Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 8 giugno 2013

In attesa di arrivare al 100%

Simonetta Zandiri



A proposito della grillesca scatola di tonno, " A che serve questo Parlamento? A cosa servono le elezioni? Il Parlamento è incostituzionale in quanto il Porcellum è incostituzionale e ora pretende di cambiare la Costituzione su dettatura del pdl e del pdmenoelle? ". Scusi, signor Beppe Grillo, ma a che serve far notare che il PORCELLUM è INCOSTITUZIONALE dopo aver chiesto a MILIONI di ITALIANI di VOTARVI con quella legge, in quel contesto che ora dichiarate INUTILE? Le faccio notare, inoltre, che i pochi cittadini che si sono opposti al voto con questa legge non costituzionale verbalizzandone le ragioni e poi denunciando queste elezioni come ilegittime, sono stati IGNORATI da tutti i media (anche i suoi) e insultati anche pesantemente da apparenti pentastellati (non voglio generalizzare perché ci sono molte persone in gamba nel M5S).
Se ci si fa eleggere prima e poi si grida che il sistema con il quale si è stati eletti è incostituzionale, di fatto si ammette comunque una certa complicità. E adesso che siete dentro "una cosa inutile", che ci state a fare?
Ah già. Rimanete in attesa di arrivare al 100%.
Dimenticavo.

OM Carrelli Bari Reportage da una fabbrica in lotta

di Nicola Porfido




Il 17 maggio, dinanzi ai cancelli della fabbrica Om Carrelli Bari, appartenente al gruppo tedesco Kion, ha luogo un’assemblea pubblica presso il presidio permanente dei lavoratori che affrontano l’ennesima minaccia per il proprio posto di lavoro in seguito all’ennesimo fallimento delle trattative di riconversione dell’azienda.
La parola agli operai: no alla gestione padronale fallimentare!
Citiamo dunque la dichiarazione di Francesco Carbonara, operaio Om in lotta nonché militante di Alternativa Comunista, la quale sostiene in toto la lotta dei lavoratori Om:
Dopo l’annuncio della chiusura del sito di Bari da parte della Om Carrelli, il 5 luglio 2011, e dopo due anni di passione segnati da vari tentativi di riconversione industriale falliti, sembrava che le cose avessero cambiato binario. Il 15 gennaio si era infatti firmato al Ministero dello Sviluppo Economico un accordo con gli inglesi della Frazer Nash che si impegnavano a rilevare lo stabilimento e a convertire la produzione per costruire i famosi taxi londinesi. A seguito di questa enunciazione, acquisite le varie rassicurazioni dalle istituzioni, MiSE e Regione Puglia, sulla bontà dell’accordo firmato, i lavoratori sotto direttiva dei sindacati ultimavano la produzione residua di carrelli Om. Si pensava a una storia a lieto fine, per così dire, in netta controtendenza con quella che è la situazione disastrosa in cui versa oggi il mondo del lavoro. Ma il 29 aprile arrivava l’ennesima doccia fredda, ovvero l’annuncio (attraverso una e-mail!) di ritiro da parte di Frazer Nash, che faceva ripiombare i lavoratori in un nuovo incubo.
Anche se oggi i lavoratori, con grande spirito di sacrificio, hanno organizzato un presidio permanente davanti i cancelli per impedire l'uscita dei macchinari, non si può non notare come questa vertenza sia stata gestita con subalternità piena al padronato da parte delle istituzioni. MiSE e Regione Puglia si sono fatte raggirare e non hanno avuto la minima influenza sulle decisioni della multinazionale inglese, la quale notiamo può svincolarsi con estrema facilità da qualunque legame senza pagare alcuna conseguenza, anche dopo aver firmato un accordo quadro in sede ministeriale. Anche il sindacato in questa storia ne esce con le ossa rotte. Oggi gli ex lavoratori Om, affermando che se avranno la fortuna di avere un futuro lavorativo non avranno più una tessera sindacale in tasca, giudicano negativamente l’operato dei sindacati colpevoli di non aver fatto altro che affidarsi alle notizie che arrivavano da Roma, determinando così la scelta di finire la produzione di carrelli. In questo modo Om va via senza aver subito il benché minimo danno. Ad oggi nessuno ha ancora avuto la decenza di dare notizie ufficiali ai veri protagonisti di questa storia, i lavoratori, che vedono così anche calpestata la propria dignità umana oltre che lavorativa. In ogni caso, con grande coerenza, continueremo ad attendere la fine di questa vertenza lì dove è stata sempre la nostra casa, davanti i cancelli della fabbrica
.”
Questo ed altri interventi si susseguono, con l’intervento di lavoratori Om, lavoratori di altre realtà del territorio, dei giovani di Alternativa Comunista, di dirigenti del Pdac, dell’associazionismo del territorio e del Coordinamento Pugliese dei Lavoratori in Lotta (aderente a No Austerity - coordinamento delle lotte). Il filo comune degli interventi si dipana sul "tradimento" delle istituzioni e delle burocrazie sindacali, incapaci di far rispettare i diritti dei lavoratori persino davanti ad un accordo al ministero, mostrando a pieno nei fatti come gli interessi della borghesia e quelli dei lavoratori siano incompatibili e opposti. L'unico interesse del sistema e delle sue istituzioni è allora quello della salvaguardia dei profitti privati socializzando le perdite sulle spalle delle classi più deboli. 
La necessità della gestione operaia
Ritornando all’iniziativa pubblica, è di importante rilevanza citare un secondo filo conduttore degli interventi susseguitisi, cioè la necessità di non affidare più al padrone aziendale o alla multinazionale la direzione della produzione di uno stabilimento. Se queste, dopo anni di finanziamenti pubblici, dichiarano di non essere in grado di poter garantire produzione e lavoro allora stabilimento e macchinari passino nelle mani dei lavoratori, che sono coloro che in realtà portano avanti una fabbrica, ricevendo però solo una misera parte del profitto che invece va a gonfiare le tasche già stracolme di imprenditori e dirigenti che a piacimento lasciano chiudere stabilimenti per aprirne di altri dove la manodopera costa meno e dove quindi hanno possibilità di accrescere i loro già enormi profitti, sulle spalle di proletari e lavoratori in qualche altra parte del mondo… prima di abbandonare anche loro dopo un po’, s'intende.
Tema conclusivo dell’assemblea pubblica è l’organizzazione di una manifestazione nella città di Bari, per portare questo piccolo nucleo di lotta alla ricerca di altre realtà magari isolate e fiaccate dalle ormai note manovre di pompieraggio dei focolai di lotta da parte di istituzioni e parti sociali concertative.
Le intimidazioni poliziesche e la determinazione della lotta
Da segnalare anche l’intervento delle cosiddette forze dell’ordine il 20 maggio. Ai cancelli della fabbrica arrivano due camionette della polizia in assetto antisommossa ed alcuni agenti della Digos. A conti fatti si è trattata solo di un’azione di intimidazione con un timido tentativo di far entrare in azienda un camion per prendere i macchinari già smontati. Gli operai accorsi si sono seduti davanti i cancelli aperti impedendo qualunque passaggio e così il camion è andato via. Questa azione è sicuramente servita come deterrente da parte dell’azienda per dimostrare la “illegalità”  del presidio permanente dei lavoratori. Ma allo stesso tempo ha potuto portare alla ribalta  delle testate giornalistiche una situazione stranamente taciuta fino a quel momento.
La manifestazione del 29 maggio e l'occupazione del lungomare di Bari
Ha infine luogo, il 29 maggio, la manifestazione dei lavoratori dinanzi al sede della regione Puglia sul lungomare di Bari. Alla manifestazione accorrono un buon numero di lavoratori dell’Om e di altre realtà lavorative e associazioniste. Pieno appoggio all’iniziativa ovviamente viene anche stavolta da Alternativa Comunista e dai suoi militanti presenti al sit-in. Così, armati di tamburi e megafoni, in attesa del colloquio con l’assessore, i lavoratori invadono la strada prendendo a passeggiare avanti e indietro tra i due lati della strada, intonando cori e parlando tutti quanti tramite megafono ed improvvisando difatti un’assemblea pubblica sul momento. Scontati i tentativi di sgombrare la strada da parte degli agenti, prima con le buone e poi con la minaccia di denuncia e la seguente azione intimidatoria da parte di un agente a volto coperto, il quale prende a scattare foto ai presenti, comprese persone tranquillamente sedute ben lontane dalla strada.
Volontà comune, chiesta a gran voce, è di far scendere l’assessore a parlare per strada, alla porta del palazzo della regione, piuttosto che arroccarsi ancora una volta dietro un tavolo al chiuso di un ufficio istituzionale. Questa volontà viene ovviamente lasciata inascoltata e dopo un po’ i sindacati entrano del palazzo della regione. La manifestazione intanto prosegue incessantemente e la strada non viene sgomberata nonostante le citate intimidazioni delle forze dell’ordine. Dopo un’ora e mezza i rappresentanti sindacali tornano in strada portando la testimonianza di impegni presi a parole da parte dell’assessore e del prefetto (contattato telefonicamente) in un continuo ringraziamento alle istituzioni, nonostante il tema di cori e slogan dei lavoratori manifestanti ricordasse chiaramente e senza ambiguità come, ad esempio, in campagna elettorale la situazione dell’Om era data per risolta da parte del governatore Vendola, salvo poi ritrovarsi al punto di partenza ancora una volta. Insomma niente di nuovo viene fuori dai palazzi di governo, tranne il solito rinvio al solito tavolo istituzionale a Roma. Detto questo, chiunque avrebbe potuto raccogliere tra le facce e le parole dei lavoratori la totale sfiducia nel sentire ancora una volta le stesse parole di promessa e rinvio, un’eterna agonia per chi ha da dare subito una risposta alle proprie famiglie stremate dai costanti sacrifici che sono costrette ad affrontare da anni.

