Alberto Valleriani – Presidente Rete per la Tutela della Valle del Sacco
Francesco Bearzi – Coordinatore Provincia Frosinone
Confermando l’intervento ad adiuvadum nel ricorso al TAR contro la dismissione dei Siti di bonifica di Interesse Nazionale (SIN) insistenti sulla Valle del Sacco, sancita dal D.M. Ambiente 11 gennaio 2013,[1] Retuvasa intende chiarire, con adeguato respiro, il senso del proprio contributo, alla luce dell’effettiva e attuale situazione ambientale della Valle del Sacco, delle azioni di risanamento in corso, delle opportune misure che si ritiene siano da adottare dal punto di vista normativo e operativo per la tutela ambientale e sanitaria della popolazione della Valle del Sacco, nonché per il rilancio dell’economia dell’area in termini di green economy.
Considerata l’oggettiva complessità della questione e l’importanza di un’efficace e strutturale divulgazione, è opportuno offrire ai media un quadro informativo sufficientemente ampio e disteso, sebbene insolito per i canoni di un ordinario comunicato stampa.
Propedeuticamente, appare necessaria la delucidazione, che non può dirsi presente neppure nel comunicato stampa del Ministero dell’Ambiente del 31.01.13 pubblicizzante il suddetto D.M., circa l’esistenza di due distinte perimetrazioni del SIN della Valle del Sacco, corrispondenti a due distinte denominazioni dello stesso e identico SIN:
1. SIN “Valle del Sacco” (istituito con L. 2 dicembre 2005 n. 248, art 11-quaterdecies, comma 15, post D.P.C.M. 19/05/2005) coincidente con l’area oggetto di emergenza socio-economico-ambientale, gestito da apposito Ufficio commissariale delegato. Esso comprendeva l’area industriale di Colleferro e la fascia agricola ripariale compresa tra Colleferro e Supino. Successivamente, con il rinnovo dello stato d’emergenza in data 31 ottobre 2010, la competenze del suddetto Ufficio è stata estesa alle aree agricole riparali comprese tra Frosinone e Falvaterra (confluenza del fiume Sacco con il fiume Liri).
2. SIN “Bacino del fiume Sacco”, perimetrato dal Ministero dell’Ambiente con D.M. 31 gennaio 2008 n. 4352. Comprendeva un’area vastissima del bacino imbrifero del fiume Sacco, da Valmontone al sud del Frusinate, escludendone però, in quanto assegnata all’Ufficio Commissariale, l’area dei comuni di Colleferro, Segni, Gavignano (prov. Roma) e di Paliano, Anagni, Sgurgola, Ferentino, Morolo e Supino(prov. Frosinone). In realtà, la legge istitutiva del SIN assegnava all’Ufficio in via esclusiva le competenza in relazione alla grave e accertata emergenza ambientale(presenza di fitofarmaci organoclorurati nella catena alimentare).Nelle aree non comprese nel suddetto decreto di perimetrazione del Ministero dell’Ambiente, ricadono però gravi criticità ambientali, per la presenza di poli industriali complessi, come ad esempio Colleferro, Anagni e Ferentino.
Al contrario di quanto suggerito dal suddetto comunicato stampa ministeriale, in base alla normativa nazionale e regionale (L.R. 27/98, L.R. 23/06 e D.G.R. 451/08) vigente, la competenza della bonifica, che nelle intenzioni del legislatore deve intendersi trasferita alla Regione (trasformazione del SIN in SIR, ovvero Sito di bonifica di Interesse Regionale), nel caso del Lazio paradossalmente, si trasferisce invece ai Comuni interessati. Dunque, non si tratta solo di ricorrere contro ladismissione della gestione diretta del Sito da parte dello Stato, ma anche di intervenire in materia con apposita legge regionale.
