabile. Ed infatti non è stata e non sarà mai, per fortuna, realizzata.  Resta il fatto che una  società costruita per non produrre   alcunché  si è mangiata  sei milioni di euro per la realizzazione del progetto,  per stipendi a manager e presidenti, fra cui presidenti di Provincia. 

  Attualmente il capitale sociale di  una Spa   praticamente inutile è di quasi 6 milioni di  euro con quote di partecipazione a carico degli enti pubblici proprietari così suddivise:   2 milioni e otto per la Provincia di Frosinone,  1 milione e tre per la Regione Lazio, 270mila euro per il comune di Frosinone e poco più di 13mila euro per il comune di Ferentino il resto è a carico degli azionisti Camera di Commercio e Consorzio ASI. Da precisare che il milione e tre della Regione Lazio è stato posto a bilancio nel gennaio del 2012 ma mai erogato dalla giunta Polverini.  

Nonostante l’irrealizzabilità dell’oggetto di questa società, nonostante un’inchiesta  della Corte dei  Conti che ne consiglia la chiusura per improduttività,   e una   della Procura per  peculato , la Società Aeroporto di Frosinone continuerà a rimanere in vita. Lo ha stabilito l’assemblea dei soci  che ha congelato la proposta  di scioglimento del  presidente Francesco Cappelli commissario vicario della Provincia  socio di maggioranza  dell’Adf . 

La motivazione è quella di sondare la possibilità di un ulteriore impegno della Regione nel supportare economicamente il progetto almeno per la realizzazione dell’eliporto. Le posizioni della Pisana però sono chiare. Intanto già la Polverini non erogò il milione e 350mila euro, pure messo a bilancio come ricapitalizzazione, ma l’attuale Presidente Zingaretti non ha la minima intenzione di sostenere il progetto. L’aeroporto Frosinone-Ferentino non era nel programma elettorale.  

Dunque la società zombie AdF rimane in vita continuando a succhiare soldi pubblici alla collettività. Basta fare due conti per capire quanto, sanità pubblica, scuole,  e servizi  avrebbero potuto prosperare se non si fossero buttati  al vento 6 milioni di euro per niente , senza contare che la provincia ha impegnato ancora due milioni  e otto di azioni e il comune di Frosinone  270mila euro . Soldi con i quali si potrebbero ancora finanziare servizi e strutture utili alla comunità. 

Ma questo tipo di spending  review non  è contemplata. Un carrozzone utile a soddisfare le promesse elettorali e a raccogliere bonus e prebende aggiuntive deve resistere. Se non sarà AdF,  magari sarà  una società nuova , ma guai a disfarsi di siffatte assicurazioni sulla vita politica.


venerdì 18 ottobre 2013

Roma, 18 ottobre 2013. Sciopero generale, voci dal corteo (USB Tv)

USB TV

Nel giorno dello sciopero generale del 18 ottobre le voci dei lavoratori.

Ancora sulla “nube Marangoni”.

Rete per la Tutela della Valle del Sacco

Risposta alle dichiarazioni del direttore dell’azienda

“Le dichiarazioni del direttore della Marangoni Tyre, Gerardo Magale, in risposta alle affermazioni contenute nel nostro  PRECEDENTE COMUNICATO stampa, evidentemente travisano quanto da noi dichiarato” – così Francesco Bearzi, coordinatore provinciale, e Alberto Valleriani, presidente di Retuvasa. “Non abbiamo mai sostenuto che l’azienda non monitori le emissioni del proprio inceneritore di pneumatici, ci mancherebbe pure che non lo facesse. Abbiamo affermato invece che - al contrario degli inceneritori di Colleferro, ad esempio - non è disponibile la pubblicazione (si intendeva ovviamente online) delle emissioni dell’impianto. Tale dispositivo, adottato da molte aziende, consente alla cittadinanza di verificare in tempo reale le emissioni dell’impianto e rende molto più difficile eludere i controlli, poiché chi nota visivamente anomalie in quanto esce dai camini può confrontare tale dato osservativo con quanto contemporaneamente pubblicato online. Per cui la Marangoni, se desidera trasparenza, dovrebbe seriamente considerare l’opportunità di dotarsi di questo strumento per il proprio inceneritore, pur non obbligatorio. Dovrebbe inoltre ringraziare il territorio per la pazienza nel sopportare l’incidente, determinato - così afferma - da un banale black-out elettrico, come anche tutti gli incidenti sopportati in passato legati all’inceneritore o all’impianto produttivo. E a maggior ragione dovrebbe farlo in quanto oggi intende chiudere un impianto produttivo - decisione per cui è auspicabile un ripensamento - lasciando in funzione un inceneritore di rifiuti in un’area classificata come industriale ma di fatto residenziale”.
“Il direttore della Marangoni lamenta che le emissioni maleodoranti e pericolose che insistono nell’area in questione non provengono dall’inceneritore, ma da altre aziende vicine. Non potendo escludere ulteriori fonti inquinanti, ci limitiamo a ricordare che la delegazione Codici di Anagni, anche nelle scorse settimane, ha denunciato alle forze dell’ordine ripetute anomalie rilevate nelle emissioni dell’inceneritore di pneumatici”.

Lupi a San Siro (Inter-Roma 0-3)

Kansas City 1927


Annamo da Mazzarri.
C’è stato un momento, qualche mese fa, che pareva che doveva venì lui da noi, e stavamo talmente sgarupati de core che avevamo detto sì, va bene, datece Mazzarri, bevemo l’amaro calice cotonato. Eravamo già pronti a girà cor fazzoletto in tasca, preparati ar pianto perpetuo come er possibile nuovo lider, predisposti a annà sur cazzo a tutti definitivamente, ma “chiunque ma no Andreazzoli”. Poi lui preferì le sigarette de Moratti ai tuffi in piscina de Pallotta e nse ne fece niente, mo je toccherà capì che se fuma Thohir, ma so affari sua.
Annamo a Inte.
C’è stato un momento, tanti anni fa, che a Inte nse vinceva MAI, e pe anni l’ultima gioia in memoria era legata all’autogol de Festa. Poi c’è stato un momento, qualche anno fa, che amo iniziato a giocassela alla pari e a vincene qualcuna, e quando noi annavamo a Inte era la crema, lo scontro ar vertice, er Gorden Gala der campionato. Campionato che poi vincevano loro, però vabbè, che c’entra.
Annamo imbattuti.
C’è stato un momento...no aspè, ce so stati un sacco de momenti, che imbattuti non capivamo manco che voleva dì quando ce lo dicevano. “Che hai detto? Imbottiti? Sì che annamo imbottiti, a San Siro de sera fa freddo”. Invece no, a sto giro è imbattuti, e vincenti, sempre, tutte, nse riesce de non vince, pure in allenamento quando giocamo la partitella titolari contro riserve VINCONO TUTTE E DUE LE SQUADRE, nse capisce come sia possibile. Mistero di Rudi. Amen.
Preghiamo.
Anzi, giocamo va.

Se comincia e stamo corti, compatti, quel lasquadraintrentametri che piace tanto agli allenatori e ai commentatori che se ne accorgono e così possono dì lasquadraintrentametri e fa colpo su quelli che, porelli, ancora nce riescono a contà i metri a occhio.
Noi semo corti, ma loro, eh, loro so bravi eh. Se muovono bene, so un corpo compatto, so attenti nei movimenti e veloci nell’esecuzione, se coprono e ripartono, sfruttano bene le fasce e s’accentrano senza dà punti de riferimento, insomma, se vede la mano de Mazzarri.
C’hanno voglia, c’hanno fame, c’hanno lucidità, c’hanno manovra.
Noi però c’avemo Totti.