Perché cambiare la Costituzione?

Rossana Rossanda. fonte: http://www.sbilanciamoci.info/


Perché avviarsi in gran fretta verso la riforma costituzionale? Perché non sono più le leggi a uniformarsi alla Costituzione, ma è questa a doversi piegare ai dettati neoliberisti. E l’ossessione “governabilità” guida la nuova legge elettorale. Dietro le “larghe intese”, il ridisegno costituzionale calpesta la democrazia
Credo che nessuna delle democrazie europee abbia furia di cambiare la propria Costituzione come l’Italia. Uno apre il giornale e trova un giorno sì e un giorno no l’annuncio di modifiche urgenti. Sabato scorso, il Presidente della Repubblica ci ha informato che vigilerà sui tempi dei cambiamenti, che auspica molto rapidi; anche se in un sistema come il nostro, a dire il vero, il suo compito non sarebbe vigilare sui tempi dei cambiamenti ma sulla fedeltà e permanenza della legge fondamentale sulla quale è stata incardinata la nostra Repubblica.
È dunque da discutere, prima di ogni altra cosa, se i cambiamenti siano necessari oppure, al contrario, rappresentino un vulnus all’immagine fondamentale che ci siamo dati dopo il fascismo. Che cosa sarebbe cambiato nella nostra società al punto da dover mutare i principi stabiliti nel 1948? In verità, come si vede facilmente, è cambiato soprattutto il punto di vista dominante sulla struttura sociale, come se il trionfo del neoliberismo su un impianto che era, come dovunque in Europa, piuttosto keynesiano, comportasse non l’adeguamento delle leggi normali ai principi costituzionali – come dovrebbe essere – ma il contrario. È un problema, anzi – diciamolo – una “malattia” che dovrebbe farci riflettere.
Di fatto, la prima parte della Costituzione del 1948, mancando perlopiù di una regolamentazione legislativa, resta puramente ottativa: che l’Italia sia una repubblica fondata sul lavoro non è che un auspicio, come il diritto di ciascuno ad avere un impiego o una casa. La prima Repubblica ha vissuto al proprio interno lo scontro fra chi voleva rendere effettivi questi principi e chi vi si opponeva; sono rimasti in gran parte irrealizzati. La seconda o terza Repubblica (dipende dai punti di vista) si dà da fare sia a destra sia a sinistra per modificare la seconda parte della Costituzione, cioè l’assetto istituzionale italiano. Già lo ha fatto sul Capitolo V un governo di centrosinistra e adesso quello delle “larghe intese” sembra tutto tentato nientemeno che dal presidenzialismo, preferibilmente “alla francese”, perché sembra meno rigido, in quanto obbliga il presidente, eletto a suffragio universale, ad avere però l’accordo del parlamento, anche se eletto da una maggioranza diversa.
In verità quella francese, ideata da De Grulle, è un monarchia sotto veste repubblicana, abbastanza laica, ma nella quale onori e oneri del presidente sono evidentissimi. Probabilmente De Gaulle li ha voluti per fare la pace in Algeria senza dover passare dalle Camere, come Mitterrand ha abolito la pena di morte. Ma ne è conseguita, e permane, una diminuzione clamorosa del ruolo del parlamento. Se l’Italia deve seguire questa strada, mi sembra elementare che si debba discuterne, almeno quanto ne discussero i padri costituenti; non sarebbe decente che le “larghe intese” fra due o tre grossi partiti decidessero tutto.
Per conto mio, da semplice cittadina che viene da lontano, penso che la discussione vada aperta subito e sono lontana dal credere che il presidenzialismo sia una buona soluzione a problemi e scogli tutti politici, e niente affatto istituzionali. È persino stupefacente che oggi molti movimenti e tutti i partiti, non solo i Cinque stelle, domandino il massimo del riavvicinamento della politica ai cittadini e il massimo del potere nelle mani di uno solo, come sarebbe il presidente. È il paradosso dell’odierna confusione che regna. E si deve al fatto che i partiti, considerati dalla Costituzione canali necessari della rappresentatività, sono diventati all’opposto il collo di bottiglia attraverso il quale è costretta la rappresentanza, con i relativi difetti e quando non l’illegalità. Contro se stessi, i partiti non hanno finora accettato di darsi degli statuti e delle regole che ne garantiscano realmente la trasparenza, ma potrebbero darseli.
Questo vale anche per il finanziamento che potrebbe essere non solo ridotto, ma soprattutto tale da garantire al sistema partitico di rinnovarsi, invece che, come ora, riprodurre soltanto i più forti. Come può presentarsi oggi un partito nuovo? Sono le elezioni che ne confermano o smentiscono la legittimità e il ruolo, tutta la questione del “voto utile” si impaluda qui; se in partenza ad ogni elezione i diversi partiti sono in una diversa posizione di forza e di mezzi, è evidente che ogni competizione viene falsata: nessuna gara sportiva accetterebbe un sistema analogo. Per cui abbiamo pochi grandi partiti difficilissimi da intaccare e piccole formazioni che non riescono ad affermarsi oppure – variante che preoccupa gli uni e gli altri – spinte populiste, del tutto aliene da qualsiasi regola, generalmente nelle mani di un paio di capi, più o meno carismatici, schiamazzanti e incontrollati.
La difficoltà di darsi una legge elettorale che non sia l’attuale capolavoro di Calderoli viene da questa situazione preliminare. È sorprendente come la si accetti, quasi fosse una necessità e non una violazione di quel principio costituzionale per il quale ogni cittadino è uguale nel voto e dovrebbe quindi essere uguale nel diritto a farsi rappresentare. Da un bel po’ di anni, sia a destra sia a sinistra questo principio è stato abbattuto dalla priorità data al concetto di “governabilità”: in parole povere, esso significa passar oltre alla rappresentanza integrale per assicurare artificialmente, attraverso sbarramenti o premi, a una minoranza espressa dal voto una maggioranza di seggi nelle istituzioni legislative. Che non si riesca, perché da quasi nessuna parte lo si vuole, neppure a ridurre il premio di maggioranza attuale, che sposta del tutto la rappresentanza, appare addirittura sorprendente. Di che democrazia stiamo parlando? L’Italia è realmente una democrazia parlamentare o una oligarchia formata dai vertici di alcuni grandi partiti, che dominano le istituzioni? Una come me pensa che i partiti siano necessari per raggruppare e ordinare le diverse idee di società e le misure legislative che ne conseguono; ma non sono affatto la democrazia in sé. Questo è il problema principale di oggi, e implica che ci si confronti di nuovo su cosa intendiamo per democrazia nel 2013. Il documento di Fabrizio Barca, che nessuno in Parlamento discute, affronta in modo interessante il passaggio – che sembra obbligato – fra democrazia rappresentativa e formazione dello stato. Passaggio che sarebbe eliminato se si riconoscesse la differenza radicale fra ruolo dei partiti e ruolo, anzi natura, dello stato.
Fin qui il cambiare o mantenere la Costituzione sembra un tema che riguarda gli assetti istituzionali, che pure sono essenziali, ma non si tratta solo di questi. L’intera struttura dei diritti sociali ne dipende, giacché è evidente che quel che chiamiamo un po’ approssimativamente il welfare si esprime in modo diverso secondo le diverse ideologie, cioè la coscienza di sé e la proposta di assetto istituzionale e di società che avanzano le diverse parti politiche e “sociali”. L’ideologia capitalista tende a ridurre il welfare, cioè i diritti vitali dei cittadini rispetto non soltanto allo stato ma ai poteri economici; la sinistra più o meno socialisteggiante tende, anzi – per la verità – tendeva, ad allargarli; l’ideologia “liberale” a restringerli.
Ne deriva un’idea diversa, per non dire antagonista, delle principali regole economiche: la destra vuole ridurre al minimo la fiscalità, intesa come presenza di uno stato regolatore con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze. La sinistra tende ad ampliarla in senso progressivo (con l’eccezione dell’ipotesi comunista, che anch’essa sarebbe in linea di principio antistatalista, ma in concreto non è mai riuscita ad esserlo, cioè ad esprimere un sistema di regole che non siano “lo stato”). Lo stesso ragionamento vale per la politica “economica”: la destra la vuole lasciare interamente alla mano invisibile del mercato, la sinistra la vorrebbe (la voleva) capace di raddrizzarne le disuguaglianze in nome di un primato dell’equità sociale (quanto questo concetto sia vago è un altro discorso).
Inutile dire che le altre politiche “sociali” ne conseguono. Predicare che fra di esse debbano prevalere “le larghe intese” significa presumere l’esistenza di un interesse comune che in realtà non esiste e, nella migliore delle ipotesi, lasciare le cose come sono, cioè, in Italia, a una vasta predominanza degli interessi costituiti del capitale, oggi dominato dalla finanza; interessi che – ormai è chiaro – non significano neppure garanzia di una crescita produttiva, magari crudele ma sicura. Ecco come agli occhi di una semplice cittadina si presenta il tema delle riforme istituzionali e in esse del presidenzialismo. Vale la pena, anzi è urgente, discuterne nel modo più chiaro e più a fondo. Può darsi infatti che le stesse premesse da cui la sottoscritta cittadina parte siano da discutere; ma allora bisogna farlo nel modo più esplicito.

