Intervento di Marco Bersani Presso l'Università Attac di Palermo
1.
Cos’è il Comune?
Il
Comune è l’ente locale che rappresenta la comunità, ne cura gli
interessi e ne promuove lo sviluppo e la coesione sociale. Per le sue
caratteristiche di centro abitativo nel quale si svolge la vita
pubblica dei suoi abitanti, viene definito come il luogo della
democrazia di prossimità.
Il
termine “Comune” ha origine dalle omonime istituzioni
post-feudali (XI – XIII secolo) ma affonda le radici nella polis,la
città-stato dell’antica Grecia.
Questa
è la definizione ricorrente nei dizionari, nei quali peraltro si
sottolinea come la parola “comune” definisca il contrario di
quello che è “privato”.
La
Costituzione italiana riconosce
questo ruolo ai Comuni, stabilendo all’art. 118 che “le
funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo che, per
assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città
Metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza”.
I
Comuni hanno sempre esercitato un ruolo fondamentale, al punto che,
per un lungo periodo a cavallo fra l’ultimo decennio del XIX secolo
e i primi due decenni del XX secolo, nel nostro Paese si afferma il
“socialismo
municipale”,
attraverso l’acquisizione da parte dei Comuni di prerogative di
governo del territorio organizzate in vere e proprie aziende
pubbliche, le famose “municipalizzate”.
Dentro
queste esperienze, l’esercizio diretto dei servizi si collega alla
realizzazione di istanze più generali, legate ai bisogni crescenti
che si affermano tra i cittadini degli strati sociali più bassi, ai
quali, dentro un’ottica egualitaria e redistributiva, si risponde
attraverso l’avvio di una politica di spesa sociale sostenuta anche
dagli utili creati dalle imprese municipalizzate.
Un
ruolo e un protagonismo dei Comuni che, non a caso, verrà indicato
come nemico giurato quando, a partire dagli anni ’80 del secolo
scorso, si afferma la dottrina liberista e si apre la stagione delle
privatizzazioni.
Da
quel momento, ruolo e funzione dei Comuni vengono messi in
discussione e trasformati profondamente.
2.
Strangolare il pubblico per poter dire che non funziona
2.a
Il Patto di stabilità e crescita
Nel
1999 entra in vigore il Patto
di Stabilità e Crescita interno,
ovvero le diverse misure, annualmente stabilite, per far concorrere
gli enti locali agli obiettivi di stabilità finanziaria, definiti
dallo Stato in accordo con l’Unione Europea, in seguito
all’approvazione del Trattato di Maastricht (1992) e del Trattato
di Amsterdam (1997).
Siamo
nel pieno della stagione liberista e la stabilità finanziaria
definita dai vincoli di Maastricht diviene il dogma cui tutto può e
deve essere sacrificato.
Il
patto di stabilità, nella prima fase, ha inciso soprattutto sulla
riduzione del personale provocando nel decennio 2000-2010 la perdita
di oltre 50mila occupati nel solo settore degli enti locali; nella
seconda fase ha preso di mira le capacità d’investimento degli
enti locali, fino al loro totale azzeramento nel triennio 2008-2010;
nella terza fase, il combinato disposto dei drastici tagli ai
trasferimenti da parte dello Stato (‘spending
review’)
e della contrazione della spesa corrente, hanno ridotto le capacità
d’intervento dei Comuni ai minimi termini.
Fino
al paradosso finale: nonostante la quota parte di debito pubblico
attribuibile
ai Comuni corrisponda solo all’1,6%, il contributo richiesto agli
stessi -tra tagli ai trasferimenti e patto di stabilità- è passato
dai 1,65 mld del 2009 ai 16,655 mld del 2015[1]
.
2.b
L’indebitamento
Entrate
tutte finalizzate alla stabilità dei conti e spese ridotte all’osso
sia sul fronte dei servizi sia sul fronte degli investimenti: ecco
come è stato reso concreto
il
luogo comune
“il
pubblico non funziona”.
