Intervista a Fabiana Stefanoni
sulla situazione sindacale e sullo sciopero generale
Redazione web Partito di Alternativa Comunista
La situazione sociale in Italia non accenna a migliorare: eppure Cgil, Cisl e Uil non rilanciano azioni di lotta e, anzi, appoggiano il governo persino nei suoi tentativi di ridimensionare ulteriormente il diritto di sciopero nei trasporti. Al contempo, il sindacalismo conflittuale e “di base” ha, anche quest’anno, deciso di organizzare due date separate di sciopero generale. Alcuni sindacati sciopereranno il 27 ottobre (Cub, Si.Cobas, Slai Cobas, Usi-Ait) mentre altri il 10 novembre (Usb, Confederazione Cobas, Unicobas). Ne parliamo con Fabiana Stefanoni, responsabile sindacale di Alternativa Comunista.
Anche questo autunno il sindacalismo di base si presenterà diviso in occasione dello sciopero generale. Un film già visto che si ripete, non credi?
Purtroppo sì. Esattamente un anno fa, all’indomani del tragico omicidio di Abdel Salam durante un picchetto di sciopero, avevamo criticato la decisione dei dirigenti dei sindacati conflittuali di dividere il fronte di classe proclamando due date di sciopero generale separate e contrapposte, una il 21 ottobre e una il 4 novembre: quest’anno il film sembra ripetersi più o meno identico. Eppure nulla è più urgente della costruzione di un grande sciopero unitario e di massa al fine di respingere al mittente gli attacchi del governo e dei padroni: il governo prepara l’ennesima finanziaria lacrime e sangue e, soprattutto, minaccia di ridimensionare ulteriormente il diritto di sciopero, già fortemente limitato nei cosiddetti “servizi essenziali”, dalla scuola alla sanità ai trasporti.
Purtroppo sì. Esattamente un anno fa, all’indomani del tragico omicidio di Abdel Salam durante un picchetto di sciopero, avevamo criticato la decisione dei dirigenti dei sindacati conflittuali di dividere il fronte di classe proclamando due date di sciopero generale separate e contrapposte, una il 21 ottobre e una il 4 novembre: quest’anno il film sembra ripetersi più o meno identico. Eppure nulla è più urgente della costruzione di un grande sciopero unitario e di massa al fine di respingere al mittente gli attacchi del governo e dei padroni: il governo prepara l’ennesima finanziaria lacrime e sangue e, soprattutto, minaccia di ridimensionare ulteriormente il diritto di sciopero, già fortemente limitato nei cosiddetti “servizi essenziali”, dalla scuola alla sanità ai trasporti.
Secondo te perché i dirigenti di Cgil, Cisl e Uil non vogliono proclamare uno sciopero generale?
I dirigenti di Cgil, Cisl e Uil hanno i loro “buoni motivi” burocratici per non proclamare uno sciopero generale, in particolare dopo la firma dell’Accordo della Vergogna (1) e l’intesa del 2016 con Confindustria sulla cogestione delle crisi aziendali. La burocrazia di questi grandi apparati sindacali mira solo a garantirsi una buona convivenza col governo e coi padroni, rinunciando ormai persino a mimare il conflitto sociale… e per fortuna in qualche caso i lavoratori cominciano a capirlo, come dimostra ad esempio lo straordinario risultato del referendum in Alitalia (2).
Eppure la situazione sociale economica in Italia, al di là della propaganda governativa che si inventa grandi miglioramenti, resta disastrosa: il tasso di disoccupazione è tra i più alti d’Europa (superiore all’11%, oltre il 35% quella giovanile!), i salari e gli stipendi non servono nemmeno a sopravvivere, i lavoratori sono indebitati fino all’osso e la privatizzazione dei servizi pubblici aumenta drasticamente le loro spese. Contemporaneamente, mentre la sanità e l’istruzione sono devastate dai tagli, il governo regala decine di miliardi alle banche e, sotto forma di incentivi e ammortizzatori, alla grande industria. Per i capitalisti, così come per i politici corrotti che li rappresentano, saltano sempre fuori carote d’oro, mentre ai proletari vengono riservate solo bastonate.