giovedì 6 giugno 2013

Resistaenza turca.

Luciano Granieri


Il tentativo del governo turco di demolire un parco  ad  Istanbul  per costruire  un centro commerciale ha innescato la rivolta. A seguito della protesta dei cittadini turchi contro la distruzione del verde per far sorgere l’ennesimo  avamposto della dittatura del mercato,  Erdogan  appoggiato da gruppi fascio-islamisti ha  a scatenato la sua polizia contro i manifestanti. La protesta si è trasformata in ribellione e da Istanbul si è propagata in tutta la Turchia, fino  ad Ankara  da Izmir a Taksim. Anche nelle città in cui il patito di Erdogan aveva ottenuto  un grande consenso è scoppiata la rivolta.  Alla  lotta ancora in corso  partecipano tutte le categorie dei lavoratori  guidati dal più grande sindacato del paese Kesk che ha indetto uno sciopero. Dovunque sorgono barricate e focolai di resistenza   e spesso la polizia nonostante il lancio di lacrimogeni e getti d’acqua è dovuta arretrare.  La violenza delle forze dell’’ordine turche è stata feroce. La polizia  ha ucciso manifestanti  proceduto ad arresti e torture. Ma la rivota non si ferma. I cittadini  continuano nella loro resistenza massiccia sulle note di “Bella Ciao” cantata in Turco. L’episodio è significativo di come la lotta partigiana al nazifascismo sia diventata  un simbolo ed un esempio di resistenza universale.  Solo nel Paese in cui si è generata ed è risultata decisiva per la conquista della libertà,  cioè l’Italia, la resistenza partigiana subisce ignobili delegittimazioni e  tentativi di sabotaggio attraverso odiosi revisionismi storici. I Turchi stanno prendendo esempio dai partigiani, quando noi prenderemo esempio dai turchi?



Foto tratte dal sito cotnropiano.org

Turchia La rivoluzione è arrivata anche qui

dichiarazione di Red Movement
(sezione turca della LIT - Quarta Internazionale)



Come risultato della crescente oppressione del governo, che ha raggiunto un carattere fascisteggiante, ha avuto inizio una ribellione in tutta la Turchia. Il governo, che voleva demolire un parco a Istanbul per costruire lì un centro commerciale, ha scatenato la sua polizia contro una pacifica manifestazione il 28 maggio. Gli eventi che sono iniziati alle 5 della mattina sono continuati per tutto il giorno e si sono trasformati più tardi in una ribellione. Le masse popolari, che si sono unite istintivamente alla rivolta, hanno riempito le strade. Ci sono stati violenti conflitti a Istanbul, Ankara, Izmir e in tutto il Paese, anche nei villaggi.
La principale causa della ribellione è che il governo dell’Akp, che è una marionetta dell’imperialismo, voleva forzare le masse a fare qualsiasi cosa volesse con un atteggiamento oppressivo e sprezzante. Ha imposto leggi reazionarie, ha sostenuto gruppi fascio-islamisti in Turchia, ha attaccato gli Alauiti, ecc. Anche se in questo momento vi sono varie richieste sul campo, la ribellione, che si è sviluppata contro le politiche oppressive e reazionarie della dittatura del capitale, avanza principalmente rivendicazioni democratiche.

Sono state le organizzazioni di sinistra che hanno dimostrato una forte determinazione a continuare la resistenza il 31 maggio e che hanno diretto le proteste.
I militanti della Lit sono stati coinvolti negli scontri sin dal primo giorno della protesta e sono sulle barricate. Verso mezzogiorno, le barricate sono state erette in piazza Taksim con la partecipazione di settori di massa che, quando la polizia ha attaccato, in migliaia hanno resistito fino alla mattina successiva. Il pomeriggio del sabato (primo giugno), la polizia, che non riusciva a reprimere la ribellione, ha dovuto ritirarsi dalla piazza e le masse hanno preso Taksim. I militanti della Lit sono stati tra i primi a entrare a Taksim. Alcuni dei nostri militanti sono stati seriamente feriti durante gli scontri, colpiti da proiettili di gas lacrimogeno. Mille persone sono state detenute e circa altre mille sono state ferite. Come mostrano i video, la polizia ha lanciato lacrimogeni all’interno delle case, contro le barche che attraccavano alle banchine, ha condotto contro le masse i suoi veicoli blindati sparando senza pietà con i cannoni ad acqua, i manifestanti che venivano catturati nelle strade sono stati torturati.

Violenti conflitti continuano ad Ankara, Adana e Izmir, e anche nelle città dove il governo ha ottenuto alte percentuali di voti, come Kayseri, Nigde, Kirikkale, Erzurum, Konya, le masse si sono unite alle proteste. I militanti della Lit sono in prima fila nella ribellione dovunque sono attivi, principalmente a Istanbul, Izmir, Ankara, Antalya, Sakarya, Adana e Bursa.
Attualmente la rivolta non ha apparentemente un carattere di classe e la classe media e la piccola borghesia sembrano essere per il momento predominanti. Le masse in rivolta hanno imparato come organizzarsi e questa è la prima volta nella storia della Turchia che vediamo una resistenza così militante, così massiccia e in cui il governo è sfidato così apertamente. Partecipano tutti i settori lavorativi. Tra l’altro, il più grande sindacato di sinistra del Paese che organizza lavoratori pubblici, Kesk, ha indetto lo sciopero. Anche altri sindacati stanno discutendo se indire lo sciopero. Comunque, la debolezza della sinistra e la mancanza di una leadership rivoluzionaria è ancora largamente evidente.
Inoltre, il primo ministro dell’oppressivo governo reazionaria, Tayyip Erdogan, ha lasciato il Paese per visitare il re del Marocco, suo simile. Anche se si è mostrato sprezzante e ha insultato i manifestanti, il colore della faccia mostrava i suoi veri sentimenti.


