Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 22 ottobre 2016

Lettera aperta alla ministra Boschi

Referendum. Donne per il no


Gentile Ministra Boschi,
Come Lei, anche noi siamo sensibili alle questioni di genere e preoccupate per il prevalere di una cultura misogina largamente diffusa ad ogni livello della nostra società. Sappiamo quanto è difficile dover combattere quotidianamente contro l’esclusione delle donne dagli incarichi di maggiore responsabilità, contro la reiterazione di atteggiamenti che oscillano tra l’aggressività e il paternalismo, contro un ab-uso del corpo femminile degradante e reificante.
Tuttavia ci preme rassicurarLa su un punto da Lei sollevato pochi giorni or sono: l’assenza delle donne all’interno dei Comitati per il No alla riforma costituzionale che porta la sua firma. Siamo liete di comunicarLe che la Sua preoccupazione, in questo caso, è infondata. Non solo figure femminili di rilievo come Maria Luisa Boccia, Sandra Bonsanti, Lorenza Carlassare, Roberta De Monticelli, Ida Dominjianni, Silvia Niccolai e Nadia Urbinati in più occasioni hanno sostenuto pubblicamente le ragioni del No, non solo la vicepresidente del Comitato nazionale per il No, Anna Falcone, è una donna, ma sono migliaia le donne impegnate sui territori e per le strade nelle iniziative per il No alla riforma costituzionale. Sono precarie, attiviste, cittadine, donne a cui troppo spesso il mondo dell’informazione non da’ voce. Donne di ogni età e classe sociale, tutte in prima linea nella battaglia referendaria affinché il prossimo 4 dicembre il No prevalga, salvando il Paese da un’ulteriore spinta verso una deriva culturale che sta precipitando tutte e tutti, donne e uomini, in una miope visione della società basata su un’efficienza meccanica e non sul coltivare sapientemente l’arte della relazione, del dialogo, del fertile confronto. In una parola, l’arte della politica, e della politica basata sulla conoscenza, sulle idee piuttosto che sulle opinioni, sulla profondità dei pensieri piuttosto che sulla superficialità degli slogan.
Da donne, cioè da soggetti politici provenienti da una lunga storia di lotta per il riconoscimento, ci auguriamo che la politica diventi interesse sempre più diffuso nella nostra società e che gli strumenti e le tecniche che la nostra civiltà continua incessantemente ad affinare siano finalizzati a creare le condizioni perché la partecipazione democratica possa aumentare. Ci auguriamo, infatti, che quella che si suole chiamare la “distanza tra governanti e governati” diminuisca progressivamente, realizzando l’ambizioso progetto dei Costituenti: “il perfezionamento integrale della persona umana, in armonia con le esigenze della solidarietà sociale e in modo da favorire lo sviluppo del regime democratico mediante la sempre più attiva e concreta partecipazione di tutti alla cosa pubblica”.
Noi non crediamo che la riforma da Lei proposta vada in questa direzione. Anzi, riteniamo che la proposta di una semplificazione verticale del comando (apparentemente rassicurante ma fallimentare perché destinata a produrre distanza e ripulsa) riduca la dinamica democratico-partecipativa che ha reso possibile, tra le altre cose, proprio il percorso di emancipazione femminile. Anche nel Suo interesse, quindi, ci auguriamo che il 4 dicembre di fronte al bivio del referendum costituzionale il Paese scelga la strada di una democrazia inclusiva rappresentata dalla vittoria del No. Una vittoria che non consideriamo un punto d’arrivo, ma che dovrà essere necessariamente il punto di partenza per una grande riflessione sull’attuazione della Costituzione repubblicana e dei diritti e delle libertà da essa garantiti. Diritti e libertà finalizzati a una sempre più diffusa partecipazione democratica di tutte e tutti alla vita politica del Paese. Da donne, non possiamo che augurarcelo.
Nel salutarla restiamo a Sua disposizione per qualsiasi confronto.
Anna Fava, Stefania Barca, Serenella Iovino, Fernanda Gallo, Stefania Tarantino, Maria Gabriella Argnani, Raffaella Casciello, Marica Di Pierri, Celeste Ingrao, Maria Paola Gargiulo, Anna Falcone, Tristana Dini, Patrizia Gentilini, Alessandra Caputi, Paola Lattaro, Chiara Guida, Claudia Giacalone Delia Vallicelli, Simona Rotondo, Sabrina Argnani, Lucia Re, Tiziana Barillà, Flavia Maria Fiandaca, Rosa Scognamiglio, Monica Capo, Valentina Acca, Corinna Pieri, Francesca Faggiotto, Laura Serpero, Alessandra Chirimischi, Anna Pietrini, Maria Paola Patuelli, Marisa Fabbri, Alessandra Ghetti, Mara Dellasantina, Monica Savina, Anna Pintucchi, Maria Grazia Parri, Mara Nenci, Sara Scozzoli, Tamara Marani, Mariangela Cuorvo, Benedetta Ferraro, Teresa Ricciardiello, Giulia Rotondo, Carmen Gallo, Maria Vastola, Eleonora Ricci, Manuela Savino, Antonella Gallina, Marianna Garofalo, Teresa Di Feo, Ilaria Boiano, Arianna Parisi, Ilaria Poerio, Alessandra Sagliocchi, Stefania Ferraro, Edvige Di Ronza, Marianna Valle, Anna Paola Peratoner, Chiara Bernardini, Silvia Massera, Klejdia Lazri, Donatella Maisano, Teresa Pellegrino, Chiara Obit, Concetta Contini, Annunziata Galluzzo, Federica Viganò, Lidia Verde, Maria Pia Arpioni, Maria Concetta D’Addio, Antonella Scognamiglio, Rosanna De Lucia, Carmela De Lucia, Pina Moniello, Anna Rita Canone, Lucia Molli, Donatella T. Loprieno, Cristina Morini, Valentina Mangiapia, Erika Capasso, Silvia Regonelli, Patrizia Bonavita, Maria Immacolata Mazzone, Fulvia Bandoli, Bia Sarasini