Floro Florenzi recupera na palla subito fori area loro, Er Tendina se fa vedé e riceve palla, se la sposta, se prende le attenzioni della difesa, se fa miele pe le api nerazzurre, c’ha la possibilità de puntà la porta o de tirà lì da ndo se trova, e poi obbedisce alla Prima Regola De Chiunque Scenda In Campo Accanto A Totti: se può tirà Lui, dajela a Lui.
Er cuoio, attratto dall’Energia Capitana, se muove verso i Piedi Capitani, L’intici capiscono che sta pe succede na cosa brutta e cercano de accodasse ar cuoio pe mettece na pezza. Un muro de corpi strisciati core caracolla o se trascina ar cospetto Suo, na selva oscura de carne sembra chiude ogni spiraglio, che la dritta via pare smarrita, ma Lui mica sta ner mezzo de cammin della sua vita. No, a esse vecchi ce stanno pure un sacco de vantaggi, tipo che lo sai che na palla come questa o la tiri subito o non la tiri più, è nau or neva, e allora laif is nau, e allora scansateve tutti che ariva lo squadrone giallorosso, al momento rappresentato dalla caracca rasotera che falcia er prato e insaccandose sfigura per sempre la rete.
Stamo sopra, de prepotenza.

Manco er tempo de finí de strillà e de prende coraggio e subito ce manca niente che sto grido ce se rimpone. Ma se coraggio fa rima co vantaggio, culo fa rima co palo. Guarin tira bene, ma bene bene eh, dritto pe dritto, forte, secco, deciso. E però alle volte la vita pure se sei forte, secco, e deciso, te intima de attaccatte ar cazzo. È la giostra della vita Freddy, nce rimané male. Er palo continua a vibrà pe un po’. Morgan je sbrocca come sbrocca a chiunque faccia qualsiasi cosa nell’area piccola. Er palo se ferma.

Chi non se ferma è quell’omo che nasconde un motorino nei carzoncini e un segway pe gamba dentro ai carzerotti. L’omo che sussurava alla chierica, l’omo che se pettinava mai e quando lo faceva diceva “vabbè me ce metto sopra na fascia”, ma soprattutto l’omo che (ao finché dura godemoselo e celebramoselo) schiantava le difese altrui.

Certo, quando l’altrui della tua vita è Pereira, tutto risulta più semplice. Perché a parità de lineamenti in subbuglio e fronti non convenzionali, tra l’Apocalipto neroazzuro e la Tendina giallorossa al momento c’è nabbisso de velocità, coordinazione e slegamento de legamenti tali da rende er primo drammaticamente tranqi ar cospetto dell’altro spaventosamente funky.
Gervi apostrofa severo Peri: “Mi ricordo i tempi in cui eravamo in venti a muoverci col funky, oggi siamo in tanti e domani saremo sempre di più, ma a te nun te ce voremo comunque”.
Quello, sconfortato, rancoroso, sorpassato, non po fa altro che stendelo. E’ rigore.

Pe la prima volta dall’inizio dell’anno non ce stanno dubbi su chi lo batterà.
Quella stessa porta, tanti anni fa, in una calda serata de Supercoppa, se rese protagonista de un teribbile affronto: se abbassò ingiustificatamente ar tiro Capitano e co l’arto orizzontale respinse. L’Ufficio indagini aprì un procedimento a carico della traversa pe condotta antisportiva, ma poi se sa come vanno ste cose in Italia, basta che c’hai navvocato bravo e ne esci pulito.
Ma Ercapitano non dimentica.
“Porta, tu m’hai provocato e io te distruggo”.
Er pensiero non fa in tempo a diventà parola che er cannone è già armato, er colpo già scoccato, er grido già liberato. “Ndo annamo dominamo” sta a diventà neufemismo.

Pe tené aperto er film della partita noi optamo pe il profilo disciplinare, facendose ammonì praticamente tutta la difesa e mezza squadra, va a sapè magari ce ne buttano fori uno e se riapre quello che sembra sempre più chiuso. Rudi l’ha impostata così: se ariva un interista lo fermate. Se non lo fermate lo sbragate. Non passa lo straniero. E in un accrocco de nazionalità come semo noi lo straniero è tecnicamente chiunque, da cui tecnicamente non deve passà nessuno: così succede. Ce se chiude e se riparte, ce se chiude e se riparte. Epperò non è catenaccio, è na cosa più fica, pare che la partita la controlla chi la palla ce l’ha de meno. Mazzarri in panca schiuma e non sa più che giacca levasse, c’ha costruito na cariera su sta cosa e mo è arivato uno più fico de lui che je sta a spiegà le ripartenze come se fosse er primo giorno der corso de Coverciano.



Ma per quanto la potenza sia nulla senza Rudi, per quanto la velocità sia nulla senza Gervi, per quanto la difesa sia nulla senza Mehdi, oggi è il Totti Day, e tutti ce devono sta. Il fatto che pe sancì sta ricorrenza Ercapitano decida de mette er timbro co na cosa che non sia il gol dopo avenne già fatti due, è na cosa de na grandezza che già da adesso se dovemo organizzà pe tirà su gruppi de tramandazione orale, perché, pe quanto assurdo possa sembrà, in nessun tabellino resterà traccia del modo in cui parte l’azione che porta al tre a zero.

L’interici attaccano isterici, batti e ribatti, cross e ricross, tiri e ritiri, impalli e rimpalli finché sta palla, stanca de tanto vano peregrinà, cerca pace, grazia e carezze presso l’unico piede capace de fatte passà mar de testa, depressione, nausea e malattie veneree co la sola imposizione delo scarpino. Er destro Capitano riceve, palleggia, fa da perno sur corpicione giovandosi der culo basso più arto d’Italia e co na giravorta che manco un bersaniano salito sur carro de Renzi, d’esterno avvia er contropiede.

In Olanda na cosa così Strootman non l’aveva vista mai. Ma manco in Europa o nel resto der monnonfame, motivo per cui la scucchia arta che venne dai Paesi Bassi s’avventa su quella pepita manco fosse un cane antidroga ale preso con caccolo extralarge, e comincia a core nela pampa sconfinata dela tundra de na prateria selvatica fatta de ranocchie che rinculano e de Tendine e Sturmentruppen che se distendono come frecce giallorosse. Er Piovra appoggia ar Sordatino che ligio sa che qualora segnasse, sarà semilegenda (che na leggende è comunque difficile possa mai recà er nome de Florenzi dentro, ma mai porre limiti alla divinta tottitudine). Er Sordatino se concentra e se coordina riuscendo a fa du cose ala vorta pe la prima vorta. E segna. So tre cose in una vorta. So tre gò in un tempo. So tre orgasmi a stretto giro de posta, roba voluta però, de prepotenza. Niente de precoce, molto de feroce.

Se guardamo increduli. E mo? Cioè, stamo a dominà contro l’Inter che pure dicono sia na bona squadra, stamo a dominà a Inter che pure dicono sia campo ostico, amo già fatto tre gò, e ce sta pure a dì mpelo de culo. Ecco, praticamente amo già vinto pure questa anche se ancora nse po dì. Cioè, mo, noi, che famo? Come se comportamo? Tutto normale no? Famo finta sia tutto normale ve?

Ma sì, famo finta che pe noi sia pure normale segnà ar primo tempo, che intanto se ne va co un duplice dal forte sapore de triplice, perché dopo sta magnata de punti che se stamo a fa da agosto, addirittura noi, NOI, stamo quasi mezzi tranquilli.
“Ma Tranquillo è perito subendo il peggiore dei destini!” argomentano gli immuni al momento favorevole.

Ma non c’è tempo e spazio pe le preoccupazioni, perché come se rientra quasi ce scappa er quarto, co quer bomber naturale alla Van Basten che è Florenzi, che boh, va a capì che cazzo ha fatto st’estate ma questo è tornato che o segna o ce va vicino, e a sto giro se non segna è solo perché Handanovic è il più forte dell’undici che c’avemo di fronte.