Senza
neppure conseguire la famosa stabilità finanziaria, come si evince
dalla situazione dell’indebitamento, che rappresenta un ulteriore
paradosso: nonostante l’esiguità del debito in capo agli enti
locali, quel debito, per quanto basso in valori assoluti, sta
letteralmente strangolando, grazie ad interessi da usura, moltissimi
enti locali, in particolare i più piccoli.
In
media, l’onere complessivo del debito raggiunge il 10% delle spese
correnti comunali. Considerando gli enti fino a 10 mila abitanti ed
escludendo i territori delle Regioni a statuto autonomo del Nord,
circa 2.130 Comuni (30%) registrano un onere complessivo del debito
superiore al 12% della spesa corrente; di questi, 727 enti (10%)
superano un’incidenza del 18% sulle rispettive spese correnti.
2.c
La penetrazione del privato
Grazie
al Patto di Stabilità e Crescita, ora sostituito dal pareggio di
bilancio, e alla costruzione artificiale della trappola del debito,
si è dissodato e arato il terreno, finanziario e culturale, per
seminare la stagione delle privatizzazioni.
E
il raccolto è stato più che fruttuoso, con una costante
penetrazione del privato nella gestione dei servizi comunali,
attraverso le forme del Partenariato
Pubblico-Privato (PPP).
Secondo
il rapporto IFEL 2020[2],
nel nostro Paese, si passa da 330 bandi di PPP e un importo di 1,3
miliardi del 2002 a 3.794 bandi e un importo di 17 miliardi nel 2019.
In
tale mercato l’81,1% dei bandi è in capo ai Comuni, a cui
corrisponde un valore pari al 38,3% degli importi complessivi. Nel
periodo considerato, il 73% dei Comuni italiani ha avviato progetti
di PPP, cifra che raggiunge quasi il 100% se consideriamo i Comuni
con più di 10mila abitanti.
3.
La Cassa sottratta
In
questo processo, ha giocato un ruolo di primo piano la trasformazione
di Cassa
Depositi e Prestiti,
l’ex-ente di diritto pubblico che gestisce il risparmio postale
-280 miliardi- di oltre 20 milioni di cittadini.
Dalla
sua istituzione, nel 1850, e per oltre un secolo e mezzo, Cassa
Depositi e Prestiti ha avuto un unico compito di enorme utilità
sociale: raccogliere e tutelare i risparmi dei cittadini e utilizzare
questa enorme massa di denaro per finanziare a tassi agevolati gli
investimenti degli enti locali.
Fino
al 1990 questa era l’unica ed esclusiva modalità di finanziamento
cui i Comuni potevano accedere.
L’avvento
delle politiche liberiste investe in primo luogo tutto il sistema del
credito e in breve tempo l’intero sistema bancario del Paese viene
privatizzato. A quel punto le banche private premono sui governi per
poter entrare dentro un enorme mercato da cui erano escluse: gli
investimenti degli enti locali.
E’
così che, a partire dal 1990, si apre la possibilità ai Comuni di
accedere al mercato per potersi finanziare, per arrivare, nel 2003
alla trasformazione di Cassa Depositi e Prestiti in Spa,
modificandone profondamente natura e missione.
Da
quel momento, Cassa Depositi e Prestiti dismette i panni di soggetto
pubblico al servizio dei Comuni e diviene un soggetto di mercato che
compete con le banche.
I
finanziamenti degli investimenti degli enti locali diventano normali
operazioni con tassi di interesse stabiliti dal mercato -ancora oggi
i Comuni sono gravati da mutui accesi due-tre decenni fa, con tassi
di interesse divenuti da “usura”- e, quando parte la stagione
della dismissione della ricchezza collettiva in mano ai Comuni, Cassa
Depositi e Prestiti si trasforma in partner dei Comuni nella
“valorizzazione” del patrimonio pubblico in vendita e in leva
finanziaria per la privatizzazione dei servizi pubblici locali
favorendo i processi di aggregazione e accentramento nelle
multiutility collocate in Borsa.
4.