Salt Peanuts

Luciano Granieri


Le società capitalistiche si basano fondamentalmente sull’imbroglio. Odiosi  escamotage che, “usano li ricchi per fregà li poveri" per citare Ettore Scola.  Ci sono grossi imbrogli , quelli in cui eccellono   le grandi banche e i fondi d'investimento , ma esistono  anche sotterfugi più piccoli,  di cui neanche ci accorgiamo perché accompagnano quotidianamente la nostra vita. Sono quelle clausole e clausolette che si nascondono nei  contratti dei  gestori telefonici, delle  società che si occupano di energia, per non parlare delle vessazioni che Acea impone nel nostro territorio.  Anche il settore farmaceutico e sanitario prolifera  di sistemi tesi ad aiutare i ricchi a fregare i poveri.  Pure il governo Renzi  si diletta in questo sport.  A parte il grande imbroglio della riforma costituzionale,  l’ultima trovata   è l'Ape . Una curiosa revisione pensionistica  per cui    se un anziano vuole andare in pensione qualche anno prima  si deve prestare i soldi da solo, ma pagare gli interessi alla banca, compresa l’assicurazione  che copre l’istituto finanziario nel caso in cui  il malcapitato dovesse tirare le cuoia prima che siano trascorsi  vent’anni dal prestito. Un prestito, sottolineo,   costituito  dai soldi che egli stesso ha versato in contributi.  Prestarsi  soldi da solo e pagare gli interessi alle banche, non è male come sistema per  fregare i poveri a vantaggio dei  ricchi . Sto divagando.  Come si intuisce dal titolo, il testo  dovrebbe occuparsi di musica. Ma l’introduzione non è fuori luogo. Infatti anche all’epoca dei boppers nell’America degli anni  quaranta e cinquanta , la borghesia ricca usava sempre qualche trucchetto per aumentare i propri guadagni. Era uso, nei locali dove si esibivano Charlie Parker, Dizzy Gillespie e soci, offrire agli avventori noccioline salate,  in modo da indurli  bere di più. I boppers , in particolare Gillespie,   per denunciare e porre in spregio  questa abitudine un po’ truffaldina -   come ogni manifestazione della borghesia bianca-   suonavano il brano Salt Peanuts (noccioline salate ). L’esecuzione  fu un vero e proprio cavallo di battaglia di Dizzy Gillespie. Il trombettista, durante il pezzo urlava in modo sarcastico “Salt Peanuts-Salt   Peanuts”.   Come si vede l’attitudine al raggiro  della borghesia capitalista si perde nella notte dei tempi.


Propongo di seguito una versione di Salt Peanuts  registrata nel 1970 dal vivo a Newport. Insieme a Gillespie suonano: George Davis alla chitarra, Red Mitchell al basso, David Lee alla batteria 
Good Vibrations

venerdì 21 ottobre 2016

Wellcome to Minton's Playhouse

Luciano Granieri



E’ dura per un musicista nero sopravvivere a New York  nel dopoguerra degli anni ‘40.  Le  grandi orchestre ti sfruttano, devi esibirti svendendo il tuo talento alla borghesia bianca. E’ dura per un musicista nero entrare nei locali da una porta secondaria, mentre i tuoi compagni bianchi possono usare l'ingresso  principale. E’ dura per un musicista nero  girovagare per la città  dove è in tournee in cerca di un albergo, anche di ordine infimo, perché non può dormire nello stessa struttura degli orchestrali bianchi. 

Una frustrazione tremenda ti cattura il cervello  e vorresti mandare affanculo tutti quei signori bianchi che ti incitano a soffiare nel tuo strumento mentre loro si dimenano imbolsiti  senza neanche curarsi di quello che stai suonando.  Spesso,  se ti scappa una nota o una sequenza armonica strana, devi pure subire le ire del capo orchestra bianco, o ancora peggio nero zio tomista, che minaccia di licenziarti se continui  a suonare quella specie di musica cinese.  

Per fortuna dentro un paio di sale del  Cecil Hotel, sulla 118° ovest ad Harlem, non lontano da Morning side park, Teddy Hill, un sassofonista che aveva già diretto una sua orchestra al Savoy Balloroom, ha aperto  il Minton’s Playhouse. Un localino niente male, intimo, dove si suona  e si ascoltano dischi. Non c’è  un’orchestra scritturata  . Qui l’uomo bianco non può  dimenarsi al suono dell’esotico solista nero. In quel localino possono  suonare tutti. O meglio tutti coloro che sono  in possesso di talento e disposti a rompere le consuetudini armoniche e melodiche che stanno  portando  alla dissoluzione la musica jazz. 

Ogni  notte  i musicisti neri, ma non solo, dopo essersi umiliati nelle orchestre per tirare su un minimo di salario, si recano  al Minton’s impazienti di  improvvisare ed esprimere tutta la loro creatività. Il via vai è intenso  soprattutto di lunedì, giorno di riposo delle orchestre. Al Minton’s l’improvvisazione è  padrona assoluta. Attorno ad un piccolo nucleo fisso, composto dal batterista Kenny Clarke, dal pianista Thelonius Monk, dal bassista Nick Fenton, e dal trombettista Joe Guy, può   esibirsi ed improvvisare  chiunque sia  dotato di talento. Non è un caso che a questo gruppetto si siano aggiunti  stabilmente Dizzy Gillespie e Charlie Parker.  