Mentre pure Barzaretti se iscrive ar club der cartellino, Rudi prepara la prossima mossa, che è puro bullismo ai danni della psiche avversaria. Fori Pjanic dentro Taddei, messaggio chiaro: te posso batte co chiunque. E tale e tanta è la superiorità che, come quelle coppie che cominciano a litigà pe eccesso de noia, sbroccamo a buffo.

De Sanctis viene caricato mentre sta a bloccà un pallone e Ranocchia la fa finì dentro, l’arbitro annulla subito. Ma a Morgan non basta. Strilla, smania, se incazza co tutti, nse capisce quale sia er problema ma c’ha er ballo de San Vito e non je passa finché Tagliavento non je sventola un giallo pure a lui. Il punto è che a Morgan je rode er culo. Sempre. Comunque. Je fa na testa così a tutti, s’accolla, nse tiene un cecio. Semo passati da uno che nse capiva se oltre a esse sordo fosse pure muto a sta pentola de facioli che non fa respirà ai difensori e je mette er pepe ar culo h24. Pare che funziona sta cosa.

Se ne sta a annà pure er secondo tempo, se famo talmente spacconi che Barzaretti dice: “Aò, er gò ar derby l’ho fatto, a ricomincià a giocà o ricominciato, o sai che c’è? Mo sfascio quarcuno, così, perché me va”. Alvarez salva la carriera pe na questione de centimetri, Er Cigno spicca er volo verso le docce de San Siro.

Stamo in 10. Masticazzi.

Ce scivola tutto addosso, pure er gò che Gervi mezzo se magna dopo settecentosessanta metri de fuga solitaria che lo fanno arivà ar cospetto de Handanovic cor cervello completamente privo de ossigneo.

Potevamo fa er quarto, è vero. Masticazzi.


Stamo a cantà, stamo in estasi, stamo in testa, stamo a vince tanto e bene, stamo in un posto che s’eravamo scordati, stamo dove finalmente Dio Pallone ha deciso che se meritamo de sta, stamo talmente mbriachi de Roma che manco s’accorgemo che intanto la partita è finita, che amo vinto pure questa, che sta notte è la nostra e poi domani se vedrà. Sta notte era na notte da lupi e lo semo stati, niente de più e niente de meno. Lupi a San Siro.

La tragedia di Lampedusa e la lotta dei proletari immigrati

Intervista a Moustapha Wagne




a cura di Patrizia Cammarata

Il mare continua a restituire i corpi dei migranti morti nel naufragio dello scorso 3 ottobre.
Il bilancio ufficiale, mentre scriviamo, fa salire le vittime ad oltre 360 ma il numero è ancora provvisorio.  Ma l’immane tragedia dello scorso 3 ottobre non ha fermato i barconi, solo dopo una settimana dalla strage di Lampedusa c’è stato ancora un tragico naufragio nel Canale di Sicilia, anche questa volta con bambini, e bambini anche fra i morti. Continuano gli sbarchi, continua la disperazione. Un mare, quello di Sicilia, che è tomba per le masse in fuga dall'Africa. Numeri, quelli dei morti, dichiarati ma mai certi e spesso il numero dichiarato è inferiore a quello reale data la difficoltà di ricostruire con certezza cosa accade veramente, ogni volta, durante questi viaggi disperati.
Abbiamo assistito ai piagnistei dei razzisti di governo che, in giacca e cravatta, prendevano le distanze da quanto accaduto a Lampedusa il 3 ottobre, un mondo d’onorevoli, industriali e banchieri che vivono fra “velluti e ori ”, e che ha mitragliato, su tv e giornali, una serie di dichiarazioni di falsa commozione e false condoglianze. Un mondo che è parte in causa, e responsabile, della disperazione e della quotidianità fatta di precarietà, fame, sete e paura della maggioranza della popolazione, non solo africana, ma mondiale.
File di bare poste in modo ordinato, tanto ordine che stride con il caos di un sistema selvaggio che, mentre non ha pane per molti, ha lusso e spreco per pochi. Piccole bare bianche, lacrime di madri, padri, angoscia di bambini che assistono ammutoliti, bambini senza genitori che sono sopravvissuti, questa volta, e solo per caso. Un caso fortuito che non è certo potrà ripetersi ancora dato che la vita di questi bambini è, per la stragrande maggioranza di loro, già scritta con l’inchiostro colore lacrime e sangue, un colore che caratterizza la vita di milioni di esseri umani che nel mondo vagano da una terra ad un’altra, in cerca di un futuro, un futuro che quasi sempre è sfruttamento e precarietà.
Nessuna associazione, nessuna organizzazione politica o sindacale può sottrarsi alla complicità con i colpevoli della strage di Lampedusa se non denuncia e non prende le distanze, non solo a parole ma nei fatti, dai governi di centrodestra, di centrosinistra o di “unità nazionale”, che hanno approvato, o non le hanno cancellate, le leggi razziste e xenofobe. Ma non sono solo queste leggi, come la legge Bossi- Fini, la causa di tutto ciò. La disperazione di chi sale su un gommone, o ci fa salire i propri figli, nasce da un sistema economico, il capitalismo, che i suddetti governi rappresentano e difendono. Governi che sono il comitato d’affari della classe dominante, quella classe che tiene in scacco la stragrande maggioranza della popolazione e che, con le sue politiche di rapina nel sud del mondo, spinge alla fame, alla guerra e alla disperazione interi popoli per poi considerarli “un problema da risolvere”.
Affinché questi drammi non accadano più è necessario accantonare l’angoscia e il dolore e, in modo razionale, è necessario attivarsi per costruire quegli strumenti, il sindacato di classe e il partito rivoluzionario, che sono strumenti indispensabili, non solo per sconfiggere le politiche razziste e classiste dei governi borghesi, ma per costruire una reale alternativa di sistema.
Sulla tragedia di Lampedusa intervistiamo Moustapha Wagne, responsabile nazionale Cub Immigrazione e responsabile della Commissione Lavoro Immigrati del Pdac. La tragedia di Lampedusa ha suscitato tanta indignazione, pensi ci sarà qualche cambiamento?
Gli sbarchi non si fermeranno e nemmeno le politiche “aiutiamoli a casa loro” cambieranno la situazione. I popoli soffrono, le politiche del Fondo monetario Internazionale e della Banca Mondiale hanno massacrato le terre, la pesca, l’agricoltura dei popoli dell’Africa, con la collaborazione dei governanti locali. L’Europa porta le armi in Africa. Dopo aver creato una situazione di continua emergenza umanitaria in Africa chiudono la porta e quanto accaduto a Lampedusa dimostra solo la vera faccia di egoismo e di aggressività dell’imperialismo.
Cosa hanno fatto per noi, per i lavoratori, non solo immigrati ma anche italiani, questi politici che ora speculano sulla tragedia di Lampedusa? Un cinese può ottenere un visto per venire in Italia. Un senegalese che vuole venire in Italia non può ottenere il visto dall’Ambasciate dei Paesi ricchi. Per questo la sua unica possibilità per sfuggire a fame e miseria è sfidare la morte in mare. Nessuno potrà frenare questo esodo di massa. Bisogna eliminare i visti, bisogna eliminare lo stesso concetto di clandestinità. La libera circolazione è il solo modo per alleviare le sofferenze e per impedire i drammi della clandestinità
Non credi sia impossibile l’abolizione del concetto di clandestinità in questa società?Non posso accettare l’indifferenza e mi sta dando coraggio il pensare ai tanti siciliani, ai tanti italiani che hanno fatto di tutto e continuano a fare di tutto per salvare i fratelli migranti.
Ma per i governi i valori di fratellanza e solidarietà sono carta straccia. La Lega sta speculando sui morti. La Lega fa circolare notizie false e  fa la sua campagna elettorale sulle vita dei migranti. Grida all’invasione mentre l’Italia è un Paese che ha una percentuale d’immigrazione più bassa di altri Paesi d’Europa. Grillo parla come un grande fascista e fa i calcoli elettorali speculando sui morti.
Coloro che raggiungono le coste dell’Italia non sono considerate persone. Chi arriva qua è merce, non solo dei trafficanti, ma anche dei governanti. Noi immigrati, per loro, siamo merce. Per capirlo basta prestare attenzione a quanto scritto nelle leggi che hanno approvato. Che gli immigrati sono merce la Lega lo dice forte, il Pd e il Pdl lo dicono lo stesso, se pur sottovoce. Berlusconi ha portato di nuovo sulla scena i fascisti, ha legittimato i razzisti. Con il suo governo è stata approvata la Legge Bossi- Fini che il governo Letta non ha cancellato.
Davanti ai cadaveri dei bambini c’è chi ha speculato e c’è chi non si è indignato, questa mancanza di indignazione c’è stata anche in certi settori di immigrati. I figli degli immigrati che sono in Europa e che hanno raggiunto un certo benessere lo hanno raggiunto a spese dei loro fratelli in Africa. Questa è la barbarie di questo sistema, il capitalismo, che sta imputridendo e sta trascinando l’umanità verso il cinismo, il razzismo e la barbarie. Solo i popoli d’Europa e dell’Africa, uniti, insieme, possono dare una risposta, non certo i governanti e i governi europei delle banche.
Molti, anche a sinistra, dicono che è un ideale non raggiungibile.
C’è una grande ingiustizia sociale nel mondo e la maggior parte della popolazione mondiale lotta per avere degli avanzi di cibo. Questa è la politica del capitalismo. Ora si è vista la tragedia di Lampedusa, bisognerebbe che fosse visibile anche la tragedia che si svolge tutti i giorni nel deserto del Mali e dell’Algeria dove i ragazzi partono per andare in Libia per poi arrivare in Sicilia. Partono in dieci e arrivano in tre. Alle donne italiane dico: voi non sapete quante donne sono state violentate in Libia dalle forze della repressione e che arrivano nelle coste italiane incinte dei loro stupratori. Dobbiamo farla finita con tutto ciò. Dobbiamo ribellarci, basta lacrime. Per dare dignità a questi morti, morti che sono identificati con un numero, è necessario dare una risposta. Certo che è difficile, ma è necessario, deve essere possibile. La sofferenza alle volte permette all’uomo di rafforzare e sviluppare la sua capacità fisica e morale. Questo dobbiamo fare noi. Noi non possiamo accettare di mettere il povero contro il povero. La lotta contro razzismo e lo sfruttamento deve essere generalizzata ma per generalizzarla c’è bisogno di organizzazione e per organizzarci abbiamo bisogno degli strumenti necessari. Io penso che l’embrione di questo strumento necessario esiste già. Sono convinto che la Lit, la Lega internazionale dei lavoratori-Quarta Internazionale, che sta costruendo partiti rivoluzionari non solo in America Latina, in Europa ma anche in Africa, è lo strumento necessario, ma ha necessità di essere rafforzata e allargata, che si conosca sempre più la sua organizzazione e il suo programma. Non è più possibile impegnarsi solo a parole o in modo frammentato, senza una visione e un’azione organizzata a livello internazionale. Questa è la battaglia che combatte in prima fila il Pdac: e non è certo un caso se sono sempre più numerosi, tra i nuovi militanti del nostro partito, i compagni immigrati.

