Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 20 settembre 2014

LETTERA APERTA AI PARTITI DELLA PROVINCIA DI FROSINONE



Leggiamo quotidianamente, da tempo, l’accapigliarsi dei nostri rappresentanti  eletti  e non eletti su chi deve andare a sedersi sulla poltrona di presidente della provincia , o su quella ben più remunerativa della SAF (“monnezza” per i non addetti ai lavori) o , ancora, su chi è autorizzato ad utilizzare i simboli di partito. Per non parlare poi delle scomuniche minacciate da ogni parte verso chi non obbedisce agli ordini.
A questo punto per noi associazioni diventa difficile capire da che parte stia la monnezza.
Comunque non ci interessa.
Quello che ci interessa, e su cui nessuno dei rappresentanti  parla con chiarezza, né proponendo, né assumendosi la responsabilità di posizioni nette sono le questioni sotto riportate:
La difesa del diritto alla salute – costituzionalmente tutelato – a fronte di uno sfascio vistoso  ed umiliante per i cittadini e per gli operatori. Sfascio gradito solo a chi ha interessi privati;
E poi  Il rilancio e lo sviluppo economico e occupazionale rispetto a un processo di deindustrializzazione selvaggio ed alla continua chiusura di imprese  con saldo negativo .
A noi associazioni non interessa sapere chi sarà il presidente della SAF , ma qual è il piano industriale per  per l’obiettivo rifiuti zero e il conseguente abbattimento al minimo delle tariffe
E ancora qual’ è la posizione dei nostri rappresentanti eletti e non in merito al servizio idrico integrato di questa provincia, alle sue qualità e ai suoi alti costi che ricadono sempre sui cittadini . E per quale motivo non si dia seguito alla volontà popolare espressa nei referendum per il ritorno alla gestione pubblica dell’acqua.
Il vostro comportamento tradisce il ruolo dei partiti sancito dalla Costituzione ed impedisce la mediazione tra cittadini e istituzioni,  apparendo come un ruolo al servizio di interessi altri, mortificando la gloriosa storia culturale e politica del movimento operaio e contadino,  popolare e democratico  cattolico e socialista che ha caratterizzato il secolo scorso e che ha dato vita alla Repubblica ed alla sua Costituzione.

Frosinone 20 settembre 2014


Consulta delle associazioni – ass. Forming – ass. Osservatorio Peppino Impastato – ass. Aut Frosinone – Snami (sindacato medici) – ass. Città del sole – ass. Mountain Village – ass. AIPA – ass. Frosinone Bella e Brutta – Coordinamento Frosinone Salviamo il Paesaggio – Comitato civico art. 32 Sora – ass. Alle Venti – Comitato di quartiere Amici della Pescara.

venerdì 19 settembre 2014

Livorno-Latina, il poliziotto: "La bandiera della Palestina non può entrare. Ordini dall'alto. È vista peggio di quella di Che Guevara"

SENZA SOSTE

Vorrei raccontare questo episodio accadutomi lo scorso lunedì, all’ingresso dello stadio (settore Curva Nord) prima della partita di calcio Livorno-Latina. Verso le 19.30 mi presento al prefiltraggio, munito come sempre di abbonamento, documento e bandiera. Appena mi avvicino lo steward mi dice: “la bandiera te la levano”, io ripondo:”e perché?”, non fa tempo a replicare che si avvicina uno degli agenti della Digos che col loro solito tono arrogante e sprezzante mi dice: “questa te la levo. Non entra. Perché? Perché lo dico io”. Il motivo di questa diatriba è soltanto una bandiera… uno penserà; bandiera del Che Guevara? Con l’effige di Stalin? Con la falce e martello? No, trattasi di una bandiera della Palestina.
Li per lì resto allibito, ma gli rispondo che a me la spiegazione fornita non mi basta, il fatto che decidi tu e si fa come così, usava ai tempi del fascismo e quel periodo, fortunatamente, è stato superato (più o meno). Voglio quindi un chiarimento. Replica: “dentro entrano solo bandiere del Livorno, con i colori sociali e quelle dell’Italia” Gli faccio notare come all’interno di tutti gli stadi ci siano bandiere di ogni tipo (Brasile, Argentina, etc.. in omaggio a dei giocatori in campo ad esempio) L’arrogante agente: “devo lavorare, vai via bello.. dammi retta”
Replico che personalmente non mi interessa se “deve lavorare” perché esigo delle spiegazioni, e “vai bello” lo può dire a qualche suo familiare, non a me in quanto non godiamo di alcuna confidenza. Non mi muovo, resto li e aspetto le dovute spiegazioni. L’arrogante agente ne tira fuori un'altra dal cilindro: “è una bandiera politica, non entra. Punto e basta.”
Bandiera Politica? Una bandiera di uno stato (nemmeno riconosciuto tra le altre cose..) può essere considerata una bandiera politica? C’è una legge che lo prevede? Siamo al delirio più totale. Replico che questa è soltanto una sua teoria, condivisibile o meno, ma soltanto una teoria. La bandiera Palestinese NON è un simbolo politico, tuttaltro, non rappresenta alcuno schieramento politico. Specialmente in Italia non la si può considerare così, dato che destra e sinistra (o presunta tale) appoggiano entrambe incondizionatamente l’operato Israeliano, offrendo loro anche la Sardegna come “campo di allenamento” per i loro soldati.
Incredulo, torno al motorino e poso la bandiera, al momento del ritorno al prefiltraggio raggiungo di nuovo l’agente in questione perché per me il discorso non era finito li. Se non mi danno una motivazione valida, voglio nome e cognome del “signore” in questione, in modo da potermi presentare in questura in settimana chiedendo spiegazioni sull’accaduto ma possedendo il nome della persona con cui mi sono confrontato. Voglio un motivo vero, reale, che ha vietato l’accesso della mia bandiera allo stadio, un motivo che sia quanto meno credibile, uno soltanto. Infastidito dalla mia presenza, tenta di prendermi per un braccio per portarmi in un angolo. Lo invito a non alzare le mani ed a portare rispetto, che lo seguo senza costrizioni, in quanto non ho niente da nascondere.
In questo angolo vengo ricevuto da un altro agente Digos, il quale molto educatamente (differentemente dal primo) prova a darmi spiegazioni. Cerca di arrampicarsi sugli specchi, ma non me la bevo, alla fine è costretto a dire la verità; cioè che ha indicazioni chiare dai piani alti di non far entrare bandiere palestinesi, un motivo non c’è. Non lo sa nemmeno lui. Mi dice: “non so nemmeno io il perché, non so davvero cosa dirti.. eseguo soltanto ordini. E’ vista peggio la bandiera della palestina che la bandiera di Che Guevara in questo periodo”. Siamo quindi di fronte ad un nuovo scempio, una nuova imposizione illegittima imposta da un “qualcuno”, come se si volesse tappare la bocca, nascondere il genocidio che si sta svolgendo. La gente non deve vedere bandiere in modo da non ricordare i 2000 e passa morti. Tutto deve finire nel dimenticatoio.
So che qualche malelingua sarà pronto a dire: “cosa ci combina la bandiera della Palestina con il calcio?” A questi signori rispondo in anticipo, dicendo che la Curva Nord Livorno è un luogo dove storicamente si è solidali e vicini anche a cause che non hanno a che fare con l calcio. Anzi.. tutta Livorno, la vera Livorno, è fatta così. Che piaccia o no. In ogni stadio vi sono bandiere che non hanno a che fare con la partita in sé, ma hanno significati diversi. Il significato della bandiera palestinese allo stadio è per dire: “vi siamo vicini, non vi dimentichiamo, resistete.” Niente di più. Lo stadio è un luogo pubblico dove ognuno dovrebbe esprimere le sue idee senza offendere nessuno. E la bandiera palestinese non offende nessuno, anzi, deve essere considerata come un gesto di solidarietà ad una popolazione che sta passando un tragico periodo storico. La vicinanza e solidarietà non la si dimostra soltanto sui social network.
Davide