Chi  non è  veramente in possesso di una notevole vena   creativa  rischia la brutta figura.  Lo zoccolo duro del Minton’s è  veramente particolare. Kenny Clarke ad un certo  punto decide che  la cassa  e  il rullante della sua batteria sono  troppa roba per segnare il tempo. Due mani e due piedi  asserviti alla scansione del ritmo sono un’esagerazione. Molto meglio dedicare alla causa del timing solo la mano destra sul piatto grande e lasciare liberi piedi e mano sinistra di profondere accenti e controtempi in assoluta libertà . 

Anche il pianista Thelonius Monk è un tipo veramente strano. Uno capace di tirare fuori dal suo pianoforte dei mutamenti armonici assolutamente impensabili, per chiunque si fosse messo dietro  ad una tastiera prima di allora . Dizzy poi suona delle scale velocissime, capaci di stravolgere il tema e ricostruirlo, disarticolando  completamente il rapporto, melodia-armonia. 

Charlie Parker però è più avanti di tutti con il suo sax alto. Lo avevano scovato Monk e Dizzy al Monroe’s un locale in cui si esibiva con l’orchestra di Jay McShann. Clarke rimase impressionato. “Suona della roba   che  non avevamo mai sentito prima, suona  delle frasi che credevo di avere inventato io per la batteria. E’  due volte più veloce di Lester Young e la sua concezione armonica è qualcosa che Lester non si sognava nemmeno” Così il batterista descrisse il suo stupore per Parker  . Per un po’ di dollari Charlie si convinse a trasferirsi da Monk e Dizzy. 

Improvvisazione? Certamente, ma secondo le regole del Minton’s. Gillespie, Monk, Clarke e Guy alcune volte si riuniscono il pomeriggio per inventare progressioni armoniche complicate stilisticamente rivoluzionarie , tali da scoraggiare chiunque non fosse  notevolmente dotato da improvvisarci sopra. I tipi senza talento non sono ammessi. Nonostante tutto il locale è pieno di musicisti pronti a misurarsi con le nuove provocazioni armoniche. Il batterista Max Roach, il contrabbassista Oscar Pettiford, il pianista Bud Powell, il maestro di Dizzy, Roy Eldridge e molti altri  spesso rimangono a deliziare gli appassionati con la loro maestria. 

Ma le cose più strane le suona un ragazzetto con la chitarra. Charlie Christian è il suo nome. Lo  strumento, solitamente  usato come elemento essenzialmente ritmico, nelle mani di Christian diventa un potente propulsore, dispensatore di scale e arpeggi  che lasciano senza fiato. Charlie Christian suona la chitarra in un modo del tutto nuovo, mai ascoltato prima.  

Al  Minton’s non si fa  musica per il pubblico, ma  per il cervello del pubblico. Chi è disposto ad a aprirsi al nuovo linguaggio è bene accetto, chi pretende di divertirsi nell’umiliare il jim crow nero è meglio che cambi strada. Al Minton’s non si cerca l’applauso, non si ammicca al pubblico, anzi di certi soggetti se ne può fare tranquillamente a meno. Eppure nonostante questa ostilità da parte dei musicisti verso un certo tipo di auditorio   il locale è sempre pieno. Soprattutto di lunedì quando dopo  mezzanotte va in scena l” hash and grits nights”. Gli appassionati possono gustare  un manicaretto a base di carne tritata e fiocchi d’avena.  Resta ancora da capire se la gente viene per sentire la musica o mangiare carne e fiocchi d’avena gratis. Un fatto è comunque certo, al Minton’s si sta facendo la rivoluzione. 

Di seguito il quartetto di Thelonius Monk.
Good Vibrations. 


Thelonious Monk, piano
Charles Rouse, tenor sax
Lawrence Gales, bass
Benjamin Riley, drums

giovedì 20 ottobre 2016

Referendum costituzionale e Sanità

 Dott. Luciano Mignoli Specialista in Sanità Pubblica.



Il referendum per la modifica della costituzione  del 4 dicembre  pone importanti interrogativi riguardo anche la modifica del titolo V che prevede la regionalizzazione di alcune competenze. E’ già stato scritto intorno al pericolo di centralizzazione della politica energetica che abolirebbe il diritto locale ad opporsi  a nuove trivelle o altre forme di energia che  distruggerebbero i territori ma il tema cruciale è quello della regionalizzazione sanitaria. La riforma Bindi del 1999 intendeva la regionalizzazione come un sistema per rendere più efficienti i sistemi sanitari regionali ma, confermata anche dalla legge costituzionale del 2001,  lo Stato AVREBBE DOVUTO garantire “ UNIFORMITA’ DI CURE E SERVIZI A TUTTI i CITTADINI INDIPENDENTEMENTE DALLA REGIONE DI APPARTENENZA”. COMPITO QUESTO DEL MINISTERO DELLA SALUTE CHE ATTRAVERSO I PIANI DI RIENTRO E  IL SI.VE.AS ( Sistema di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria) aveva l’obiettivo della verifica dell’appropriatezza e qualità delle cure. TUTTO QUESTO NON E’ AVVENUTO; LA CAUSA SECONDO GLI  ESPERTI E’ STATA UNA MANCANZA DI REGIA NAZIONALE e la polarizzazione dei governi solo sul taglio dei costi. I LEA infatti (livelli minimi di assistenza )non hanno mai definito i livelli di accessibilità e qualità delle cure richieste, anche i  piani nazionali per le liste d’attesa erano privi di sanzioni quindi inutili. Invece che   a un’agenzia nazionale sulla qualità delle cure le regioni e  il governo sono ancora costretti a rivolgersi a enti privati come l’ex Tribunale dei diritti del malato-Cittadinanza attiva o la Sant’ Anna di Pisa per avere i dati dei problemi percepiti o per un’analisi dei sistemi sanitari (vedi la Puglia ultimamente).
OGNI ATTENZIONE E’ STATA DATA SOLO AL RIENTRO ECONOMICO FACILMENTE
OTTENUTO CON IL  BLOCCO DELLE ASSUNZIONI E PEGGIORAMENTO CONSEGUENTE DEL SERVIZIO. LA DOMANDA CHE OGNI CITTADINO POTREBBE FARSI E’ QUESTA: MA SE Il MINISTERO DELLA SALUTE NON E’ STATO  FINORA NEMMENO IN GRADO DI ASSICURARE QUALITA’ E UNIFORMITA’ DELLE CURE come fara’ a prendersi in carico anche la gestione economico-organizzativa del Sistema
sanitario nazionale? SI DESIDERA CENTRALIZZARE IL CONTROLLO DELLA QUALITA’ O SOLO IL BILANCIO?  CENTRALIZZANDO COSTI E ORGANIZZAZIONE NON SI RIDURRA’ AL SILENZIO LE  PROTESTE DELLE REGIONI SUI TAGLI DI SPESA?