I dirigenti di Cgil, Cisl e Uil hanno i loro “buoni motivi” burocratici per non proclamare uno sciopero generale, in particolare dopo la firma dell’Accordo della Vergogna (1) e l’intesa del 2016 con Confindustria sulla cogestione delle crisi aziendali. La burocrazia di questi grandi apparati sindacali mira solo a garantirsi una buona convivenza col governo e coi padroni, rinunciando ormai persino a mimare il conflitto sociale… e per fortuna in qualche caso i lavoratori cominciano a capirlo, come dimostra ad esempio lo straordinario risultato del referendum in Alitalia (2).
Eppure la situazione sociale economica in Italia, al di là della propaganda governativa che si inventa grandi miglioramenti, resta disastrosa: il tasso di disoccupazione è tra i più alti d’Europa (superiore all’11%, oltre il 35% quella giovanile!), i salari e gli stipendi non servono nemmeno a sopravvivere, i lavoratori sono indebitati fino all’osso e la privatizzazione dei servizi pubblici aumenta drasticamente le loro spese. Contemporaneamente, mentre la sanità e l’istruzione sono devastate dai tagli, il governo regala decine di miliardi alle banche e, sotto forma di incentivi e ammortizzatori, alla grande industria. Per i capitalisti, così come per i politici corrotti che li rappresentano, saltano sempre fuori carote d’oro, mentre ai proletari vengono riservate solo bastonate.
Le statistiche parlano, infatti, di un calo di fiducia nei sindacati. Cosa pensi delle affermazioni di Di Maio del M5S?
Di Maio, come tutto il M5S, dopo essersi presentato come forza “antisistema” di opposizione, si appresta a governare per conto della borghesia, come già stanno facendo nelle giunte che controllano, a partire da Roma. Approfitta della giusta e comprensibilissima sfiducia dei lavoratori nei confronti di apparati burocratici chiusi nella difesa dei loro interessi di bottega per attaccare indistintamente i diritti sindacali. Non solo: mentre critica i sindacati, annuncia una “manovra shock” per favorire le imprese, cioè “l’abbassamento del costo del lavoro”. E’ quello che hanno fatto tutti i governi fino ad oggi, da Prodi a Berlusconi, da Monti a Renzi a Gentiloni: abbassare il costo del lavoro significa colpire i salari degli operai. Del resto, non è l’unico aspetto con cui il M5S si presenta in continuità con gli altri partiti borghesi: razzismo, maschilismo, corruzione (come dimostrano le vicende in cui è coinvolta la sindaca Raggi). Ultimamente il M5S ha calato completamente la maschera: auspichiamo che gli attivisti sindacali e gli operai che hanno riposto fiducia in questo movimento-partito ne comprendano finalmente la natura borghese e reazionaria.
Di Maio, come tutto il M5S, dopo essersi presentato come forza “antisistema” di opposizione, si appresta a governare per conto della borghesia, come già stanno facendo nelle giunte che controllano, a partire da Roma. Approfitta della giusta e comprensibilissima sfiducia dei lavoratori nei confronti di apparati burocratici chiusi nella difesa dei loro interessi di bottega per attaccare indistintamente i diritti sindacali. Non solo: mentre critica i sindacati, annuncia una “manovra shock” per favorire le imprese, cioè “l’abbassamento del costo del lavoro”. E’ quello che hanno fatto tutti i governi fino ad oggi, da Prodi a Berlusconi, da Monti a Renzi a Gentiloni: abbassare il costo del lavoro significa colpire i salari degli operai. Del resto, non è l’unico aspetto con cui il M5S si presenta in continuità con gli altri partiti borghesi: razzismo, maschilismo, corruzione (come dimostrano le vicende in cui è coinvolta la sindaca Raggi). Ultimamente il M5S ha calato completamente la maschera: auspichiamo che gli attivisti sindacali e gli operai che hanno riposto fiducia in questo movimento-partito ne comprendano finalmente la natura borghese e reazionaria.