Chi ben comincia (Roma-Cska Mosca 5-1)

Kanas City 1927


Chi ben comincia, a Roma, mediamente, se gratta.

Perché ste due vittorie co Fiorentina e Empoli figurate, belle eh, datece nantra toscana, noi ce giocamo. Volemo fa na cosetta cor Pisa? Un test match cor Tuttocuoio? Na trasferta estemporanea a Pontedera? Nse po fa eh. Vabbè dicevamo.

Perché ste du vittorie co Fiorentina e Empoli figurate, belle eh, co sto Nainggolan che pare che tutta l’estate l’hanno tenuto chiuso dentro a no stanzino senza faje toccà er pallone, e mo pora bestia core appresso a chiunque ce n’abbia uno e je lo leva e lo tira e soo riporta da solo e lo ritira e lo fa sbatte sui pali sui portieri su di loro su di noi nemmeno una nuvola. Co sto Nainggolan che pare finarmente dà un senso ale creste a cazzo de cane de tutto er monnonfame. Vabbè dicevamo.

Perché ste du vittorie co Fiorentina e Empoli figurate, belle eh, co sto Bambi nero che ritorna come se nse ne fosse mai annato da sto praticello e la natura subito se piega o viene piegata dallo spostamento d’aria, è uguale, il risultato non cambia. Lui strappa e strazia, co la dorcezza propria sazia, e cor soriso te rovina.

Perché ste du vittorie co Fiorentina e Empoli, sostanzialmente, il problema, de fondo, a monte proprio, alla base de tutto, è che c’avemo paura che portano mpo zella, o quantomeno l’atmosfera sbagliata. Co tutti che dicono “Partenza a razzo”, “Roma cinica come la Juve, mica come la Roma” e noi che dimo “Ammerda ce sarai cinico come la Juve” e lui che te dice “Ao era ncomplimento pe non dì che a Empoli hai mpo sculato” e allora tu dici “Ah ok però famo cinica e basta ndevi esagerà”. Se al tutto c’aggiungi che nel gironedelamorte il Cska te viene prospettato come la squadra B dela nazionale cantanti e figurate se non ce vinci, ecco tutta sta serie de fattori ar tifoso romanista je pongono er problema logistico de dove riporre il famoso spillo.

Tu ce provi pure a datte na carmata, ma la combo tra quela tovaja piena de stelle sgrullata e centrocampo e il DECEMPIOOONS covato pe tre anni eruttato dall’Olimpico rendono vani tutti gli sforzi e te gettano in quadro clinico disastroso. Quelli che c’hanno solo pressione alta, febbre, secchezza dele fauci e dispnea so quelli sani, pe tutti l’altri ormai se prepara la Tribuna Paradiso dalla quale ci seguono i tifosi che ci hanno salutato anzitempo.

E mentre stai lì che armeggi co flebo e stetoscopio, quasi manco te naccorgi, stamo già a vince. Er Tendina, che per l’occasione indossa la tenda da Champions solo apparentemente identica a quella da campionato, vede uno che core negli spazi, lanciato verso la porta a mille all’ora, in attesa del passaggio filtrante e pensa “Uh anvedi, hanno messo no specchio sotto ala Nord, bella st’idea de fa lo ssadio novo cominciando dali specchi. Eppure non me ricordavo così basso, manco così bianco a dilla tutta”. Manvece non è lui, è l’altro, è Iturbe detto Er Garra da chi, dando pe scontate le qualità tecniche der più costoso acquisto dela Roma dai tempi de Batistuta, decide de concentrasse soprattutto sur fatto che a sto pischello ben pagato e da rodare je roda costantemente er culo.
Gervé non è sicuro de quello che sta a succede, ma nel dubbio passa la palla a quella versione tozza e muscolosa de se stesso, scopre il piacere inedito de non esse quello che core ma quello che fa core. Iturbe sturba urbi er orbi, core, punta e sbraga.
Tre anni e sei minuti. Punto e capo.

Er Garra, st’omino tutto nervi e senza collo ar punto che viene er dubbio che jabbiano avvitato a capoccetta tra le spalle, se batte er petto senza peraltro spettinasse, se butta in scivolata sur prato olimpico ma su na buca sencaja e de muso se sfragna mentre noi esurtamo come se fossimo già volati a nove punti, “eh, mo la Juve vedemo che fa cor Mila”, pe poi ricordasse che no, questa è nantra contesa, non è quella solita strana nostrana, tocca dasse un contegno, che l’Europa ce guarda da sempre, pure perché pe metà l’amo creata noi epeche e epeche fa, na certa deferenza ce vole.
Brava Europa, brava, comincia a guardacce e a riportà rispetto intanto, che noi mo semo americani, na certa strizza fossimo in te ce l’avremmo a priori, poi vedi tu se ignorà le basi dela geopolitica o no.

E però, manco er tempo de rimettese a sede, che er flipper de sti du scattosi zigzacosi, supportati da coscienziosi intellettuali de fascia e centrocampo de varia etnia, capigliatura e religione, porta a na tarantella de dribbling interracial che solo na giocata da regazzino po risorve.
Er tiro de punta, arte nota agli scarsi, ai talentuosi e agli istintivi (caratteristiche incredibilmente presenti tutte insieme nel dna gervinhico ar punto da fanne er giocatore più creativamente imprevedibile der globo terracqueogassoso), s’impossessa dell’anarchico neurone der Tendina e implacabile s’abbatte sur cuoio.
Duazzero pe noi, in Cempions, e ancora non so chiare le formazioni.

Ah! Europa me senti? Eh? Eeeeh? Pronto Bruxelles me passi Strasburgo? Ah nce state mo eh? Paura? Ndo cazzo stai Europa? Eh? Ah, ce sta a segnà, l'Europa.