Nonostante la sua forza limitata, l’organizzazione della Lit (Red movement) sta avendo un ruolo importante nelle mobilitazioni ed è determinata a sviluppare questo ruolo.
Queste sono attualmente le nostre principali parole d’ordine:
* Il governo deve dimettersi
* La polizia assassina e torturatrice, nemica del popolo, deve essere chiamata a rendere conto, insieme con le autorità che l’hanno diretta contro le masse
* Organizziamoci per proteggere le strade
* Le barricate sono innalzate, ora è tempo di entrare in sciopero!
* Barricate! Sciopero! Rivoluzione!

mercoledì 5 giugno 2013

Pre-dissesto, Frosinone come la Grecia

 ControCorrente per una sinistra dei lavoratori























Il 27 marzo il consiglio comunale di Frosinone  ha approvato a maggioranza (il centro sinistra è uscito dall’aula) la dichiarazione di pre-dissesto  finanziario per  fare fronte ai circa 50 milioni di euro di debiti (mille a cittadino). Il pre-dissesto o, per essere più precisi la “procedura di  riequilibrio  finanziario pluriennale”, è un istituto introdotto dal Governo Monti (Legge 13/2012) in alternativa al dissesto, introdotto con l’articolo 25 del Decreto Legge  66/1989 e disciplinato successivamente con altri interventi legislativi.

Che cos’è il pre-dissesto ?

Il Comune che proclama lo stato di pre-dissesto deve approvare entro 60 giorni un “piano di rientro” della durata massima di 10 anni e può  accedere – se la Corte dei Conti approva il pano- a un prestito fino a 300 euro per ogni residente, presi dal fondo “salva-comuni”  (ma Napoli la prima città a dichiarare il pre-dissesto, dei circa 300 milioni previsti finora ne sono stanziati 50). Il Comune ha tempo 10 anni per restituire il prestito che lo Stato può eventualmente recuperare sottraendo rate dei trasferimenti al Comune.  In cambio, lo Stato chiede al Comune di:
-analizzare le cause dello squilibrio e rimuoverle
-Non contrarre più debiti,  ridurre le spese del personale
-Far pagare integralmente ai cittadini, attraverso le tariffe, i costi dello smaltimento rifiuti  e della gestione dell’acqua
- procedere ad una revisione periodica dei debiti, eliminando quelli di “dubbia esigibilità
- aumentare aliquote e tariffe fino alla misura massima prevista (anche in deroga alle limitazioni esistenti)
- ridurre la spesa per i servizi e aziende partecipate
-vendere tutti i beni patrimoniali non necessari
- ricalcolare la pianta organica dei dipendenti comunali  mettendo “ a disposizione” gli eventuali dipendenti in eccesso.
Si tratta di una “grecizzazione” della crisi. Ti prestano  dei soldi e con questo pretesto regalano una fetta di mercato dei servizi ai privati, riducendo le prestazioni e aumentando le tariffe; svendono a privati beni pubblici; cancellano debiti di alcuni (vedi gli oneri concessori dovuti al Comune dai costruttori) e li fanno pagare alle gente che lavora.
Chi ci guadagna?
A guadagnarci sono prima di tutto le imprese che prendono il controllo di una fetta di economia assistita, cioè senza rischio, perché si tratta di servizi indispensabili e pagati dai cittadini. Poi ci sono i politici, che in questi anni sono stati responsabili del disastro.  L’istituto del pre-dissesto infatti permette di far scattare le misure di emergenza prima del dissesto vero e proprio che comporterebbe:
-          L’affiancamento degli organi istituzionali del Comune (Sindaco, Giunta, Consiglio)  da un organismo di liquidazione composto da tre persone scelte tra ex componenti in pensione della Corte dei Conti  o della magistratura ordinaria, funzionari dello Stato ed esperti a vario titolo.

-          L’ineleggibilità per 10 anni  degli amministratori o ex amministratori a cui siano attribuite gravi colpe per l’insorgere dello squilibrio finanziario.



Il gioco delle parti PD-PDL

Questo spiega il “gioco delle parti” che si è instaurato tra maggioranza di centrodestra e opposizione di centrosinistra. Il Sindaco Ottaviani avrebbe potuto avviare un’azione legale nei confronti della precedente amministrazione, ma non lo ha fatto e ha scelto la procedura di pre-dissesto che al centrodestra garantisce di continuare a governare, senza essere affiancati da un organismo di controllo, mentre al centrosinistra garantisce l’impunità rispetto alle malefatte della precedente giunta. Tutto questi a spese dei cittadini e dei lavoratori del Comune delle aziende partecipate,  a partire dalla Multiservizi.


Questa azienda partecipata dalla Regione, dalla Provincia e dai Comuni di Frosinone e Alatri, in questi anni ha dato lavoro a quasi 300 persone, coprendo servizi fondamentali per i cittadini (strade, segnaletica, assistenza disabili, biblioteche e cultura, asili, parcheggi, cimiteri ecc.), insomma tutto ciò che serve per far funzionare una città in una società civile. Il Comune di Frosinone, di Alatri e la Provincia in questi anni hanno impiegato questi  lavoratori , perlopiù ex LSU, beneficiando di  finanziamenti statali o regionali e dunque risparmiando sul costo del lavoro, che è una delle voci più onerosi nei bilanci degli enti pubblici.  In compenso nel 2011 il ComunE di Frosinone pagava 10 dirigenti ( circa 1 ogni dieci dipendenti: il Comune di Genova ne aveva 93 per 6100 dipendenti, cioè uno ogni 65) con un costo di 850mila euro (esclusa la retribuzione di risultato), di cui 400mila a titolo di “posizione organizzativa”, un istituto che permetti di fatto di raddoppiare lo stipendio dei funzionari pubblici (dati tratti dal vecchio sito del Comune di Frosinone). Altri  700mila euro costano i 9  dirigenti  della provincia, mentre per quanto riguarda il Comune di Alatri non è dato saperlo, perché il sito, nella sezione trasparenza pubblica non riporta i dati. Tra gli stipendi  eccellenti pagati dal Comune di Frosinone  anche quello di Francesco  Delvino, ex comandante  dei vigili, indagato per una vicenda di tangenti legate ad appalti per la videosorveglianza delle strade.  Protetto di Sandra Mastella, che lo volle capo dei vigili a Benevento e provò a licenziare l’allora direttore della ASL locale, proprio perchè si opponeva ai progetti di Delvino.  Di fronte alla decisione di Ottaviani di affidare  i servizi alle cooperative, garantendo il posto di lavoro per 5 mesi, il centrosinistra ha risposto proponendo il passaggio dei servizi e dei  lavoratori alla Servizi Strumentali srl un’azienda pubblica già costituita, con un risparmio di circa un milione di euro l’anno.  La regione di Zingaretti, pur  continuando a convocare tavoli tecnici , di fatto non ha chiesto al Comune di sospendere la procedura di affidamento , né prende una posizione sul futuro di una sua azienda, né mette i  quattrini a disposizione e dunque i lavoratori ( e i ci cittadini) si trovano ancora una volta invischiati in un gioco delle parti tra il centrodestra , che va avanti sulle coopreative , e il centrosinistra , che sventola proposte alternative, ma non fa nulla per realizzarle.



Ma i soldi per gli amici ci sono….

