Quello che è successo ieri in Inghilterra è un fatto politico enorme, che porta con sé una carica oggettiva, difficile da interpretare a caldo, ma che ci dice senz’altro una cosa incontrovertibile: si è aperta una grande falla sul Titanic della Ue. Una falla difficile da arginare anche per il suo carattere immediatamente simbolico. La Brexit assume un valore emblematico decisivo: è possibile rompere le maglie di questa gabbia del governo oligarchico-tecnocratico, espressione diretta degli interessi del capitale transnazionale, causa della tragedia collettiva che le masse popolari europee stanno vivendo da almeno quindici anni.
Per ricordare un evento così significativo bisogna tornare indietro a quel 5 luglio di un anno fa, quando il popolo greco bocciò il memorandum imposto dalla Troika, un referendum voluto dal governo Tsipras appena insediatosi, e che nemmeno una settimana dopo fu tradito dalla vergognosa capitolazione da parte dello stesso governo “riformista”. Quella sconfitta si era fatta sentire e aveva chiuso una finestra di possibilità difficilmente riproducibile nel breve periodo. La storia, come evidente, va però avanti lo stesso.
Indubbiamente allora, nel giro di una settimana, si passò da una formidabile prova politica di maturità e di forza della popolazione greca a una débâcle tutta istituzionale e governista di una sinistra “radicale” e socialdemocratica, convinta sostenitrice della riformabilità del progetto europeista, che si è rivelata la migliore alleata e fedele attuatrice dei programmi di svendita e di austerity del governo oligarchico sovranazionale. Oggi il corso degli eventi si impone nuovamente sui tentativi di stabilizzazione delle “sinistre” di governo, un evento in cui gli assetti e l’architettura del potere costruito a Bruxelles e a Francoforte sono messi in discussione nel loro carattere vincolante e quindi nella loro legittimità dalle popolazioni povere dei singoli paesi dove finora è stato possibile votare sulla Ue.
Sono anni che ogni volta che le popolazioni europee possono esprimersi su questa costruzione ordoliberista politico-economica la bocciano sonoramente, nonostante i consigli e la copertura politica che questa continua a ricevere dalla sinistra funzionale alla tecnocrazia finanziaria. Era già capitato in Francia e Olanda nel 2005, oltre che in Grecia l’anno scorso. Assolutamente comprensibile allora l’odio che lo status quo politico ed economico prova per queste consultazioni popolari, forieri di pericoli e di derive ingestibili.
La potenza di questo evento va letta a partire da due fatti importanti: nonostante la grande campagna nazionale e internazionale a favore del cosiddetto “remain”, che ha mobilitato il sistema politico-culturale ed economico nel suo complesso, adottando ogni mezzo necessario, dalla campagna terroristica del mainstream mediatico ai ricatti economici e finanziari sulla catastrofe economica possibile, sfruttando addirittura l’“occasione” dell’assassinio della deputata laburista da parte di un neonazista locale, nonostante tutto questo la maggioranza della popolazione povera inglese – quella, per capirci, che non risiede nella City – è andata in direzione contraria ai diktat di Bruxelles e del governo Cameron. A nulla è valso ogni forma di condizionamento, diretto e indiretto, dalla mobilitazione del mondo dello spettacolo e dello sport (perfino la Premier League, è scesa in campo a favore del partito del remain). Questo ci dice che il vento sta cambiando, che l’insofferenza popolare contro le classi dominanti europee, dopo dieci anni di profonda crisi economica e sociale, travalica la narrazione e il terrorismo politico-psicologico di massa. La dichiarazione poche ore prima del voto di Juncker: “Chi esce, rimane fuori”, non ha sortito alcun effetto, anzi: ogni qual volta banche e sinistra funzionale aprono bocca convincono sempre più persone a rompere con lo status quo, qualsiasi forma assuma questa rottura. Ormai il “salto nel vuoto” non è più elemento capace di spaventare le classi popolari dei singoli contesti nazionali. Quella retorica, in assenza di redistribuzioni di reddito, non funziona più, è completamente disattivata.