Mare Nostrum

Combonifem

Cinque navi, ciascuna con un equipaggio che varia da 80 a 250 uomini. Elicotteri a lungo raggio. Una decina di aerei. Radar e droni. L’hanno chiamata “Mare nostrum” e servirà per «il rafforzamento del dispositivo di sorveglianza e soccorso in alto mare». Sarà (parola d’onore dei ministri dell’Interno Alfano e della Difesa Mauro) «una missione umanitaria e di soccorso»… attraverso la quale «l’Italia rafforza la protezione della frontiera» e «controlla i flussi migratori».
 
Premettiamo di avere una certa diffidenza nei confronti delle cosiddette “missioni umanitarie”. E che la parola “pattugliamento” – adoperata dai ministri – ci porta alla memoria ricordi che mal si conciliano con il termine “umanitario”… A ciò si aggiunge che quella sottolineatura del ministro Alfano, «se interverrà una nave italiana non è detto che porti i migranti in un porto italiano», ci lascia perplesse. Di più: ci inquieta. Non ci rassicura il suo richiamo al diritto internazionale della navigazione. Vuol dire che se, guarda caso, i barconi verranno intercettati in acque ancora libiche verranno (per diritto, mica per scelta…) riportati indietro?
 
E, perplessità per perplessità, ci scusino i ministri, ma le fregate lanciamissili Maestrale, navi da oltre 3mila tonnellate, pesantemente armate, che verranno utilizzate nella «missione umanitaria e di soccorso» attraverso la quale «l’Italia rafforza la protezione della frontiera» e «controlla i flussi migratori» (finalità, ricordiamo, umanitarie…), a cosa servono? A sottolineare che, sia ben chiaro, questo Mare è nostrum?

giovedì 17 ottobre 2013

Qualcuno del Pd che dice cose di sinistra

Luciano Granieri


Andiamo a sentire uno  del Pd che ogni tanto dice qualcosa di sinistra. Questo è stato il  mio primo pensiero dopo aver letto su un giornale che  nella serata  di  16 ottobre scorso  l’onorevole Giuseppe, detto Pippo, Civati ,  candidato alla segreteria del Pd e come tale impegnato nelle primarie contro Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Gianni Pittella, avrebbe partecipato ad un incontro  elettorale  presso la saletta delle arti di Corso della Repubblica. 

In effetti il curriculum di Pippo Civati,  a quanto ricordavo era abbastanza particolare per un onorevole del Pd.  Nello psico-dramma dell’elezione del Presidente della Repubblica fu l’unico del suo partito a votare Rodotà,  non ha partecipato al voto sulla fiducia all’esecutivo Letta-Alfano 2.0, era  alla manifestazione di sabato scorso  in difesa della Costituzione.  

Intendiamoci,  parliamo  sempre   di un riformista moderato, ma forse un po’ più riformista, un po’ meno moderato.  Tanto bastava per  incuriosire uno come me che non è né riformista né moderato.  Chiedo venia ai miei rari e   pazienti lettori  per essere arrivato un po’ in ritardo all’appuntamento, per cui il resoconto è orfano della parte iniziale dell’evento.  

Il  format comunque era il solito. Il candidato alla segreteria nazionale del Pd Pippo Civati, rispondeva a domande di alcuni giornalisti della stampa locale e in seguito a quelle del pubblico. In realtà il buon Civati di cose di sinistra ne ha detta qualcuna.  

Sono entrato nel bel mezzo di una critica alla finanziaria, licenziata poche ore prima dal consiglio dei ministri. Come molti osservatori, sindacati e persino  confindustria,  anche Civati  denunciava  l’assoluta insufficienza della norma sulla riduzione de cuneo fiscale. Si sottolineava una volta di più come il  lavoro ne uscisse maltratto , mentre la rendita finanziaria sostanzialmente indenne.  

Condivisibile la sollecitazione a rimettere al centro dei programmi  l’attenzione per l’ambiente. Un argomento che secondo il candidato è colpevolmente uscito dall’arco programmatico del suo partito. Una delle accuse più gravi che Civati ha rivolto al  Pd  è stata quella di non riuscire a rappresentare i propri elettori e di tenersi a debita distanza dalle loro necessità.   