Negli anni 2003-2008 la Provincia di Frosinone ha realizzato una serie di operazioni finanziarie,  attraverso rischiosi investimenti nei cosiddetti  “derivati”, di cui non si ha documentazione competa ovvero non si sa quanto siano costati, se abbiano prodotto utili e dove siano finiti. Si sa però che la somma incassata a seguito dell’estinzione di un contratto SWAP nel 2009 è finita in parte (500mia euro) alla Caritas e in parte (62mila euro) nelle tasche dell’allora dirigente dei servizi finanziari.
La Provincia e il Comune di Frosinone sono socie dell’Aeroporto di Frosinone Spa  (che di recente ha eletto un nuovo consiglio d’amministrazione), una scatola vuota che dal 2006 al 2009 ha prodotto perdite per circa 400mila euro, pagando Consiglio di Amministrazione, dipendenti , consulenze  e realizzando operazioni finanziarie per importi rilevanti. Il precedente sindaco Marini  ha rivendicato la partecipazione del  Comune alla società definendola strategica, nonostante la richiesta della Corte dei Conti di mettere l’Aeroporto Spa in liquidazione.
Sempre Provincia e Comune nel 1991 hanno dato vita alla Società Interportuale Frosinone Spa,  giudicata dalla CdC “inattiva” e che fino al 2009, data dell’ultimo bilancio, aveva prodotto perdite per 880mila euro. Anche in questo caso l’ex sindaco Michele Marini definiva la società “non inattiva ma in fase di avvio”.
La Provincia è socia al 40% della  Agenzia provinciale per l’Energia di Frosinone Scarl, a cui la CdC attribuisce “violazione del principio di buon andamento  e dei canoni d’efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa . Immobilizzazione di capitale pubblico in un organismo partecipato qualificabile quqle mero centro d’imputazione di costo fissi. La società, senza scopo di lucro, è stata inattiva dalla data della sua costituzione sino al 31/12/200. Il capitale sociale nominale è pari ad € 11.611. Le perdite di gestione per gli anni 2006 (51.709 euro) e 2007 (17.106) sono superiori al valore del capitale nominale”. L’Agenzia ha ricevuto 300mila euro dall’Unione Europea.

Dunque i soldi ci sono per mantenere scatole vuote, pagando stipendi e consulenze, realizzando speculazioni finanziarie, spartendo fondi europei,  concedendo appalti agli amici (vedi l caso Delvino), ma  non per una società che si occupa di strade, cultura, cimiteri, parcheggi, disabili. Solo in queste poche righe abbiamo segnalato sprechi per 2milioni di euro.



I  risultati della politica.

1-      Frosinone la città più inquinata d’Italia  non ha un servizio di trasporto pubblico decente; le misure contro l’inquinamento, e quindi per preservare la salute dei cittadini, negli ultimi anni si sono limitate a tre mesi l’anno di targhe alterne e qualche domenica a piedi.
2-      Ci sono parti della città che non hanno ancora un servizio di raccolta differenziata dei  rifiuti porta a porta e che hanno grossi problemi idrici.
3-      Manca un  PIANO REGOLATORE e gli unici monumenti sono le cattedrali nel deserto lasciate a metà opera, o anche iniziate con forte spreco di denari pubblici: il Forum, la Casa della Cultura, la variante sulle Monti Lepini, il  CASALENO, Il Giardino dei cinque sensi, la piazza dell’ex distretto militare, il disastroso progetto dei  PILONI (per fortuna abbandonato), il  TEATRO COMUNALE (neanche iniziato, dal futuro ormai incerto se non definitivamente  segnato) , il parco  del FIUME COSA (rimasto nel mondo  dei sogni), la scuola Selva Piana. Oppure come il viadotto Biondi, realizzato in una zona franosa gravata successivamente dalle strutture dell’ascensore inclinato , desolatamente franato. Così qualcuno potrà vincere l’appalto per la ricostruzione sempre a spese dei cittadini. Già  l’intervento di tentato consolidamento attraverso una maldestra gettata di cemento e costato centinaia di migliaia di euro PUBBLICI  e l’unico risultato ottenuto è stato quello di riattivare la frana dopo le ultime piogge primaverili. In compenso non sono stati mai riscossi gli oneri concessori dovuti dai costruttori al Comune.
4-      Gli asili nido comunali invece di aumentare come promesso sono diminuiti di numero e agli alunni delle scuole materne ed elementari viene chiesto di portare a scuola la carta igienica e folgi per le fotocopie;  il costo dei servizi mensa e scuolabus sono aumentati senza alcun miglioramento  dei servizi  offerti; sono diminuiti i servizi di assistenza agli studenti disabili.
5-      Nonostante il referendum sull’acqua e sui servizi  abbia avuto un grosso successo anche a Frosinone, il Comune non solo non ripubblicizza l’acqua ma vuole  privatizzare  anche il resto .
6-      Nel sottosuolo della città c’è un vero e proprio  TESORO ARCHEOLOGICO (terme romane, anfiteatro), che potrebbe diventare una risorsa dal punto di vista turistico, ma è in parte ricoperto dall’asfalto e parte rischia di esserlo
7-      La città è teatro d’inchieste giudiziarie sulla cattiva amministrazione ,su storie di tangenti  e appalti pilotati. Sarebbe utile quanto ci costa e quanto ci è costato tutto questo.




Le proposte di ControCorrente

1-      Secondo la procedura di pre-dissessto a verificare le cause  dello squilibrio finanziario sono gli stessi politici, di maggioranza o di opposizione, che l’hanno causato. E’ assurdo: chiediamo l’istituzione di una commissione di controllo, formata da esponenti del consiglio comunale, ma anche da rappresentanti eletti dai lavoratori del Comune, delle aziende partecipate e degli utenti dei servizi pubblici,  che abbia la possibilità di verificare conti  e bilanci e di elaborare proposte alternative per il riequilibrio finanziario e la gestione dei servizi . I rendiconti contabili dettagliati del Comune  e delle aziende partecipate devono essere pubblici e a disposizione di tutti. Deve essere effettuata  una verifica  di tutti i contratti di consulenza, di fornitura, di tutti gli appalti e le esternalizzazioni, per giudicarne gli effetti ed eliminare i veri sprechi e le vere inefficienze. Il Comune ha acceso un mutuo da 26 milioni per pagare i propri debiti. Prima che sia versato un solo euro vogliamo verificare  di quali debiti si tratta, nei confronti di chi e   per che cosa.
2-      Lo Stato e la Regione  avrebbero dovuto vigilare e invece si sono “accorti” del problema troppo tardi. Dunque oggi devono intervenire mettendo a disponibilità risorse, perseguendo i  responsabili politici e condannandoli  a pagare i danni, tagliando i veri sprechi e non i servizi pubblici, prendendo i soldi e chi ce li ha e non a chi non riesce ad arrivare a fine mese
3-      I sacrifici vanno chiesti a partire dall’alto.  Si cominci a ridurre il numero dei dirigenti e le loro retribuzioni , a cancellare le società inutili, i consigli d’amministrazione,  a chiedere la restituzione dei  soldi presi dagli amministratori di società  che esistono solo sula carta e producono  solo perdite, a far sì che il sindaco, gli assessori, gli amministratori delle società partecipate,  i dirigenti abbiano una retribuzione paro allo stipendio medio di un dipendente comunae.
4-      Bisogna ribellarsi e fermare i tagli agli enti  locali e ai servizi pubblici,  il Fiscal Compact (che prevede 45 miliardi di euro di tagli alla spesa pubblica ogni anno per 20 anni) e il Patto di Stabilità. I tagli ai servizi pubblici, all’occupazione, alle retribuzioni dei lavoratori hanno effetto depressivo sull’economia e non fanno che peggiorare la situazione. Bisogna tagliare i veri sprechi, la corruzione, l’assistenzialismo a favore delle aziende a favore delle aziende amiche, non i posti di lavoro, gli stipendi e i servizi pubblici che consentono di sostenere a spesa delle famiglie  e quindi di far girare l’economia . Non vogliamo fare la fine della Grecia. I partiti presenti in consiglio comunale non possono votare i tagli in Parlamento e poi lamentarsi  perché costretti a ridurre la spesa sociale del Comune. Chiediamo loro di votare contro ulteriori tagli agli Enti Locali e ai servizi pubblici. Il  sindacato deve mobilitarsi a livello nazionale per dire NO ai tagli.