Ma torniamo al tema dello sciopero generale. Se è chiaro, come dici, che le burocrazie di Cgil, Cisl e Uil non hanno interesse ad alzare il livello dello scontro di classe, come spieghi invece la decisione del sindacalismo “di base” di rinunciare all’occasione di proclamare uno sciopero generale unitario?
Tanto è forte l’esigenza dei lavoratori e delle lavoratrici di organizzare a una forte risposta di lotta e di classe all’attacco del governo e dei padroni quanto sono deboli le argomentazioni portate dai dirigenti dei sindacati conflittuali per giustificare questa scelta masochistica. La direzione di Usb ha accampato scuse risibili (una riunione internazionale alcuni giorni dopo…) per non convergere sulla data del 27 ottobre, al contempo i dirigenti dei sindacati che hanno proclamato lo sciopero il 27 ottobre hanno fatto di tutto evitare una data comune con Usb. Tra gli argomenti usati da qualcuno c’è un ragionamento solo apparentemente corretto: affermano che, firmando il famigerato accordo della vergogna, i dirigenti di Usb e della Confederazione Cobas hanno tradito la lotta. E’ innegabile: la firma di quell’accordo è stata un fatto gravissimo, che ha indebolito la capacità di resistenza di tutta la classe lavoratrice. Ma ritenere che questo possa giustificare l’idea di scioperi separati e contrapposti è un’assurdità.
Tanto è forte l’esigenza dei lavoratori e delle lavoratrici di organizzare a una forte risposta di lotta e di classe all’attacco del governo e dei padroni quanto sono deboli le argomentazioni portate dai dirigenti dei sindacati conflittuali per giustificare questa scelta masochistica. La direzione di Usb ha accampato scuse risibili (una riunione internazionale alcuni giorni dopo…) per non convergere sulla data del 27 ottobre, al contempo i dirigenti dei sindacati che hanno proclamato lo sciopero il 27 ottobre hanno fatto di tutto evitare una data comune con Usb. Tra gli argomenti usati da qualcuno c’è un ragionamento solo apparentemente corretto: affermano che, firmando il famigerato accordo della vergogna, i dirigenti di Usb e della Confederazione Cobas hanno tradito la lotta. E’ innegabile: la firma di quell’accordo è stata un fatto gravissimo, che ha indebolito la capacità di resistenza di tutta la classe lavoratrice. Ma ritenere che questo possa giustificare l’idea di scioperi separati e contrapposti è un’assurdità.
Come si deve costruire, a tuo avviso, uno sciopero generale?
Possiamo prendere ad esempio quello che fanno i sindacati di base di altri Paesi. Vediamo quello che succede in questi giorni in Francia o in Catalogna ad esempio. Le lavoratrici e i lavoratori francesi stanno preparando in questi giorni la terza giornata di sciopero unitario contro il governo Macron e contro la riforma del lavoro (due giornate di sciopero sono già state organizzate a settembre). In Catalogna i sindacati di base e conflittuali hanno promosso, il 3 ottobre, una grande giornata di sciopero generale unitario contro la repressione del governo centrale e della guardia civile, a sostegno delle masse popolari catalane. L’appello a proclamare lo sciopero generale è stato lanciato a tutti i sindacati, per quanto complici o opportunisti siano giudicati i loro dirigenti. Ed è giusto che sia così: lo sciopero generale deve presentarsi, per sua stessa natura, come lo sciopero di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici contro il nemico di classe (sciopero generale, appunto). Solidaires (il più grande sindacato di base francese) ha scioperato con la Cgt francese (l’equivalente della nostra Cgil, per intenderci), ovviamente su piattaforme diverse, ma pur sempre lo stesso giorno: lo scopo era organizzare un’azione incisiva e di massa, per respingere la riforma del lavoro. In Catalogna, i grandi sindacati burocratici (Comisiones obreras e Ugt) si sono invece sfilati, per loro decisione e non per esclusione altrui, dallo sciopero generale (proclamato invece dai sindacati di base presenti in Catalogna, dalla Cgt ai Co.Bas): lo sciopero è riuscito lo stesso, con adesioni pari all’80% nelle principali fabbriche e centinaia di migliaia di lavoratori in piazza.