Sbagliata  è stata la gestione della segreteria nel corso delle trattative sulla nascita del governo dopo le elezioni del 25 febbraio . Prima di cedere definitivamente alle larghe intese ed abdicare alla presidenza di Letta,  Bersani avrebbe dovuto tentare un estremo approccio con il M5S, rinunciando alla propria  presidenza e proponendo un nome gradito ai Grillini, ma questo, sembra di capire dai discorsi di Civati, avrebbe messo in forte fibrillazione molti esponenti del Pd molto più a loro agio in  una   tranquilla navigazione a fianco del Pdl,  anche a costo di sconfessare il proprio elettorato, piuttosto che trovarsi in una burrascosa coalizione con gli intransigenti grillini. 

Trattandosi di un incontro elettorale non sono mancate le solite litanie sul regolamento delle primarie e del congresso , le frecciatine verso Renzi e Cuperlo  gli avversari alla corsa per la segreteria. Curiose le considerazioni su Sinistra Ecologia e Libertà.  Da un lato Civati  sottolineava  la necessità di ritrovare una convergenza con Sel, ma dall’altro accusava Vendola  di supportare Matteo Renzi  perché favorito nella contesa per conquistare la leadership nel partito.  Un tentativo di salire sul carro del vincitore,  privilegiando necessità strategiche ad affinità ideologiche. 

 Insomma il dibattito filava via liscio senza troppo sussulti fino alla domanda che il sottoscritto ha rivolto a Civati in relazione alla clausola di garanzia  che la Commissione Europea potrebbe rifilarci dopo aver esaminato la legge finanziaria licenziata dal consiglio dei ministri e averla trovata, come in realtà è,  scoperta dal lato delle coperture finanziarie, inesistenti o al più fantasiose.  

Come è noto se  l’ Ecofin, dovesse  invocare la clausola di garanzia per reperire risorse vere, automatico sarebbe l’aumento delle accise sulla benzina, dell’Irpef e dell’Irap.  Il buon Civati, ha condiviso con me  il giudizio sulla natura poco credibile di alcune coperture, vedi la panzana del recupero dell’evasione fiscale sui conti correnti svizzeri,  ma poi ci ha tranquillizzato perché la legge secondo lui è equilibrata, sposta pochi soldi,  e poi gli aggiustamenti sulle coperture finanziarie si troveranno in Parlamento.  Personalmente ritengo quest’uiltima affermazione, diventata ormai un mantra di tutto l’establishment governativo,  una favola  che avrà poche possibilità di convincere la Commissione europea. 

Ma soprattutto, secondo Civati, siamo al sicuro da ogni rappresaglia, perché il nostro ministro dell’economia  Saccomanni  è molto amico del patron della Bce, Mario Draghi.  Mi sembra una motivazione politico- economico di peso non c’è che dire.  In buona sostanza l’amicizia di Saccomanni con Draghi, potrà consentire all’Italia di rimanere tranquilla qualunque cosa accada .  

E allora cosa aspettiamo  grazie  ai buoni uffici del presidente della Bce a reclamare per il nostro paese la revoca del fiscal compact?  L’onorevole Civati era reduce da una giornata lunga e difficile, non aveva pranzato e neanche cenato quando gli ho posto la domanda. Forse è per questo motivo che la risposta è stata così fantasiosa. Mi riprometto di riproporgli    lo stesso quesito,  se avrò il piacere di incontrarlo  in un'altra occasione, sincerandomi che sia riposato e rifocillato.

mercoledì 16 ottobre 2013

18 ottobre, sciopero generale Contro il governo e l'austerità costruiamo la ribellione di massa