Riassumendo    sulla modifica titolo V per quanto riguarda la sanità:


1) nelle leggi del 1999 e del 2001 vi era l'indicazione che l'azione regionale fosse coadiuvata dal ministero della salute che controllasse non solo i bilanci ma anche la qualità. Questo non è avvenuto  per non volontà politica o per incapacità.


2) questa incapacità non muta ricentralizzando tutto , anche perchè l'obiettivo è sempre il bilancio ( il ministero di riferimento diventa quello delle finanze) e non la uniformità delle cure e la qualità, quindi non migliorerà niente e i sistemi resteranno sempre uno ogni regione (Cavicchi ha scritto su questo)


3) il decentramento ha portato invece una serie di idee innovative provenienti dalle regioni (ass. domiciliare integrata dal Veneto, case della salute dalla Toscana e dall'Emilia, codici di priorità in sperimentazione in Veneto e molto altro) che non sarebbero mai venute dal ministero, bastava estenderle seriamente non con leggi inutilizzabili perchè fuori dai contesti regionali ( vedi legge sulle medicine di gruppo integrate nel territorio)


4) il tema cogestionale tra Sanità-Asl e comuni è importantissimo ( specialmente per le urgenze socio-sanitarie) ma lasciato cadere alle iniziative nulle delle conferenze dei sindaci, oggi dovrà essere riregolamentato perchè c'è , ci sarà una Asl(azienda sanitaria) ogni provincia


5) non esiste un'Agenzia nazionale funzionante per le verifica della qualità delle cure, solo le associazioni private si interessano a questo (Cittadinanzattiva, Sant'Anna di Pisa), l'obiettivo è sempre rendere più inefficiente il SSN per dare il via all'assistenza integrativa.


Potremo dare il nostro apporto sulle necessarie modifiche in qualsiasi caso vada il referendum per il quale visto i presupposti consiglierei di votare no per ritornare a sedersi lungo un tavolo sulle cose importanti altrimenti paradossalmente resterà tutto come prima.

mercoledì 19 ottobre 2016

La matematica dei gufi

Luciano Granieri




Ecco un esempio di  applicazione matematica   gufesca e rosicona. 

Jobs Act: I  soldi regalati alle imprese, affinchè assumessero con il contratto a tutele crescenti ,sono stati  18milardi. Dopo l’eiaculazio precox degli incentivi (8mila euro all’anno per tre anni ad ogni addetto assunto con la nuova norma)  -che  ha prodotto  un aumento dei posti di lavoro a fine 2015 pari a 750mila, per la modica cifra di 24 mila euro a dipendente  - è arrivata una profonda  impotenza che manco il fertility day è riuscito a risollevare . 

All’inizio del 2016 i bonus sono calati, così come i posti di lavoro. Ciò a sconfessare gli obbiettivi di governo secondo cui il contratto a tempo indeterminato, a  tutele crescenti ,avrebbe risolto la piaga incancrenita della disoccupazione e del lavoro precario . E’ utile precisare  che il nuovo contratto, in virtù dell’abolizione dell’art.18, s’intende a tempo indeterminato, perché non è possibile determinare quando il datore di lavoro deciderà di licenziarti. E dal momento che   ciò avverrà, non ci saranno tutele, nè crescenti nè decrescenti,  la via di casa è assicurata con indennizzi ridicoli.  

Ritornando alla nostra trattazione di matematica gufesca, nei primi otto mesi del 2016 con la nuova norma , i contratti a tempo indeterminato, rispetto allo stesso periodo del 2015, sono diminuiti del 32,9% pari alla perdita di 395.000 posti di lavoro, mentre sono aumentati i licenziamenti del 31%, di questi il 28% si è concretizzato  secondo il nuovo contratto, cioè  senza la tutela  dell’art.18. Notevole si è rivelato l'incremento del  lavoro schiavizzato attraverso i   voucher, 35,9% in più. 

Alla fine della fiera, le aziende si sono messe in saccoccia un bel po’ di soldi e si sono assicurate la prerogativa di licenziare a loro piacimento. Non c’è che dire un bel colpo quello del Jobs Act. Resta da capire per chi, per i soliti noti mandanti del governo neoliberista  guidato dell’ex sindaco fiorentino, o per i lavoratori?

 Al di la delle valutazioni sull’efficacia, l’iter di approvazione della legge è sintomatico e spiega molte cose anche sugli obbiettivi della riforma costituzionale Renzi-Boschi.  La  norma sulla disoccupazione e sul precariato (è più corretto definirla in questi termini)  è giunta  in Parlamento come provvedimento  delega su  cui il governo aveva posto la fiducia . Cioè si chiedeva a deputati e senatori di votare la fiducia totale ad un dispositivo vuoto senza un testo da poter analizzare e discutere. Infatti, per lo più l’esecutivo si è approvato tutto da solo.  