Quello che sembrano non capire i dirigenti sindacali di casa nostra (mi riferisco ora al sindacalismo “di base”) è che non si deve confondere la costruzione del proprio sindacato – che spesso, per essere coerente e di lotta, deve passare per rotture e profonde differenziazioni – con le azioni di sciopero e di lotta: nella costruzione di queste ultime bisogna sempre sforzarsi di cercare la massima unità d’azione. Occorre sempre dimostrare ai lavoratori degli altri sindacati di essere disposti a lottare al loro fianco contro i padroni e il governo, indipendentemente dalle sigle e dalle bandiere: è anzi questo il miglior modo per smascherare la politica opportunista dei loro dirigenti e sottrarli alla loro influenza. Questo è tanto più valido in relazione alla costruzione di uno “sciopero generale” degno di questo nome.
Possiamo prendere ad esempio quello che fanno i sindacati di base di altri Paesi. Vediamo quello che succede in questi giorni in Francia o in Catalogna ad esempio. Le lavoratrici e i lavoratori francesi stanno preparando in questi giorni la terza giornata di sciopero unitario contro il governo Macron e contro la riforma del lavoro (due giornate di sciopero sono già state organizzate a settembre). In Catalogna i sindacati di base e conflittuali hanno promosso, il 3 ottobre, una grande giornata di sciopero generale unitario contro la repressione del governo centrale e della guardia civile, a sostegno delle masse popolari catalane. L’appello a proclamare lo sciopero generale è stato lanciato a tutti i sindacati, per quanto complici o opportunisti siano giudicati i loro dirigenti. Ed è giusto che sia così: lo sciopero generale deve presentarsi, per sua stessa natura, come lo sciopero di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici contro il nemico di classe (sciopero generale, appunto). Solidaires (il più grande sindacato di base francese) ha scioperato con la Cgt francese (l’equivalente della nostra Cgil, per intenderci), ovviamente su piattaforme diverse, ma pur sempre lo stesso giorno: lo scopo era organizzare un’azione incisiva e di massa, per respingere la riforma del lavoro. In Catalogna, i grandi sindacati burocratici (Comisiones obreras e Ugt) si sono invece sfilati, per loro decisione e non per esclusione altrui, dallo sciopero generale (proclamato invece dai sindacati di base presenti in Catalogna, dalla Cgt ai Co.Bas): lo sciopero è riuscito lo stesso, con adesioni pari all’80% nelle principali fabbriche e centinaia di migliaia di lavoratori in piazza.
Quello che sembrano non capire i dirigenti sindacali di casa nostra (mi riferisco ora al sindacalismo “di base”) è che non si deve confondere la costruzione del proprio sindacato – che spesso, per essere coerente e di lotta, deve passare per rotture e profonde differenziazioni – con le azioni di sciopero e di lotta: nella costruzione di queste ultime bisogna sempre sforzarsi di cercare la massima unità d’azione. Occorre sempre dimostrare ai lavoratori degli altri sindacati di essere disposti a lottare al loro fianco contro i padroni e il governo, indipendentemente dalle sigle e dalle bandiere: è anzi questo il miglior modo per smascherare la politica opportunista dei loro dirigenti e sottrarli alla loro influenza. Questo è tanto più valido in relazione alla costruzione di uno “sciopero generale” degno di questo nome.
Hai descritto scenari, quello catalano e quello francese, che appaiono molto differenti da quello cui assistiamo qui in Italia…
In realtà in Italia assistiamo a uno scenario contradditorio. Da un lato i sindacati conflittuali stanno proclamando scioperi unitari e incisivi nelle fabbriche e nelle vertenze di categoria: dai trasporti (pensiamo al riuscito sciopero del 2 ottobre nel comparto aereo e aeroportuale) all’industria, dalle telecomunicazioni al telemarketing. Dall’altro lato, quando si tratta di unificare tutte queste vertenze in una grande azione unitaria di sciopero generale… si spezzettano le date. C’è una palese contraddizione, che a mio avviso si può spiegare solo con una grande distanza dei dirigenti delle confederazioni sindacali non solo dai lavoratori e alle lavoratrici nei luoghi di lavoro (che capiscono istintivamente la necessità di lottare e scioperare uniti per sconfiggere il nemico di classe), ma anche spesso dai loro stessi attivisti.