di Alberto Madoglio

La convocazione dello sciopero generale indetto da Cub, Usb, Confedrazione Cobas, Si Cobas, Usi e altri per venerdì 18 ottobre avviene in un momento molto particolare per i lavoratori e le classi subalterne in Italia. Non solo la crisi economica continua a colpire duramente i lavoratori, ma in queste settimane pare di essere tornati all’autunno del 2011, quando sembrava che la situazione politica e economica del Paese stesse per precipitare.
Dopo aver ascoltato nelle settimane e nei mesi scorsi parole rassicuranti sul futuro dell’Italia, parole che in buona sostanza ripetevano quelle espresse da Monti lo scorso anno ("la crisi sta finendo", "cominciamo a vedere la luce in fondo al tunnel" eccetera), vediamo come il quadro generale segnali viceversa un repentino peggioramento dal punto di vista economico e finanziario. Il termostato per l’Italia ha ricominciato a segnare “tempesta”.
Le larghe intese traballano sotto i colpi della crisi
Tutti gli organismi economici nazionali e internazionali hanno rivisto al ribasso i dati relativi al Pil per il 2013, e anche per il prossimo anno le già modeste previsioni fatte nei mesi scorsi riguardo la ripresa economica, sono ulteriormente ribassate. L’Italia è il Paese europeo che ha subito la maggior riduzione della produzione industriale dal 2008 - circa il 20% - a oggi (confermata indirettamente dall’esplosione del numero delle ore di cassa integrazione, che anche quest’anno supereranno la spaventosa cifra di un miliardo).
Anni di manovre economiche “lacrime e sangue” che, a detta dei loro sostenitori, avrebbero dovuto stabilizzare le finanze del Paese, sembrano aver fallito il loro scopo. Il debito pubblico supererà il 130% del Pil, mentre il deficit annuale dovrebbe superare la soglia del 3%, facendo ritornare l’Italia tra i “cattivi” del Vecchio Continente, costringendola a subire l’onta di una nuova procedura di inflazione per eccesso di deficit, dalla quale era uscita, tra gli squilli di tromba dei sostenitori delle politiche di austerity, solo sei mesi fa.
A ciò si aggiunga il fatto che il clima di “concordia nazionale” che aveva fatto sì che gli schieramenti di centrodestra e centrosinistra dessero vita, dall’autunno 2011, a esecutivi di “unità nazionale”, sta miseramente finendo, in apparenza per i guai giudiziari del leader del centrodestra Berlusconi, in verità per l’incapacità e l’impossibilità dei partiti dei due schieramenti borghesi di fornire una soluzione (nemmeno l’ipotesi di soluzione) alla crisi che da più di un lustro sta flagellando il Belpaese.
Al momento lo scenario di una crisi di governo e il relativo ricorso alle elezioni anticipate pare superato. Ma la vera crisi è quella che ricade sulle spalle dei lavoratori: aumento di un punto dell’Iva (tassa che colpisce i consumi e che non essendo progressiva va a impattare sui redditi più bassi), mancato rifinanziamento, al momento, della cassa integrazione in deroga (che se confermato significherà altre decine di migliaia di licenziamenti da qui alla fine dell’anno), revoca della sospensione del pagamento della seconda rata dell’Imu.
Davanti a questo scenario, la prima considerazione che viene da fare è che i lavoratori dovrebbero passare all’offensiva. Tuttavia se ciò non avviene è responsabilità principale delle maggiori organizzazioni sindacali che, mentre sui giornali e nei dibatti televisivi piangono lacrime di coccodrillo per i disastri causati dalla crisi e dell’austerità imposta agli sfruttati dal governo e dalla Troika (Fmi, Ue e Bce), nei fatti sostengono queste decisioni e impegnano tutte le loro forze e il prestigio che ancora hanno tra milioni di lavoratori per evitare che anche lo Stivale diventi teatro di scontri e mobilitazioni di massa simili a quelle che vediamo in altri Paesi (Turchia e Brasile tra gli altri).
Cgil e Fiom stampelle del governo
Camusso e Landini, rispettivamente segretari della Cgil e della Fiom, sono stati i principali registi di questo dramma operaio che si protrae da lungo tempo. Hanno acconsentito che il governo potesse, sostanzialmente senza opposizione, varare l’ennesima controriforma delle pensioni, abolire l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, bloccare dal 2010 al 2014 (salvo ulteriori prolungamenti) i salari di 3 milioni di dipendenti pubblici, mandare in rovina la sanità e la scuola pubbliche, e alle imprese di licenziare oltre mezzo milioni di lavoratori, tutto questo, lo ripetiamo, garantendo nei fatti la “pace sociale”.
Stando così le cose, è di tutta evidenza che lo sciopero del 18 ottobre sarà una mobilitazione che riguarderà i settori più di avanguardia e combattivi del proletariato, quelli che riescono a sottrarsi alla cappa delle burocrazie: ma allo stesso tempo il 18 dovrebbe essere la miccia che dà il via a quell’esplosione sociale che molti, chi temendola, altri come noi auspicandola, credono essere ormai inevitabile anche per l'Italia.
Lo sciopero non dovrà allora essere la riedizione in sedicesimo di ciò che per anni hanno fatto la Cgil e la Fiom: una innocua e retorica parata, volta più a rassicurare gli iscritti e i sostenitori dei sindacati di base, per dimostrare loro che una presenza sindacale esiste al di fuori dei sindacati confederali. Sarebbe un’occasione persa se il giorno dopo si ritornasse alla stanca routine, fatta di lamentele e imprecazioni contro governo, padroni e sindacati confederali e niente altro.
Far sì che il 18 ottobre sia l'inizio di una ribellione operaia e di massa
No! Il 18 ottobre deve essere il momento in cui dare inizio a quel processo che dovrebbe portare a una vera, generale e permanente mobilitazione dei lavoratori per sconfiggere le politiche di austerità che fin qui hanno dovuto subire: politiche che dal 2014 subiranno una ulteriore accelerazione dato che col nuovo anno, e per almeno un ventennio, si dovranno varare manovre di decine di miliardi di euro per tentare di ridurre l’enorme massa del debito pubblico italiano.
Ma cosa fare, nel concreto, perché la necessaria rivolta sociale non rimanga solo un auspicio condivisibile ma con nessuna possibilità di concretizzarsi?
Prima di tutto occorre essere consapevoli che siamo in guerra, una guerra in cui la borghesia è oggi all'offensiva contro le masse ma in cui i rapporti di forza si possono rovesciare: anzi, si devono rovesciare pena altrimenti un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita per milioni di persone.
Non ci si deve illudere che da parte del governo ci possa essere una qualsiasi forma di attenzione alle rivendicazioni del mondo del lavoro. Tutti gli esecutivi che negli anni si sono succeduti hanno avuto come solo e unico fine quello di garantire alla grande borghesia nazionale il mantenimento dei suoi livelli di profitto.
Allo stesso tempo bisogna prendere atto che la pace sociale che oggi vige in Italia non potrà durare a lungo, nonostante gli sforzi delle burocrazie, e prime incrinature già si vedono.
Anche nel corso dell'ultima fase abbiamo avuto importanti lotte che hanno dimostrato il coraggio e l’abnegazione dei lavoratori che, a differenza di quanto ci vogliono far credere, sono ben lungi dall’essere rassegnati. La più importante di queste recenti lotte è stata senza ombra di dubbio quella dei lavoratori della logistica. Una lotta che, pur riguardando uno dei settori più sfruttati e ricattabili del proletariato, i lavoratori immigrati delle cooperative, ha dimostrato come è possibile non solo lottare ma anche vincere.
Quella lotta dimostra che anche semplici reparti di avanguardia di lavoratori in lotta possono creare danni enormi al sistema e, soprattutto, possono col loro esempio incoraggiare altri lavoratori a lottare. I padroni lo hanno capito, per questo utilizzano contro questa lotta tutti i mezzi repressivi di cui dispongono: dalle cariche della polizia contro gli scioperanti, ai fogli di via contro dirigenti sindacali, ai licenziamenti di massa.
Questa lotta coraggiosa ha anche posto in evidenza l'urgenza di un percorso di unificazione, su basi classiste, del sindacalismo di base: un percorso che porti a superare quel conservatorismo organizzativo e quel settarismo che, ad esempio, ha portato Cub e Usb a non unirsi a questa lotta solo perché è diretta da un'altra sigla (il Si.Cobas).
Il Partito di Alternativa comunista, sia con la sua azione politica, sia partecipando alla costruzione del coordinamento No Austerity, si pone l’obiettivo di favorire l'unificazione delle lotte in corso, per estenderle e creare quella mobilitazione generale dei lavoratori che in Italia, come in altri Paesi in queste settimane, possa opporsi e far fallire le politiche di austerità che stanno impoverendo milioni di persone.
Guardando alle imponenti mobilitazioni di queste settimane in Brasile contro il governo (di centrosinistra) di Dilma, ricordando che ancora fino a qualche mese fa in Brasile come in Italia le burocrazie sindacali riuscivano ad imporre la "pace sociale", facendo tesoro dell'esperienza sindacale della Csp Conlutas che sta riuscendo a rompere la cappa imposta dalle burocrazie, guardando con attenzione al ruolo fondamentale che stanno svolgendo in Conlutas e in queste lotte i rivoluzionari raccolti nel Pstu, sezione brasiliana della Lit-Quarta Internazionale, possiamo affermare con forza che è venuta l'ora anche nel nostro Paese di fare come in Brasile!

Artisti per l'acqua pubblica a Los Angeles!!!

Los Angeles Water Campaign


Nel centenario del completamento del primo acquedotto di Los Angeles (5 novembre 1913), è cominciata sul tema una campagna di artisti e attivisti della California del Sud.
Dal 15 ottobre fino al 5 novembre, una marcia di 100 muli si svolgerà per oltre 350 km dalla Owens Valley a Los Angeles lungo il percorso dell'acquedotto. 

ACQUA BENE COMUNE OVUNQUE NEL MONDO!!!

November 5, 2013 is One Hundred years since the opening of the LA Aqueduct. Aurora is learning about the history of the LA Aqueduct from Peppe the Mule, Santa Ana Grand Central Art Center, October 5, 2013

Nube inceneritore Marangoni

RETE PER LA TUTELA DELLA VALLE DEL SACCO -
DELEGAZIONE CODICI DI ANAGNI


«L’ennesima fuoriuscita di fumo, molto più grave del solito», così Letizia Roccasecca e Domenico De Carolis, Codici Anagni. «Abbiamo chiamato il Comando dei Carabinieri di Anagni che, dopo essere giunto sul posto, ha fatto intervenire l’ARPA. Non è possibile continuare così. Quasi ogni notte i residenti avvertono cattivi odori provenire dall’inceneritore di pneumatici».

Dalla Rete per la Tutela della Valle del Sacco rilanciano il coordinatore provinciale Francesco Bearzi e il presidente Alberto Valleriani: «Un incidente probabilmente grave, in una situazione paradossale. L’impianto produttivo chiude e rimane in attività una fonte inquinante di prima grandezza, l’inceneritore di pneumatici, con esiti storici e attuali sotto gli occhi di tutti. Un inceneritore che, è bene ricordarlo, al contrario di quelli di Colleferro non garantisce la pubblicazione dei dati delle emissioni in continuo. La situazione è intollerabile. Ci auguriamo che l’impianto produttivo possa riprendere l’attività, ma la crisi occupazionale non induca la politica a concepire una sorta di “delega in bianco” all’incenerimento o magari la riesumazione del tecnicamente insostenibile progetto di incenerimento del “car fluff”».

martedì 15 ottobre 2013

Italia: Paese di santi poeti e....AVIATORI

Luciano Granieri

Italia, paese di poeti santi e navigatori. Oddio di navigatori!   Viste le infauste sorti del capitano Schettino non direi. I poeti esistono,   anche se categoria in via di estinzione. Si sa con la cultura non si manga. Di santi è pieno il calendario.  Forse il detto andrebbe riformulato come segue: Italia, paese di poeti squattrinati, santi e….aviatori!!!  