Succede che il compagno Toro, che amo deciso che è compagno semplicemente pe il fatto de esse conterraneo del compagno più famoso del continente, decide che L'Altra Europa, con Torosidis deve comunque avé una chance, e lascia na palla che apre la prateria. Ce vorrebbe per l’appunto la caratteristica casa ma invece ce sta solo narmadio brasiliano che non basta.
Se invola Musa, ce fa strigne Musa, sta attùppertù Musa, ma non è ispirato Musa.
Non sa, Musa, che a Roma quando te muovi ce stanno du problemi: il traffico e le buche. A lui j’ha detto bene col primo, ma non è stato attento alle seconde, ha pensato d’annà a sbatte contro un muro isterico fatto de guanti e de Sanctis, e inciampando s’è incajato.
“Po esse che stasera ce dice culo” è la disamina tecnico-tattica che mette d’accordo i più fini analisti. L’intuizione riceve sostegno dalla realtà pochi minuti dopo.

“Viene solo pe i Mondiali, gioca un anno e poi ce molla”
“Se, magari, questo lo trovamo mbriaco a ottobre”
Poi.
“Vabbè un anno se l’è fatto ma mo dopo i Mondiali questo manco torna”
Poi.
“Ambè too dico dopo che l’hanno cacciato dala Nazionale perché ha infilato un daino morto ner cuscino de David Luiz che scureggiava ancora pe i facioli che javeva messo nelo yogurt che aveva fatto scadé apposta pe fa vomità banane a Dani Arves che ancora ringrazia er Deus dele sarvate pe aveje ceduto er posto er dì dell’1-7, vabbè insomma, dopo sta serie de fattacci brutti de maiconiana fattura, questo soo semo giocato proprio”
Mo, com’è come non è, sarà che comunque tra quattro anni ce stanno altri mondiali e magari se vole fa pure quelli, sarà che er daino era vivo, sarà che no scherzo a David Luiz co quella testa te viene de fajelo pure se non sei Columbro, sarà pure che su Maicon se dicono nsacco de stronzate, mettila come te pare, ma questo sta avvelenato. E pare che sto stratagemma  de non allenasse pe gnente pe gnente fino ala prima gara ufficiale utile, cominci a esse un rimedio all’indolenza consigliato dai mejo strateghi der carcio moderno cui noi diciamo no.
Motivato da qualcosa che solo lui sa, er Colosso stantuffa arando russi ad ogni piedone sospinto, e quando ancerto punto se ritrova solo nela steppa dela difesa altrui, defilato dala posizione da ndo ariva de solito lui,  fa quella cosa che fa lui che metà delle volte ce fa sbroccà comunque meno de quanno la faceva Cafu. Ce tira.
“Ah Maicon mavaf..FFANESULTANZA COME SE DEVE!” se trasforma in corsa er grido der tifoso grazie alla performance de Akinfeev intitolata “Goicoechea n°2”. Ma nulla è casuale: se tratta de un raro caso de autoprepotenza indotta. Dicesi in psicologia autoprepotenza indotta quell’atto de apparente autolesionismo atto ad evitare l’effettiva prepotenza che Maicon te infliggerà se non te scansi. Sto terzino po esse fero e po esse pium...no, n’è vero, sto terzino po esse solo fero, ner bene e ner male, e Akinfeev se ne accorge appena in tempo e decide de buttassela dentro pe evità il secondo letale tentativo su ribattuta. Er fatto è che co Maicon, in sostanza, checché ne pensino pei ritiri brasiliani, non se scherza. E’ fatto così. Treazzero ai russi, e er gas nele case de periferia comincia a scarseggià.

Iniziamo a crede che se potrebbe strappà un punticino. Poco dopo però iniziamo a pensà che tuttosommato c’ha detto culo che ce so capitati loro e no l’Empoli ner gironedelamorte. Perché o stasera semo forti forti noi o madre Russia c’ha mandato la versione der discount meglio conosciuta come Cska Moscia. Sciorti come neve ar sole de un paese altrui dar loro, i difensori se ritrovano ancora in balia del nostro frontman. Ma dietro ogni grande frontman c’è un grande Cervelloman. Dietro Er Tendina che va, che core e scatta come solo i cuccioli sanno fare, dietro quela spietatezza che non conosce cattiveria ma solo voglia de fa quello che più te piace, c’è un Uomo che ancora non ha sudato: Ercapitano.

De lui pare che stasera non ce sia bisogno. Stamo già treazzero e lui, incredibile ma vero dato er parziale, non ha ancora dato lustro ala serata. Ma lui, pure se non vole, pure se trotta svojato dala pochezza artrui, pure se se li ricordava più forti i Cempions dei tempi sua, decide che è bene che Europa guardi e se ricordi sempre ndo stanno le radici dela civirtà quando c’è na palla da cullà. Ercapitano riceve dala difesa e spalle ar monnonfame inzagaja la cometa ner prato stellato, gesto de ribellione curturale e artistica atta a incrinare e crepare ogni totalitarismo, ogni nazionalismo, ogni putinismo, ogni granellismo de sabbia osasse frapporsi ar passaggio der soriso d’avorio più veloce e splendente che c’è.
E quello core e corendo se fa forte e fortemente guarda Sturmentruppen Florenzi che implora palla in mezzo all’area e pensa no, questo è volenteroso ma milite, qui ce vole estro, fantasia, egoismo a fin di bene e di bello, sto gò lo faccio io.
A tanto ariva la sicumera dell’omo che contro i luoghi comuni se magnò la quarsiasi e magnandosela cominciò a segnà a rotta de collo. Dribbling, controdribbling, testa arta, Tendina aperta sur secondo palo, gò.
Quattrazzero pe noi, a casa sua Putin prende er telecomando e gira sulla nota fiction Место под солнцем.

L’intervallo lo passamo a cercà de capì se stamattina se semo alzati o se frampò suona la sveglia e mancano 14 ore ala partita. Se ricomincia e i dieci minuti successivi li passamo a cercà de capì se Florenzi ha segnato o sta a fa lo sciolto. Secondo il Capitano non l’ha toccata, lui dice de sì
“Oh, Gesù, Gesù... E questo che cos'è? Ma che cazzo è questo? Che cos'è questo, Sordato Florenzi?”
“Un gol di testa Signore!”
“Un gol di testa? Tuo?”
“Signorsì Signore!”
“A me sembra che tu non l’hai manco sfiorata sta palla, me pare che stai a dì una cazzata bella e buona, e dimmi Sordato Florenzi, ti è permesso dire cazzate?”
“Signor no signore!”
“E perché?”
“Perché sono giovane e esuberante e già così coro troppo e me confondo e ogni tanto me perdo e non so ndo me trovo signore!”
“E allora perché te vuoi prende sto gol che non è tuo?”
“Perché...perché ho fame di gol signore!”
“Perché tu avevi fame, Sordato Florenzi! ... Il sordato Florenzi ha disonorato se stesso e ha disonorato la sua squadra. Io ho cercato di aiutarlo, ma ho fallito. Io ho fallito perché voi non avete aiutato me, nessuno di voi ha dato al Sordato Florenzi le dovute giuste motivazioni. Quindi, da adesso in poi, quando Florenzi  dirà na cazzata io non punirò più il suddetto: io punirò tutti quanti voi! E quindi ho idea, signorine, che voi siate in debito con me di un autogol de testa. Su, avanti, coraggio, faccia sotto! Vai a esultà! Loro pagano il gol e tu esulti. Pronti, VIA!”.
Nonostante l’inflessibilità der Sergentecapitano l’aria è de festa, ettecredo, è cinquazzero.