L’altra considerazione che emerge nettamente, e non è la prima volta che lo diciamo, è che la sinistra radicale, riformista, socialdemocratica, ha ormai strutturalmente il ruolo di stampella del potere costituito, vera e propria copertura politica e culturale di ogni forma di stabilità istituzionale, economica, sociale e politica. Evocando lo spettro del nazionalismo e del populismo, e difendendo accoratamente gli interessi del capitalismo sovranazionale, continua nella difesa della Ue attraverso le retoriche sulla sua presunta riformabilità. Una sinistra conciliatoria, terrorizzata dal vuoto di stabilità molto più che i vari Junker, Merkel & soci. La sinistra di complemento.
Questa sinistra in tutte le sue variazioni, da quella più moderata a quella radical, ex noglobal, è la migliore alleata dell’Europa mercantile e ordoliberista perché, non sapendo vedere oltre l’Ue, non può che abdicare alla real politik della stessa, per finire come in Grecia, dove ci è voluto un governo di sinistra socialdemocratica per far ingoiare allo stremato popolo greco il Terzo Memorandum altrimenti impossibilitato a passare in un territorio completamente stremato dalle politiche liberiste europeiste. E’ completamente inutile (e infatti completamente ignorato dalle classi popolari), agitare lo spauracchio di un presunto ritorno sovranista: il problema è la Ue, non fantasiose riscosse naziste per il continente amplificate ad arte da chi teme di perdere un ruolo ormai definitivamente compromesso. E’ la scelta di campo anti-popolare di certa sinistra che spinge le classi lavoratrici (attenzione: non “il popolo” genericamente inteso, ma i lavoratori dipendenti salariati e/o precari) a sfruttare ogni possibile strumento pur di rompere con la gabbia della Ue e, più in generale, delegittimare le classi di governo nei vari Stati della Ue. Le forze nazionaliste e xenofobe, che in questi anni stanno raccogliendo il testimone della protesta popolare, hanno campo libero. E’ stata delegato a certa destra il ruolo che dovrebbe avere la sinistra di classe, quello cioè di intercettare i bisogni di rottura politica con lo status quo. La storiella della Brexit come “soluzione di destra” è però anch’essa orchestrata ad arte dal mainstream politico culturale europeista. La sinistra, soprattutto quella inglese, era per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. La piattaforma Lexit, Il sindacato dei trasporti inglese Rmt, ad esempio: ad esempio.
L’unica “sinistra” pro-Europa era infatti quella del partito laburista di Jeremy Corbyn, il partito “di sinistra” probabilmente più squalificato d’occidente (a parte il Pd, ovviamente), il partito della “terza via” liberista, della guerra in Iraq, delle controriforme sociali. Dare risalto alle posizioni della non sinistra inglese, silenziando quella di classe, è una precisa scelta politica di campo che ha coinvolto infatti tanti commentatori e situazioni politiche nostrane. Quegli stessi commentatori che da anni cercano di convincerci della riformabilità della Ue, abbandonati da tutti tranne che da Renzi, Hollande, Merkel e Draghi: dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.
In Inghilterra, il Socialist Labour Party appoggiava chiaramente il rifiuto della Ue. In Irlanda il Partito dei lavoratori appoggia il Brexit. Fuori dall’arcipelago britannico, la Candidatura d’Unitat Popular, la sinistra di classe catalana, si schiera per il Brexit. Eppure, il Brexit “è una cosa di destra”, ci spiegano i solerti difensori dello status quo. Tutti in combutta col populismo nazionalista britannico chiaramente. La sinistra in combutta con Draghi e Junker evidentemente non fa notizia.
La governance ordoliberista sta attraversando il suo momento di crisi, e la vicenda inglese non è un fatto isolato, quello che è successo domenica scorsa in Italia con la bruciante sconfitta dello storytelling renziano nelle principali aree metropolitane ci dice che la partita è aperta, che la storia, in assenza di “sinistra”, va avanti comunque, che le popolazioni povere ritrovano forme di protagonismo seppure in forma alienata e mistificata. La nostra occasione, in questo senso, sarà in autunno, sul referendum costituzionale sul governo Renzi. E’ l’occasione per ricomporre politicamente e socialmente il nostro campo, per svolgere un ruolo, per incunearci nella contraddizione principale: mandare a casa il Governo Renzi, gestore della governance Ue nel nostro paese. Bastonare il cane che affoga deve essere la nostra unica parola d’ordine, tutto il resto, in questo preciso momento, è secondario.