Signori è fuori di dubbio,  l’Italia è un  paese di aviatori. Infatti  chi  ha preso l’aereo ha pagato il biglietto, ma    anche chi l’aeroporto l’ha visto solo in cartolina,  ha  dovuto pagare  dal 2008 ad oggi qualcosa come 11 miliardi di euro per mantenere in quota gli airbus dell’Alitalia. Un popolo che spende così tanto per far volare gli aerei senza neanche salirci sopra è un popolo di aviatori  ad honorem.  

Ma che fine hanno fatto i nostri 11 miliardi di euro?  E’ presto detto.  Nel 2008 Alitalia era, come oggi, sull’orlo del fallimento. Per salvare baracca e burattini, Silvio Berlusconi  pensò bene di regalare il giocattolo ad alcuni imprenditori amici suoi, capitani d’industria coraggiosi e manovrieri, sempre pronti a dare una mano quando serve e sempre in attesa della giusta contropartita.     A celebrare l’operazione la solita sapiente regia delle banche. Il tutto con finalità patriottiche perché bisognava limitare la partecipazione azionaria degli odiati francesi di Air France al 25% .  Questi ultimi infatti erano disposti a tirare fuori bei soldini per acquisire  l’intero pacchetto azionario  della disastrata compagnia italiana. 

La lista della spesa comincia subito con sei o sette miliardi tirati fuori dai contribuenti aviatori per ripulire Alitalia dai debiti.  Un cadeau  per gli amici deve rimanere prezioso e immacolato come una mammoletta, mica può essere una sòla. Aggiungiamo poi un altro miliardo e duecento milioni necessario per mettere in moto tutto il baraccone e il mancato introito di 3 miliardi che si sarebbe realizzato se la compagnia fosse stata acquistata allora da Air France. 

Oggi dopo cinque anni siamo da capo a dodici.  La nostra compagnia non ha neanche  la benzina per far volare gli apparecchi e si profila l’intervento delle poste. Un ente del tesoro, quindi pubblico,  guidato da un manager che capisce di aerei come io capisco di bosoni.  

Ma gli aviatori più indefessi risiedono in Ciociaria. Noi  Ciociari,  abitanti di una salubre terra allietata da profluvi di PM10, diossine,  inquinanti di varia natura, oltre che contribuire  con le nostre tasse agli 11 miliardi testè  citati, abbiamo sborsato altri  8  milioni  circa, per costruire un aeroporto in un territorio  in crisi d’astinenza da kerosene.  

6 milioni sono serviti per tenere in piedi la società Aeroporto di Frosinone incaricata di eseguire il progetto e l’opera,  altri 2 milioni e otto  sborsati attraverso la regione guidata all’ora dalla famelica Polverini.  Molti di noi disfattisti, contrari al progresso, non aviatori e neanche avicoli ( nel senso di polli da spennare) avevamo capito che il progetto era improponibile, per anni lo abbiamo gridato e alla fine abbiamo avuto ragione. 
Aeroporti di Frosinone si scioglie ma la passione  all’aviazione rimane. Sborsare quasi 9  milioni di euro solo per disegnare un aeroporto che non verrà mai realizzato  è segno di grande attaccamento alla causa aviatoria.

Qualcuno potrà chiedere: era necessario spendere   tanti soldi inutilmente?    Qui la passione per il volo non c’entra . Bastava capire le vere finalità delle operazioni relative al salvataggio di Alitalia e alla costruzione dell’aeroporto a Frosinone. 

In relazione alla compagnia di bandiera lo scopo principale non era far volare gli aerei, ma consentire a Riva ,per esempio,  di spuntare, in cambio del  favore propagandistico fatto a Berlusconi con il suo  ingresso in Alitalia,   delle autorizzazioni integrate ambientali favorevoli per le sue fabbriche di morte a Taranto, oppure permettere a  Benetton in cambio del suo impegno,  una mega speculazione fondiaria  sui suoi terreni di Maccarese da lui acquistati per un piatto di  lenticchie,    trasformati  da agricoli   ad uso industriale per essere venduti,  con il realizzo di enormi profitti,  a se stesso come  co-gestore  di Aeroporti di Roma, e quindi utilizzati  per realizzare il raddoppio dell’aeroporto di Fiumicino dove potessero atterrare gli aerei  di sua proprietà come azionista di Alitalia. 

Oppure permettere a Toto  di salvare la sua indebitata compagnia Airone attraverso la concessione di altri      fidi per consentirne l’ingresso in Alitalia. E’ curiosa questa operazione, una banca che fino a ieri reclamava ingenti crediti da una azienda, di punto in bianco dismette la sua  intransigenza e addirittura concede ulteriori prestiti a questa stessa azienda per  farla entrare in una nuova compagnia .  Che c’è di strano tanto si sa che quando le banche vanno in sofferenza ci pensa il cittadino qualunque, novello pantalone proletario a pagare.  

Per tornare alla società Aeroporto di Frosinone invece , la sua vera finalità non era quella di costruire il terzo scalo del Lazio in Ciociaria, ma diventare un lussuoso e remunerativo armonizzatore sociale per manager e amministratori pubblici rimasti senza poltrona,  oppure fonte   di entrata integrativa per politici locali affamati di soldi pubblici.  In conclusione a seguito di queste ruberie che hanno a dir poco adirato i cittadini va riformulato ancora una vota  il detto "Italia, paese di santi poeti e navigatori". La nuova massima è:  L’Italia è un paese di santi bestemmiati, poeti squattrinati  e…..AVIATORI.

Il pacco Alitalia

Vincenzo Comito. fonte: http://www.sbilanciamoci.info/

Le sinergie tra le Poste e l’Alitalia sono praticamente inesistenti. L’unica soluzione sarebbe quella di una partecipazione rilevante dello stato per salvaguardare alcuni interessi nazionali, il mondo del lavoro in primis, e l'ingresso di partner esteri che portino con loro esperienze organizzative e risorse finanziarie che a noi ormai mancano