 
Video  e   post linkati a cura di Luciano Granieri.

Roma libera

 a cura di Luciano Granieri.

Ultimi giorni di campagna elettorale a Roma. Il sindaco Alemanno visita la Garbatella storico quartiere romanista e comunista. La gente non sopporta l'invasione del sindaco fascista e lo liquida al grido di "Roma libera". Alemanno, fra l'altro, lascia la macchina parcheggiata in doppia fila. Ciò da agio ad un cittadino di riassumere con una battuta strepitosa  tutta la vicenda della parentopoli fascista clientelare messa in piedi dal sindaco uscente:

"Alemanno sposta la machina in seconda fila si no nun ce passa l'autobus de tù cugino"


Video tratto dalle riprese di Csoa La Strada

martedì 4 giugno 2013

I lavoratori della logistica bloccano il centro di Bologna

di Matteo Bavassano
 
Sabato primo giugno si è tenuta l’ennesima iniziativa di lotta dei lavoratori delle cooperative del settore della logistica, che hanno organizzato un corteo nel centro di Bologna per protestare contro gli oltre 40 licenziamenti subiti dai lavoratori della Granarolo e della Coop Adriatica e contro l’attacco al diritto di sciopero nel settore del trasporto merci, dichiarato illegittimo dalla Commissione di Garanzia sullo sciopero in quanto ritenuto “servizio pubblico essenziale”. Ancora una volta, questi lavoratori, che nella quasi totalità sono immigrati, si confermano essere protagonisti delle lotte più radicali che si portano avanti oggi in Italia.
I facchini, arrivati anche da Milano e Piacenza, hanno dato vita a un corteo molto combattivo, che, partendo da piazza del Nettuno, è passato sotto la sede della Cgil, pesantemente contestata dai lavoratori per il ruolo di sostegno alla repressione che ha avuto in tutte le vicende della logistica, e sotto la Prefettura, per poi concludersi nuovamente in piazza del Nettuno con vari interventi e un comizio di Mohamed Arafat, uno dei principali protagonisti di questa lotta.
 
I lavoratori hanno fatto ancora una volta la loro parte nella lotta di classe. Lo stesso non si può dire purtroppo delle forze della sinistra, sindacale e politica. Al corteo infatti, oltre ai lavoratori e ad alcuni centri sociali, unica organizzazione presente con un proprio spezzone era il Pdac, mentre erano assenti o si contavano sulle dita di una mano le presenze di altre organizzazioni politiche della sinistra, che evidentemente ritengono questa lotta (come si è visto anche ai picchetti e alle precedenti manifestazioni) meno importante delle scadenze fissate dalle burocrazie sindacali.
Ancora più grave la sostanziale assenza degli altri sindacati di base o conflittuali: a parte qualche bandiera isolata della Cub, di Usb e della Confederazione Cobas, era presente soltanto il Si.Cobas, che ha un ruolo dirigente in questa lotta. Totalmente assenti la Fiom e la Rete 28 aprile di Cremaschi.
 
Di fronte ad un attacco di questa portata, la risposta dovrebbe essere invece unitaria e di classe: le logiche settarie e autoreferenziali dovrebbero essere accantonate per favorire la più ampia solidarietà ai lavoratori lincenziati. Licenziare dei lavoratori per aver scioperato significa colpire al classe lavoratrice nel suo complesso, tanto più in un momento in cui padroni e burocrati sindacali intendono ridimensionare fortemente il diritto di sciopero (vedi accordo sulla rappresentanza siglato da Cgil, Cisl, Uil e Confindustri).
Nel prossimo periodo di lotte che sta per aprirsi in Italia l’unità di classe sarà fondamentale: ad imporla alle diverse sigle sindacali dovranno essere i lavoratori che dovranno in realtà 
battersi su due fronti: contro i padroni e contro le direzioni sindacali burocratiche o autoreferenziali.
 
Alternativa comunista continuerà ad essere al fianco della lotta esemplare -oggi la più importante in Italia- dei lavoratori delle cooperative, in gran parte immigrati: anche contro il tentativo di dividere le lotte dei lavoratori nativi e immigrati. La battaglia va sviluppata anche contro tutte le leggi razziste votate da centrodestra e centrosinistra che facilitano il doppio sfruttamento degli immigrati. E per questo saremo in piazza in occasione della "giornata della collera" il 15 giugno promossa dal Comitato Immigrati in Italia e dalla Cub Immigrazione.
 

Assemblea pubblica dei lavoratori della Multiservizi.

Luciano Granieri


P,zza VI dicembre Frosinone. I lavoratori della Multiservizi Frosinone in assemblea davanti al Comune. Il 30 giugno avrà termine il regime di casa integrazione, per cui si profila per questi lavoratori il licenziamento.

 L'unica possibilità di risolvere in senso positivo la vertenza è demandata all'intervento della Regione che ha predisposto un piano  per la costituzione di una nuova società di servizi che veda la partecipazione insieme alla  Provincia, e al  comune di Alatri, anche del Comune di Frosinone. 

Ma il sindaco frusinate Ottaviani, non ha alcuna intenzione di partecipare al progetto, avendo già previsto di privatizzare i servizi sociali svolti dai lavoratori della Multiservizi. Tutto ciò avrebbe come conseguenza il blocco dell'iniziativa della Regione e il licenziamento di 300 lavoratori. Nell'assemblea si è allargato il discorso anche al tema del pre - dissesto. 

Uno stato di emergenza economica richiesto dal Comune di Frosinone in base al quale il sindaco può tagliare servizi e aumentare a dismisura i tributi locali. Alla discussione ha partecipato anche Marco Veruggio, del movimento Controcorrente. 

Già amministratore locale a Genova, Veruggio si sta adoperando per portare all'attenzione nazionale  la vertenza Multiservizi e tutte le altre vertenze che coinvolgono il nostro territorio, dalla Videocon alla Fiat. Suo è il primo intervento nel video. A seguire  l'intervento di Paolo Iafrate lavoratore della Multiservizi. Per finire il sottoscritto illustra come sono stati sprecati i soldi dei cittadini attraverso degli sciagurati interventi sul tessuto urbanistico della città.



lunedì 3 giugno 2013

manifestazione 2 giugno a ceprano

  Carissime, Carissimi,

Come programmato si è svolta ieri l'iniziativa organizzata dall'ANPI  provinciale e dal Comitato promotore ANPI di Ceprano per la Festa della  Repubblica. 
Il manifesto redatto  per annunciare la manifestazione recava il  titolo "Festa della Costituzione", per marcare il carattere fondativo della Costituzione stessa rispetto alla Repubblica ed alle sue istituzioni.
Il dibattito ha seguito fedelmente questa impostazione, poiché l'ANPI rimane convinta del valore alto e irrinunciabile del portato della nostra Carta. 
L'introduzione di Carla Corsetti, autrice del libro "Indipendenza e Sovranità"  che è stato presentato, ha rinnovato l'esposizione di una analisi assai  dettagliata ma non accademica dei valori e dei principi incarnati nei primi 12  articoli della Costituzione italiana. La relatrice ha offerto moltissimi  argomenti di riflessione ed ha fornito buoni strumenti di approfondimento,  oltre ad affrontare con estrema delicatezza e competenza gli aspetti  divulgativi che l'ANPI è impegnata a svolgere.
Gli interventi che si sono succeduti hanno messo in evidenza le opinioni e l'impegno di diverse forze politiche e organizzazioni sociali a difesa del patrimonio democratico ancor oggi messo in serio pericolo da azioni di gruppi e parti della società che coltivano obiettivi reazionari.
Si è ribadito che, nonostante la vittoria entusiasmante del Referendum del 2006, che ha rigettato senza ombra di incertezza il tentativo destrutturante della cosiddetta riforma costituzionale dei "Quattro di Lorenzago",  proseguono gli  attacchi agli istituti della nostra civiltà democratica. L'ANPI provinciale esprime insieme alla soddisfazione per la riuscita politica  e partecipativa dell'assemblea, il proprio ringraziamento ai compagni del  Comitato promotore di Ceprano, sempre puntuale nel celebrare le date salienti 
del nostro processo storico di emancipazione e di liberazione.
Invita gli altri compagni, i nuclei territoriali, ad emulare questo spirito fattivo e attento, e a lavorare con fiducia alla costruzione delle  organizzazioni dell'ANPI in tutto il territorio.
Ringrazia coloro che nel corso della manifestazione hanno chiesto la tessera  dell'ANPI e messo a disposizione il loro impegno per i comuni obiettivi.
Consci della forza dei problemi che abbiamo di fronte, dobbiamo fare ogni  sforzo per dotarci di uno strumento altrettanto forte di unità e di impegno  come l'ANPI, dove le diverse sensibilità trovano un sicuro collante ed una sana piazza di confronto nella battaglia infinita per i grandi valori che  condividiamo.