Nella  seduta della Camera del 25 novembre 2015 i deputati di opposizione uscirono  dall’aula. Anche perché avrebbero dovuto fare a” fidasse” sui decreti attuativi che Renzi avrebbe inserito solo dopo l’approvazione della legge . Ma il bello venne nella successiva seduta al  Senato del 3 dicembre, quella definitiva. Prima di allora, come al solito, la minoranza dem, strepitava ed urlava, contro il contenuto (presunto) anti sociale della norma. La minaccia era quella di non confermare la fiducia. Fu elargito un contentino, alla “ditta”. Venne  promesso che le tutele dell’art.18 sarebbero rimaste per i licenziamenti da scarso rendimento.  Ovviamente questa casistica non si sarebbe mai verificata e mai si verificherà. Le interruzioni del rapporto lavorativo saranno tutte per motivi economici, mica i padroni sono scemi .  

Si usò, per ammansire la recalcitrante minoranza, lo stesso “aglietto”  della riforma costituzionale sull’elezione dei  senatori, per cui i consiglieri regionali devono tenere conto, non si sa come,  delle indicazione degli elettori nel nominare i 95 di Palazzo Madama. Fatto sta che la legge passò in via definitiva con 166 voti favorevoli,  112 contrari ed un astenuto. Se i 27 senatori piddini dissidenti, non avessero accettato la presa per il sedere sulla reintroduzione  dell’art.18 sui licenziamenti per scarso rendimento, e avessero votato contro, così come fino ad allora avevano promesso, la legge non sarebbe passata.  Per la matematica gufesca 139 sarebbero stati i favorevoli, 139 i contrari, e un astenuto. Siccome al Senato l’astensione vale come voto contrario, lo scempio sarebbe stato evitato. 

Ecco perché serve la riforma costituzionale. E’ necessaria per evitare questi patemi d’animo . Un governo finalmente potrà approvare qualsiasi ulteriore norma lesiva per i diritti dei cittadini senza dover litigare con nessuno, né con  la propria minoranza, né con l’opposizione. Il  voto di fiducia su una legge delega all’esecutivo non sarebbe più una forzatura costituzionale, ma perfettamente legittimo. 

Comunque con il Jobs Act si è raggiunta  una tappa importante nel percorso di devastazione dei diritti dei lavoratori. Un percorso  iniziato nel 1984 (protocollo Scotti) con l’introduzione dei contratti di solidarietà, proseguito nel 1990 con la limitazione del diritto di sciopero, continuato nel 1994 attraverso i contratti di apprendistato, e nel 1997 con il lavoro interinale (pacchetto Treu) . Poi attraverso il libro bianco del 2001, redatto dal ministro Sacconi in collaborazione con il giuslavorista Marco Biagi, le cui direttive costituirono la legge 30 del 2003, partì   il primo attacco all’art.18  dalle cui tutele furono esclusi  gli addetti in aziende con meno di 15 dipendenti. 

Ci sono voluti più di trent’anni per abolire definitivamente le norme sul licenziamento senza giusta causa. Anche per questo  serve la riforma costituzionale. Non è tollerabile infatti che passino altri trent’anni  per ridurre definitivamente i lavoratori in schiavitù, succubi del capitale finanziario. Per  velocizzare i tempi    c’è  la Deforma Renzi-Boschi.   Funzionerà. A meno che il 4 dicembre non si andrà tutti compatti,  a votare No. 

Renzi parla alla segreteria del partito.



Sciopero e No Renzi Day

Il Segretario Provinciale Prc Frosinone Paolo Ceccano



                                                                                                                                                   
   Il Partito della Rifondazione Comunista Federazione di Frosinone aderisce allo sciopero generale indetto dal sindacato USB e a cui si sono associati anche l’USI e il sindacato della scuola Unicobas, con durata di 24 ore.
Le motivazioni dello sciopero sono diverse: si va dalla protesta contro le politiche economiche del governo Renzi e contro il sistema previdenziale regolato dalla legge Fornero, alla contrarietà alla riforma della Costituzione e alla “Buona scuola”, sblocco dei turn over. 
Nella mattinata e nel pomeriggio di venerdì 21 ci saranno presidi e manifestazioni in molte città italiane;il PRC partecipa a quello che si terrà presso piazza A. Gramsci a Frosinone, sotto il palazzo della Provincia, con svolgimento dalle ore 1.00 alle 13.00
Inoltre il PRC Federazione di Frosinone aderisce al Il 22 ottobre NO RENZI DAY, manifestazione nazionale a Roma per dire NO alla Controriforma Costituzionale ed a tutti i suoi autori.
Per l’applicazione dei principi e dei diritti della costituzione del 1948: il lavoro,  la formazione e la scuola pubblica, la casa,  il reddito,  lo stato sociale e i beni comuni in mano pubblica, l’ambiente e la democrazia, la democrazia e la sicurezza sui luoghi di lavoro. la libertà e la sovranità democratica del popolo italiano, oggi sottoposta ad un vergognoso attacco da parte dei governi degli Usa, della Germania e dalla burocrazia della UE.
No alla controriforma costituzionale del governo, della Confindustria,  delle banche e dell’ unione europea.
 No al Jobsact, alla precarietà sociale, alla buona scuola, alla legge Fornero, al decreto madia, alla TAV e alle grandi opere, alla persecuzione dei migranti, alla distruzione dello stato sociale, alle privatizzazioni, ai tagli alla sanità, agli interventi sulle pensioni a favore delle banche, al TTIP ed al CETA.
 No alla guerra, alla nato, alle spese e alle missioni militari, alla repressione padronale, poliziesca e giudiziaria.

martedì 18 ottobre 2016

Lazio Ambiente SPA sulla cessione quote: rifiuti, diritti e democrazia.