Cerchiamo di fare il punto per grosse linee su una vicenda che si trascina da tanto tempo e che non ha ancora trovato una sua sistemazione adeguata. Intanto le difficoltà dell’Alitalia non sono soltanto recenti. La cosiddetta compagnia di bandiera (forse il nome è in fondo indovinato, perché in piccolo essa rappresenta bene una parte consistente dei mali italiani) è male gestita, inquinata dal pesante intervento politico quotidiano nei suoi affari, prona qua e là alla corruzione e al nepotismo, organizzativamente confusa, gestita in modo approssimato e questo da molte decine di anni.
I suoi mali venivano, almeno sino ad un certo punto, leniti dall’esistenza di un pratico monopolio su di una parte consistente delle tratte previste, in particolare in Italia, ciò che permetteva anche di tenere alte le tariffe e di contribuire, comunque più male che bene, a far quadrare i conti annuali.
Questo modello entra però progressivamente in crisi con la deregulation della fine degli anni 90, il conseguente accentuarsi della concorrenza sul mercato e la caduta del sistema delle partecipazioni statali, nonché forse anche con l’indebolimento dei partiti. I vecchi interessi riescono ad un certo punto ancora a bloccare la fusione con Klm, ma poi la situazione precipita;
Si arriva così al fatidico 2008. Di fronte alla minaccia del fallimento o dell’acquisizione della società da parte di Air France, interviene Berlusconi, che spinge invece demagogicamente per una soluzione italiana, che poi si rivelerà in realtà all’italiana. Si vara una nuova compagine azionaria, con l’intervento nel capitale di una serie di imprenditori che avevano qualche interesse “laterale” nella vicenda, mentre Air France si riserva il 25% del capitale, tenendo quindi un piede nella società, ottenendo inoltre un diritto di veto nelle decisioni importanti. Con il geniale supporto del banchiere di sistema Corrado Passera, si disegna una nuova strategia e si trova anche l’appoggio delle banche per sostenere il progett.
Naturalmente tutti i debiti e i problemi della compagnia vengono scaricati sui contribuenti, con un danno complessivo il cui ammontare esatto è difficile da calcolare ma che è stimabile, a leggere i giornali, tra i 6 e i 7 miliardi di euro. Ma se aggiungiamo a tale somma 1,2 miliardi persi dalla compagnia dall’avvio del piano Berlusconi-Passera ad oggi e i circa 3 miliardi che nella sostanza Air France era disponibile a versare per prendere il controllo della compagnia, il danno si fa ancora più rilevante.
Presto si rivelano la debolezza e gli errori del piano strategico. Si taglia selvaggiamente sulle rotte estere e in particolare su quelle a lungo raggio, che sono invece quelle nelle quali il mercato cresce di più, a fronte di una minore concorrenza e in particolare dell’assenza degli operatori low-cost. Si puntano gran parte delle carte sull’Italia, mantenendo prezzi alti per i biglietti e sperando così di quadrare i conti.
Ma il mercato interno vede il perfettamente prevedibile arrivo dell’alta velocità ferroviaria e delle compagnie low-cost, che conquistano quote crescenti di mercato, mentre obbligano la società ad abbassare i prezzi. Così il fatturato della compagnia non decolla e i conti economici e finanziari ne soffrono fortemente. L’Alitalia è nel 2013 di nuovo sull’orlo del fallimento, con perdite crescenti.
Naturalmente, as usual, mentre i politici di destra e di sinistra sfruttano l’ennesima occasione per andare sui giornali raccontando la prima cosa che capita, pur di farsi sentire, il governo cerca affannosamente di intervenire all’ultimo momento, appena pochi giorni prima che manchi il carburante. Alla ricerca disperata di qualche donatore di sangue, trova intanto le solite banche sempre pronte a dare i soldi a chi non li merita, mentre bussa alle porte di Cassa Depositi e Prestiti, di Fintecna, di Ferrovie dello Stato, di Poste Italiane. Finalmente quest’ultima accetta di entrare nel gioco con 75 milioni di euro. Mettendo insieme le banche volenterose, le poste e qualche altro socio minore, per il momento e per qualche mese i conti sembrano quadrare, almeno sul piano finanziario; si aumenta il capitale di 300 milioni e si ottiene un prestito di 200. Invece manca del tutto un credibile piano strategico.
L’intervento di Poste Italiane ha qualcosa di grottesco. Una delle giustificazioni per tale intervento è quella che l’ente ha una piccola compagnia aerea che potrebbe diventare l’impresa low-cost di Alitalia. Ma la società è davvero minuscola e comunque anch’essa perde dei soldi. Le sinergie tra le Poste e l’Alitalia sono praticamente inesistenti. Intanto l’amministratore delegato delle stesse Poste fa delle dichiarazioni alla stampa da cui traspare, se le sue parole sono state riportate correttamente, una sua forse difficile familiarità con i bilanci e con la finanza. Peraltro era quasi impossibile che la stessa persona dicesse di no al governo, dal momento che il suo incarico, rinnovabile, scade a marzo del 2014 (potrebbe anche essere inviato a fare l’amministratore delegato di Alitalia);
Sempre il boss delle Poste starebbe preparando, dall’alto della sua esperienza nel settore, un nuovo piano strategico, il quarto in quattro anni per la società. Il cielo ci salvi. Speriamo almeno che esso non miri soprattutto a salvare i soldi degli attuali azionisti e delle banche “di sistema”, che, per i begli occhi di Berlusconi, hanno messo nel gioco sino ad oggi più o meno un miliardo. Per le piccole imprese nostrane, tra il 2008 e oggi, il credito si è contratto del 21%. Intanto l’abile manager sta volando verso Parigi (su di un aereo Alitalia?) per incontrare i vertici di Air France.
Altrettanto grottesco appare l’intervento sui giornali del presidente della Confidustria, Squinzi, che si dichiara perplesso del fatto che l’Alitalia cada in mani pubbliche. Ma perché lo stesso Squinzi non mette allora insieme una cordata credibile di imprenditori nazionali che si facciano avanti? Nessuno, credo, sbarrerebbe loro la strada.
La compagnia di giro messa in piedi dal governo non può comunque risolvere i problemi strutturali della società. Il sistema finanziario, imprenditoriale, politico, nazionale non è capace o non ha le risorse per mettere durevolmente sulla buona strada l’impresa. Bisogna trovare un partner estero stabile che assicuri un qualche futuro alla compagnia. Air France, sulla base dei dati disponibili, al momento appare l’unica in grado di farlo. Ma la società, alle prese con dei guai in patria, anche se minori di quelli dell’Alitalia, è spinta ad intervenire da noi con molta prudenza (ha già perso 322 milioni nella partita) e, comunque, con l’unica motivazione che riguarda la conquista di una fetta rilevante del mercato italiano, che altrimenti sarebbe preda dei suoi concorrenti, siano essi Lufthansa o le compagnie low-cost.
Ma per farlo pone delle dure condizioni. Essa chiede, oltre ad una ristrutturazione del debito (leggi, un suo taglio sostanziale), il ridimensionamento dell’occupazione, nonché la riduzione del numero degli aerei. Essa, inoltre, appare restia ad accettare alcune condizioni apparentemente poste dal nostro improbabile governo, quali il mantenimento di Fiumicino come hub e la pari dignità di trattamento di Alitalia con Air France e Klm. Speriamo che una soluzione comunque si trovi perché non sembrano esisterne altre. La società franco-olandese non ha ancora comunicato se essa aderirà, ed eventualmente per quanto, all’aumento di capitale deliberato dall’assemblea della compagnia romana. Ci sarebbe forse, in alternativa o in via complementare a quella della compagnia francese, la prospettiva dell’intervento di una compagnia araba, ma la questione appare avvolta nelle nebbie.
Ma l’ottimo sindacalista Bonanni non vuole i cattivi francesi, che vorrebbero porre –inaudito!- delle condizioni al loro ingresso e dice che bisogna pensare ad altri interlocutori (ci dica lui quali; nel frattempo Lufthansa ha detto di non essere interessata); e anche il ministro Lupo, a suo tempo entusiasta della brillante soluzione Berlusconi-Passera, fa la faccia feroce con i transalpini. Lasciamo fare questi nostri connazionali e piloteremo la società verso un nuovo e rapido fallimento. Lo stesso obiettivo sembrerebbe avere più direttamente in mente la Iag, sigla che mette insieme British Airways, Iberia, Vuelig e che ha fatto ricorso alla Unione Europea contro l’ingresso di Poste Italiane nel capitale di Alitalia, considerandolo un aiuto di stato.
Il caso Alitalia pone peraltro un problema più generale al nostro paese. Nell’ultimo periodo sono venute a galla una serie di difficoltà di diverse imprese nazionali grandi e medio-grandi. Si va dalla Indesit, all’Ilva, alla Telecom, a molte attività del gruppo Finmeccanica.
In tutti questi casi appare evidente che il sistema nazionale preso nel suo complesso (politica, economia, finanza) non abbia più in se da solo la possibilità e la capacità di mettere in sicurezza il futuro di tali imprese. L’unica soluzione che vediamo possibile, al di là delle sfuriate demagogiche di Squinzi e soci, è quella di una presa di partecipazione rilevante dello stato o di strutture pubbliche e parapubbliche, presa di partecipazione che serva a salvaguardare alcuni interessi nazionali, in primis quelli del mondo del lavoro; e per il resto si aprano colloqui con dei possibili partner esteri, europei o asiatici non importa, che portino con loro mercati, esperienza organizzative, risorse finanziarie, che a noi ormai mancano.
Al di fuori di questa, nulla salus, almeno crediamo.