Fraterni saluti.
ANPI - Frosinone

Cittadini reattivi: mappiamo il cambiamento

Fondazione ahref

E’ online Cittadini Reattivi, l’inchiesta multimediale vincitrice del bando di Fondazione

La risposta agli oltre 15000 siti da bonificare in Italia? Il crowdmapping dei cittadini reattivi che agiscono per il cambiamento.

Parte dall’elaborazione di numeri drammatici, quelli sullo stato delle bonifiche ambientali in Italia,  resi noti dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al traffico di rifiuti e rielaborati in una speciale infografica, il progetto d’inchiesta ad alto impatto civico realizzato da Rosy Battaglia, giornalista freelance indipendente, premiato da un bando di Fondazione Ahref per inchieste multimediali innovative, in collaborazione con Flavio Castiglioni e Claudio Spreafico, del coordinamento di Bicipace e Legambiente Lombardia.

La bad news è che oltre i 57 siti di interesse nazionale dall’Ilva di Taranto alla Caffaro di Brescia (scesi a 39 con l’ultimo decreto del ministro Clini dell’ 11 gennaio) ci sono decine di migliaia di siti ad interesse regionale e comunale inquinati e contaminati, mal mappati dalle anagrafi regionali. I dati emersi sono discordanti ed incompleti, la punta di un iceberg ben più esteso che porta il numero ben sopra i 15122 dichiarati”- precisa Rosy Battaglia

 “La good news, invece, è quella che forse abbiamo sotto gli occhi e non abbiamo messo a fuoco: ci sono migliaia di cittadini e amministratori locali che pretendono aria, terra e acqua puliti e che si impegnano ogni giorno per la salvaguardia di ambiente, salute e sicurezza sul lavoro, combattendo l’immobilità delle istituzioni, forse più deleteria della mancanza di fondi per le stesse bonifiche”.

Da qui l’idea di documentare, da una parte, attraverso una inchiesta multimediale con interviste e webdoc, oltre il parere degli esperti, le buone pratiche possibili messe in atto da coloro che non si arrendono davanti al degrado e all’incuria di aree dismesse, fiumi inquinati, terreni contaminati. “Ma che, anzi, vogliono partecipare alla riqualificazione e alla progettazione di un nuovo paesaggio urbano”.

Dall’altra quella di aprire un processo di condivisione sulle informazioni raccolte, in un sito basato sul crowdmapping  che permette di geolocalizzare i siti da bonificare, quelli bonificati e i luoghi recuperati, oltre che le indagini epidemiologiche in corso, in cui i cittadini reattivi si possono auto-mappare. Cercando così di viralizzare il “diritto di sapere” su temi come la salute, l’ambiente e la legalità dei processi di riconversione delle aree da bonificare.

 “In questi tre mesi ho incontrato e documentato l’attività di decine di comitati e associazioni. Sono partita da  una delle zone più inquinate d’Italia, l’Asse Sempione in Lombardia. Lì, sulle sponde del fiume Olona ci sono volontari che hanno recuperato e bonificato un’area industriale dismessa riportandola alla natura e alla comunità. A qualche km a Castellanza, nell’area del polo chimico Ex Montedison, in uno degli oltre 800 contaminati da bonificare della Lombardia, (oltre agli altri 1800 siti potenzialmente contaminati accertati) l’azienda Elcon vorrebbe installare un impianto per il trattamento di rifiuti tossici liquidi a cui la cittadinanza si è opposta”.

Ironia della sorte, proprio nella stessa zona dove tra le province di Milano e Varese, il fiume è coperto di schiuma per scarichi abusivi e depuratori mal funzionanti. “Ma dove centinaia di persone non si arrendono al vederlo ridotto a fognatura, ne hanno documentato lo stato attraverso i social network, ne hanno pulito le sponde, creando approdi e ristori lungo le piste ciclopedonabili”.

Oppure in casi da manuale di diritto come quello del “cittadino elettore” di Cremona, Gino Ruggeri, che si è costituito parte civile nella causa contro la raffineria Tamoil che ha contaminato la zona delle associazioni Canottieri sull’argine del Po. Lo ha fatto “in nome proprio e per conto del  Comune”  facendo ricorso all’articolo 9 del Testo Unico degli Enti Locali. Il risarcimento in caso di vincita della causa andrà alla sua città.

Così come in situazioni più drammatiche, come a Brescia, una delle città più ricche d’Italia ma dove i genitori dei bambini che frequentano la Scuola Primaria Grazia  Deledda non hanno esitato ad occuparla. Da 10 anni i loro bambini non possono giocare in cortile perché contaminato dai PCB (policlorbifenili) emessi dalla Caffaro.

O a Colleferro, nella Valle del Sacco in Lazio, dove le popolazioni contaminate dal pesticida Beta-Esaclorocicloesano si stanno sottoponendo volontariamente ad un piano di sorveglianza sanitaria attuato dall’ASL per verificarne gli effetti. Continuando a vigilare sul loro territorio per impedire altri insediamenti ad alto impatto ambientale, come hanno fatto i volontari di Retuvasa, la Rete per la tutela della Valle del Sacco, fino a mettersi in rete con i “colleghi”, che vivono negli altri siti contaminati,  da Taranto a Quirra.

Situazioni che mostrano come la tutela della salute sia indissolubile dallo stato dell’ambiente. “E come l’informazione sia la migliore prevenzione, come ci ha confermato il dott. Pietro Comba dell’Istituto Superiore di Sanità, tra i curatori del Rapporto Sentieri che ha indagato sull’aumento della mortalità nella popolazione che vive in 44 nei Siti di Interesse nazionale”.

Un capitale umano “reattivo” che non bisogna disperdere ma mettere in rete e connettere, in un progetto in cui l’informazione civica ha un ruolo fondamentale, reso possibile grazie al sostegno di Fondazione Ahref.


“L’impatto civico che Cittadini reattivi  vuole produrre è quello che solo attraverso la conoscenza, la documentazione, l’informazione, la partecipazione si può produrre un cambiamento”.



Colleferro città nata dall'industria bellica e chimica. A distanza di 101 anni dalla sua fondazione paga il prezzo della sua storia imprenditoriale per via delle sostante tossiche sversate nei terreni della zona industriale, arrivati a contaminare la valle del fiume Sacco con il betaesaclorocicloesano, pesticida fuorilegge trovato dapprima nel latte degli animali allevati e poi nel sangue umano.

Oggi la popolazione si è sottoposta volontariamente ad un programma di sorveglianza sanitaria dell'ASL ma non rinuncia a voler determinare il proprio destino. 
Come racconta Alberto Valleriani di Retuvasa, la Rete per la tutela della Valle del Sacco che continua la sua attività di vigilanza verso la bonifica e il territorio e che sta cercando di coordinarsi con gli altri cittadini residenti negli altri siti contaminati di interesse nazionale. 

Il Presidente Santos non adempie all'ordine della Corte Costituzionale Colombiana.

Operazione Colomba


Il Presidente colombiano Juan Manuel Santos Calderón non ha partecipato alla ritrattazione delle accuse che il precedente Presidente Álvaro Uribe Vélez aveva mosso contro la Comunità di Pace di San José de Apartadò (Antioquia – Colombia).