Ora più che mai, è er momento der Congelatore de partite: Seydou Keita, uno che niente pare che fa ma dappertutto sta, gira per il campo co la calma zen de uno che a tempo perso è Capitano der Mali che non vien per nuocere ma pe fa pesà sull’artrui spensieratezza tutta la pesantezza de un carisma esagerato utile a fa invecchià de soggezione pure uno come Guardiola. Keita sarà sempre così. Era così nela culla, era così a vent’anni, è così mo, sarà così tra cent’anni. Guardalo com’era, guardalo com’è, pare l’arbitro. Se il mondo casca lui non se scansa, lo stoppa morbido de collo e lo rimette ar posto suo.

Come se il Congelatore da solo non rappresentasse un continente intero, imbocca pure Yanga, pe gli amici Mbiwa, pe i majettari Mapou, raro esempio de africano roscio, e più o meno contemporaneamente imbocca la polizia nei distinti ospiti, inevitabile o quasi conclusione de na storia che dura da qualche ora, co passaggi ormai abituali da na parte e dall'altra, e co un dubbio tra noi che de lavoro non famo l'ordine e quindi sicuramente è un dubbio scemo, che però nse ne va: possibile che a sti ospiti non c'è modo de portalli dritti al settore ospiti e riportalli all'aeroporto ospiti senza falli girà intorno allo stadio, dove uno che non è ospitale se trova sempre? E possibile che chi non è ospitale riesca sempre a trovà er modo de dimostrallo? E davero a noi de provà a esse civili e ospitali non ce ne potrà mai più fregà de meno nei secoli dei secoli amen?

A noi che invece nse dica che non semo gente a modo, de fa tornà sti ragazzi a casa senza un souvenir, na cosetta, mpenziero pe mamma, ce se strigne proprio er core, e quindi un golletto je lo famo fa. De Sanctis la prende bene, sacrifica solo tre agnellini e due cuccioli de foca in segno de contenuto disappunto, e comincia una cazziata che parte dall’attaccanti, passa dai centrocampisti arriva ai difensori, ricomincia dala panchina, se estende agli steward e finisce co na bella lavata de capo pe Angelomangianteabbordocampo.

Giusto il tempo de creà un Turone russo co un gol bono che l’arbitro decide de non daje perché mo vabbè che vabbè però daje, famo i seri, e la partita è finita. Amo cominciato e finito il primo micropezzetto de na cosa che, se lo dimo dar dì der sorteggiodelamorte, durerà sei partite, figurate se passamo, però già che so solo sei, che fai non la vinci una?

Perché chi ben comincia, a Roma, mediamente, deve fa finta de non avé fatto niente, ricordandose sempre però de avello fatto, ma dimenticando nel momento in cui je viene ricordato troppo, e ricordandoselo subito nel momento in cui ipso stesso pare che se lo sta a dimenticà. E’ mpo complicato, ma se volevamo le cose facili ben cominciavamo a Madrid. Però a Madrid quando je capita de esse così contenti dopo na partita de girone cor Cska Mosca? Il che è gioia e dannazione sempiterna nostra, però ecco, stasera, tuttosommato è gioia.
Al resto ce se pensa.