C’è chi dice si e chi resiste
Il
combinato disposto dei processi sopra descritti ha portato i Comuni
verso il collasso finanziario: già nel 2019, ben 1083 Comuni su un
totale di 7904 (uno su sette) erano in condizione di dissesto o
pre-dissesto finanziario. La pandemia ha fatto il resto,
moltiplicando le spese che i Comuni hanno dovuto affrontare per
poterla contrastare e riducendo drasticamente le entrate, in seguito
alla sospensione della riscossione di molte delle imposte locali.
Il
buco nelle casse comunali si è così accresciuto di altri 22,8
miliardi di euro.
Alle
condizioni oggettive della situazione finanziaria dei Comuni sopra
descritte, vanno aggiunte anche le
condizioni soggettive degli
amministratori locali che, nel tempo si sono profondamente
trasformate: le generazioni di sindaci, assessori e consiglieri
comunali cresciuti nei decenni della narrazione neoliberale hanno in
grandissima parte interiorizzato la cultura delle privatizzazioni,
per cui la loro capacità di resistenza a questi processi si è quasi
azzerata, e la grande maggioranza di loro si è trasformata in
entusiasti fautori del “nuovo” corso.
Ma
la resistenza è arrivata dagli abitanti e dai territori e, nel pieno
della stagione liberista, un fortissimo movimento per la
ripubblicizzazione dell’acqua, poi costituitosi in Forum
italiano dei movimenti per l’acqua, non
solo nel 2017 è riuscito a raccogliere oltre 400.000 firme in calce
ad una legge d’iniziativa popolare, ma nel 2011 ha portato a casa
uno straordinario risultato, vincendo un referendum contro la
privatizzazione dei servizi pubblici locali e per una loro gestione,
a partire dall’acqua, fuori dalle logiche del mercato e del
profitto.
5.
Privatizzazioni obbligatorie
Con
la vittoria referendaria dei movimenti per l’acqua, la narrazione
liberista scopre di non poter più fare affidamento sul consenso e
deve quindi riaprire la stagione delle privatizzazioni attraverso
l’imposizione autoritaria: nasce da qui lo shock del debito
pubblico, agitato solo due mesi dopo la vittoria referendaria con la
famosa lettera che,
nell’agosto 2011, l’allora Governatore della Banca d’Italia
Mario Draghi e l’allora Presidente della Banca Centrale Europea
Jean Claude Trichet scrissero al governo italiano e nella quale, al
proposito, lanciarono il diktat: “(..)
E’ necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di
riforma, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici
locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in
particolare alla fornitura di servizi locali attraverso
privatizzazioni su larga scala”
E’
lo stesso Mario Draghi che, divenuto Presidente del Consiglio di un
governo tecnocratico con un Parlamento quasi completamente arruolato
nel sostegno allo stesso, tenta l’affondo finale con il Ddl
Concorrenza,
approvato
dal Consiglio dei Ministri il 4 novembre 2021 ed ora all’esame del
Parlamento.
E’
una delle cosiddette “riforme abilitanti”, attraverso le quali il
governo italiano potrà accedere ai fondi europei del Next Generation
Eu e necessita di una sua approvazione, con tanto di decreti
attuativi, entro il dicembre 2022.
E’
un disegno di legge che, ben oltre le stesse linee culturali imposte
dall’Unione Europea, prova a portare l’affondo finale delle
privatizzazioni, affermando che la modalità ordinaria di gestione
dei servizi pubblici locali da parte di un Comune dev’essere il
ricorso al mercato e, laddove un Comune opti per l’autoproduzione
del servizio in questione, deve sottostare ad una procedura
vincolante, producendo una dettagliata relazione delle motivazioni,
inviandola all’Antitrust, e impegnandosi periodicamente a rimettere
in discussione la scelta fatta.
I
servizi oggetto del Ddl Concorrenza sono tutti i servizi pubblici
locali, siano essi a “rilevanza economica” –acqua, energia,
rifiuti e trasporto- siano essi “privi di rilevanza economica”
–servizi sociali, culturali, sportivi.