L'evento avrebbe dovuto dare compimento all’ordine della sentenza Auto 164/12 della Corte Costituzionale Colombiana e si sarebbe dovuto tenere ieri 29 maggio 2013 a Bogotà, nella Casa de la Giralda, alle ore 10.30.
La presenza del Presidente era condizione fondamentale, concertata tra il Ministero dell’Interno e la Comunità di Pace, affinché si potesse realizzare l’evento.
La notizia dell'assenza del Presidente e della delega del proprio ruolo al Ministro dell’Interno Fernando Carrillo, è stata comunicata alla Comunità di Pace solo la sera prima dell'incontro, senza alcuna spiegazione, tramite funzionario del Ministero.
La Comunità di Pace, nella notte tra il 28 e il 29 maggio, ha deciso pertanto di non partecipare all’evento, sentendosi profondamente offesa dal comportamento del Presidente della Repubblica che per primo è venuto meno al proprio dovere.
La Comunità di Pace ha convocato dunque una conferenza stampa (ore 11.00 del 29 stesso) dove ha letto pubblicamente un comunicato con le motivazioni che l'hanno portata a decidere di non partecipare all’evento.
Non curante di quanto precedentemente concordato tra le parti, dell’assenza della delegazione della Comunità e del Presidente, il Ministro dell’Interno ha comunque portato a termine la cerimonia.
L’evento era già stato rinviato per due volte da parte del Governo colombiano, sempre con pochissimi giorni di preavviso, e anche questa volta nessuna comunicazione sull’organizzazione della cerimonia era stata data prima di lunedì 27 u.s..
La Comunità manifesta forte preoccupazione e amarezza di fronte a questo ennesimo fallimento verso un possibile dialogo tra la stessa e il Governo.
La Comunità di Pace di San José de Apartadò da oltre 16 anni resiste in maniera nonviolenta e neutrale alla violenza e allo sfollamento forzato che il conflitto armato colombiano continua quotidianamente a generare.

Operazione Colomba mantiene dal 2009 una presenza nonviolenta permanente di volontari italiani nella Comunità di Pace di San José de Apartadò (Antioquia – Colombia) a protezione dei suoi abitanti.

Bogotà, 30 maggio 2013

domenica 2 giugno 2013

Chiudiamo il casinò

Luciano Granieri


Una nuova piaga sta affliggendo la nostra società. E’ il gioco d’azzardo.  Le video lottery, i video poker, le scommesse sportive, sono consuetudini patologiche in netta ascesa e di grande diffusione. 

Si comincia con il gratta e vinci e  si arriva a gettare al vento quei pochi spiccioli che una vita grama ti concede. Tutto ciò  per tentare la fortuna, per rincorrere un riscatto sociale che viene ormai demandato solo ai capricci della dea bendata.  

Il gioco d’azzardo legalizzato dagli ipocriti avvertimenti “gioca con moderazione”   praticato dalle sale slottery,  o  da casa davanti ad un computer, non crea mai ricchi vincitori ma getta nel baratro intere famiglie. In questi giochi, alla fine non si vince mai. 

Anche i ricchi   hanno il loro gioco d’azzardo il loro casinò d’elite,  è la borsa valori. In luogo delle video lottery si gioca  con le bolle  finanziaria, al posto del video poker si può tentare la fortuna con le vendite allo scoperto, oppure anziché scommettere sui gli eventi sportivi si può scommettere sull’andamento di  pacchetti azionari. Per giocare meglio i grandi scommettitori si riuniscono in gruppi , mettono in comune le proprie fiches negli hedge fund  ed eleggono  le  banche come  a loro croupier di fiducia.  Il bello del gioco della borsa è che non si perde mai. O meglio si perde, ma le perdite vengono pagate da quei poveracci che al massimo si possono permettere di giocare un gratta e vinci una volta ogni tanto. 

Ad esempio, nel caso delle bolle finanziarie  si rende un titolo desiderabile , si fa in modo che tutti lo vogliano acquistare.  E’ successo con i titoli delle società informatiche,  è successo con il valore degli  immobili. Fino a che l’oggetto del desiderio resta appetibile   chi lo possiede vede aumentare a dismisura il valore del suo patrimonio e vince.   Vince anche  chi lo acquista perché ottiene    un guadagno smisurato dal suo investimento .  Le vincite, inutile dirlo sono, ingenti  e i giocatori hanno sempre le tasche piene. Capita però che qualcuno si accorga che il titolo tanto desiderato in realtà non sia  così indispensabile, per cui comincia a vendere,  innescando il processo contrario.  

Scoppia la bolla.  La corsa all’acquisto si trasforma in corsa alla vendita, il valore del titolo crolla, chi lo possiede vede deperire il suo patrimonio e perde, così come perde chi è costretto a venderlo ad un prezzo più basso di quanto l’aveva acquistato.  Ma e qui sta il  bello chi perde rimane ugualmente con le tasche piene di soldi, perché  le perdite vengono coperte dalle banche,  che vengono foraggiate dagli Stati che destinano a questi salvataggi i soldi delle tasse dei cittadini, cioè di noi poveri disgraziati che ogni tanto tentiamo la fortuna con i gratta e vinci e nel più grave dei casi finiamo di rovinarci  con i video poker.  

Lo stesso accade con le vendite allo scoperto.  Il gioco è vendere dei titoli che non si possiedono, o meglio si acquisiscono con la promessa di pagarli dopo un certo  tempo . L’abilità sta nel rivenderli ad un valore superiore   rispetto a   quanto  sono costati,  prima della scadenza del pagamento . Se la speculazione riesce quei titoli avranno fruttato un profitto notevolmente superiore  rispetto al loro valore di acquisto per il quale non è stato sborsato neanche un euro.  Il gioco si fa avvincente, quando il nuovo compratore si rende conto che quanto  ha acquistato non vale così tanto, perché magari  quelle azioni sono di un’impresa  o di uno  Stato che stanno iniziando il declino. Fallimento  spesso indotto dal venditore stesso  delle azioni il quale nel  frattempo avrà usato mezzi leciti e illeciti per provocare il deprezzamento del bene .

 Chi per le più svariate ragioni  vede deperire ogni giorno di più il valore di ciò che possiede   tenta   di rivenderlo  al minor costo possibile.  E  qui entra in scena colui che glielo  aveva ceduto  senza possederlo.  Questi  si impegna a riacquistare  le azioni   ad un prezzo molto inferiore. Una volta tornato in possesso dei titoli, costati molto meno di quanto erano stati venduti, lo speculatore li restituisce a che glieli aveva concessi per tentarne la vendita. Estingue  quindi il suo debito con la restituzione del bene in luogo dei soldi. In questo caso c’è chi vince e chi perde.  

Chi ha portato a termine la vendita allo scoperto vince, la sua vittima, cioè colui che ha acquistato perde, ma rimane ugualmente con le tasche piene perché anche in questi caso le perdite sono coperte dalle banche,   che vengono foraggiate dagli Stati, che destinano a questi salvataggi i soldi delle tasse dei cittadini, cioè di noi poveri disgraziati che ogni tanto tentiamo la fortuna con i gratta e vinci e, nel più grave dei casi, finiamo di rovinarci  con i video poker.  

Tutto questo meccanismo è certificato. Tra il giugno 2012 e il maggio 2013 il Mib, il principale indice della borsa italiana, guadagna oltre il 35%, VINCE.  Perde invece il Paese che sta subendo il settimo trimestre consecutivo di calo del Pil,  e  denuncia un crollo verticale  della produzione industriale. Mentre i giocatori del casinò della Borsa, accrescono del 35% i propri profitti, in Italia la disoccupazione in generale è salita al 13% e quella giovanile  è oltre il 40%.  Un processo di impoverimento generale e di devastazione sociale si sta impadronendo della società, mentre pochi affaristi senza scrupoli festeggiano anche con i nostri soldi.  

Sarebbe il caso di far notare che un  gioco d’azzardo in cui chi azzarda  vince anche se perde   è del tutto illegale. E di conseguenza le somme vinte con un gioco illegale sono appropriazioni indebite e vanno restituite.  Si cominci dunque con il requisire i guadagni frutto di speculazione finanziaria, si prosegua con il tassare le transazioni finanziarie, si attui un controllo ferreo sul movimento dei capitali. Insomma si chiuda definitivamente il Casinò finanziario se si vuole evitare il baratro.