Al di là del fatto scontato che le dinamiche della lotta di classe sono imprevedibili, è evidente che i risultati nell’immediato sono molto negativi. Prima di tutto, si perde l’occasione di convogliare il malcontento sociale in una grande azione di sciopero generale: ne approfitteranno non solo il governo e i padroni, ma anche le varie organizzazioni populiste e fasciste (pensiamo solo alla recente gravissima aggressione di un picchetto di sciopero alla Sda di Carpiano). In secondo luogo, si rischia di svuotare di significato lo stesso concetto di “sciopero generale”: i lavoratori e gli stessi attivisti del sindacalismo conflittuale lo percepiranno come un momento distinto dallo scontro di classe in cui sono impegnati quotidianamente, quasi fosse un mero momento propagandistico del proprio sindacato, anziché – come dovrebbe essere - la più forte e incisiva azione di lotta nello scontro politico con governo e padronato.
Concludo dicendo che, da questa ennesima triste storia, possiamo forse trarre un insegnamento: è necessario e urgente costruire dal basso, col protagonismo diretto e decisionale dei lavoratori e degli attivisti sindacali che lottano, un ampio fronte unico delle lotte, che possa imporre ai dirigenti sindacali quell’azione incisiva e unitaria che serve urgentemente alla classe lavoratrice per vincere. E’ quello che, ad esempio, stiamo cercando di fare impegnandoci nel rafforzamento del Fronte di Lotta No Austerity.
In realtà in Italia assistiamo a uno scenario contradditorio. Da un lato i sindacati conflittuali stanno proclamando scioperi unitari e incisivi nelle fabbriche e nelle vertenze di categoria: dai trasporti (pensiamo al riuscito sciopero del 2 ottobre nel comparto aereo e aeroportuale) all’industria, dalle telecomunicazioni al telemarketing. Dall’altro lato, quando si tratta di unificare tutte queste vertenze in una grande azione unitaria di sciopero generale… si spezzettano le date. C’è una palese contraddizione, che a mio avviso si può spiegare solo con una grande distanza dei dirigenti delle confederazioni sindacali non solo dai lavoratori e alle lavoratrici nei luoghi di lavoro (che capiscono istintivamente la necessità di lottare e scioperare uniti per sconfiggere il nemico di classe), ma anche spesso dai loro stessi attivisti.
Al di là del fatto scontato che le dinamiche della lotta di classe sono imprevedibili, è evidente che i risultati nell’immediato sono molto negativi. Prima di tutto, si perde l’occasione di convogliare il malcontento sociale in una grande azione di sciopero generale: ne approfitteranno non solo il governo e i padroni, ma anche le varie organizzazioni populiste e fasciste (pensiamo solo alla recente gravissima aggressione di un picchetto di sciopero alla Sda di Carpiano). In secondo luogo, si rischia di svuotare di significato lo stesso concetto di “sciopero generale”: i lavoratori e gli stessi attivisti del sindacalismo conflittuale lo percepiranno come un momento distinto dallo scontro di classe in cui sono impegnati quotidianamente, quasi fosse un mero momento propagandistico del proprio sindacato, anziché – come dovrebbe essere - la più forte e incisiva azione di lotta nello scontro politico con governo e padronato.
Concludo dicendo che, da questa ennesima triste storia, possiamo forse trarre un insegnamento: è necessario e urgente costruire dal basso, col protagonismo diretto e decisionale dei lavoratori e degli attivisti sindacali che lottano, un ampio fronte unico delle lotte, che possa imporre ai dirigenti sindacali quell’azione incisiva e unitaria che serve urgentemente alla classe lavoratrice per vincere. E’ quello che, ad esempio, stiamo cercando di fare impegnandoci nel rafforzamento del Fronte di Lotta No Austerity.
(1) Si veda questa intervista: http://www.alternativacomunista.it/content/view/2219/78/
(2) Per i dettagli su questa lotta straordinaria rimandiamo a questo articolo di M. Bavassano: http://www.alternativacomunista.it/content/view/2449/1/