Il lavoro non è un mercato

Paolo Pini fonte:http://www.sbilanciamoci.info/


Le politiche di austerità e di precarietà espansiva hanno improntato la politica economica europea attuata quasi in contemporanea nei vari paesi. L'esito è stato che i debiti sono aumentati, la crescita del reddito si è azzerata e quella dell'occupazione è divenuta negativa
Negli anni della crisi, la politica di svalutazione caricata sul lavoro non ha fatto altro che aggravare gli effetti negativi dell’austerità sulla domanda interna. Eppure la Commissione Europea, anche nelle ultime Raccomandazioni (giugno 2014*), continua a prescrivere continuità nelle politiche di flessibilità del mercato del lavoro, contrattuali e retributive. Il risultato elettorale europeo non appare aver modificato l’equilibrio politico nel Parlamento Europeo, e la politica economica rimane saldamente sotto il controllo di chi ha gestito la crisi e l’ha aggravata applicando le regole del rigore senza crescita.
Le politiche di austerità espansiva e di precarietà espansiva hanno improntato la politica economica europea attuata quasi in contemporanea nei vari paesi.
Le prime, del rigore dei conti, hanno agito sulla base della fallace idea secondo la quale dal contenimento dei deficit pubblici conseguissero riduzioni dei debiti e si liberassero risorse che il privato sarebbe andato ad utilizzare più efficacemente. Ma non si è tenuto conto del “vuoto di domanda” che l’arretramento del pubblico creava, oltre che della maggiore efficacia spesso solo presunta del privato. La minore domanda pubblica non è stata compensata da una maggiore domanda privata, anzi consumi privati ed investimenti privati sono diminuiti mettendo in crisi tutta la domanda interna, europea e nei singoli paesi, lasciando tutto l’onere della crescita ad una domanda estera peraltro non più trainante. L’esito è stato che proprio a seguito del rigore, i debiti invece di diminuire sono aumentati, nell’Eurozona da un rapporto del 65% sul Pil si è superata la soglia del 95%, ed al contempo la crescita del reddito si è azzerata, mentre quella dell’occupazione è divenuta negativa.
Le seconde, della competitività salariale, hanno avuto il loro pilastro nella flessibilità del lavoro, contrattuale e retributiva. Anche in questo caso una idea fallace le ha alimentate, ovvero che l’aumento dell’occupazione potesse essere conseguito unicamente a condizione che si realizzasse un trasferimento di tutele del lavoro e diritti da chi li aveva a chi ne era privo. Gli esiti sono stati molteplici, e prevedibili, sulla offerta e sulla domanda. Si è ridotta la platea del lavoro tutelato, ed è aumentata quella del lavoro non tutelato, con una riduzione di tutele per tutti. Si è infatti realizzata una sostituzione di lavoro più che una creazione di lavoro, con conseguente riduzione di tutele e diritti sia per chi li aveva conquistati nel passato, sia per chi si attendeva una alleggerimento dello stato di precarietà lavorativa e sociale.
Ma non solo tutele e diritti sono stati intaccati; le stesse retribuzioni ne hanno sofferto, sia quelle degli insiders che quelle degli outsiders. Le retribuzioni nominali sono state compresse, e le retribuzioni reali diminuite. Queste non hanno certo tenuto il passo della pur debole crescita della produttività, determinando una ulteriore diminuzione della quota del lavoro sul reddito.
Dal 2000 in molti paesi europei la quota distributiva del lavoro è diminuita sostanzialmente, ed ancor più accentuato è stato il declino durante la crisi; in particolare sono stati penalizzati i paesi europei sottoposti alle prescrizioni di svalutazione competitiva interna sui salari, tra questi Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo (vedi grafico 1 e 2). Tra i Piigs solo l’Italia ha contenuto il crollo della quota del lavoro, che era stata in lieve recupero negli anni pre-crisi, rispetto ai disastrosi esiti degli anni ’90 (-10 punti percentuali) (http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Ue-le-raccomandazioni-e-l-evidenza-dei-fatti-18647).
La politica di svalutazione interna caricata sul lavoro ha forse contribuito alla competitività del sistema ed alla crescita? Non sembra proprio, semmai tale politica ha prodotto due effetti, entrambi perniciosi. Da un lato, un contenimento della domanda di beni e servizi che trae origine dal reddito da lavoro, andando ad aggravare gli effetti negativi delle politiche di austerità sulla domanda interna. Dall’altro, la competitività del sistema non ha tratto vantaggio, se è vero che sia per effetti di scala (minori volumi di produzione) che per quelli di sostituzione (lavoro meno retribuito e meno produttivo), la dinamica della produttività langue in tutta Europa, e prosegue la sua ventennale stagnazione in Italia in presenza di contenimento dei salari nominali.
D’altra parte, che queste non fossero le politiche più adatte da adottare nella crisi, ovvero in un equilibrio di disoccupazione, lo aveva ben indicato Keynes nel capitolo 19 dedicato aiCambiamenti dei salari nominali della sua Teoria generale (1936). E con forza lo scrisse a Roosevelt nel 1938: “Perdoni la franchezza di queste mie note. Provengono da un entusiastico sostenitore suo e delle sue politiche. Condivido l’idea che l’investimento in beni durevoli debba essere realizzato sempre più sotto la guida dello stato. […] Considero essenziale lo sviluppo della contrattazione collettiva. Approvo il salario minimo e la regolamentazione dell’orario di lavoro. Ero totalmente d’accordo con lei l’altro giorno, quando ha deprecato una politica di generale riduzione del salario, giudicandola inutile nelle attuali condizioni. Ma ho il grandissimo timore che in tutti i paesi democratici le cause progressiste possano risultare indebolite, in quanto non vorrei che lei abbia preso troppo alla leggera la possibilità di mettere a rischio il loro prestigio qualora si fallisse in termini di prosperità immediata. Non deve avvenire alcun fallimento. Ma il mantenimento della prosperità nel mondo moderno è estremamente difficile; ed è così facile perdere tempo prezioso.” (tratto da John Maynard Keynes, “Letter of February 1 to Franklin Delano Roosevelt,” 1 febbraio 1938, inCollected Works, vol.XXI, Activities 1931-1939, Londra, Macmillan, nostra traduzione, enfasi aggiunta).
Tuttavia la Commissione non è interessata a ciò che scriveva Keynes, e neppure a ciò che sostiene una platea, a dire il vero molto vasta, di economisti.  Continuano a prescrivere per l’Italia, come per gli altri paesi, niente altro che la continuità delle politiche di flessibilità del mercato del lavoro, contrattuali e retributive, per accrescere la competitività salariale. La crescita è affidata al contributo della componente estera della domanda, anche se questa pesa meno del 20% per i paesi dell’Unione, mentre il rimanente 80% è domanda interna, consumi delle famiglie, investimenti privati e pubblici, servizi collettivi. Per accrescere la prima raccomandano di proseguire nelle politiche coordinate e simmetriche che comprimono la seconda, con effetti depressivi su reddito e occupazione, ed un innalzamento del rapporto debito/Pil per tutti i paesi.
La competitività salariale è intesa come strumento cardine per conseguire questo obiettivo, via riduzioni del costo unitario del lavoro, per accrescere la competitività europea nei mercati globali. Per la Commissione ciò si realizza con interventi che limitano la contrattazione collettiva, nazionale e di settore, per la determinazione dei salari nominali, da allinearsi invece alla produttività dell’impresa, meglio ancora dei singoli lavoratori. Al contempo i salari reali non devono essere preservati da meccanismi di indicizzazione e salvaguardia del potere d’acquisto. Devono rispondere alle condizioni concorrenziali, dove ingressi ed uscite hanno da essere deregolati per servire le esigenze produttive dell’impresa, senza interferenze delle istituzioni che vincolano l’agire manageriale e creano anche barriere tra i lavoratori protetti e garantiti, gliinsider, e coloro che non lo sono, gli outsider. In fondo la precarietà o la disoccupazione non sono altro che l’altra faccia della medaglia dell’operare di istituzioni collettive: ridimensioniate queste, saranno ridimensionate sia precarietà che disoccupazione. Una narrazione questa che viene resa più appealing dalle tecniche economiche sulla disoccupazione strutturale che portano quella italiana all’11% lasciando un misero 2% per quella involontaria keynesiana. Così da far risultare evidente ciò che evidente non è, ovvero che non sia la domanda il problema, semmai le condizioni di offerta, e quindi la necessità delle riforme strutturali. Una narrazione che, se non fosse per le technicalities impiegate, ricorda molto l’ancien régime.

Grafico 1 – Cambiamenti della quota del lavoro sul reddito, anni 2000-2007, media annuale per paesi Ocse (fonte: nostre elaborazioni su Oecd statistics, Economic Outlook, maggio 2014)
















Grafico 2 – Cambiamenti della quota del lavoro sul reddito, anni 2008-2015, media annuale per paesi Ocse (fonte: nostre elaborazioni su Oecd statistics, Economic Outlook, maggio 2014, per 2014 e 2015 previsioni Oecd)

giovedì 18 settembre 2014

FROSINONE MULTISERVIZI INIZIO NUOVA PUNTATA

Comitato di lotta Frosinone

video Luciano Granieri


Stanno avendo inizio presso il tribunale di Frosinone le cause dei lavoratori della ex Frosinone Multiservizi contro gli affidamenti alle cooperative previste dal Comune di Frosinone da delibera di GC 96/2013 Approvazione Avviso pubblico per la manifestazione di interesse da parte delle cooperative sociali di tipo B iscritte nell’elenco regionale.