Per quanto riguarda il SIN “Provincia di Frosinone” (istituito con D.M. 468/2001, ovvero ben 12 anni fa), definito stavolta univocamente dal Ministero dell’Ambiente e di sua esclusiva e diretta competenza, comprendeva 122 discariche di rifiuti solidi urbani comunali disseminate su tutto il territorio della Provincia di Frosinone, alcune particolarmente delicate, come “Le Lame” a Frosinone, altre meno (tanto per la localizzazione dell’area, quanto per estensione e caratteristiche dei rifiuti abbancati). Si tratta di situazioni ben diverse dall’inquinamento di origine industriale del SIN della Valle del Sacco. Risulta però necessario dare adeguata continuità all’azione conoscitiva già avviata dal Ministero ai fini della messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale. Da una parte, sembra evidente che, tramite l’istituzione di un’efficace cabina di regia regionale e di corrispondenti risorse, tali situazioni potrebbero anche essere gestite in ambito comunale. D’altra parte, esse costituiscono a tutti gli effetti una componente intrinseca al complesso quadro della situazione ambientale dell’intera Valle del Sacco, che Ministero dell’Ambiente e Regione Lazio devono saper gestire cum grano salis.
Premesso l’inquadramento di cui sopra, è fondamentale apprezzare che il ricorso, oltre alla propria autonoma valenza, acquista particolare spessore e significato se collocato all’interno di una precisa strategia volta a: 1. dare continuità alle azioni di bonifica e risanamento completate e in corso 2. assicurare una gestione istituzionale efficiente di tali azioni 3. attrarre fondi europei per il risanamento e il rilancio dei territori. 4. affrontare il risanamento ambientale della Valle del Sacco in termini globali, con un ventaglio di efficaci interventi normativi e operativi, mirati anche al recupero di attività produttive sostenibili (sia in funzione della vocazione del territorio, sia delle condizioni ambientali oggi note).
Ci sono ottime ragioni ambientali che inducono a ritenere che il TAR accoglierà le ragioni dei ricorrenti. In primo luogo, va sottolineata la titolarità di requisiti previsti dalla vigente e aggiornata definizione ministeriale di SIN,quali la presenza di impianti chimici integratie disiti dismessi interessati da attività produttive di amianto, come la Cemamit di Ferentino. Vi sono poi forse ancor più decisive questioni di diritto, che avevamo già anticipato a mezzo stampa alcuni mesi fa, ben sottolineate dai legali di Legambiente che hanno predisposto il ricorso, tra cui l’intrinseca contraddittorietà e illogicità del D.M. di declassamento dei SIN. Ragioni che contribuiremo a ben corroborare attraverso i nostri legali.
Va sottolineato però che, in caso di esito positivo del ricorso e di annullamento del declassamento del SIN, i problemi non saranno certo risolti sic et simpliciter, considerata in primis la scarsa efficienza con cui il Ministero dell’Ambiente ha gestito molti dei SIN.
È il caso, ad esempio, dello stesso SIN “Provincia di Frosinone”. In dodici anni, ben poche discariche sono state effettivamente bonificate, nonostante cospicue risorse siano state impiegate per la caratterizzazione dei siti.
Ed è il caso anche della gigantesca quanto indeterminata area di competenza ministeriale del SIN “Bacino del fiume del Sacco”, ove non si sono prodotti a oggi concreti risultati, ma solo, in virtù di una convenzione tra Arpa Lazio, Regione Lazio e lo stesso Ministero dell’Ambiente, una sub-perimetrazione di assai discutibile profilo, sebbene gravosa in termini di risorse pubbliche, che ha identificato numerose delle situazioni ad elevata criticità ambientali presenti, ma non certo tutte. D’altra parte, nell’area di competenza dell’Ufficio Commissariale per l’emergenza della Valle del Sacco - come attestato non solo dalle relazioni dello stesso ufficio, ma anche dalle inchieste interparlamentari sui SIN[2] - si registrano risultati di rilievo, benché ancora incompleti. In particolare, viene riscontrato dalla competente Commissione interparlamentare lo stato dei lavori in relazione alla caratterizzazione del sito, e alla messa in sicurezza, l’avvio dei lavori di bonifica e il completamento della stessa per alcuni siti contaminati presenti nell’area industriale di Colleferro; il contributo alla realizzazione del depuratore consortile di Anagni; la progettazione e predisposizione delle attività di biorisanamento dei terreni agricoli contaminati sulle sponde del fiume. Azioni a cui deve essere assicurata continuità.