Rete per la tutela della Valle del Sacco


Con la Deliberazione 4 ottobre 2016, n. 572 la regione Lazio ha deciso la cessione completa delle quote azionarie (100%) di controllo di Lazio Ambiente S.p.a.

Le motivazioni per questa decisione si riassumono nelle parole che seguono: “ (…) alla luce delle risultanze dell’analisi sopra indicata, la migliore opzione, in termini di fattibilità tecnica, di coerenza con il piano di razionalizzazione e di prospettiva industriale e soprattutto in termini di effetti economici, è l’operazione di ricapitalizzazione parziale con successiva cessione totale di azioni tramite procedura ad evidenza pubblica, in quanto è in grado di massimizzare gli effetti economici dell’operazione e di evitare il coinvolgimento finanziario della regione Lazio per ulteriori investimenti in Lazio Ambiente ed in EP Sistemi, previsti nell’esercizio 2017, per 21,7 milioni di euro;”

La strada intrapresa era già scritta nelle cifre del piano industriale esposte nella delibera 495 del 4 agosto, dalla quale si evinceva che l’asset fondamentale di Lazio Ambiente erano/sono gli inceneritori. Se l’investimento di 21 milioni previsto per il 2017, risultava assolutamente insopportabile per le finanze della regione, quest’ultima doveva comunque intervenire per evitare il collasso della società.

La regione ricapitalizza Lazio Ambiente per 12.600.000 euro equivalenti agli investimenti previsti per il 2016, necessari innanzitutto per mantenere in funzione le due linee di incenerimento del cui stato tutti sono consapevoli, nonostante la società cerchi di non far trapelare alcuna notizia.

Dalla delibera del 4 agosto si evince che sono previsti 7 milioni di investimento per il cosiddetto revamping. Non ci è possibile entrare nel merito di quali interventi si vadano a finanziare con quella cifra, ma siamo certi di fronte alle previsioni di investimento per il 2017 che si tratta di tamponare una situazione prossima al collasso tecnico degli impianti.

In sintesi possiamo concentrarci sulla posta in gioco costituita dagli inceneritori: siamo di fronte ad una prospettiva a breve che comprende, assieme agli investimenti tampone il rinnovo della Autorizzazione di Impatto Ambientale (AIA) per le due linee ed una di lungo periodo che passa per la messa a gara della società.

Sulla prospettiva a lungo non possiamo che ribadire quanto scritto più volte: chi compera una società decotta, con debiti certi e crediti incerti, si sente garantito dalla strategia governativa sui rifiuti che privilegia gli inceneritori e ne decreta il carattere strategico, li sostiene con un mercato unico nazionale, mentre neppure nei confronti delle discariche si emette un verdetto di morte certa. Chi compera vuole che gli siano garantiti molti anni per ammortizzare gli investimenti e cumulare profitti.

La prospettiva a lungo si apre a breve, la delibera lo ribadisce, un arco di tempo per schivare fallimento della società e costi esagerati per la regione, un margine di tempo probabilmente troppo breve per realizzare un coerente ed adeguato intervento di rianimazione degli impianti. La documentazione presentata dalla società in conferenza dei servizi per il riesame dell’AIA, in particolare la  scheda d - Individuazione della proposta impiantistica ed effetti ambientali, solleva numerosi interrogativi, che affronteremo nella giusta sede e nel dibattito pubblico.

Stretti tra la precarietà tecnica, finanziaria ed ambientale del presente ed un futuro che riconsegna il nostro territorio al suo passato, i cittadini di Colleferro e dei paesi limitrofi hanno diritto di conoscere tutta la verità sullo stato degli impianti di incenerimento, ogni informazione sulle vicende passate, sullo stato presente, su ciò che accadrà nell’interregno prima della vendita. La documentazione offerta non offre a nostro parere garanzie sufficienti, mentre le illegalità delle passate gestioni, su cui è in corso un processo, creano molti interrogativi anche sul presente. Una situazione tecnica precaria, confermata dalla quota di investimenti prevista per l’anno in corso, che peraltro va a concludersi, che effetti provoca sulla salute dei cittadini?

Sono domande superflue? Lazio ambiente inauguri allora una politica dei ‘dati aperti’ integrale, dia il buon esempio a tutte le società che gestiscono servizi essenziali per la comunità.

La completa trasparenza sull’oggi è la condizione necessaria per un confronto pubblico sul futuro.

Un futuro che la comunità di Colleferro e del territorio condivide con gran parte del territorio nazionale per la politica sui rifiuti. La risposta di istituzioni locali, comuni, città metropolitane e regioni, quando non è di totale allineamento, è assolutamente inadeguata.

Le nuove amministrazioni non sembrano fare eccezione.

Non è sufficiente una politica che possiamo definire di ‘riduzione del danno’; la trasformazione del ‘ciclo dei rifiuti’ in economia del riciclo, del recupero richiede una volontà ed una progettualità, una capacità di aggregare risorse e competenze sui territori, di informare e mobilitare i cittadini che va ben oltre le logiche che dominano gran parte delle amministrazioni. Amministrazioni, stremate da una politica pluridecennale di sottrazione di risorse e poteri, debbono rendere conto di questa condizione ai propri cittadini, non coprirsi dietro di essa.

Colleferro e la Valle del Sacco non solo sui rifiuti condividono un destino con molti altri territori. Con l’istituzione del nuovo Sin Valle del Sacco, si apre una partita gigantesca proporzionale alla complessità ed alle dimensioni del territori perimetrati al suo interno. Una partita che richiede nell’ambito nazionale miliardi di euro per la bonifica dei siti di interesse nazionale, ma soprattutto la capacità di progettare una diversa economia dei territori, di cui equilibrio idrogeologico, qualità dell’ambiente, eliminazione delle fonti di inquinamento, sono contemporaneamente precondizioni, vincoli ed obiettivi.