Si
tratta, com’è evidente, di dare il via ad una nuova stagione di
privatizzazioni e di rendere reale la definitiva trasformazione del
ruolo dei Comuni: da luoghi della democrazia di prossimità e garanti
dei diritti universali attraverso l’erogazione di servizi pubblici,
in enti il cui unico compito è quello di mettere sul mercato beni
comuni, servizi pubblici, patrimonio pubblico, territorio e ricchezza
collettiva.
6.
Riprendiamoci il Comune
Uno
dei tanti insegnamenti messi in evidenza dalla pandemia è la
necessità di una nuova centralità degli enti locali come fulcro di
un diverso modello di società, socialmente ed ecologicamente
orientata.
Abbiamo
davanti a noi importanti sfide dettate dall’enorme diseguaglianza
sociale e dalla drammatica crisi climatica in corso. La pandemia ci
ha dato una certezza, oltre ogni ragionevole dubbio: il mercato non
funziona, non protegge, separa persone e comunità.
E’
ora di aprire una nuova stagione ribelle.
Una
stagione dentro la quale le comunità locali mettano in campo una
lotta senza quartiere per la riappropriazione sociale di tutto quello
che appartiene alla collettività e va sottratto al mercato.
Una
stagione che non è data automaticamente, ma necessita di una nuova
alfabetizzazione popolare sul significato di comunità, beni comuni,
democrazia di prossimità.
Una
stagione che rimetta insieme le persone e faccia comprendere la
necessità di superare la solitudine competitiva come orizzonte
voluto dal mercato e le faccia approdare alla cooperazione solidale e
alla rivoluzione della cura, di sé, degli altri e delle altre, dei
beni comuni.
7.
Una campagna e due leggi d’iniziativa popolare
Il
primo passo per aprire una nuova stagione ribelle è fermare il Ddl
Concorrenza.
Su
questo tema è già avviata una campagna nazionale che si muove
intorno a tre assi:
mobilitare
gli enti locali chiedendo loro di approvare ordini del giorno che
chiedono lo stralcio dell’art. 6 dal Ddl Concorrenza;
mobilitare
il mondo del lavoro pubblico e privato per rivendicare diritti e
reddito che con le privatizzazioni sarebbero inevitabilmente erosi e
per salvaguardare il sapere pubblico del lavoro nei servizi come
patrimonio collettivo delle comunità locali;
mobilitare
le comunità locali contro l’ennesima espropriazione di beni
comuni e diritti.
Il
secondo passo consiste nell’apertura di una campagna (avvio
nell’autunno 2022) di proposta di due leggi d’iniziativa
popolare, che invertano radicalmente la rotta e permettano alle
comunità locali di avere enti di prossimità in grado esercitare la
propria funzione storica pubblica e sociale.
Sono
due proposte di legge complementari, che ridisegnano il ruolo dei
Comuni e il protagonismo delle comunità locali.
La
prima proposta di legge riforma la finanza locale,
contrapponendo
al pareggio di bilancio finanziario l’obiettivo per i Comuni di
raggiungere il pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere.
Afferma la necessità dell’equilibrio finanziario, ma si oppone
all’ossessione del pareggio di bilancio, cui tutto deve essere
sacrificato, a partire dalla svendita del patrimonio pubblico, dei
beni comuni e dei servizi pubblici. Prevede la partecipazione diretta
dei cittadini alle scelte fondamentali dei Comuni e all’utilizzo
ecologico, sociale, culturale e ricreativo dei beni pubblici. Trova
le risorse necessarie fuori dai mercati finanziari e dentro Cassa
Depositi e Prestiti, ente a cui vengono conferiti i risparmi (280
miliardi) di oltre 20 milioni di abitanti.
La
seconda proposta di legge chiede la socializzazione di Cassa Depositi
e Prestiti,
Prevede che le scelte di destinazione dei risparmi dei cittadini
siano fatte attraverso la partecipazione degli stessi.
Due
proposte di legge che, intervenendo su due contraddizioni sistemiche
dell’attuale situazione dei Comuni, provano a rispondere a due
domande fondamentali:
quali devono essere gli obiettivi e le modalità decisionali di un
Comune? Attraverso quali risorse e con quali modalità un Comune si
può finanziare?