Ciò induce ad auspicare che, in caso di vittoria nel ricorso, il reintegrato SIN della Valle del Sacco sia in parte gestito direttamente dalla Regione Lazio. È auspicabile che quest’ultima proponga al Ministero lo scorporo di una parte del Sito, analogamente a quanto sta avvenendo per alcune Regioni (proposta avanzata ad esempio dalla Regione Toscana per alcuni SIN di propria competenza). In tal modo, alla potenziale attrazione di fondi finalizzati al risanamento offerta dallo status di Sito di bonifica di Interesse Nazionale, si combinerebbe quella dell’efficiente gestione di un ente più prossimo e direttamente interessato, appunto la Regione.
Per questo, e in quest’ottica, Retuvasa interverrà ad adiuvandum nel ricorso, e invita a fare altrettanto le Province, i Comuni e le associazioni ambientaliste e di tutela della salute presenti nel territorio.
Si invita inoltre la Regione Lazio ad assumersi le proprie responsabilità. Quelle che non si assunse dal 1991 al 2005, non mantenendo i sottoscritti impegni di bonifica di alcune porzioni dell’area industriale di Colleferro già oggetto dell’inchiesta della magistratura nel 1990 (accertata contaminazione per la presenza, tra l’altro, di β–HCH), il che comportò il verificarsi dell’emergenza della Valle del Sacco. Quelle che non si è assunta la Giunta Polverini, salve poche eccezioni ambientalmente latitante durante il suo governo della Regione, come nel caso, a tema, della mancata risposta alla richiesta (14 novembre 2012) da parte del Ministero dell’Ambiente di osservazioni eventualmente avverse al declassamento del SIN (pur nel contesto di un discutibile iter del D.M. 11 gennaio 2013, che appare affetto da un’istruttoria piuttosto sommaria e troppo celere e dalla possibile violazione del principio di collaborazione procedimentale Stato-Regioni).
Auspichiamo che la Giunta Zingaretti, già ricorrente per l’annullamento di tale decreto relativamente al SIN Valle del Sacco, abbia la lungimiranza politica e il coraggio di avviare sin da subito un percorso normativo e operativo lungo e articolato, capace di affrontare organicamente le criticità ambientali della Valle del Sacco, finalizzando tali interventi anche alla promozione di uno sviluppo eco-compatibile del territorio valorizzante agricoltura, turismo, cultura, eco-distretti industriali, in armonia con il modello proposto dal Prof. Hanns Dietrich Schmidt, responsabile per le relazioni internazionali del distretto della Ruhr, al convegno organizzato da Retuvasa e Gruppo Logos lo scorso novembre a Colleferro. Si auspica che a tal fine si ascoltino attentamente i consiglieri regionali più sensibili e competenti in campo ambientale, non perdendosi nelle maglie della burocrazia o soggiacendo agli interessi del business della bonifica.
Il risanamento ambientale delle criticità ambientali della Valle del Sacco è un percorso complesso. Il permanere dello status di SIN è solo un tassello di un’ideale azione normativa delle istituzioni parimenti complessa. Non si tratta solamente di saldare, com’è necessario, le situazioni di criticità ambientale presenti, ma anche di coniugare con adeguato discernimento tecnico i distinti livelli normativi e amministrativi nazionali e regionali, pena l’inconcludenza di quanto di buono fatto sinora in termini di bonifica e il mancato avvio di processi di risanamento e di opportuna pianificazione dello sviluppo del territorio che da decenni attendono chi li raccolga.
[1]
Approvazione dell’elenco dei siti che non soddisfano i requisiti di cui ai commi 2 e 2 bis dell’art. 252 del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e che non sono più ricompresi tra i siti di bonifica di interesse nazionale, pubblicato su GU n. 60 del 12.03.13.
[2]
Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell’attuazione degli interventi e i profili di illegalità,
Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti,XVI legislatura, Camera dei Deputati – Senato della Repubblica, Doc. XXIII n. 14 (Relatori: sen. Dorina Bianchi; sen. Daniela Mazzuconi).