La coalizione di interessi che congiurano per negare al nostro territorio un futuro libero dalla dannazione dell’inquinamento di tutte le sue matrici ambientali, ci obbliga a costruire una coalizione contraria nel nostro territorio ed assieme a molti altri nel nostro paese.

Non possiamo pensare che sia sufficiente una pura azione di resistenza, a cui peraltro non abbiamo alcuna intenzione di rinunciare e che pensiamo si debba intensificare. Dobbiamo avere la capacità di riconoscere e di riconoscerci reciprocamente con tutti coloro che chiedono il riconoscimento dei nostri stessi diritti fondamentali, a questo negli anni abbiamo già lavorato e pensiamo sia oggi una condizione irrinunciabile per sperare di vincere.

Il nostro paese vive in queste settimane un confronto sulla democrazia, sulla rappresentanza sull’efficacia della azione di governo, sulla costituzione. I cittadini possono pensare di misurare concretamente quale possibilità hanno di far valere i propri diritti, di misurare concretamente la volontà dei propri rappresentanti di battersi sino in fondo.

Possono cominciare a pensare che c’è un legame inscindibile tra i diritti fondamentali, su cui si fonda la nostra Costituzione e quelli che si vogliono concretamente affermare nel territorio dove vivono e che gli uni e gli altri vanno difesi, affermati e arricchiti, assieme.

lunedì 17 ottobre 2016

Enrico Giannetti: Gli ideali di una vita. Presentazione libro di Roberto Salvatori

Francesco Notarcola – Presidente dell’Associazione Osservatorio Peppino Impastato 


   

 Venerdi’ 21 ottobre 2016, alle ore 16, nel Salone di Rappresentanza  dell’Amministrazione Provinciale di Frosinone, sito in Piazza Gramsci, verrà presentato il   libro: “ ENRICO GIANNETTI – Gli ideali di una vita. Storia di un antifascista tra esilio, Resistenza e dopoguerra (24- 59).   
 Le associazioni  intendono ricordare la figura e l’opera dell’antifascista Enrico Giannetti  (1900-1980),  nativo di  Paliano (FR),  con la presentazione della sua biografia scritta da Roberto Salvatori e pubblicata dalle edizioni  Annales  di Roma. Il libro  è stato recentemente finalista al premio Fiuggi Storia - Lazio Meridionale 2016.
Perseguitato dai fascisti, esule in Francia, militante nel Soccorso rosso durante la guerra di Spagna, confinato politico, comandante partigiano, sindaco di Paliano e dirigente comunista, Enrico Giannetti, durante la lotta di liberazione,  quale referente del PCI e del CLN di Roma, ebbe l’incarico di raccordare militarmente tutto il segmento territoriale che da Palestrina - Monti Prenestini arrivava fino a Frosinone.
    Per questo, nel suo incarico di organizzatore di bande partigiane, e di cellule di partito, toccò diversi comuni della provincia meridionale di Roma e della provincia di Frosinone.
    La manifestazione, alla presenza dell’autore, verrà presieduta da Francesco Notarcola,  presidente dell’associazione “Osservatorio Peppino Impastato” mentre la presentazione del libro sarà a cura del dott. Tarcisio Tarquini, giornalista. Sono previsti interventi di: Giuseppe Riccardi – ex partigiano di Olevano Romano; Nisio Pizzuti che conobbe Giannetti durante gli scioperi  delle cartiere di Isola Liri del 1949; Ivano Alteri- dirigente dell’ANPI provinciale
   
Siamo  certi che non vorrai mancare a simile importante evento
L’iniziativa  è promossa  da:  Associazione Osservatorio Peppino Impastato -  Associazione Italiana Pazienti Anticoagulati -  Associazione Oltre l’Occidente - AUT  Frosinone e UNO e TRE ( giornali Web) -  COBAS - Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. 

Pace in Palestina

Il Segretario Provinciale Paolo Prc Ceccano 
Il Segretario di Circolo Adriano Papetti




Partecipata iniziativa quella che si è svolta ieri a Ceccano a sostegno del popolo palestinese.
Fermiamo l'aggressione violenta israeliana , Fermiamo l'occupazione , fermiamo i bombardamenti, fermiamo una politica sionista – massonica , fermiamo quell'economia  in mano alle grandi lobbies industriali, fermiamo la comunicazione mediatica  che nella maggior parte delle volte ci passa quello che ci vuole far passare e quello che ci vuole far credere, facendoci un vero e proprio lavaggio del cervello. 
Incominciamo a pensare con la nostra testa.
La Palestina  infatti non è qualcosa di lontano, che sta lì distante da noi, qualcosa che non ci riguarda. La Palestina  è il perno di questo grande ingranaggio  chiamato mondo, legato strettamente, anche e soprattutto al nostro occidente.
Come un riflesso in uno specchio. Un grazie di cuore per la riuscita dell'Evento al Prof. Mario Saverio Morsillo, al Medico Yousef Salman, a Maria Raffaella Violano Presidente dell'Associazione Mezzaluna Rossa Palestinese in Italia, Lena Lavermiccola, Andreina Galassi, membri del Direttivo dell'Associazione.. e chiaramente a tutti i partecipanti !!

domenica 16 ottobre 2016

Il "bleus"

Luciano Granieri




Qualcuno ricorderà la parodia del “bleus” di Tony Santagata.  Il cantante pugliese si affannava a dimostrare  come il “bleus” fosse nato a Bari. Si esibiva con la chitarra suonando il gospel,   Oh, when the saints go marching in, cambiando però  le parole, per cui il pezzo  diventata Ti si  magnete  li strascenete  culi cim de rep.  