La delibera della giunta comunale, approvata in luogo del consiglio che invece è “L’organo deputato alla elaborazione degli atti di indirizzo sulle aziende pubbliche e gli enti sovvenzionati/vigilati…, in quanto organo di indirizzo e di controllo politico–amministrativo dell’ente locale (art. 42, co. 2, lettera g, d.lgs. n. 267/2000).”, è apparsa sin dall’inizio, in molte sue parti, viziata da interpretazioni forzate della vicenda e della legislazione che avvolge la società Frosinone Multiservizi.
Tralasciando che la Società avrebbe potuto continuare la propria attività almeno fino a nuova e definitiva scelta per l’affidamento dei servizi senza determinare alcun drammatico cambiamento avendo per sé anche il riconoscimento dell’ammortizzatore, cassa integrazione in deroga, per coprire le ore che l’Ente Comune aveva comunque fortemente ridotto facendo precipitare i salari sotto la metà della soglia di povertà, l'operazione di ricorrere alle cooperative è stato un vero e proprio “subentro”, visto che i servizi da affidare sarebbero stati gli stessi per attività, qualifiche e numero di lavoratori a quelli in essere alla Frosinone Multiservizi spa. Un “subentro” però che, non si è svolto secondo normali procedure sindacali, non prevedeva la continuità del rapporto di lavoro visto che le cooperative avrebbero offerto contratti a tempo determinato; una situazione peggiorativa a quanto i lavoratori stavano già vivendo nella Frosinone Multiservizi.
La scelta dello strumento delle cooperative sociali di tipo B iscritte nell’elenco regionale, utilizzato per una deroga alle regole ordinarie dettate dal Codice dei contratti per gli appalti sotto soglia, che prevede uno specifico iter per il reinserimento di lavoratori svantaggiati, sembra essere concepito più per una deroga appunto alle regole ordinarie per gli appalti, che per il reinserimento di lavoratori svantaggiati poiché i lavoratori stabilizzati della Frosinone Multiservizi, così come inteso dalla legislazione corrente, non risultavano rientranti in tale tipologia. Inoltre le cooperative hanno disatteso ciò che nell’Avviso Pubblico era previsto: “la società dovrà impegnarsi ad assumere il personale necessario dal bacino LSU confluito nella società Frosinone Multiservizi S.p.A. in liquidazione”, avendo assunto persone non appartenenti alla Società Multiservizi.
In ogni caso di 142 lavoratori di Frosinone gettati in pasto alle cooperative solo 32 hanno accettato un passaggio senza le dovute e previste procedure sindacali e senza alcuna garanzia del futuro. Altri 17 sono successivamente entrati nell’unico consorzio che in un secondo tempo ha cercato di rispettare le modalità di passaggio previste dalla legge. Gli esclusi di Frosinone hanno fatto ricorso alla magistrature del lavoro, a cui bisogna aggiungere i lavoratori in carico agli altri enti anch’essi facenti parte del “bacino LSU confluito nella società Frosinone Multiservizi S.p.A. in liquidazione”.
La vicenda amministrativa si è sommata alla drammatica esperienza dei lavoratori che dopo 17 anni si vedevano catapultati fuori da una situazione lavorativa che avevano costruito e sostituiti da altre persone. Una Pasqua del 2013 amara cha ha visto tanti protagonisti negativi a cominciare dalla Amministrazione Comunale che senza un minimo dubbio liquidava una esperienza storica per questa città infilandosi in un tunnel in cui hanno pagato i lavoratori, senza lavoro e ancora senza TFR; le casse pubbliche che dovranno ripianare un debito di cirda 9 milioni di euro; la cittadinanza che si è vista dimezzare e peggiorare i servizi e aumentare le tasse. Le responsabilità ricadono anche nel personale allora dirigente della Società che non difese gli interessi della stessa ma anzi si rendeva disponibile a pressare i lavoratori nel traghettarli verso le cooperative. 
Che dire ancora? Rispetto alla confusione generata tra diritto al lavoro per il quale centinaia di lavoratori lottano ancora e semplice elemosina scambiata per lavoro da parte di una amministrazione, gli stessi i lavoratori hanno fatto più volte proposte per il superamento di queste fasi, proposte che andavano nell’interesse di tutti. Ma la giunta e “l’amministratore comunale”, e coloro che hanno pensato di agire nell’interesse… degli enti, preferiscono rispondere alla magistratura. Si attendono sviluppi.