Due
proposte di legge che propongono una visione radicalmente alternativa
alla solitudine competitiva del modello liberista.
Immaginiamola
attraverso un esempio.
Una
comunità territoriale, grazie al bilancio partecipativo, sceglie
democraticamente le priorità d’intervento tra le opere da
realizzare nel proprio territorio.
Le
opere scelte -un asilo nido, un parco, la messa a norma degli edifici
scolastici, la sistemazione idrogeologica del territorio, la
ristrutturazione della rete idrica etc- vengono finanziate attraverso
il risparmio dei cittadini, depositato in libretti postali e buoni
fruttiferi e consegnato alla Cassa Depositi e Prestiti territoriale.
Poiché questi risparmi hanno un rendimento minimo, la Cassa Depositi
e Prestiti territoriale potrà finanziare gli interventi con un tasso
altrettanto minimo.
La
comunità territoriale, proprio perché ha partecipato direttamente
alle scelte sulle priorità d’intervento e le ha finanziate con il
risparmio dei propri membri, avrà una naturale propensione a
controllare che tempi e qualità delle opere realizzate siano le
migliori possibili, evitando di per sé sprechi e corruttele.
Avremmo
così ottenuto: un aumento della partecipazione e della democrazia
basata sull’autogoverno; la realizzazione di opere che abbiano come
finalità l’interesse generale; la possibilità di finanziarne la
realizzazione fuori dal circuito speculativo del mondo bancario e
finanziario; l’aumento del controllo democratico sulle procedure e
i lavori di realizzazione, con la conseguente diminuzione di
corruzione e sprechi; un’aumentata coesione sociale.
Riprendersi
il Comune è possibile. Occorre farlo tutte e tutti insieme.
Note:
[1] Fondazione
ANCI – IFEL (Istituto per la Finanza e l’Economia Locale), La
finanza comunale in sintesi, confronto
fra Rapporto 2010 e Rapporto 2016.
[2] Fondazione
ANCI–IFEL (Istituto per la Finanza e l’Economia Locale), I
Comuni e il Partenariato Pubblico Privato,2020
Documentazione
Campagna contro Ddl Concorrenza:
Qui
è possibile trovare l’appello della campagna contro il Ddl
Concorrenza (con le adesioni in continuo aggiornamento)
https://www.acquabenecomune.org/notizie/nazionali/4209-appello-per-una-campagna-comune-fermare-il-ddl-concorrenza-difendere-acqua-beni-comuni-diritti-e-democrazia
Qui
è possibile trovare l’odg da proporre ai Consigli Comunali contro
il ddl Concorrenza
https://www.acquabenecomune.org/attachments/article/4191/Odg_DDL_Concorrenza_servizi_pubblici_novembre_2021_sintesi.pdf
Qui
è possibile trovare l’elenco 8in continuo aggiornamento) dei
Comuni che hanno approvato l’odg contro il ddl Concorrenza
https://www.acquabenecomune.org/notizie/nazionali/4206-gli-enti-locali-che-hanno-approvato-atti-volti-al-contrasto-dell-art-6-del-ddl-concorrenza
Documentazione
Campagna per due leggi d’iniziativa popolare:
Qui
è possibile trovare il testo della proposta di legge per la
socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti
https://www.attac-italia.org/wp-content/uploads/2021/01/proposta-di-legge-socializzazione-cdp.pdf
e qui la proposta in pillole
https://www.attac-italia.org/wp-content/uploads/2021/01/legge-cdp-in-pillole.pdf
Qui
è possibile trovare il testo della proposta di legge per la riforma
della finanza locale
https://www.attac-italia.org/wp-content/uploads/2021/01/proposta-di-legge-riforma-della-finanza-pubblica-locale.pdf
e qui la proposta in pillole
https://www.attac-italia.org/wp-content/uploads/2021/01/legge-riforma-finanza-locale-in-pillole.pdf