Quella di Santagata è una bouatade, ma non del tutto campata in aria. Può sembrare strano ma il blues, chiamiamolo col suo nome vero,  si basa su un  forte caposaldo culturale.  Quell’influenza musicale arabo-mussulmana,  che mise le sue prime  radici  nell’area del Mediterraneo e in particolare nel meridione d’Italia, fra  il 690 e il 1072 dc.  Quella stessa influenza  era radicata in molte etnie musulmane che popolavano la savana sub-sahariana .  I negrieri , inglesi, portoghesi e olandesi, all’epoca della tratta degli schiavi  con l’America,   spesso preferivano comprare gli schiavi,  da mercanti arabi, i quali, attingevano in quella zona d’Africa che comprendeva Mahli, il nord del Ghana e della Nigeria, il Gambia il Senegal e il sud del Niger. Le razzie dei negrieri in realtà colpivano anche le etnie residenti nella porzione costiera, corrispondente agli attuali stati della  Liberia, Sierra Leone, Costa D’Avorio, Ghana, Togo, Nigeria e Camerun sudoccidentale. Queste  popolazioni avevano un altro tipo di costruzione  musicale. Esse si esprimevano essenzialmente con la forza delle percussioni, a differenza delle etnie  di influenza arabo-musulmana che privilegiavano forme vocali, una delle più tipiche era il maqam-saba. 

Secondo il musicologo inglese Paul Oliver ad influire sul jazz vero e proprio furono le poliritmie tipiche delle popolazioni costiere, mentre a   dar forma al blues furono litanie, canti  e  musiche delle popolazioni sub-sahariane dell’interno, quelle di influenza musulmana.  Molte cronache sudiste dell’epoca riferiscono della massiccia presenza  di schiavi musulmani. Questi avevano  portato  dall’Africa numerosi strumenti musicali  della tradizione araba come  liuti  e   fiati. Gli stessi strumenti che si suonavano nell’Italia meridionale ben prima dell'anno mille . Ciò fu determinante per la diffusione, nel sud d’Italia   degli stessi capisaldi armonici presenti nell’Africa sub-sahariana.  Quindi  arriviamo, più o meno, alla stessa conclusione  suggestiva di Tony Santagata  per cui il folklore musicale calabrese, napoletano, pugliese, siciliano è molto più simile a quello afroamericano di quanto non si creda. In molti jazzisti italo-americani si nota infatti, epidermicamente, una tendenza alla bemollizzazione delle note,  alle intonazioni calanti,  in definitiva  al blues, che non può essere casuale. 


In realtà gli schiavi africani, una volta sbarcati in America venivano privati dei loro strumenti, per cui l’espressione musicale delle etnie musulmane rimaneva esclusivamente vocale.  Gli schiavi , che erano riusciti a reperire qualche  strumento o a costruirne dei poveri surrogati, provavano  ad  esprimere il proprio atavismo utilizzando la metrica musicale di bianchi. Ma ciò era  impossibile, o quanto meno complicato. Perché le intonazioni oscillanti, l’iterazione cantilenante del canto di derivazione araba potevano essere espresse strumentalmente utilizzando la scala pentatonica africana,  anziché quella diatonica tipica della tradizione europea.  Si crearono in tal modo le caratteristiche note blues che, per convenzione, si indicano nella bemollizzazione del mi e del si. La  “bemollizzazione” è una definizione  musicale europea  non proprio esatta per descrivere il fenomeno delle “note blues”, di fatto note “di mezzo” assai vaghe e strascicate, con un’intonazione influenzata dalle spiccate caratteristiche di “parlato”.  

Queste  espressioni armoniche si contaminarono con la vasta gamma di soluzioni ritmiche proprie delle popolazioni deportate dalle zone  africane costiere, dando origine ad una forma originale, quale il blues arcaico.  Una musica dalle forti rivendicazioni  sociali.  Longstreet e Dauner ne “il dizionario del jazz” (Il saggiatore) scrissero: “Il blues è ironico, sarcastico, tragicomico, di accusa, ma non è mai lacrimevole, nostalgico e ancor meno sentimentale. Temi preferiti sono la donna  e l’uomo abbandonati, la povertà, la posizione sociale, la discriminazione razziale. Soprattutto in questo ultimo caso ci si serve di una satira mordace con frequenti allusioni a problemi di attualità e politici.” 

Sapere che forti elementi costitutivi del blues erano presenti nel Mediterraneo e nell’Italia meridionale, è l’ennesima dimostrazione di come la cultura, la musica, non conosca confini. Non ci sono steccati che possano fermarla.  E per tutti coloro che pretendono di impedire, attraverso muri e barriere, l'approdo in Europa   delle migliaia di persone che scappano  dalla  guerra, o  dalle zone  flagellate dagli interessi del capitalismo finanziario, questa è una brutta notizia, perché come dimostra la storia del blues , l’integrazione è un processo irreversibile. Si può rallentare a prezzo di sanguinosi  e criminali genocidi, ma non si può fermare.

Il brano che segue può essere indicativo di come agiscano le influenze arabe sull’armonia blues. Si tratta di  Empty Bank, un pezzo tratto dalla colonna sonora del film di Dennis Hopper,  The Hot Spot,   realizzato nel 1990. Non una pellicola  memorabile, ma la colonna sonora, composta da Jack Nitzsche ,  vede protagonisti  musicisti e blues man eccezionali. L’immenso Miles Davis alla tromba ,  Joe Lee Hooker, chitarra e voce, quindi  i  chitarristi Taj Mahal e Roy Rogers, straordinario con la slide guitar, il bassista Tim Brown, il batterista Earl Brown .

Good Vibrations