Fear's act

Luciano Granieri


“Andremo in Europa a battere i pugni sul tavolo”, “E’ finito per l’Italia il tempo dei compiti a casa, siamo noi a decidere e  imporre la linea all’Europa” “Le riforme sono necessarie, ma l’Europa deve concederci maggiore flessibilità sul rispetto del rapporto deficit/pil” Erano più o meno questi gli spavaldi propositi che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, ha twittato, chattato, declamato, da quando occupa Palazzo Chigi. 
Si da il caso però  che è stato sufficiente un borbottio estivo del banchiere Draghi, emesso  dalla sua amena location vacanziera, e qualche bacchettata arrivata dalla riunione informale dell’Ecofin tenutasi qualche giorno fa a Milano, per spaventare il coniglio Matteo. Lo spavento è stato così terrificante che prontamente ai signori della Ue e della Bce, è stato sacrificato uno degli ultimi baluardi a difesa dei diritti dei lavoratori: il reintegro di un dipendente licenziato senza giusta causa. Sarebbe l’art.18 dello statuto dei lavoratori. 
La paura è stata così forte, da minacciare l’approvazione per decreto di questa necessaria mannaia qualora opposizione, fronde interne, gufi di varia natura, si fossero messi di traverso. L’inquietudine del Premier è apparsa in tutta la sua drammaticità, nella illustrazione alla Camera e al Senato del programma dei mille giorni.  Qui   è partito  l’anatema: La testa dei lavoratori costi quel che costi. 
Poi però è emersa la scaltrezza del grande statista e i toni si sono ridimensionati derubricati in presa per il culo.  E’ riduttivo parlare di abolizione dell’art.18. si sostiene dal Governo. L’emendamento all’art. 4 del Ddl lavoro, che la Commissione lavoro del Senato ha appena approvato, prevede un sistema molto ben articolato.  
 Sarà una cuccagna per i lavoratori. Lavoro a tempo indeterminato per tutti! Con tutele crescenti in proporzione all’anzianità di servizio. Come al solito i gufi non hanno capito un fico secco. Io però che sono gufo ma non sono scemo capisco che la crescita, in questo caso delle tutele, è un concetto in divenire, si può evidentemente applicare ad un'entità mutabile, come la determinazione di una somma di denaro  a indennizzo. Il reintegro per licenziamento ingiusto né cresce, né decresce,  c’è o non c’è. Dunque non rientrando nella  la categoria di una cosa  crescente, modificabile, nel decreto  non c’è. 
Ma lasciamo stare quest’aspetto ormai desueto. La verità è che lo”statista” Renzi, ha introdotto l’innovativa formula della “flexicurity”. Come accade nel nord Europa. In queste fauste lande la flessibilità di licenziamento è massima - anche se mai per causa ingiusta, (a un padrone che licenzia ingiustamente gli fanno un mazzo tanto) - ma al povero disgraziato messo in mezzo alla strada ci pensa lo Stato, con indennità di disoccupazione per tutti, salari minimi garantiti e supporto a trovare nuova occupazione attraverso l’utilizzo di efficienti centri per gli impieghi. 
Bello! Ma  mi permetto di far notare che mentre la “flexi” è aggratis, licenziare uno non costa nulla, per lo Stato, la “curity” costa un botto.  Fra riorganizzazione dei centri per l’impiego, stanziamento dei fondi per salari minimi e sussidi se ne andrebbero dai  20 ai 40 miliardi l’anno. Dove li troviamo i soldi? Considerando che si fa fatica a reperire il miliardo e mezzo necessario per gli attuali ammortizzatori sociali e aggiungendo  che dal 2015 prossimo il fiscal compact ci costerà 50 miliardi l’anno? E poi figurati gli strilli della Merkel di Draghi e di tutta la compagnia. Morale: per intanto avanti con la “flexi” alla “security” penseremo dopo.  
Ma in fondo è vero, oggi l’applicazione dell’art. 18 è estremamente limitata e in futuro si estinguerà da sola. Infatti quale azienda è così sciocca da offrire contratti a tempo indeterminato, quando può tranquillamente usufruire del regalo insito nel decreto lavoro DL 34/2014 già in vigore. Che cuccagna. Un rapporto di lavoro  a tempo determinato, senza l’obbligo della causale, da poter adottare per tre anni con un massimo di 5 proroghe, così come determinato dalla legge,  significa che si può assumere una tizia o un tizio tenerli  per 5 mesi e poi licenziarli senza particolari giustificazioni,   se e senza ma, altro che art. 18! 
E allora perché darsi tanta pena per un dispositivo  così fuori dal tempo? Intanto perché non serve la sua abolizione per  aumentare l’occupazione. La norma non si applica alle imprese con meno di 15 dipendenti. Tali aziende costituiscono  più dell’80% delle realtà produttive e non mi pare che siano così solerti nell’assumere. 
Poi perché l’art. 18 è il vessillo. E’ il simbolo delle lotte per il diritto al lavoro. Per  la classe capitalistico-finanziaria che governa l’Europa impossessarsi del vessillo dell’avversario significa mostrare al mondo il proprio trionfo e infliggere  l’umiliazione alla  classe avversa. 
Infine, l’abolizione del reintegro in caso di licenziamento ingiusto apre la strada a quello che è il vero obbiettivo del potere finanziario, la distruzione di ogni forma di contratto nazionale per il lavoro. Lasciare il lavoratore solo,  disarmato e debole nella trattativa con i padroni è la meta finale. 
Comunque al di là delle elucubrazioni da veterocomunisti, bisogna riconoscere che Renzi  sta riuscendo laddove l’iperliberista Berlusconi e il freddo banchiere Monti non erano riusciti. Un bel risultato e un orgoglio per quei compagni del Pd che si ritrovano un segretario in grado di fargli ingoiare tutti quei rospi contro cui anni prima erano scesi in piazza. Complimenti compagni! Avere il plauso degli odiati Brunetta, Sacconi e perfino del Fondo Monetario Internazionale non è cosa da poco. Hasta la vergogna siempre!



mercoledì 17 settembre 2014

PRIMI DURI COMMENTI SUL DECRETO-LEGGE “SBLOCCA” ANZI “ANNIENTA” ITALIA

Raggio Verde, Retuvasa, Comitato Residenti Colleferro

Quattro giorni fa, il Governo Renzi ha adottato il decreto-legge n. 133, c.d. “Sblocca Italia”, che più propriamente andrebbe definito “Annienta-Italia”, ora all'esame del Parlamento per essere convertito in legge.
Al momento ci occupiamo solo dell'art. 35, riservandoci di prendere posizione anche sugli articoli relativi alle bonifiche con il Coordinamento Nazionale Siti Contaminati di cui facciamo parte.
Il decreto-legge stabilisce che: a) gli inceneritori diventano “infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale”; b) sarà il Governo a decidere entro 90 giorni gli impianti esistenti o da realizzare; c) negli impianti dovrà essere data priorità al trattamento dei rifiuti urbani prodotti nel territorio nazionale e, a saturazione del carico termico, ai rifiuti speciali non pericolosi o pericolosi a solo rischio sanitario (esauriti tali rifiuti, dunque, anche quelli pericolosi potranno essere “trattati”?); d) tutti i termini per le procedure amministrative (espropriazione e AIA) sono ridotti della metà! 
Il combinato disposto del citato art. 35 con l'art. 14 del c.d. decreto competitività (che conferisce poteri speciali al Governatore della regione Lazio Zingaretti ed al Sindaco di Roma, Marino) si tradurrà, sul piano normativo, in un attacco senza precedenti nei confronti delle comunità e dei territori.

Per giustificare la propria scelta, il Governo Renzi scrive che gli inceneritori servono per: attuare un sistema integrato e moderno di gestione dei rifiuti; superare le procedure di infrazione europee; concorrere allo sviluppo della raccolta differenziata e al riciclaggio e che “costituiscono infrastrutturee insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell'ambiente” ! ! !

Riteniamo che la misura governativa serva unicamente a “sbloccare” procedure amministrative spesso affette da gravi vizi procedurali ed illegittimità e a favorire gli interessi di chi tali procedure ha avviato, a svantaggio di chi si troverà a vivere vicino a queste “infrastrutture strategiche”, creando così un'evidente ingiustizia sociale in nome della sempre sbandierata “emergenza”.

Le motivazioni addotte per fare ciò si basano inoltre su presupposti completamente sbagliati e in contrasto con norme che il Governo ben dovrebbe conoscere.
Come si fa a definire gli inceneritori come un sistema moderno di gestione dei rifiuti, quando deve essere avviati a dismissione certa? Nell'ambito della gerarchia europea di gestione dei rifiuti, infatti, l'incenerimento è al penultimo posto. Come si fa ad affermare che, passando dall'ultimo al penultimo posto, verranno risolte le procedure d'infrazione?! 
E ancora, la raccolta differenziata è finalizzata al recupero di materia e non a quello di energia, nè il riciclaggio deve essere confuso con il recupero energetico! E infine, affermare che gli inceneritori fanno bene alla salute e all'ambiente è falso: è un insulto e una grave offesa verso le persone che hanno contratto malattie ricollegabili all'esposizione agli inceneritori, come documentato dalla vasta letteratura scientifica internazionale degli ultimi decenni (si veda, a livello nazionale, il documento elaborato dall'associazione degli oncologi italiani del 17.10.2011 oppure lo studio epidemiologico ERAS del DEP Lazio sull’impatto sanitario nei luoghi con presenza di inceneritori).

Ai parlamentari, che abbiamo eletto per rappresentare i nostri interessi, chiediamo di votare contro questo vergognoso articolo!

Se volete ristabilire un rapporto con il vostro elettorato e garantire ai cittadini quel necessario senso di tutela sociale continuamente disatteso, non convertite questo decreto in legge!!!


Regione Lazio, 17.09.2014

martedì 16 settembre 2014

Fiammelle di speranza per la sanità ciociara.

Luciano Granieri


Giovedì prossimo 18 settembre  il sindaco di Alatri Giuseppe Morini e la giunta  comunale verranno ricevuti in Regione del Presidente Zingaretti, per discutere del destino dell'ospedale di Alatri  a rischio chiusura. Il giovedì successivo, ma di questo si attende conferma e comunicazione ufficiale, lo stesso Zingaretti incontrerà il Coordinamento Provinciale per la sanità sull'atto aziendale che cancella il sistema sanitario provinciale pubblico. 
Nel frattempo il consigliere regionale Mauro Buschini, da un atteggiamento, protezionistico  nei confronti della manager Asl di Frosinone Isabella Mastrobuono, difesa persino contro gli strali del Coordinamento provinciale della sanità,  si posizione oggi  in contrasto con lo stesso direttore generale , in quanto, non opera, secondo il consigliere della Pisana,  scelte condivise dalla Regione. 
Dal fronte dei municipi, 25 sindaci, i cui comuni rientrano nel distretto sanitario C, hanno firmato il documento redatto dal Coordinamento provinciale della sanità in cui si determina una PROPOSTA di diversa  gestione sanitaria divisa in undici punti. 
Sicuramente non si è ottenuto l’annullamento dell’atto aziendale o la certezza che altri ospedali non verranno chiusi, né è sicuro che l’incontro con Zingaretti potrà  essere foriero di impegni concreti, ma diversi smottamenti sono stati determinati dalla fiaccolata di giovedì scorso 11 settembre. Il blocco comincia a sfaldarsi. 
In questo quadro  si devono aggiungere gli effetti della presa di posizione del sindaco di Alatri Giuseppe Morini e della maggioranza dei suoi consiglieri, che hanno condiviso la LETTERA che lo stesso primo cittadino ha inviato al Presidente del Consiglio Matteo Renzi al Presidente della Regione Lazio Zingaretti e agli altri colleghi primi cittadini della Provincia, nella quale si paventa la non partecipazione al voto per l’elezioni del presidente della Provincia, e si estende l’invito a fare altrettanto agli altri sindaci del territorio,  se la questione della sanità provinciale non verrà affrontata e risolta a favore dei cittadini.
 Un atto potente quello del sindaco di Alatri, che evidentemente ha deciso di esercitare il mandato ottenuto dai suoi elettori, non limitandosi ad amministrare la città , tagliando una prestazione sociale di qua, o privatizzando un servizio di la, ma decidendo di prendere decisioni politiche forti in difesa dei propri cittadini e dei cittadini dell’intera Provincia. Vivaddio un sindaco che torna a fare politica.  
Ma soprattutto, le azioni di protesta congiunte fra il sindaco di Alatri e i cittadini hanno imposto  prepotentemente alle tristi e oscure trattative sull’elezione del presidente della Provincia, basate sulle scambio di poltrone fra ente provinciale ed enti intermedi (Saf, Asi, Cosilam), alle sanguinose lotte per bande all’interno dei partiti,  il tema della sanità. Un tema molto sentito dai cittadini.  
Tanto che forse proprio le questioni inerenti alla difesa della salute potrebbero cambiare gli schieramenti già  praticamente definiti. Una posizione, pro o contro la gestione regionale della salute pubblica , può essere determinante per ottenere la guida della Provincia considerato che la lotta del Coordinamento e dei cittadini ha interessato molti sindaci e amministratori comunali, colori i quali cioè, hanno il diritto di voto per la competizione elettorale provinciale. 
Non è un caso che a Morini sembra legarsi la cordata di De Angelis con  la  parte di Pd che supporta Schietroma come candidato alla Provincia. Il Coordinatore nazionale del Psi ha preso posizione condividendo le istanze del sindaco di Alatri  e del Coordinamento contro la gestione regionale della sanità ciociara. Se si aggiunge che anche Buschini, uomo di De Angelis, ha cambiato opinione sull’operato della Mastrobuono,  il cerchio si chiude. 
Comunque al netto di una possibile  dietrologia, l’azione del Coordinamento e di alcuni sindaci, ha avuto il merito di gettare nella mischia della competizione elettorale un tema primario e fondamentale come quello della sanità. Un tema su cui tutti i contendenti dovranno misurarsi. Come risultato non mi sembra da buttare via. Ora però bisogna continuare.

Gavioli è a Bruxelles poi sarà qui da noi in Ciociaria

Fausta Insognata Dumano fonte: http://www.unoetre.it/



Martedì 16 settembre 2014, una data che entrerà nella storia delle lotte per la difesa del diritto al lavoro. Stefano Gavioli, l'intellettuale single proletario mantovano, dopo tredici giorni in bicicletta è entrato nel Parlamento europeo, ha consegnato la petizione alla Vicepresidente della commissione lavoro Eleonora Sevi.
La petizione rivendica il diritto al lavoro per i cinquantenni rottamati dal sistema lavorativo, ma troppo giovani per la pensione. Questa manifestazione è singolare nel suo genere, noi siamo cresciuti con immagini di lotte e vertenze, presidi davanti alle fabbriche, tende e megafoni, bandiere, immagini frequenti che sono entrate nel nostro immaginario collettivo tanto da non accorgersene più. Stefano non è andato al Parlamento UE per "il suo caso personale". Stefano ha portato la voce di una generazione privata anche dei sogni. Una generazione dove la precarietà ha distrutto ogni certezza. Il se è l'incipit di ogni frase, se trovo un lavoro, il presente indicativo utilizzato come congiuntivo, il presente indicativo che non ha futuro.La precarietà distrugge anche i sogni, persino sognare diventa precario....restituire il diritto a sognare la vita da pensionati, il diritto a sognare senza l'angoscia del vivere senza lavoro, abbrutiti dall'umiliazione di essere considerati scarti della società, dei vuoti a perdere. Stefano ha portato in Parlamento tante vertenze, con lui sono entrati i diseredati di questo secolo. Stefano dopo questa singolare iniziativa si riposerà qualche giorno, ma nella sua agenda c'è già un nuovo impegno, sarà ospite di unoetre.it per parlare di lavoro in una provincia come Frosinone dove il dramma del lavoro è un'emergenza sociale.